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Autore: Haku7    04/02/2014    0 recensioni
"Erano perduti e pieni di colori, come girandole nel vento, come aereoplani di carta in cerca di atterraggio nella nebbia. Come dei girasoli notturni.
--
"Sebastian Joyce non avrebbe saputo definire con certezza quando e come aveva iniziato a capire che il suo posto nel mondo non lo avrebbe trovato, se non creando il proprio. Se non vedendolo attraverso l’arte, l’unica cosa che riuscisse a destarlo dalle incertezze che lo avevano sempre accompagnato. La sua chitarra, quella era la sua vera voce, quello strumento che quando maneggiava gli trasmetteva una sorta di eterna rassicurazione.
Niente era perfetto come le melodie che volteggiavano invisibili nell’aria, che si rincorrevano e infine fuggivano oltre le barriere di questa stanza, come presagi di un futuro ancora non definito, ma indubbiamente buono."
--
"Sono sempre stato troppo diverso, da tutti quanti, e sono diverso anche da te. Ma il nostro dolore è lo stesso, e lo stesso può essere anche il modo in cui riusciremo a salvarci."
--
Sebastian ed Eric, Eric e Sebastian. Due personalità differenti con un passato difficile da dimenticare, che si incontreranno casualmente. La musica come filo conduttore della storia.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Secondo –Help.

Aiuto, ho bisogno di qualcuno,
Aiuto, non di uno qualunque!
 
Quando ero giovane,
Molto più giovane di oggi,
Non necessitavo mai dell’aiuto di nessuno,
in nessun modo,
ma ora quei giorni sono lontani

e non sono così sicuro di me.
Ora che scopro che le mie idee sono cambiate,
ho aperto le mie porte.
.
(Help- The Beatles)
Sebastian Joyce.
Luton (Inghilterra), tredici settembre 2012.


Adesso che anche l’unica fonte di interesse e novità ha lasciato temporaneamente la classe, non mi resta altro che passare il resto della ricreazione ad immergermi nuovamente nei miei pensieri, nonostante sappia perfettamente che non è affatto la cosa migliore da fare, o almeno, non adesso, non qui a scuola, sotto gli occhi di tutti.
Anche se poi li ho sentiti, i miei compagni. Mi definiscono apatico, e figurati se sanno a cosa penso. Mi perdo nei ricordi, e la conosco bene l’espressione che assumo in quei casi. Spesso resto a fissare il vuoto, o almeno, questa è l’impressione che dò, perché dentro la mia testa è tutto un miscuglio di preoccupazioni, e suoni e colori che non dovrebbero esserci più. Volti e voci, e del vuoto non c’è nemmeno l’ombra, anche se a volte non lo disdegnerei così tanto.
I ricordi, già. Non dico che li butterei via, che ne farei a meno. Ma li estrarrei volentieri dalla mia testa, e li sistemerei in qualche scatola per un po’, come si fa con quei giocattoli dai quali non ti vuoi separare del tutto, ma che devi togliere dalla tua camera, perché sei diventato grande, e perché non puoi lasciarli dove sono, ingombrerebbero troppo.
Invece, è proprio vero che essi rimangono così impressi nella mente da dover solamente socchiudere gli occhi e pensare, per tornare a quel giorno di tanti anni prima, e sentire addirittura il profumo dell’erba bagnata, della pioggia, il calore sulla pelle del pallido sole autunnale, e le stesse identiche emozioni.
Ecco, c’è un giorno che ricordo meglio di tutti gli altri, è un giorno di cinque anni fa, quello in cui abbiamo fondato il gruppo. Quanti anni avevamo, undici? Io, Rick e Marjane eravamo ancora tre ragazzini che credevano ancora nella musica e in tutte quelle magie che il tempo, il dovere, e la vita di tutti i giorni ti portano via, un po’ alla volta.
 Ma c’è una cosa che mi piace dei ricordi, nonostante tutto. Puoi tornare a rifugiarti da loro quanto ne hai voglia, e quando riesci persino a dimenticarti che il tempo è passato, e le cose sono cambiate, beh, allora non fanno così tanto male.
 
