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Autore: Andy Black    04/02/2014    6 recensioni
“Ebbene, il Mondo Distorto, dove vive Giratina, è un posto che poche persone hanno visto. E temo che Thomas ne sia rimasto intrappolato... vorrei che Ryan mi aiutasse a ritrovarlo”
“Ma è un suicidio!” esclamò la sua ragazza. Alma fissava solo Ryan, sperando di non essere bocciata all’unanimità.
“E tu avresti pensato a me?” chiese quello.
“Già...”
Una nuova avventura, che dimostra che è l'amore la causa di ogni gesto stupido
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Courage'
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Cry a lil bit less


Come uno spillo nel cuore.
Alla fine si riduceva tutto a quello. Un pizzico, di quelli cattivi, dove non si poteva dare, dove faceva più male, e alla fine ti ritrovi con un'enorme toppa da chiudere e poco spazio di manovra.
Poco tempo, poca voglia, poco slancio. Solo tanto sale, che cade dagli occhi liquido e caldo, azzeccandoti le guancie.
E le lacrime non servono a chiudere quel buco, e non serviranno mai a nulla, se non a portarti a braccetto sulla strada di chi, indietro, proprio non vuole tornare.
Non vuole tornare a quelle vecchie situazioni rosa e gialle, calde d'amore e d'affetto, di simpatia, perché tutto ciò porterebbe ad allargare quel buco, a fare in modo i ricordi ed i sogni diventino sospiri ed incubi. L'incubo di aver avuto tra le mani qualcosa di immenso, di infinito. Di prezioso.
Alla fine era come avere uno spillo nel cuore, tutto si riduceva a quello.

Le mani a reggere quella testa, pesante di pensieri e problemi mai risolti, e sbadigli stanchi di chi non dorme, e sogni insostenibili per una mente così ferita, i gomiti sul tavolo, gli occhi chiusi, a tenere la realtà distante abbastanza, almeno un battito di ciglia, per poi ritornare a sprofondare nel malessere.
In tutto questo, però, Alma combatteva con il disagio. Lottava contro l'alta marea, lottava per stare a galla, per non affondare.
Per non annegare.
Doveva tenere il collo alto, non poteva mettere la testa sotto quell'acqua nera, altrimenti non avrebbe più aperto gli occhi.
Disperata, lei, non doveva annegare. Non doveva. Avrebbe dovuto lottare contro le sue debolezze, le sue paure.
Quel fottuto terrore di poter rimanere sola, di non poter andare avanti senza qualcuno che le guardava le spalle. Senza qualcuno da abbracciare la notte.
Eppure erano anni che viveva da sola, con la convinzione che il suo lui, non più tanto suo, sarebbe tornato, avrebbe spalancato la porta che aveva di fronte e le avrebbe sorriso. E lei si sarebbe sciolta, come faceva ogni qualvolta vedeva quel sorriso, e quelle labbra flettersi sotto il peso della sua felicità.
Invece la porta rimaneva chiusa sbarrata, ed era nera e ferma, mentre di fronte lei vedeva attraverso mani, capelli e lacrime la sua vita andare a rotoli.
Doveva cambiare qualcosa. Leccò le lacrime dalle labbra, così calda e salata, e si compiacque del fatto di riuscire ancora a provare la sensazione di assaporare qualcosa, per quanto acre e spiacevole il suo sapore fosse.
Staccò i palmi dalle gote salate e se li guardò. Neri come la pece, il trucco si era sciolto ed aveva formato onde nere e stanche di mascara.
Una doccia. Magari quella doccia le avrebbe levato quella sensazione di sporco e di vuoto. Si alzò, e camminò a piedi scalzi nella sua casetta di Edesea. Le mattonelle per terra erano fredde, e donavano al passaggio della donna col volto di fantasma un rumore sordo.
Alma aprì la porta con il polso, per non sporcarla di mascara, ed accese la luce. Quella casa gli ricordava troppo quei momenti felici. Quella casa era traghettatrice, la rapiva col fascino del tempo e la portava con i pensieri a quando, in quella casa, il sorriso era lo status quo.
