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Autore: ImPeach    05/02/2014    4 recensioni
[..] Philo, mia sorella.
La persona più saccente, noiosa, petulante, lamentosa e guastafeste che possa esistere. [..]
[..] Lilith, mia sorella.
La persona più egoista, antipatica, incosciente, irresponsabile e bambina che possa esistere.[..]
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Liam Payne, Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Philo
Cammino svelta mentre torno da lezione e mi maledico per non essermi portata dietro un dannato ombrello.

Perché a Londra deve piovere così tanto?

Accelero il passo, cercando di non bagnare completamente Il violino e gli spartiti che ho con me. La pioggia inizia a darmi davvero fastidio, considerato che non vedo più nulla a causa delle goccioline sui miei occhiali.
Nello stesso istante in cui arrivo all'incrocio, un’auto passa su una pozzanghera, creando uno tsunami di fango, che - ovviamente - va a finire addosso alla sottoscritta.

Ma dico io, tutte a me oggi?

Attraverso la strada, imprecando tra i denti in ogni lingua che conosco. Calcolo quanta strada mi manca: ancora cinque minuti e sarò arrivata fortunatamente all'appartamento - zuppa d'acqua - ma almeno sarò a casa. Proprio mentre cerco di recuperare il violino che mi sta scivolando dalla spalla, mi sento spingere contro un muro. Gli spariti mi cadono per terra, diventando illeggibili. Il dolore al braccio brucia ma mai quanto la mia rabbia.
Alzo lo sguardo verso la figura incappucciata che mi ha sicuramente provocato un livido: è un ragazzo che neanche si è degnato di darmi una mano o di chiedermi scusa. Si avvia per la stessa direzione da cui stavo venendo, testa bassa e mani nelle tasche dei pantaloni neri.
«Grazie eh!» Gli urlo contro, alzando le braccia al cielo.
Si gira, probabilmente ho attirato la sua attenzione, e riesco a intravedere un piccolo sorriso sul suo volto, coperto fino agli occhi dal cappuccio della felpa che indossa sotto il cappotto.
«Stronzo.» Sputo, mentre raccolgo quelli che una volta erano fogli pentagrammati. Arrivata in casa la prima cosa che vedo sono un paio di leggins buttati per terra.
«LILITH!» Urlo a mia sorella che si trova in cucina «Questa non è la tua discarica personale!» Butto l'indumento scuro nella cesta dei panni sporchi insieme a quelli che una volta erano i miei vestiti puliti.
«Philo, io sta sera non torno.» Mi dice la mia gemella mentre cammina in biancheria per l'appartamento con un pacco di biscotti in mano

 Esibizionista.

«Strano. E io che speravo di passare una serata con la mia sorellona preferita» dico sarcastica.
«Sono anche l'unica sorella che hai, sono per forza la tua preferita! Vuoi un biscotto?» La ragazza seminuda appoggiata allo stipite della porta del bagno mi offre un biscotto al cioccolato.
«No grazie. E mettiti qualcosa addosso!» Le sbuffo.

Fin da bambine Lil è sempre stata la più spavalda delle due, quella più diretta. Non che io fossi una fifona, ma lei non ha mai riflettuto sulle sue azioni. Agisce sempre e non pensa mai alle conseguenze delle sue azioni.
Il senso del pudore era un'altra cosa che sicuramente non ci accomunava. Lil è sempre stata a suo agio con il suo corpo. Appena il suo fisico aveva iniziato a cambiare ha sempre fatto di tutto per valorizzarlo al meglio. Il mio esatto opposto, considerata la mia propensione per i maglioni larghi e comodi; sono un tipo che  preferisce spiccare per altre cose, come la mia intelligenza o la mia bravura nel violino.