 
Dublino, autunno 2008. Quattro anni prima.
Una coltre di nuvole scure copriva parzialmente il cielo dublinese, come di consueto. Tuttavia, neppure i bruschi ed irruenti piovaschi che si abbattevano sulla città ad intervalli irregolari sembravano turbare l’umore sereno di Sebastian, seduto a gambe incrociate sul tappeto della sua camera, la schiena contro il muro e le orecchie tese ad ascoltare il rumore scrosciante della pioggia, come impegnato a contare ogni singola goccia d’acqua posatasi sul suolo morbido e permeabile.

«Io non ho paura dei tuoni e tu,Sebastian? » , chiese Marjane dopo alcuni istanti di silenzio, impegnata ad osservare il temporale appena abbattutosi sulla zona, con il naso incollato alla finestra appannata della camera dell’amico.
«Nessuna paura, è solo..tanto rumore per nulla, in fin dei conti!»,  rispose il ragazzino con un sorriso, scrollando appena le spalle sottili in segno di noncuranza.
« A me sembra che facciano un fracasso forte e tremendo, proprio come quando suono la batteria!» aggiunse Marjane con aria entusiasta, per lasciare che la propria espressioneallegra si mutasse in una smorfia vagamente imbronciata, riprendendo a parlare pochi istanti dopo. «Però che scocciatura, proprio oggi doveva venire questo diluvio? !? Dobbiamo suonare con Rick, dopo..»
«Di che ti preoccupi? Tanto quando piove prima o poi smette, Marji!» replicò Sebastian, senza risparmiarsi una piccola risata. «Soprattutto qui a Dublino, che prima viene giù il diluvio universale, e quello dopo c’è un sole che spacca le pietre!»
Era davvero ottimista, Seb, pensò Marjane. Non ricordava di averlo mai sentito lamentarsi.
«E cosa facciamo, nel frattempo? In casa è una noia..» mormorò la ragazzina, sedendosi sul pavimento e tamburellando con le mani sulle proprie ginocchia.
 Aveva solo undici anni, uno in meno di Sebastian, ma sembrava che ce l’avesse nel sangue, il ritmo. E non stava un minuto ferma!
«Telefoniamo a Rick e gli diciamo di raggiungerci una volta finito il temporale, iniziamo a suonare noi, oppure ascoltiamo musica ce n’è di roba da fare!»
«Hai ragione, sbrighiamoci a chiamarlo, e poi, direi che la musica da ascoltare non ci manca proprio!»
Il rumore secco di una porta sbattuta interruppe improvvisamente
i propositi  dei due amici, facendoli sussultare per un istante.
«Che sia tuo padre,Seb?»
«Non credo proprio, mi aveva detto che arrivava
stasera
«Ah, allora chi potrebbe essere?»
Le previsioni di Sebastian si rivelarono sbagliate nel giro di un paio di istanti.
 
«I miei due piccoli musicisti!» Una figura alta e snella, con un viso allegro e luminoso
, incorniciato da lunghi riccioli castano chiaro, irruppe improvvisamente nella stanza, sotto lo sguardo sorpreso di Marjane e Sebastian.
Nei miei ricordi, papà sorride quasi sempre. Eppure le ultime volte che l’ho visto, di quel sorriso era rimasto solo uno sbiadito pallido riflesso. Sembra quasi che oltre alla sua chioma fluente abbia perso anche ciò che era allora. Non c’è nessuno di loro che non sia cambiato almeno un po’, nessuno.
«Papà!»,  esclamò Sebastian alzandosi in piedi di scatto, visibilmente felicedi fronte all’ per l’inaspettato arrivo del genitore. «Allora, come sono andati i concerti?»
«Benone!» L’uomo sorrise, scompigliando per qualche istante i lunghi capelli biondi del figlio, con un gesto che ormai compieva abitualmente. «E voi due che stavate facendo? Tutti questi strumenti intorno ... suonavi il basso o la chitarra, Seb? Hai deciso, alla fine?»
Già, chitarra o basso.. bella domanda!
Sebastian aveva iniziato a suonare la prima quando aveva circa sette anni. Lo aveva aiutato suo padre, dopo tutto lui aveva fatto di quello strumento la propria professione, e vedere un figlio così appassionato di musica lo riempiva di orgoglio.
Tranquillo e di poche parole, ma con un ottimo orecchio, Sebastian era riuscito quasi a consumarli, tutti quei vinili minuziosamente ordinati in un angolo del salotto, non appena suo padre si premurò di mostrargli come si utilizzava il loro vecchio giradischi.
E fossero stati solo quelli! Veniva da ridere, a Sebastian, quando gli adulti lo sgridavano per tutto il tempo che passava al computer, su Internet, affermando che non avrebbe ricavato nulla di interessante da una stupida macchina. Grazie a quello, aveva ritrovato tutto il rock che voleva,  scoperto i nomi delle canzoni che amava. Poi,  man mano che gli anni passavano, la sua abilità con lo strumento musicale era gradualmente cresciuta, portandolo alla sua  giovane età a padroneggiare discretamente chitarra classica ed elettrica, impegnandolo a fondo in quell’hobby per il quale era indubbiamente portato.
Aveva preso in mano il basso soltanto l’anno precedente.
 Lo aveva sempre incuriosito, quello strumento dal suono grave e profondo, con quelle corde così spesse e dure.
 Era indubbiamente più ferrato con la chitarra, ma amava anche suonare il basso.