Lasciò cadere la vestaglia di seta, e come mamma l'aveva fatta aspettava davanti allo specchio.
Quel bagno era strano. Nonostante le luci fossero accese pareva ancora tutto buio. Necessitavano di tempo per riscaldarsi, avrebbe dovuto cambiare anche quelle.
Di quelle cose se ne occupava Thomas, il suo uomo. Quello con le spalle larghe, e gli addominali duri, che la infervoravano sempre.
Lo specchio rifletteva una realtà che non le piaceva.
Quei capelli neri, spettinati, sporchi e attaccati sul volto per via delle lacrime. Il viso sporco di mascara, anche se, in questo modo, gli occhi verdi sembravano più grandi ancora. Ed era bella. Quanto era bella Alma. Ma a che serve essere bella se non si è felice.
Aprì l'acqua della vasca, l'aveva fatta installare da poco. Dopo i continui terremoti, la facoltà di storia dove era professoressa necessitava di una ristrutturazione. Il rettore le aveva consigliato di prendere quei giorni per calmarsi, per riposarsi. Non riusciva a celare il suo malcontento se il dispiacere che portava pesava come un macigno immenso.
Tutto le pareva così irreale. Il freddo pungente dell'inverno non aveva abbandonato del tutto l'aria di marzo, quindi la vasca fu riempita d'acqua calda, per portare un po' di calore su quella pelle sconsolata.
Si immerse in quel bollore, sentì i muscoli sciogliersi da quell'intorpidimento, ma stranamente non si rilassò. Il suo spirito si contorse sempre più velocemente, fino ad intrecciarsi al suo interno, dove non c'era null'altro che il vuoto. Attorcigliatasi alla sua spina dorsale, quella stagnava, stringendosi a sé, sperando di non essere messa in ballo dalle situazioni e dagli eventi. In quel momento Alma voleva unicamente rilassare i nervi, provare a dimenticare ciò che era stato, magari recuperare un po' di ciò che sarebbe dovuto essere.
Perchè sì, era vero che aveva un lavoro che la gratificava, essendo la professoressa più giovani di tutta la storia della sua facoltà dopo Ilary Maxton, che a soli 22 anni teneva la cattedra di mitologia dell'università ad Edesea, facoltà di storia. Ma era una faccenda vecchia, anni addietro.
Ad ogni modo, lei forgiava le menti del domani, e faceva in modo che queste fossero ben incentrate sull'essere fermamente indipendenti.
Alma era una persona libera, che si era legata solamente alla passione per il passato e per la storia. Oltre che al suo uomo, Thomas.
Thomas adorava il suo modo di essere. Adorava il fatto che fosse una persona libera, che avesse tanto da dare, e che adorasse guadagnarsi il pane.
E lei adorava Thomas.
Inoltre era anche vero che non aveva problemi di autostima con se stessa. Insomma, se quella donna avesse vestito un po' più aderente, magari con una scollatura un po' più profonda ed avesse indossato un tacco un po' più alto, sarebbe sembrata a tutti gli effetti una spogliarellista.
Era bella, lei, con i capelli lunghi e neri, quasi sempre legati con una treccia. Il viso era femmineo e delicato, con la pelle ambrata, scura, mulatta. Gli occhi erano l'elemento più espressivo di quel volto, così verdi e luminosi da sembrare due smeraldi. Il naso era una virgola, un'ombra armoniosa su quell'altrettanto armonioso viso e le labbra morbidi petali di rosa. Il collo lungo si perdeva affogandosi nelle curve dei morbidi seni, abbondanti e sodi.
Quattro nei si allineavano sull'addome della ragazza, puntando l'ombelico, centro del mondo di quella pancia piatta e perfetta. I fianchi generosi ma non troppo si incuneavano davanti, ed affondavano nel ventre, per poi terminare con due gambe belle ed affusolate.
Alma era questo. Una meraviglia della natura. Una donna che aveva smentito il binomio bellezza-demenza, dato che oltre ad essere una donna fantastica, era anche una professoressa.
Ma ciò di cui più si sorprendeva la gente, nel conoscerla, era quel totale disincantamento che viveva lei. Pareva di non sapere come fosse fatta.