Lil alza le spalle e se ne va, andando verso la sua camera.
L’appartamento in cui viviamo è composto da due stanze da letto – una delle quali era la camera da letto dei miei genitori –  e da un salone dalle alte finestre bianche, orientate ad ovest. La cucina e la piccola isola si trovano alla fine di questo ampio locale, separate da una muro non più alto di un metro e mezzo. Infine il bagno, la tipica “porta infondo al corridoio”.
Non è proprio enorme come luogo per abitare, ma per due persone va più che bene.
«Mena, lasciami il bagno!» Sento urlare mia sorella dalla sua stanza.

Odio quando mi chiama Mena. Lo ha sempre fatto di proposito, sapendo che è una cosa che odio.

Mi dirigo verso la mia stanza e dalla grande cassettiera estraggo una vecchia tuta e un vecchio maglione blu. Li infilo e mi armo di libro ed evidenziatore, buttandomi poi sul letto e incrociando le gambe. Manca ancora più di un mese all’esame, ma voglio essere preparata. I voti sono insieme alla musica l’unica cosa che ho. L’unico ambito dove Lilith non è mai voluta entrare in conflitto con me.
«Mena io esco!» La vedo dalla porta della mia camera: stivali neri, calze scure, jeans corti, maglietta scura e giacca di pelle. I capelli disordinati lasciati sciolti le incorniciano il viso del quale ha truccato di scuro gli occhi e reso le sue labbra ancora più piene con un rossetto rosso.
Insomma, Lilith.
«Potresti anche coprirti di più.» Le dico. Lei sbuffa e recupera la sua borsa dall’ingresso. Sento il suo passo seccato dirigersi verso la porta di casa e prima che sia troppo tardi le urlo: «Non farti mettere incinta, per favore!!»
 
 
 
  
Lilith
Sbatto la porta dietro di me.

Perché Philo deve essere così insopportabile?!? Ogni santa volta ha qualcosa per cui rimproverarmi o riprendermi.
Ma tanto non mi interessa, non l’ho mai ascoltata, non incomincerò sta sera.
Ora sono solo io. Io e Londra.
Non smetterò mai di ripetere quanto mi piaccia questa città la notte.

Mi avvio verso l’angolo dove mi aspettano per andare in quel locale nuovo, di cui non mi ricordo il nome. Come si chiama? Santo cielo, non mi viene in mente!
Beh, poco importa.
Ci sarà da divertirsi comunque.

Vedo i fari dell’auto nera del mio amico arrivare. Sono sola sotto la luce del lampione e ammetto che la strada buia e deserta ha un suo fascino. Sembra uno di quelle scene da film horror che terrorizzano quella cacasotto di Philo!
Sorrido tra me e me mentre apro la portiera anteriore dell’auto, posizionandomi vicino a Finn.
«Come butta?» Mi chiede il moro, salutandomi con il suo solito saluto “pugno – pugno” e con un accento decisamente troppo forte e finto.
«Lo sai che non sembri più cattivo se mi parli come un bad boy, vero?»
«Lo so, ma mi piace.» Ricambio il pugno e Finn preme il piede sull’acceleratore.
«Bad boy, ricordami come si chiama il posto dove stiamo andando sta sera?» Lo stuzzico, allungando come di consuetudine le gambe sul cruscotto dell’auto.
«The Red Demons, mia cara» anche se poco illuminato, riesco a vedere il ghigno spuntato sulla faccia del guidatore «e siamo arrivati» finisce, entrando in un grande parcheggio

Non mi dispiace la compagnia di Finn. Sotto la testa pelata, la pelle scura, la stazza di un giocatore di Rugby professionista e le battute da burlone di corte, c’è una persona sempre attento a quello che gli succede intorno.

Parcheggiata l’auto, ci dirigiamo verso il locale; l’insegna blu e gialla con il nome del luogo impresso è l’unica luce che si vede nel parcheggio, fatta eccezione per qualche lampione alla fine della strada, nascosto da quelle poche foglie rimaste sopra gli alberi d’autunno.
Il vento gelido di Novembre mi sta congelando le gambe.

Che io sia maledetta quando ho deciso di vestirmi così leggera solo per dar fastidio a mia sorella.

