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Autore: Moonlight_Pleasure    08/02/2014    2 recensioni
Sirius Black, quella del 31 ottobre del 1981, perse tutto. Il suo migliore amico, la sua famiglia, la fiducia e la libertà. Ma una cosa non avrebbe mai perso: la fiamma della verità.
Una raccolta di one-shots che raccontano i pensieri di un prigioniero innocente macchiato di falso tradimento.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Potter, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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2.Dreams let me survive





  30 Luglio 1981
“Harry, non mi prenderai mai. Non finchè non sarai capace di volare!” sorrise beffardo Sirius, guardando un piccoletto con i capelli neri come suo fratello e con gli occhi verdi come la madre. La manine paffute si sollevavano verso il cielo, mentre zio Sirius fluttuava sulla sua Comet all’altezza della finestra della camera da letto di Lil e James. Affacciava direttamente sulla via principale di Godric’s Hallow, ma non si preoccupava che qualche babbano potesse scoprirlo. Era uno dei pochi villaggi completamente abitati da maghi, secondo solo ad Hogsmeade.
Scese lentamente verso il bambino, ridendo e regalandogli uno sguardo ricco di amore. Amava quel bimbo, così uguale a James, così buono nella sua innocenza. Aveva a mala pena un anno, ma era già abbastanza sveglio da comprendere ciò che gli si diceva. Sarebbe stato un gran malandrino un giorno, pensò, proprio come suo padre.
Scese dalla scopa e gliela fece toccare, mentre lui avvicinava le sue manine paffute sul legno, guardandolo estasiato.
“Diventerai come tuo padre, Harry. Un grande giocatore di Quidditch, un giorno; forse addirittura un Cercatore, che te ne pare?”
Il bambino si illuminò e cominciò a battere freneticamente le mani, saltando come il pazzo. Era il suo modo di dire che concordava. Sirius lo prese  tra le sue braccia, stringendolo con calore e lo guardò dritto negli occhi.
“Sai, ho trovato il regalo perfetto per il tuo primo compleanno!”
E cominciò a girare su se stesso, tenendo il piccolo Harry sopra di sé, e facendolo librare sopra la sua testa e sorridendo, perché, l’adrenalina che riempiva il suo piccolo cuore gli donava un’esplosione di emozioni nel suo.
 
“E’ l’ora di pranzo, venite dentro!” urlò Lily, dalla finestra aperta in cucina, che affacciava sul giardino dove i due stavano giocando.

 
*
 
 
Piove, maledizione. Dov’è finito il sole?
Era un sogno, solamente un sogno. Un sogno vivido. Troppo. Era un ricordo. Non sarei mai riuscito ad abituarmi al grigiore di questo posto. E’ così deprimente, soffocante per quanto è triste. Il grigiore del cielo, fuori dalle sbarre, veniva scurito solo dal passaggio di qualche Dissennatore. Stupidi esseri.
Mi faceva male la mano, mi ero addormentato in un angolo della cella, contro il muro, in una posizione non propriamente comoda. Era indolenzita. Beh, non poteva andare peggio. Mi annoio, non ho niente da fare. Sono qui da cinque anni ormai, più o meno. E non ho niente da fare. Ormai anche la tunica mi ballava addosso, riuscivo a contarmi le costole, per quanto ero diventato magro. Non osavo immaginare come fosse il mio viso, meno male che non ci fossero specchi in quell’inferno. I capelli erano lunghi, lunghi e aggrovigliati. Un boccolo mi cadeva sul viso, all’altezza del naso. Cominciai a giocare con quello. Era un passatempo come un altro. Almeno mi distraeva dalle urla.
Le urla di quel posto. Ricordo come, durante i primi giorni di prigionia, riuscii a dormire forse un’ora a notte a causa di quelle urla. I dissennatori avevano sicuramente più effetto su di loro che su di me, forse perché non avevo più niente da perdere. Avevo perso tutto. E durante i primi tempi cercarono anche di prendere i miei ricordi felici, ma non ci riuscirono. Era l’ultima cosa che mi restava, oltre alle mie ossa. Non avrei permesso di porteli via. Per questo motivo li chiusi in un angolo della mente, come se li avessi dimenticati.
Se non potessi vederli io, come avrebbero potuto fare i dissennatori? Pensai che fosse un piano accettabile.
Così da quel giorno, iniziai a pensare solo alle mie peggiori esperienze, tutto ciò che mi convinsi di avere. E da allora quei mostri non ebbero più tanto effetto su di me.
Ma non potevo incantare me stesso tanto a lungo. Bramavo la felicità, il sollievo di un ricordo sopito. Il mio autocontrollo riusciva a ignorarli, per la maggior parte del tempo che ero cosciente. Ma non potevo ingannare la mia testa. Non potevo ingannare il mio cuore, così bisognoso di respirare.
Non appena mi addormentavo, infatti, i sogni irrompevano nella mia mente, lenendo le pene del cuore. E non erano sogni astratti, premonizioni o qualunque altra con cui si definiscono i sogni. Erano i ricordi che spinsi verso l’angolo oscuro della mia mente.
Non avevo la forza di oppormi, ai sogni. Erano così belli, così vividi e così reali. Era una delle poche cose che mi permetteva di sopravvivere in quel posto. Erano come il miele, dolci ricordi che lasciano l’amaro in bocca e te ne fanno bramare degli altri.
Ma quei sogni erano pericolosi; erano esposti liberi nei momenti in cui ero più vulnerabile. Avevo paura che i Dissennatori riuscissero a rubare anche i miei sogni, ed era una teoria che non avrei mai avuto il coraggio di provare. Per cui controllavo attentamente il corridoio fuori dalla mia cella, ogni qual volta sentivo l’abbraccio di Morfeo più vicino, la presenza dei mostri con il mantello.
 Cominciai a delineare una sorta di coerenza nei loro appostamenti; notai, infatti, che di notte non restavano vicino alla mia cella, ma andavano a nutrirsi di chi aveva ricordi felici esposti su un piatto di argento.
Le urla che non mi permisero di dormire durante i primi tempi, divennero, a quel punto, una ninna nanna, che mi diedero il segnale di via libera per sognare.
Andando avanti con gli anni, i dissennatori cominciarono a girarmi attorno sempre più raramente. Pensavano, forse, stupidamente, che stessi diventando sempre più come loro, sentendo, quando si avvicinavano, solo le mie peggiori esperienze e niente di più.
Mi guardai attorno e non vidi nessuno. Sentì di sotto fondo delle urla, ma erano soffocate, segno che erano lontane da me.
Mi sistemai sul materassino duro come la pietra e chiusi gli occhi.
 