Quanto fosse bella.
Era pregna di una modestia senza eguali, che faceva di questa donna una meraviglia preziosa da avere ad ogni costo.
Non si faceva avvicinare da nessuno, poi. Sapeva che accanto a lei poteva starci solo un uomo straordinario.
Solo Thomas.
E fu in uno di quei momenti di coscienza che si chiese i motivi di tutto ciò. Come mai il suo uomo non era più con lei?
L'acqua calda della vasca le riempiva il corpo di carezze e baci, e tuttavia non serviva a farle rilassare il sistema nervoso. Stesa nella sua vasca, con la treccia che galleggiava in acqua come una barca legata alle banchina, aveva portato le braccia sui bordi, e respirava a pieni polmoni. I seni rimanevano fermi, mentre l'aria entrava ed usciva dalle sue narici come se usasse l'autostrada. Le gambe accavallate l'una sull'altra con la punta dei piedi che per poco non sfiorava la superficie, ed una strana consapevolezza di essere incompleta.
Qualcosa doveva cambiare. Qualcosa doveva modificarsi, perchè era stanca di fingere di essere felice. Perchè anche un sorriso finto, dopo un po', si curva al contrario.
Ed in quel momento, in quella vasca, con lei, ci sarebbe dovuto essere il motivo della sua serietà. Thomas.
"Dove sei?"
Le parole fuoriuscirono quasi come dopo uno sforzo immane, un filo labile e sottile di voce, che al primo soffio di vento si sarebbe spezzato.
Aveva bisogno di lui. Aveva bisogno delle sue parole, delle sue carezze, dei suoi baci. Di sentirsi importante per qualcuno, era questo quello che le mancava.
Voleva potersi sentire necessaria.
"Thomas... dove sei?" chiese ancora, prima di perdersi nei ricordi dell'ultima volta che l'aveva visto. Sciolse i capelli, li liberò da quella treccia, e scomparve sotto la superficie di quell'acqua così nera ma così trasparente, ed i suoi capelli si sparsero a raggiera, oscurando tutto, come se fossero d'inchiostro.
 
Nonostante fosse metà ottobre, c'era ancora un po' di calore nell'aria. Alma lavorava alle scuole medie di Edesea, insegnava storia e minimamente immaginava che le si sarebbe prospettata l'occasione di insegnare agli uomini e alle donne del domani i precetti della vita. Pensava che sarebbero stati delle grandi persone.
Tutti ragazzini intelligenti, dotati.
Adorava, Alma, correggere i compiti seduta accanto alla finestra di casa sua. Da lì aveva una buonissima vista del parco cittadino, ed alcuni ragazzini, alcuni erano suoi alunni, giocavano a calcio.
I raggi del sole baciavano la sua pelle ambrata, riscaldandola leggermente. Indossava un maglioncino di filo. Era di Thomas, e le uccideva le forme, perchè le andava molto largo. Un corpo come quello non poteva essere nascosto, almeno nell'immaginario comune.
Alma però non se n'era mai fregata, continuava la sua vita come se fosse una Ferrari e non se ne rendesse conto.
La modestia.
La giornata era bellissima, anche se l'inverno stava cominciando a coprire di freddo e vento tutto quanto. Da lontano si vedevano grandi nuvole che accerchiavano il Monte Trave, cercando di arrembarlo, ma fino a quel momento era tutto tranquillo. Posò per un attimo i fogli, e poggiò la testa al muro. Il sole la scaldava, mentre ripensava alla sua vita ed alla piega che aveva preso.
Aveva davvero tanta voglia di andare avanti così, perchè le piaceva quello che le stava accadendo.
Aveva un lavoro che amava, aveva appena acceso un mutuo, con il quale aveva comprato la casa dentro cui viveva con il suo uomo... e poi c'era lui, Thomas, che le accendeva il sorriso come se avesse un interruttore dietro la schiena, quando lui la stringeva con le sue braccia possenti.
Lo amava. Adorava il suo carattere, il suo stile. Il suo modo di essere.
Senza contare che accanto a lui non sfigurava per niente. Era un uomo bellissimo.