Era costantemente indeciso, per un sacco di cose, glielo dicevano tutti.
Quando gli chiedevano cosa avrebbe voluto fare da grande, Sebastian riusciva soltanto ad immaginare una grande confusione.
 «Beh, al momento suono entrambi.. » replicò Sebastian pensieroso, mordicchiandosi appena il labbro inferiore «Ma non stavamo suonando, non ancora, dovremmo suonare con Rick, però sta diluviando..»


«Sta diluviando?» il padre di Seb rise, divertito, scuotendo il capo. «Sta arrivando un bellissimo sole, invece: secondo me da Rick potete andare anche subito!»
Seb e Marjane lo guardarono allibiti, per poi spostare lo sguardo alla finestra, che attraverso la sua trasparenza mostrava un cielo squarciato da sottili e innumerevoli raggi dorati, di fronte ai quali persino le nuvole scure parevano intimorite, dissolvendosi in piccoli cumuli di vapore.
«Arrivi tu e ritorna il sole..non ti becchi mai una goccia, non è possibile!»,  esclamò Sebastian incredulo.
«Fidati, mi sono beccato un bell’acquazzone anch’io,Seb .. appena sceso dall’aereo, tra l’altro!»
«E il viaggio è andato bene, signor Jeffrey?» domandò Marjane educatamente rivolta all’uomo, pochi istanti dopo.
«Temporale a parte non c’è stato affatto male, grazie, Marji. Volete uscire? Io devo comunque andare fuori, vado a prendere la mamma al lavoro, così le faccio una sorpresa, va bene, Seb? Altrimenti, la casa è vostra, nessun problema. »

replicò l’uomo,  per Poi l’uomo si diresse rapidamente verso l’ingresso e spalancò la porta, seguito dai due ragazzini, che nel giro di pochi istanti scomparvero alla sua vista, confondendosi tra la moltitudine di arbusti che circondavano le strade.
 
Sebastian lo adorava, il quartiere dove vivevano.
 Le macchine passavano di rado, perché erano in periferia, ma era una periferia ben distante dalla brutta impressione che solitamente quel nome suggeriva: le case, piccole e di aspetto accogliente, erano spesso inserite all’interno di giardini che variavano senza alcun criterio di ordine e dimensione, alcuni così meticolosamente curati da risultare scialbi e noiosi, altri ancora tanto fitti di arbusti e fiori da apparire simili a selvagge e colorate giungle.

Non erano neppure distanti dal centro di Dublino: era sufficiente  un autobus, e si era lì in un quarto d’ora. Ci andavano qualche volta per gironzolare il pomeriggio (era una città vivace, e neppure troppo grande), o anche di sera, quando suo padre li accompagnava per le stradine e i pub, a sentire la gente che suonava.
 