Infilo le mani nel giaccone e accelero il passo, essendo rimasta leggermente indietro rispetto a Finn, già arrivato davanti alla grande porta d’entrata nera. Lo vedo salutare e ridere con il buttafuori davanti al locale, per poi scambiare poche parole sommesse vicino all’orecchio di quest’ultimo. L’omone dietro il cordone rosso fa un cenno ai suoi colleghi dietro di lui indicandoci e facendoci passare, lasciando dietro di noi qualche protesta da parte della gente in fila.
Finn mi mette una mano dietro le spalle e mi accompagna dentro, dopo avermi fatto togliere il giaccone e averlo lasciato – insieme al suo - ad una rossa sbucata da dietro una porta che si trovava nel breve corridoio che stavamo percorrendo, probabilmente l’addetta al guardaroba.
«Perciò siamo dei vip, uh? Che cosa hai detto al tizio fuori, mio bad boy?» Dico ridendo.
«Conosco Philip da anni ormai!»
«Philip?»
«Si, il “tizio fuori”, come hai detto tu. I nostri fratelli erano nella stessa squadra di Rugby all’Università».
Annuisco e entro finalmente nel cuore del locale.
L’ambiente che mi si presenta davanti è lo stesso di quasi ogni sera: luci spente o soffuse, musica alta e la gente che si muove più o meno al ritmo della musica.
I volte delle persone sono illuminate per brevi istanti da fastidiosi fasci di luce bianca sparati dai fari vicini alla postazione sopraelevata del DJ.
«Penso io a prendere da bere» mi dice il moro «te cerca gli altri.»

Gli altri.
Non so se davvero posso definirmi parte di questo gruppo. C’è gente simpatica, gente davvero tosta e altri che non fanno altro che irritarmi e far salire la mia voglia di piantare l’impronta della mia scarpa sulla loro faccia.
Però ci si diverte, alla fine.
Di sicuro non posso definirli miei amici.
Ora che ci penso, io non ho amici.
Non ho qualcuno che definirei amico o cose simili. Solo ‘gente che conosco’.
Ma infondo, chi ha bisogno di amici?

Lascio Finn, che si dirige verso il bancone alla nostra destra, e mi faccio spazio nella direzione opposta, sbracciando e imprecando contro chi mi tira e mi viene addosso.
D’improvviso qualcuno afferra un mio braccio un po’ troppo forte.

Giuro che adesso gli lancio una scarpa.
No, troppo lontana da prendere. Meglio un pungo.

Mentre preparo il braccio libero per sferrare il mio pugno migliore a chiunque mi abbia afferrata, incontro il viso del mio placcatore.
«Ti stavo per dare un pungo, coglione.» Dico, abbassando il braccio e aprendo la mano.
«Un pungo? Scherzi, vero? Non riusciresti mai a stendermi!» la risata che esce dalla sua bocca è chiara anche tra tutta quella confusione.
«Non tentarmi.» Mi scrollo la sua mano dall’avambraccio, sistemandomi meglio il giacchetto di pelle nera.
«Siamo nervosi, eh?» Il ragazzo porta l’indice freddo sulla mia guancia, percorrendo il profilo della mia mascella «Quando sono venuto a casa tua oggi, non sembravi così acida.» Con un colpo brusco mi tira a se, portando la sua mano sinistra sulla parte bassa della mia schiena e facendosi spazio tra il tessuto della mia maglia. Percepisco la sua mano fredda sulla pelle della mia schiena «Eri molto più scoperta… E disponibile» dice, finendo la frase in un ghigno.
«Non sparare stronzate, Horan. Non è successo nulla. Io e te? Oohh, fidati, non sei la mia prima scelta!» Mi avvicino al suo orecchio, con le labbra vicinissime alla sua bianca pelle e soffio «E poi io sono sempre acida.»
Lo lascio in mezzo alla folla mentre si inumidisce le labbra secche e continuo nella mia titanica traversata del locale.