Thomas lavorava come assistente del professor Sean Sullivan, uno dei ricercatori più importanti del mondo dei Pokémon. Aveva svelato misteriosi arcani, Sullivan, come quelli dell'Isola Miraggio, dell'Isola Lunanuova e dell'Isola Lunapiena, ed aveva fatto di Thomas il suo assistente.
Aveva viaggiato in lungo ed in largo, Thomas, visto gli scenari più belli del mondo, fotografato meraviglie impensabili che aveva custodito in un album pieno di immagini, e che stava proprio tra gli scaffali di quella casa. Thomas non poteva credere che lui, appartenente alla specie più potente e sviluppata del pianeta, potrebbe non avere l'opportunità di conoscere tutti i posti che questa sfera blu in equilibrio nell'universo nascondeva.
Pensava a lui e rideva, e dopo essersene resa conto rideva di nuovo, come un'ebete.
Poi lo scorse, mentre parcheggiava la sua Alfa Romeo sotto il palazzo. Aprì la portiera, una scarpa elegante uscì fuori in avanscoperta, seguita da una gamba coperta da un vestito gessato. Dopodichè ne venne fuori lui. Si infilò nel palazzo e prese a salire le scale.
Alma sentiva i suoi passi, sentiva Thomas avvicinarsi.
Era andato all'università di storia di Edesea, dove Sean Sullivan insegnava, a colloquio con lui ed il rettore della facoltà. Parlavano di lavoro, della prossima esplorazione che sarebbero andati a fare. Thomas parlava di Sinnoh. Un po' lontanuccia, a dire il vero, ma era la passione del suo uomo, e lei lo sosteneva in tutto e per tutto.
Tra di loro c’era qualcosa di magico, che non si poteva spiegare con le parole.
Alma sentì la serratura rumoreggiare e le chiavi tintinnare. Lui era fuori alla porta. Capitava spesso che Alma corresse ad aprirgli la porta di casa, e lui le sorrideva. Ma quella volta aveva deciso di rimanere un altro po’ accanto alla finestra, a farsi coccolare dai baci del sole.
Thomas aprì la porta, ed entrò in casa. Il volto era stanco, sfibrato, ma tutto sommato sembrava soddisfatto. Alma lo squadrò lentamente, lo faceva sempre quando lo vedeva, e non poteva fare a meno di inarcare un sopracciglio ogni santissima volta.
Era la bellezza in persona. Una divinità, Alma non sapeva resistere alle labbra di quell’uomo. Thomas era altissimo, quel giorno indossava un completo nero gessato. Da sotto si intravedeva una camicia bianca e la cravatta rossa, quella bella, italiana, pregiata. Thomas teneva molto a quella cravatta. Le mani tenevano una valigetta, una semplice ventiquattrore di pelle, marrone e consunta, e, naturalmente, le chiavi di casa.
“Ciao” fece, con la voce profonda, dura. Maschia.
“Ciao, amore” rispose Alma, sorridendo.
Gli si avvicinò, carezzandogli la guancia ruvida di barba, una barba che non sembrava avere più di due giorni, e lo baciò sulle labbra. Thomas sorrise leggermente, ma pareva strano.
Alma lo guardava meglio, continuandolo ad analizzare. Portava i capelli rasati, come tanti afroamericani che conosceva, e questo ingrandiva il suo viso spigoloso. Tuttavia aveva il naso perfetto, e le labbra gonfie e dure.
“Tutto bene?” chiese poi lei.
“Beh, direi di sì. Il rettore ha approvato il nostro progetto e ci finanzierà”
“Dove andrete?”
“Sinnoh... te ne parlai. Accompagnerò il dottor Sullivan... ed una studentessa” fece lui, levandosi la giacca e muovendosi verso la stanza da letto. Alma lo seguiva, prendendogli da mano la giacca. Lo vide scalzarsi le scarpe, e tirare un sospiro di sollievo quando le piante dei piedi toccarono la mattonella fredda del pavimento.
“Ricordo benissimo. Non mi hai detto a che fare però. E poi com’è questa studentessa?!”
Alma lo afferrò per la cravatta, e dopo avergli dato un bacio gentile gliela sciolse. Cominciò quindi a sbottonargli la camicia.