La casa di Marjane era
esattamente di fianco alla sua, ma lei non ci passava tanto tempo: i genitori di Marji  lavoravano spesso, nel pomeriggio, così era quasi sempre da lui.
 Si erano conosciuti quando lei si era trasferita lì, in quella casa piena di edera verde scuro, che si arrampicava fitta sull’abitazione, fino ad aggrovigliarsi sulle finestre, sulle tegole del tetto.
La sentiva picchiare tutto il santo giorno, chiusa nel garage, su quella batteria di cui andava tanto fiera; nulla di pretenzioso, certo, solo una grancassa, per di più dall’aspetto vecchio e consunto
:  un rullante, un charleston ed altri aggeggi di cui non ricordava mai il nome – non suonava la batteria,lui! -  ma accidenti, come la suonava!
Aveva un ritmo e una forza fuori dal comune
, quella bambina, davvero!
Non si sarebbe certo detto, a guardarla: era piccola e minuta, con gli occhi neri come il carbone, e i capelli lunghissimi dello stesso colore, lisci e setosi. Eppure era agile e vivace, perfetta per suonare uno strumento del genere.

 «Marji, Seb!!» un viso simpatico e lentigginoso sbucò improvvisamente fuori da una siepe, quella che circondava il giardino di Sebastian,  facendo ai due ragazzini un paio di boccacce. Non era una novità che Richard Gallagher, tredicenne vivace e spigliato, giungesse da solo da chi sapeva che voleva vederlo.


«Richard! Da dove sei sbucato fuori?»,  sussultò Marjane, e poi rise:  «Mi hai fatto prendere un colpo!»
Il ragazzino sgusciò completamente fuori dalla siepe, fissando i due amici con un sorriso enorme, i pantaloni sporchi di terra e le foglie impigliate tra i riccioli ramati.
«E’ cinque minuti che sono qui a fissarvi. Potrei fare lo scassinatore
, che nessuno mi noterebbe! Fregherei tutto quel ben di dio che hai in casa tu,Seb! Chitarre, microfoni, basso
«Grazie per l’informazione,genio. Quando non troverò più tutta questa roba, saprò già chi è il colpevole!»
«Sì, ma nel frattempo io me ne sarò già fuggito da un pezzo!»,  replicò Rick, poi per poi lasciare che il proprio sguardo si perdesse nel vuoto, mangiucchiandosi un’unghia con aria dubbiosa.
«Beh,che c’è, Rick?»,  chiese Marjane, osservandolo.
«Oggi formeremo il gruppo. Ho deciso.»
Richard si voltò di scatto, e corse lontano, tra gli alberi della via, tra il prato ancora verde e vivo che contrastava con le prime foglie secche di cui era cosparso, scomparendo per un istante, coperto dalla luce del sole, che in quel momento era così forte da nascondere alla vista il resto delle cose.
La luce, quando è troppo potente, è proprio come il buio: inghiotte tutto dentro di sé, e non si vede più nulla, pensò Sebastian.
 
«Riiiiick! Ma dove vai?» Marjane corse più veloce che poté, seguita da Sebastian. Richard si fermò e si voltò,
verso di loro, rivolgendo loro quel sorriso a cui erano abituati, ampio e visibilmente sincero, dotato di naturale rassicurazione.
«Che dite, ci state? Dico, a formare davvero il gruppo?!? »
«E cosa suoneremo? Abbiamo provato già un sacco di canzoni, ma dobbiamo esercitarci ancora …», rispose Sebastian.
«Esatto. Siamo già un gruppo, in pratica!»,  convenne Richard con aria entusiasta. «Abbiamo solo bisogno di un nome … e della certezza che suoneremo sempre insieme.»
 Richard si sedette per terra, giocherellando con un filo d’erba, e osservando attentamente il volto degli altri due, per cercare di leggervi una risposta.
Gli occhi azzurri di Sebastian incrociarono i suoi per un istante.
Erano increduli, stupiti, ma erano occhi che sorridevano.
 Il biondo annuì con il capo, spostando poi gli occhi
sull’amica: Marjane sembrava pensierosa, gli occhi scuri velati da un’ombra, intenti a fissare Rick.
«Ma è fantastico! Certo,certo che va bene!» La ragazzina batté le mani, e il suo viso si illuminò improvvisamente.
«Però non mi va che qualcuno faccia il capo. Saremo tutti...ehm,alla pari? Come posso dire?»
Tutti risero, e dopo che Rick e Sebastian le ebbero assicurato che sì, nessuno avrebbe fatto il capo, i tre amici sollevarono le mani al cielo
, stringendole in un muto accordo, sigillato solo dai loro sorrisi, dall’allegria di quell’istante.
Si diressero verso la casa di Seb, e corsero tutti più veloce del solito, quel pomeriggio.
Sfiorarono i tronchi degli alberi con le mani durante quella corsa, come a voler salutare i loro muti compagni di gioco, a volergli annunciare la lieta notizia
:  avrebbero formato un gruppo, loro tre!
 