Horan è un coglione, dico sul serio. Simpatico, figo, carismatico, tutto quello che volete eh, ma io non lo sopporto.
Ammetto che due o tre volte ho fantasticato su di lui, ma quale donna non lo farebbe? Quel ragazzo è la reincarnazione di un Eros dalla pelle di marmo e gli occhi di ghiaccio.
Ma io non lo sopporto, non mi lascio abbindolare così.
È contro ogni mio principio – si, perché ho dei principi qualche volta.
Non mi aspetto il principe azzurro o cose così, per carità. L’amore a lungo termine non far per me.
Anzi, direi che proprio l’amore non fa per me.
Troppo dolce, troppo rosa, troppo faticoso.
Troppo da Philo.
Sono più il tipo da “Carpe Diem” e “YOLO”, vivi giovane e divertiti.
Ma con Niall Horan, no.
Farlo penare mi da una soddisfazione immensa. Sono senza cuore? No, lo faccio per il suo bene, ovviamente.
Quel ragazzino viziato si vanta sempre di come riesce ad ottenere quello che vuole subito. E poi con le donne è davvero un coglione, oltre ad avere dei gusti alquanto discutibili, visto la moretta che aveva portato l’altra sera al “Red Chill”.
Fidatevi, la mia è solo una buona azione verso l’umanità.

Raggiungo il resto del nostro gruppo – o se così posso definirlo – e lancio occhiate di saluto a quelli che conosco.

C’è gente che è praticamente sempre fissa, tipo me, Finn e Niall.
Poi c’è Victoria, la mora dagli occhi verdi che se qualche volta si facesse una risata di sicuro non la ucciderebbe.
I fratelli McList, Tom e Roger, sono due teste vuote che non fanno un cervello intero in due.
Infine Sasha, che credo sia la persona più stronza che abbia mai incontrato in vita mia, ma che ci procura i pass e i locali dove passare le nostre serate. Poi ha avuto una semistoria con Niall in passato, ma prima che arrivassi io nel gruppo; e da quello che ho capito lei lo ha lasciato perché lui faceva l’idiota.
Che novità.

I miei saluti non vengono raccolti praticamente da nessuno.  Victoria è incollata allo schermo del suo I-Phone, Sasha sta divorando la faccia del ragazzo di turno su cui è seduta: di sicuro se va più affondo di così con quella lingua, arriverà a toccargli le tonsille.
E infine Tom e Roger sono troppo impegnati a puntare i fondo schiena di qualche minorenne entrata di nascosto nel locale, per notare il mio saluto.
Mi butto sul divanetto viola, nella piccola zona riservata a noi, incrociando le gambe davanti al piccolo tavolino color punga.
Chiudo gli occhi e per qualche instante faccio respiri profondi, finche non sento il cuscino del divano spostarsi per via del peso di qualcuno che si è seduto vicino a me.
«Mancato?» Sento dirmi nell’orecchio dalla voce dell’idiota che avevo lasciato prima tra la folla.
«Tu non sai quanto.» Dico sorridendo, sempre con gli occhi chiusi.
Percepisco una mano posarsi sulla mia pancia «Potemmo continuare quello che hai interrotto prima…» La sua voce è calda e la malizia nel suo tono è chiaramente percettibile.
«Horan, finiscila dai!» la voce di Finn mi fa aprire gli occhi; lo vedo con in mano due birre, una delle quali mi viene passata dalla sua mano scura «Lo sai che tanto non ci sta.» Dice tra una risata.
«Tentar non nuoce.» Sento dire al biondo, mentre sposta la sua mano dalla mia pancia alla coscia. «Riproverò, più tardi.» Soffia infine nel mio orecchio, mentre stringe la sua presa sulla mia coscia.

L’idea di mettermi le calze, ora come ora, non è poi stata una brutta idea.
Il tocco del biondo mi provoca delle sensazioni alle quali non posso essere proprio indifferente.
Torna in te Lil.