“Mondo Distorto. E comunque questa studentessa è una biondina insipida... a stento si vedono le curve…” lui le fece un occhiolino.
La rapida discesa delle mani di Alma sui bottoni si arrestò per un istante. Lei alzò lo sguardo verso di lui, interrogandosi del verdetto.
“Bene. Sei sicuro?”
“A quanto pare sì” sorrise poi Thomas. Il sorriso più bianco che Alma avesse mai visto era del suo uomo.
“Non mi sembri così felice… di partire intendo”
“Neanche tu sembri felice che io abbia ottenuto questa occasione…”
“Beh... è che… non lo so!”
Thomas sorrise. “Mi sento nello stesso modo, tranquilla”
“Mi spiace, non voglio che tu pensi che io non sia fiera di quello che fai, anzi… è fantastico! Ma prova a capirmi... Sinnoh è lontana, ed il Mondo Distorto è pericoloso. Tutto è pericoloso…”
“Lo so, piccola”
“Non potrei mai perderti. Come farei senza di te?”
E poi lui sorrise, la tirò a sé, e si trovarono a fare l’amore, stesi sul letto della loro stanza, e solo le loro voci rimbombavano nelle loro orecchie, riempiendosi d’amore a vicenda.
 
Riemerse da quelle acque scure, i capelli attaccati alla testa, e le goccioline che scappavano via dalla sua sommità. Si chiedeva quanti anni luce fosse lontana quella situazione che stava rivivendo sulla pelle, quanto distasse la felicità che aveva tenuto per pochi attimi tra le mani.
Stanca.
Era stanca di quella situazione. Sì, perché aver avuto il mare tra le mani, ed averlo perso per una distrazione è orribile. Non doveva andare a finire così, lei avrebbe dovuto tenersi il suo uomo, avrebbe dovuto lottare con le unghie e con i denti. Perché in profondità sapeva che il problema era quella studentessa…
Nella sua testa partì il più autodistruttivo tra i monologhi interiori.
 
Non doveva partire, non doveva andare via. Ha aperto la porta, chiuso la porta, sbattuto, rumore, sola. Ha sceso quelle scale, e mi ha lasciata qui, da sola, a crogiolarmi nei miei pensieri, nelle mie paranoie, nelle mie frustrazioni. Ma perché non torna! Aereo, Sinnoh, cappello da viaggiatore, Indiana Jones. Non è il momento di pensare a cose inutili… quello stupido di Thomas è rimasto con la studentessa, quella troia zoccola, piena di lucidalabbra scadente da quattro soldi con la pelle bianco latte e le tette finte, ed entrambi ora si stanno spendendo i soldi del padre di quella bifolca che le ha mantenuto gli studi all’università. Soldi, portafogli, versamento bancario, banchiere. Sedia e scrivania.
Ora staranno sicuramente mangiando tartine al caviale, uova di pesce, uova, gallina, caviale, e bevendo champagne. Vorrei anche io un po’ di champagne adesso, bolle, flute, che poi che strano nome è flute. Non era più facile chiamarlo bicchiere? Cosa lo ha spinto a stare con lei e ad allontanarsi da me? Lei è più bella di me forse? Non le piacevo? Il mio corpo ha qualcosa che non va? Gambe, piedi, gambe, pancia, nei, seno. Seno. A lui piaceva il mio seno. A lui piacevo. Forse mi ha mentito, uomini bugiardi, pensano solo al lavoro e alle donne, tette, finte, bionda, champagne, soldi. Ora Thomas, bel nome Thomas, sarà in una vasca, proprio come questa, anzi più grande, con quella donna pallida e bionda, con i seni finti, che gli si starà strusciando addosso. Oddio che rabbia! L’acqua della vasca si alza se la colpisco con la mano, non voglio pulire per terra, devo pulire per terra, attenzione o scivolo. Quanti pensieri… sono stanca, voglio dormire, letto, lenzuola bianche, cuscino.