 
*
 
 
“Buonasera, vorrei acquistare quel modellino di scopa per bambini”
disse un affascinante e seducente Sirius, ammiccando alla commessa che avvampò in un lampo e, nella fretta di soddisfare la richiesta dell’uomo, inciampò sullo scatolone che aveva affianco ed etichettato con un “Fragile”. Divenne ancora più rossa in viso, e, sussurrando un’imprecazione, si diresse verso una serie di modellini di scope per bambini.
“Allora, abbiamo diversi modelli, in base all’età del bambino. Quanti anni ha il piccolo?” chiese con gentilezza.
“Tre!” rispose Sirius, con fierezza.
Non avrebbe di certo regalato al suo impavido figlioccio una scopa giocattolo per poppanti; il suo piccolo Harry meritava qualcosa di più, e poi, sembrava più grande dell’età che aveva. Si, il suo compromesso mentale non aveva alcuna falla logica.
“Bene, abbiamo questo modello simile alla Comet, è quella più richiesta in questi giorni dai genitori! Ha un’altezza di sicurezza di un metro e mezzo, fornita di autocontrollo e dispone anche di un efficace meccanismo di controllo in lontananza.” elencò la commessa, studiando se l’affascinante uomo era sposato o in qualche modo impegnato. Nessuna fede al dito, buon segno pensò la ragazza, facendo muovere le ciglia in modo seducente.
Sirius se ne accorse e sorrise. Sapeva da tempo l’effetto che faceva sulle donne e volse sempre la situazione a suo favore. Si avvicinò alla donna, con sorriso furbesco e gli occhi magnetici e tirò fuori uno dei suoi più dolci toni.
“Va benissimo, come confutare l’opinione di una bella donna come te che va dritta su un facsimile della Comet, la mia preferita? “ chiese retoricamente, facendole un occhiolino.
La ragazza rimase a bocca aperta per un secondo, per poi arrossire come un pomodoro sotto lo sguardo attento e sorridente di Sirius. Cercando di riprendere il controllo delle sue azioni, prese la scopa e la infilò nella sua custodia, poi alzò lo sguardo sull’uomo, arrossendo quando incontrò i suoi occhi magnetici.
“Ehm, faccio un pacco regalo?”
Disse e, non appena Sirius, sempre sorridente, fece di sì con la testa, prese la bacchetta e impacchettò la scatola con una carta rossa, fermata da un nastro dorato.
“Non avrei saputo fare di meglio, Eileen” disse, allungandosi verso la targhetta della ragazza per osservare meglio e per posare uno sguardo infuocato sul suo, mentre si allontanava. Una cosa era certo, il ruolo del don Giovanni lo divertiva.
“Grazie, signor..?” rispose la ragazza, approfittando dell’occasione d’oro che gli aveva lasciato l’uomo, volontariamente.
“Black, Sirius Black, signorina!”
E lanciandole un occhiolino, pagò, prese il regalo per Harry e si voltò verso l’entrata.
“E stato un piacere, signorina Eileen. Spero di rincontrarla, un giorno o l’altro. Buona giornata!”
E chiuse la porta, lasciando dietro di sé, la povera Eileen, designata ormai come la sua prossima preda.
  
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