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Autore: Moonlight_Pleasure    07/02/2014    2 recensioni
Sirius Black, quella del 31 ottobre del 1981, perse tutto. Il suo migliore amico, la sua famiglia, la fiducia e la libertà. Ma una cosa non avrebbe mai perso: la fiamma della verità.
Una raccolta di one-shots che raccontano i pensieri di un prigioniero innocente macchiato di falso tradimento.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Potter, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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1. Emptiness




Ero solo.

Ero in un posto pieno  di anime, ma profondamente solo. Che ci facevo qui?
Non ero adatto per questo posto, non dovevo stare qui. Ero stato incastrato, da quello che consideravo un amico. Non era un mio amico, non meritava di pronunciare la parola amico con le sue labbra da traditore.
Corpi senz’anima mi avevano rinchiuso qui dentro. La mancanza della loro gli faceva bramare la mia, animata dal fuoco della vendetta e della verità.
Tra queste sbarre nessuno riesce a sentire la voce della ragione. E’ come se fossi chiuso in un angolo dove anche le evidenze venivano scambiate per truffe. Era un angolo buio del mondo e io ne occupavo il centro.
E’ passato un anno, forse cinque, forse sette. Ho perso il conto. Il sole nascosto dalle sbarre incrostate dalla salsedine era tramontato non so quante volte, che ormai avevo perso il conto. Non segnavo neanche i giorni,  appesantiva l’attesa. Non avevo mai sentito come adesso la pesantezza del tempo, il lungo strisciare dei secondi.
Una sola cosa mi mantiene qui, ancora sano di mente, per quanto potessi ancora definirmi “sano di mente”. Una sola e la avrei ottenuta. La vendetta che non assaporai tempo fa. Il sapore della verità. Il senso di giustizia rispettato. Quel vile ucciso con le mie mani… Avrebbe avuto quello che si meritava, sì. Avrebbe pagato per il suo tradimento.
Ormai lo sognavo ogni notte, pregustando il futuro. Con il tempo, mi sono reso conto di essere diventato ossessionato. Ossessionato da quella faccia da topo, da quei vuoti occhietti acquosi. Avrei dovuto aspettare, la vendetta è un piatto che va servito freddo.
L’ora del pranzo, ottimo. Roba morta servita da esseri peggio che morti. Era come uno scambio. Loro mi cibavano e io cibavo loro con la mia anima. Li vedevo, li osservavo. Si avvicinavano spesso, ma per quanto ci provassero, non riuscivano a farmi sentire niente di più del freddo. Il freddo che avevo dentro si estendeva sulla pelle, niente di più. Ero morto dentro, ero vuoto, gelido. Non avevo un minimo di felicità con cui si potessero sfamare.
Ma non per questo non mollai. Avevo la luce della vendetta che pulsava nelle mie vene, che mi manteneva vigile, calcolatore, pronto ad approfittare del momento opportuno per mettere in pratica l’omicidio per il quale mi trovavo in questa topaia.


 
*

 
Una lacrima scendeva lungo il viso mentre una mano tremante tastava dentro il calzino destra, in cerca dell’unica cosa che i funzionari del Ministero non erano riusciti a trovare, nella loro “meticolosa” perquisizione. Un pianto consumò le sue guancia, mentre con gli occhi bruciava le lettere scritte con una grafia così familiare. Quell’inchiostro fresco, assorbito su quella pergamena da un giorno, era più vicino della mano che l’aveva impresso su bianco.
 
 
“ … Felpato, Halloween è vicino. Cosa ne pensi di venire a trascorrerlo con me, Lils ed Harry? Poi ti lasceremo la serata libera per le tue conquiste, caro il mio Don Giovanni, tranquillo.
Aspettiamo tue notizie,
tuo Ramoso.”
 
La stropicciò e poi la stirò con cura. Non riusciva a crederci. Non era vero, non era vero. Come avrebbe potuto sapere che quelle erano le ultime parole che gli avrebbe rivolto quello che ormai era un fratello? Quelle che erano parse semplici parole, solite sillabe, erano l’ultimo ricordo tangibile che gli era rimasto. Da inchiostro si erano trasformate reliquie dorate. Gli ultimi resti di un’ombra.
Come avrebbe potuto sopportare quel vuoto? Quella mancanza gli pesava più della perdita della sua anima. La disperazione lo stava divorando.
Magari fosse stato un incubo, un terribile incubo. Non riusciva ancora a realizzare la realtà.
 Si sarebbe svegliato da quel sogno, e avrebbe visto quegli occhi verdi pieni di vita osservarlo dalla sua cucina, tenendo in braccio il bambino che era la sua copia e scuotere la testa. Sapeva cosa c’era sotto quel movimento, non c’era bisogno di parole, erano superflue tra loro da anni, ormai. Bastava uno sguardo, un accenno, un microscopico movimento del viso. Non serviva altro.
Occhi vispi che non avrebbe più rivisto, quello sguardo di complicità che lo legava a lui si era spezzato.
 
Eppure lui era lì, in quella cella fredda e tetra, ed era sveglio. Non era un sogno. Era la terribile realtà.
Si prese la testa tra le mani e si rannicchiò in un angolo, poggiando affianco a sé il foglio di carta. Una tunica grigia che era stata sostituita alla sua camicia stropicciata dal vento per la corsa e dai suoi pantaloni marroni bagnati dalla pioggia. Aveva corso a perdifiato per cercare quel vile, quel vile che scambio l’amore per un briciolo di potere. Si sorprese di come non puoi mai conoscere realmente una persona, neanche dopo una vita passata insieme.
E se James fosse morto per colpa sua? Avrebbe dovuto costringerlo a sceglierlo come Custode Segreto; avrebbe subito le peggio torture senza dire una parola al suo nemico. Ne era sicuro, sarebbe morto per quelli che considerava la sua famiglia.
Si strinse una mano tra i capelli, per districare almeno un sentimento in quell’atto. Voleva liberarsi della rabbia, aggrovigliata insieme al rimorso, al vuoto, alla perdita, alla disperazione.
Sapeva la debolezza di Peter, essere nelle grazie dei potenti affinchè venga protetto, ma dentro di sé sperava che questa non fosse più forte dell’amicizia. Era convinto che per loro, i quattro malandrini, l’amicizia fosse seconda solo alla famiglia.
Quella convinzione si infranse come uno specchio quando vide un fiero Peter Minus, poche ore prima, su quel ponte sotto la pioggia che, prima di uccidere i Babbani, urlò a tutti di essere un traditore.
La rabbia risalì all’apice.
Rise, vedendo la coda del topo infilarsi in una fognatura, sparendo dal caos creato dal Ministero attorno ai cadaveri e al suo misero dito.
Risate amare
L’aveva fatta franca. Era sparito, irrecuperabile. Chi mai avrebbe creduto alla verità? L’avrebbero preso per pazzo. Chi avrebbe mai creduto che quella strage era l’opera del ragazzo paffuto che gli puntava contro, che lo accusava di tradimento e del quale, poi, rimase solo quel dito? Era fregato. Nessuno avrebbe creduto che lui fosse un Animagus non registrato, nessuno.
Rise, perché non gli rimase niente, perché aveva perso tutto. Rise per la rabbia, per essersi fidato della persona sbagliata.
Si lasciò trascinare senza opporre resistenza ad Azkaban,  l’ombra di una risata e il cuore duro come una pietra. 
  
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