Ma il letto ora è troppo grande senza di lui… sto piangendo come una cretina! Non devo piangere, devo essere forte ed orgogliosa, orgoglio, leone, criniera, savana. E… e se lui avesse rifiutato le avances di quella donna, dando per scontato che lei gliele abbia fatte… perché non è tornato? Può… può essere che…
 
Alma si alzò immediatamente dalla vasca, si mise un accappatoio addosso e corse in salotto, ancora sgocciolante, cercando di non scivolare.
Alzò velocemente la cornetta del telefono, e compose un numero, o almeno ci provò, perché lo fece con così tanta frenesia che quel numero, che ricordava a memoria perfettamente, dovette rifarlo almeno sei volte, prima di riuscire ad attaccare la fredda cornetta all’orecchio bagnato.
“Rispondi... rispondi, ti prego, rispondi!”
Questa è la segreteria telefonica di Zack...”... “...e Rachel!”...“...al momento non siamo in casa, ma potete lasciarci un messaggio... lo ascolteremo quando saremo di ritorno!”... “Non è vero!”
E la comunicazione si interruppe.
Alma sbuffò, con le lacrime agli occhi ed il freddo che le mangiava le caviglie, fino a divorarla fino alla zona del bacino. Cercava Zack. Ogni qualvolta c’era qualcosa di pericoloso da fare, era lui la persona giusta... in fin dei conti era il campione di Adamanta, prima di abdicare e lasciare il trono del Monte Trave a Ryan Livingstone... il fratellastro di Rachel.
Sì, la cosa era un po’ difficile da capire, ma filava. Zack aveva necessità di dedicarsi a Rachel, e staccare un po’ la spina. D’altronde aveva avuto nella sua vita un grosso trauma quale veder morire la donna che amava, e forse anche per questo non si era mai fermato. Anestetizzava la sua memoria aggiungendo sempre dati, solo dati. Rachel funse da calmante, una botta di vita che lo costrinse a cambiare pagina.
E a diventare irreperibile.
“Dannazione...”
Ma a mali estremi...
 
Ryan entrò in casa abbastanza tardi. Cioè, relativamente, era pur sempre ora di cena, ma lui rincasava per le 18 e 30 quasi tutte le sere, dopo aver compiuto le sue mansioni da Campione della Lega di Adamanta. Era un mondo affascinante quello che gli si era aperto. In effetti aveva tante, forse troppe responsabilità, essere campione significava essere a totale disposizione di tutta l’Associazione Allenatori di Adamanta, che ironicamente si chiama A.A.A.
“A.A.A. tranquillità cercasi” sfotteva Marianne. Lui tornava a casa, e la trovava lì, tranquilla e silenziosa, a fare le sue cose. Avevano stabilito con Rachel che Ryan e Marianne avrebbero vissuto nella casa che un tempo apparteneva a John Livingstone, ovvero il padre del Campione.
Ryan rincasò, e si levò da dosso il senso di responsabilità. Sapevano tutti che, per quanto potesse essere disponibile ad aiutare tutti, quando tornava a casa, non era operativo. Voleva solo levarsi le scarpe strette, farsi una bella doccia, e mangiare qualcosa di buono.
Aveva fame, Ryan, come quasi ogni sera.
E come quasi ogni sera, Marianne era vicino ai fornelli. Lo guardò, e sorrise, di un sorriso sincero.
“Sei tornato” sorrise lei. “Finalmente, mi stavo preoccupando”
“Sai com’è... non devo spiegarti altro...” sbuffò stanco lui. Lei si avvicinò e lo baciò dolcemente. Ryan la guardò. Nei suoi occhi verdi vide il mare, e nel suo sorriso il sole. In lei, Ryan si riposava. Erano usciti entrambi da una situazione strana. Cioè, avevano per tanto tempo combattuto contro persone che credevano essere il male, ed invece si sbagliavano. Avevano scelto i valori sbagliati da difendere. Ora lottavano per il bene, e per far sì che tutti potessero vivere una vita pulita ed onesta.
In maniera ligia e corretta.
Il tempo era passato, qualche mese da quando Lionell era rimasto imprigionato nel passato. Che storia strana...
E fu proprio quando quella storia finì che Marianne e Ryan si incontrarono.