Tolgo la mano del ragazzo accanto a me dalla mia gamba e incomincio a sorseggiare la mia birra.
«Secondo te prenderanno fiato?»Mi chiede Niall dopo un po’, guardando verso Sasha e il suo momentaneo ragazzo.
«Non so, ma praticamente gli sta facendo una Laringoscopia» Alzo gli occhi al cielo e porto la bottiglia verde alla bocca.
«Ti assicuro che con la lingua ci sa fare…»
«Ti prego, evita di fare certi commenti.»

Ma con chi cavolo ho a che fare? Cavernicoli?

«Sei per caso gelosa, Lilith?» Il biondo si posiziona meglio accanto a me, girando il busto nella mia direzione.
«Togliti quel ghigno dalla faccia, idiota. Non sono gelosa.
Ti pregherei però di non parlare delle tue conquiste amorose e delle tizie che ti sei passato in questi anni davanti a me. Non è elegante, ne tanto meno ti fa onore.» Il mio tono è decisamente acido, ma davvero il fastidio che mi provoca questo ragazzo è qualcosa che non riesco a contenere.
«Ha ragione Lil, Niall: un uomo non si vanta mai delle sue conquiste!» Finn concorda con me, e io alzo la mia bottiglia in segno di approvazione.
«Ohh, andiamo! Facevo solo degli apprezzamenti sulle doti della nostra amica!» Esclama Horan, portando le braccia in avanti e indicando i due davanti a noi, ancora in atteggiamenti di esplorazione orale reciproca.
Esasperata da tutta quell’atmosfera, mi alzo e me ne vado verso la pista da ballo.

Un altro minuto vicino a Niall e mi sarei ritrovata sul giornale del giorno dopo: “Giovane uccide un ragazzo in un pub a colpi di bottigliate”.

In prigione, ma felice.

Inizio a vagare tra la folla, cercando un punto dove possa iniziare a ballare senza che nessun troglodita dai capelli biondi mi disturbi. Poso la bottiglia, ormai vuota, sul primo tavolino che mi trovo davanti e continuo la mia ricerca. Arrivata dall’altra parte del locale, inizio a scaricare tutto il nervosismo. Non sono mai stata una ballerina, ne tanto meno ballare era una delle cose che più mi piaceva fare.
Però, quando la mia continua fuga dagli altri non va a buon fine, ho scoperto questo come rimedio.

Confondersi con gli altri, sparire momentaneamente.
Sei li, al buio, che danzi con i tuoi demoni, invece di rimuginarci sopra. Giochi con loro, li confondi.
E per qualche istante, se sei fortunato, ti lasciano in pace.

Come all’inizio della serata, sento una mano afferrarmi l’avambraccio.
«Perché sei andata via?» Le iridi celesti che mi intrappolano sono dure, severe.
Ma chi si crede di essere?
Sostengo il suo sguardo, rispondendo «Volevo ballare. E soprattutto volevo allontanarmi da te, sei terribilmente fastidioso.» Finisco e un sorrisetto audace si dipinge sul mio volto.
«E se ti facessi cambiare idea?» La sua voce è più graffiata del solito, ma forse è colpa della musica alta.
«Come?» Alzo il sopracciglio e mi porto il braccio libero sul fianco.

E senza neanche accorgermene, Niall prende il mio viso tra le sue mani e mi bacia con prepotenza.

Stacco immediatamente le nostre bocche e mi allontano da lui «Che diamine fai?!» grido.
«Tu non sai neanche da quanto lo volessi fare.» Mi dice soddisfatto, con il fiatone, i resti del mio rossetto sulle sue labbra e gli occhi infuocati.
«Tu sei pazzo.» Sputo acida, pulendomi le labbra davanti a lui - togliendomi quel poco di rossetto rimasto, poiché la maggior parte del colore è praticamente tutto spalmato sulla faccia di Niall - e dandogli una spallata, mi dirigo fuori dal locale. Recupero il giaccone dal guardaroba e percorro tutto il parcheggio fino ad arrivare sotto un albero.

