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Autore: Jane Ale    09/02/2014    0 recensioni
Catherine Hudson è la giovane stella di Rushwood, ricca cittadina popolata da famiglie benestanti. Simbolo indiscusso di bellezza e potere, Catherine inizia a vedere il suo regno crollare quando il suo ex fidanzato, Mike, fa ritorno a Rushwood la sera stessa in cui Meredith Carter viene trovata morta. E, forse, la giovane è l'ultima persona ad averla vista in vita.
Tra tradimenti, complotti, gossip e storie d'amore, vedremo emergere tutti i segreti di Rushwood e come questi distruggeranno la principessa Catherine.
Dalla storia:
Mike rise. –Principessina, il mio ritorno ti ha sconvolta? Non pensavo di farti ancora questo effetto. Se non ricordo male l’ultima volta che ci siamo visti mi hai detto che ti disgustavo.-
-Sì, è ancora così!- asserì lei convinta. –Per quello che mi riguarda, sei scomparso per sempre dalla mia vita più di un anno fa.-
-Dici davvero? È un peccato, ma non me ne preoccupo troppo.- disse il ragazzo avvicinandosi al volto della giovane. –Cambierai presto idea.- le sussurrò vicino all’orecchio.
Catherine trattenne il respiro, aspettò che Mike si allontanasse e poi rispose: -Non credo proprio. Vattene finché sei in tempo, tornatene alla tua vita e lasciami in pace.-
[...] -Vedremo Catherine, vedremo.-
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rushwood’s  Secrets
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo III.
 
Le sembrava di vivere in un incubo. Solo qualche ora prima si trovava al sicuro nel proprio letto caldo, mentre in quel momento era seduta in uno squallido corridoio della centrale di polizia. Come cavolo ci era finita in una situazione simile? Ripensò a quella mattina, quando i poliziotti erano andati a prenderla a casa per quello che avevano definito "un interrogatorio di routine in questi casi"; ripensò alla faccia della madre, stupita, preoccupata, agitata, a quella inespressiva del padre mentre afferrava il telefono per chiamare il suo avvocato di fiducia; ripensò al senso di umiliazione che aveva provato quando era dovuta salire su quella stupida auto insieme ai due agenti mentre tutti i vicini si affacciavano a vedere cosa stesse succedendo.
Si tirò indietro i capelli, impeccabilmente ordinati anche in una situazione simile.
Testa alta, spalle basse, schiena dritta, si ripeteva nella mente. Se c’era una cosa che la madre le aveva insegnato ogni giorno da quando aveva imparato a camminare, quella era il portamento. Nessuno doveva aver motivo di pensare che Catherine Hudson avesse una qualche debolezza, nessuno avrebbe dovuto sospettare che anche la bionda principessa fosse umana.
Una volta, quando aveva sette anni, una sua amica l’aveva derisa durante un litigio e le aveva detto che era una debole. La piccola Catherine era tornata a casa triste, senza lacrime ovviamente, ma suo nonno Nicholas aveva capito subito quanto la nipote fosse turbata. Dopo avergli raccontato ciò che era successo, Nicholas aveva guardato Cath con aria seria e le aveva detto: -Ricordati due cose, principessa: primo, tu sei una Hudson e gli Hudson sono invincibili per natura; secondo, tu hai il potere, gli altri no. Se tu non vuoi, loro non possono toccarti. Loro non devono osare toccarti, né a parole, né in altri modi.-
Il giorno seguente Catherine era andata a cercare la bambina che l’aveva ferita.     –Chiedimi scusa!- le aveva detto perentoriamente.
-E perché mai dovrei chiederti scusa?- le aveva domandato l’altra con un ghigno derisorio stampato sul volto.
-Perché te lo ordino.- aveva risposto la principessina senza perdere la calma. Aveva visto che la bambina stava per rispondere, ma la precedette: -Quando Catherine Hudson ordina, gli altri obbediscono. Funziona così.-
Da quel giorno Meredith Carter non l’aveva più sfidata apertamente. L’aveva fatto alle sue spalle, ma Catherine aveva sempre vinto.
Perlomeno fino a quel momento.
 