“Dimmi come è andata a lavoro” fece Marianne, vicino ai fornelli. I capelli si erano allungati, quasi le toccavano le scapole, e neri com’erano le davano un fascino tutto particolare. La pelle mulatta riluceva sotto i fari della cucina, mentre le labbra rosee, come sempre, avevano preso la curvatura del sorriso.
Ryan era seduto a tavola, e faceva le stesse valutazioni che faceva il primo giorno che l’aveva incontrata. Si chiedeva come fosse possibile che andasse davvero tutto bene, che fosse innamorato alla follia di una ragazza con tutte le cose a posto, tranquilla, bella, servizievole e che cucinava come una chef. Cioè, era tutto perfetto, aveva un lavoro, una casa, tutto andava a gonfie vele.
Stavano addirittura progettando di avere un figlio.
Una situazione idilliaca per qualsiasi famiglia, o seme di famiglia che sia.
“Ma niente... solite cose. Stiamo cercando di trovare un sostituto all’altezza di Robbie”
“Ah... ancora deve farsi vivo?”
“Già... sinceramente non so che fine abbia fatto. Ad ogni modo l’associazione ha incaricato me per cercare un sostituto”
“Non hanno degli addetti?”
“Tagli ai bilanci... e poi di me si fidano”
“E quindi tornerai a casa più tardi queste sere”
“Già... anche se a dire il vero mi manca un po’ l’avventura...”
“E perché non glielo dici? Insomma, la gente ancora deve riprendersi dai disagi creati dai terremoti ed il resto... potresti aiutare sul campo”
“Già... ma questo mi terrebbe lontano da te per troppo tempo”
E poi sentirono il campanello. Marianne guardò Ryan come per chiedere chi diamine fosse a disturbarli a quell’ora. Lei stette ferma, e Ryan si mosse lentamente, andando alla porta. Da quando avevano lasciato il lavoro all’Omega Group avevano sempre paura che un gruppo di fanatici avesse potuto riprendere le intenzioni di Lionell, e farle sue.
Il rumore dei passi di Ryan si alternavano con il suo respiro affannoso, e quando raggiunse la porta, la tensione sembrava poter essere tagliata con il coltello.
“Chi è?” chiese, senza neanche aprire la porta.
“Ryan, sei tu? Sono Alma Ramìz, professoressa dell’università di Edesea”
Ryan si voltò per un attimo e sospirò, guardando Marianne. Aprì la porta, e sospirò, tranquillizzandosi. Era davvero lei.
“Alma, ciao... che succede?” chiese Ryan. Il volto della donna era ricco i ansia e paura, e qualche altra cosa che pareva adrenalina, eccitazione, ma non ne era sicuro.
“Devo parlarti”
“Oh... è successo qualcosa che riguarda quella situazione?”
“No, Rachel ed il cristallo sono fuori pericolo, o almeno così credo. Non sono a casa”
“Entra”
Ryan fece spazio alla donna, che entrò lentamente. Salutò rispettosamente Marianne, Alma, quindi rimase vicino all’ingresso aspettando che il padrone di casa le facesse strada.
“Chiedo scusa per l’orario irrispettoso con cui sono venuto qui da te, ma ho veramente bisogno di un aiuto”
“Che è successo?”
I due si sedettero sul divano. Marianne li raggiunse subito dopo.
“Ecco... avevo pensato a Zack per questa cosa, ma è con Rachel non so dove, e necessito di essere accompagnata da un allenatore abile e capace. E se Zack, che è una delle persone di cui mi fido nettamente, ha pensato che tu potessi essere la persona giusta a succedergli, allora vuol dire che forse mi puoi aiutare tu”
“Spero di riuscire ad esserti utile”
“Beh, lo spero anche io, perché se mi accompagnerai sarà davvero un’impresa tornare vivi a casa”
“Di che stai parlando?” entrò in tackle Marianne.
“Thomas, il mio uomo, era un esploratore. E temo che sia rimasto intrappolato nel Mondo Distorto”
“Cosa?!” esclamò Ryan.
“Sì... il Mondo Distorto”
“Non ho mai capito cosa sia di preciso” chiese Marianne.
Ryan guardò Alma, come per darle il permesso di esercitare la sua professione in quel salotto.