La sensazione di euforia che Sebastian provò in quei momenti era paragonabile soltanto a quella che provava quando suonava. Era un inizio, e sapeva che era con le persone giuste. Sapeva che pochi altri avrebbero visto quel sogno con i loro occhi, ma erano loro a viverlo, in quel momento. Anno dopo anno, avrebbero costruito sulle loro passioni
un qualcosa in cui credere, avrebbero prodotto melodie, suoni, speranze.

Con quei pensieri allegri che gli ronzavano per la testa, e gli occhi chiari carichi dell’entusiasmo di chi ha appena visto davanti a sé le proprie aspettative ben realizzate, Sebastian seguì gli amici fino alla porta della propria abitazione, con quell’aria che solitamente molte persone catalogavano come distratta , che si impadroniva del suo viso quando era immerso in alcune riflessioni. O nel suo mondo.
«Sei qui con noi, bella addormentata nel bosco?», domandò Richard con un sorriso divertito, assestando una leggera gomitata al fianco dell’amico, per riscuoterlo.

 Sebastian fece appena in tempo ad annuire che suo padre apparve alle loro spalle, salutando i tre ragazzi con un breve cenno della mano e un ampio sorriso, per poi porgere le chiavi al figlio.
«Seb, se ti serve la casa, è a tua disposizione
basta che non lasciate niente in disordine, conosci la mamma. Vi serve qualcosa in particolare?»
«Sì, suonare: formiamo un gruppo!»  Seb sorrise fieramente.
Suo padre ricambiò il sorriso «Era ora! In bocca al lupo ragazzi, mi raccomando,voglio sentirvi suonare il prima possibile!»
«Allora..possiamo usare la sala prove
voglio dire, dove ci sono gli strumenti..la taverna?»
«Ovvio che sì!»,  esclamò Jeffrey, strizzando l’occhio ai tre amici, per poi congedarsi rapidamente dai ragazzi, raggiungendo la sua automobile e allontanandosi da loro in breve tempo.
 
«Tuo padre è un grande!» esclamò Rick
, non appena Jeffrey se ne fu andato «E’ un chitarrista pazzesco, è simpatico, non rompe mai, ed è sempre gentile e allegro con tutti wow!»
Seb sorrise. Era consapevole che le parole dell’amico fossero veritiere. Se non altro, aveva un buon genitore.
«
Sì, è un bravo papà, decisamente.»
«Ma anche se non studi non ti rompe?»,  chiese Marji, curiosa.
«No, su quello non ci passa molto sopra. Dice che è importante nel frattempo andare bene a scuola, se non altro per levarsela dai piedi il prima possibile, e per trovare un lavoro davvero bello poi.»
«Beh, credo abbia ragione.»,  sorrise Marji;  poi entrarono tutti in casa di Sebastian, e scesero correndo le scale del salone, fino ad arrivare in taverna.
Che spettacolo! Sebastian entrava spesso in quella stanza, piena di strumenti e casse ovunque, ma ogni volta era come se la vedesse per la prima volta.
«Con cosa partiamo? Io direi quella che sappiamo fare meglio
. E’… l’inaugurazione del gruppo!», esclamò Rick, così emozionato da mangiarsi le parole e non capire più nulla.
«Help?» azzardò Sebastian, ottenendo una veloce approvazione da parte degli amici. Non era tra le più complicate tra quelle che avevano suonato, e l’avevano provata tante di quelle volte che oramai riuscivano ad
eseguirla suonarla quasi ad occhi chiusi, e si adattava perfettamente alla loro formazione composta da pochi elementi, breve ma energica.
Rick si avvicinò al microfono con un sorriso visibilmente emozionato, picchiettandoci appena sopra, verificando che fosse acceso.
«Senti
, sto io al basso? Con la chitarra … la suoni benissimo tu, questa! E col basso la so abbastanza.»
«Sì, genietto polistrumentista, tu al basso!»,  rise Seb, imbracciando la propria chitarra. Suo padre ne aveva mezza dozzina più professionali e belle, ma non gli importava. La sua personale la preferiva, soprattutto in quell’occasione.
«Senti chi parla..!»