Merda, sono senza macchina.

Inizio a camminare nella direzione da cui sono venuta con Finn ad inizio serata, sperando che il mio senso dell’orientamento da Giovane Coccinella si risvegli un po’.

Stupido vento freddo.
Stupido locale troppo lontano da casa.
Stupide scarpe scomode.
Stupido Niall.
Stupida Philo. Ok, in realtà lei non c’entra niente, ma ci sta sempre bene.
Stupido mondo.
Meno male che Londra di notte è così bella. L’unica cosa positiva di questa serata è probabilmente proprio questa camminata chilometrica.

Dopo qualcosa come mezz’ora di odissea, sento il mio telefono squillare. Il nome di Finn impresso sullo schermo mi ricorda che non l’ho avvertito della mia scelta di andarmene.
Fa niente, avrà un passeggero in meno di cui preoccuparsi.
Rifiuto la chiamata e continuo a camminare.
Lodo ogni santo che ricordo dai tempi della Prima Comunione quando riconosco la zona dove si trova il mio appartamento.

Sei stata davvero brava, lasciatelo dire Lilith.

Finalmente davanti alla porta, giro la chiave e entro in casa, sbattendo la porta e non curandomi della mia gemella addormentata sul divano.
L’unica cosa che voglio fare in questo momento è togliermi questi dannate scarpe dai piedi, lavarmi i denti ed entrare in coma sul letto.

Un coma possibilmente lungo, magari eterno.
Ripensandoci, il sonno eterno in questo momento non è una cattiva idea.

Mi lavo i denti due volte prima che il sapore dell’idiota che mi ha baciato in discoteca se ne vada, lancio gli stivali ai piedi del mio letto e, senza neanche spogliarmi, mi butto sul letto, accogliendo finalmente il mio meritato sonno.
 
 
 
  
Philo
Il suono del campanello che continua a suonare è così fastidioso che mi costringe ad alzarmi dal letto.

Ora, vi prego, spiegatemi voi chi è l’imbecille che continua a premere quel dannato bottoncino bianco al lato della nostra porta.

Senza neanche curarmi del mio abbigliamento – pigiama e pantofole sono più che normali, vista l’ora – mi sposto con tutta la stanchezza possibile verso la porta.

Un altro squillo.
Ohh, giuro che chiunque sia, lo uccido.
Un altro ancora.
Ok, l’hai voluto tu. Sei una persona morta.

Apro la porta e la prima cosa che mi ritrovo è un ragazzo alto, biondo, con due occhi azzurri.
Ragazzo che, senza nessun motivo logico, mi bacia.

Ok, sono sveglia? Vero?

Stacco mi stacco da lui e la mia mano lascia la sua impronta sulla sua guancia.
«Mi spieghi chi sei!? Ma sei impazzito!?» Urlo.
«Ma sei scema?! Qui quella impazzita sei te! Guarda che cavolo mi hai fatto!» ll biondino si lamenta, indicando la guancia gonfia.

Philo i miei complimenti: hai dato una sberla come si deve a uno sconosciuto.

«Mi spieghi che cavolo sta…» La voce roca di Lilith proveniente dalla fine del corridoio, mi fa girare. Noto una espressione sul suo volto alla vista del ragazzo, vista la O disegnata sulle sue labbra e gli occhi sgranati appena focalizzato il nostro ospite.
«Merda, ma siete due.»
 



Awawawawawawawawaaaaa!!
Non ha neanche la decenza di chiamarsi capitolo questa cosa che sto per pubblicare. Non l’ho neanche revisionato, ma volevo pubblicarlo, visto che avevo promesso un aggiornamento oggi.
Ebbene.
Eccoci qui.
Mi avete chiesto come avrei fatto ad inserire il personaggio di Niall nella storia.
Mmmh.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

Peach.


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