“Beh... come credo tu sappia la nostra dimensione è il derivato di una strana equazione tra spazio e tempo. Il Pokémon dello spazio è Palkia, un Pokémon di tipo drago ed acqua, in grado di modificarlo a suo piacimento. Al contrario, quello del tempo si chiama Dialga. Dialga anche è un Pokémon drago. Beh, iniziò un violento scontro tra i due. Sta di fatto che quando aveva la meglio uno sull’altro, anche le dimensioni si modificavano. Per esempio, se Dialga sconfiggeva Palkia, la curva dello spazio tempo si modificava per far prevalere il tempo sullo spazio. Al contrario le dimensioni si modificheranno inversamente se fosse Palkia a prevalere su Dialga. E naturalmente a pagare le conseguenze di questo scontro era la nostra dimensione, che vive degli assiomi di spazio e di tempo. Per evitare che il nostro mondo implodesse, Arceus ha confinato Palkia e Dialga in due dimensioni differenti, in modo da creare un sottile equilibrio statico tra spazio e tempo. Durante il primo scontro tra questi, però, uno sbalzo tra le due dimensioni ha creato uno squarcio nel Mondo Distorto che affacciava sulla nostra dimensione, facendone uscire Giratina, un Pokémon estremamente aggressivo, che Arceus ha destinato a stare in solitudine. Giratina è molto suscettibile riguardo il cambio di equilibrio tra lo spaziotempo, e ad ogni squilibrio di esso si apre un varco sul Monte Corona, a Sinnoh. Essendo molto territoriale ed aggressivo, se fiuta la presenza di Dialga o Palkia, esce fuori. Inoltre, dato che è molto potente bisogna evitare lo scontro tra questi, perché se Giratina sconfiggesse Dialga e quindi il tempo, Palkia, ovvero lo spazio, aumenterebbe la propria dimensione a discapito del tempo. Sarebbe un problema”
“Non capisco dove vuoi arrivare...” attaccò Marianne.
“Ebbene, il Mondo Distorto, dove vive Giratina, è un posto che poche persone hanno visto. E temo che Thomas ne sia rimasto intrappolato... vorrei che Ryan mi aiutasse a ritrovarlo”
“Ma è un suicidio!” esclamò la ragazza. Alma fissava solo Ryan, sperando di non essere bocciata all’unanimità.
“E tu avresti pensato a me?” chiese lui.
“Già...”
“Io non potrei...”
Allora Alma fece qualcosa che non avrebbe mai pensato di fare. Si alzò dalla sedia, e si inginocchiò ai suoi piedi, testa bassa, mani giunte in preghiera davanti il capo.
“Ti prego, Ryan... solo tu mi puoi aiutare”
Le lacrime che scendevano dal viso di Alma parevano scottare come lava.
Gli occhi di Ryan per un momento si illuminarono. Il rosso vivo delle sue iridi risplendette, e dopo aver fissato Marianne negli occhi guardò la donna.
“So che mi sto per prendere una responsabilità che è più grande di tutti noi, ma ti voglio aiutare. Hai dato una mano sostanziale per salvarci dalla situazione di Lionell, e questo è quello che posso fare per ricambiare... anche in virtù del fatto che la prima volta che ci siamo incontrati ti ho minacciata con Bisharp, cosa di cui mi devo ancora scusare”
Alma alzò gli occhi, ora pieni di vita, e sorrise. “Grazie! Grazie Ryan! E scusami se ti porto lontano dalle tue mansioni! Ma io ho bisogno di aiuto in questo momento! Grazie!”
 
Alma uscì da quella casa, fiera e soddisfatta, felice di ciò che aveva ottenuto. Ma Marianne non era dello stesso avviso.
“Il Mondo Distorto, a quanto ha detto Alma, è pericoloso...”
“Lo so, Marianne...”
“Sì... io... io ho paura”
“Paura di cosa?”
“Paura che ti succeda qualcosa...”
“Ho paura anche io... ma almeno riuscirò a vivere sulla pelle quello che mi mancava...”
“Che ti mancava?”
“Paura del domani”

 
   
 
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