Marji  batté il tempo sulla grancassa, quasi a voler richiamare l’attenzione sulla canzone, sulla musica. Non appena si accorse che anche gli altri due erano concentrati, la ragazza  riprese a battere il tempo, e, in men che non si dica, suoni all’unisono partirono all’attacco, seguendo il ritmo incalzante della canzone, la voce di Rick che si mescolava alla chitarra di Sebastian, la batteria e il basso a calibrare il tutto, l’una incrementando la vivacità della melodia, l’altro ricolmandola con toni profondi.   
 Forse, a primo impatto, il testo della canzone non sarebbe suonato adatto per
un’ occasione simile. Dopotutto, invocava aiuto, proprio quando loro stavano iniziando a realizzare il loro progetto con le loro teste, muovendosi soltanto con le  loro stesse forze.
«Help! I need somebody! Help! Not just anybody! -  Aiuto! Ho bisogno di qualcuno! Aiuto! Non di uno qualsiasi! » , cantò Rick con la giusta enfasi, la voce perfettamente coordinata ai suoni degli strumenti, accompagnata soltanto per brevi tratti da quella di Sebastian, che svolgeva la funzione di corista.
 
E se stessero parlando di loro stessi, con quelle parole? Aiuto, ho bisogno dell’aiuto di qualcuno, ma non dev’essere una persona qualunque. Poteva essere la richiesta di uno di loro tre, che cercava aiuto per realizzare quel progetto, quel sogno, e necessitava di qualche compagno al suo fianco per completarlo. E non di un compagno qualunque.
 
«When I was younger, so much younger than today, I never needed anybody's help in any way - Quando ero più giovane, molto più giovane di oggi, non avevo bisogno dell'aiuto di nessuno, per niente».
Quanto potevano essere più giovani di così? Ben poco, se si trattava di anni, ma erano cambiati, tutti e tre, con la stessa rapidità con cui si succedevano le stagioni. E come potevano aver pensato di non aver bisogno dell’aiuto di nessuno? Forse, proseguendo sulle strade che non avevano deciso loro, senza osservare troppo il tragitto che stavano facendo, vivendo in una bolla di vetro senza farsi domande, avrebbero potuto pensare di non avere bisogno di alcun aiuto, di riuscire ad assopire le insicurezze che il tempo portava.
 
«But now these days are gone, I’m not so self assured, now I find I’ve changed my mind, I’ve opened up the doors  - Ma ora quei giorni sono passati, e non sono così sicuro di me. Ora scopro che ho cambiato le mie opinioni, ho aperto le porte. »
 
Giorni nuovi, vite nuove. Sebastian Joyce non avrebbe saputo definire con certezza quando e come aveva iniziato a capire che il suo posto nel mondo non lo avrebbe trovato, se non creando il proprio. Se non vedendolo attraverso l’arte, l’unica cosa che riuscisse a destarlo dalle incertezze che lo avevano sempre accompagnato. La sua chitarra, quella era la sua vera voce, quello strumento che quando maneggiava gli trasmetteva una sorta di eterna rassicurazione.
Niente era perfetto come le melodie che volteggiavano invisibili nell’aria, che si rincorrevano e infine fuggivano oltre le barriere di questa stanza, come presagi di un futuro ancora non definito, ma indubbiamente buono.

La voce di Rick riecheggiava potente nella stanza, i battiti del cuore acceleravano rapidi quanto la batteria di Marji, e Sebastian credette che avrebbero potuto continuare a quel modo per sempre.
Ma poi, quando il sole si tinse lentamente di rosso, gli strumenti vennero riposti con l’accuratezza con cui si saluta un vecchio amico destinati a rivedere presto, al quale per nulla al mondo si può rinunciare.

 
 
L’ennesimo giorno che ricordo con nitidezza, ma con quel leggero distacco, quasi impercettibile, di chi guarda da lontano un’altra storia, e non la propria. Quasi come se,  anziché rovistare nella mia mente in cerca di attimi trascorsi,  stessi leggendo la biografia di un amico lontano, e non la mia.
Ma devo farmi forza, rimettere i piedi per terra, adesso.
La campanella appena suonata mi riporta bruscamente alla realtà, e non posso continuare a vivere nel passato.
 
  
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