-Signorina Hudson, girano voci sul fatto che la sera della morte di Meredith Carter vi siate incontrate. È vero?-
Catherine fissava l’uomo che le stava facendo domande da più di mezz’ora: era un individuo sulla quarantina, robusto e non troppo alto, le pareva di ricordare che si chiamasse Arthur Robinson. Era arrivato a Rushwood qualche anno prima, dopo essere stato mandato via dalla centrale di polizia di Baltimora. Suo padre le aveva detto che Robinson era un detective altamente qualificato, ma Catherine era convinta che sotto il suo trasferimento si celasse qualcosa di strano: come poteva un agente capace e piuttosto famoso nella sua città di provenienza, essere trasferito nella piccola Rushwood? Sicuramente non si trattava di una promozione.
-Allora?- la sollecitò l’uomo.
-Sì, è vero.- rispose lei con calma.
-Ed è vero che avete avuto una discussione?- continuò lui.
-Beh, diciamo che Meredith ha fatto commenti poco piacevoli sul mio vestito.- rispose la principessa optando per una mezza verità.
-Quindi le stesse voci che riferiscono di un’animata discussione tra di voi sono false?- incalzò ancora.
-Dipende. Per chi non capisce quanto una donna possa essere suscettibile riguardo al proprio aspetto, la nostra può essere sembrata una vera discussione, ma io non la definirei così.-
-Dunque nel vostro ‘scambio di opinioni’ non è mai stato fatto il nome di Jason Ford?-
-No.- rispose Catherine, questa volta mentendo.
-Ne è sicura, signorina Catherine? Non c’entra niente il fatto che lei e il signor Ford abbiate interrotto la vostra relazione poche ore prima che lei e Meredith Carter vi incontraste? E neppure il fatto che la stessa sera la signorina Carter sia stata ritrovata morta? Strangolata, per la precisione.- Questa volta l’agente Robinson aveva alzato la voce distintamente.
Catherine sussultò nel sentire le ultime parole: Meredith era stata uccisa, ne aveva avuto la conferma. Respirò profondamente e cercò di celare il turbamento che quella notizia le aveva creato.
-Cosa sta insinuando, detective?- chiese lei riducendo gli occhi a due fessure.
-Non sto insinuando niente, voglio solo delle risposte.- rispose lui, questa volta con più calma.
-Bene, lo dirò una volta sola, quindi prenda appunti: io e Jason Ford abbiamo interrotto la nostra relazione perché non provavo più niente per lui; per quello che riguarda Meredith, ci siamo incontrate, lei non gradiva certi lati del mio aspetto, io le ho risposto e, come spesso capita a quest’età, ci siamo mandate a quel paese. Dopodiché sono salita sulla mia auto e sono andata a quella serata nella palestra della scuola.-
Il detective Robinson la fissò, come a voler pesare le sue parole. Abbassò lo sguardo per un secondo, ma poi tornò a guardarla negli occhi.
-Un’ultima domanda, signorina Hudson, poi può andare. Per quale ragione lei e Meredith Carter vi siete incontrate?-
-Le dovevo consegnare l’invito al ricevimento organizzato da mia madre per sabato prossimo.- rispose dicendo, nuovamente, una mezza verità.
L’uomo annuì. –Può andare, ma resti a disposizione per qualsiasi chiarimento futuro.-
-E dove vuole che vada? Da Rushwood non si scappa.- disse Cath sorridendo amaramente.
E per la prima volta in tutta la mattina, il detective Robinson si trovò d’accordo con le parole di Catherine Hudson. Da Rushwood non si scappa.
 
Non appena Catherine mise piede fuori dalla centrale, suo padre la investì come una furia.
-Cosa ti hanno chiesto? Tu cosa hai risposto?-
La ragazza fissò l’uomo che le stava davanti: non aveva mai visto Henry Hudson così preoccupato prima di allora e ne fu sorpresa. Pensandoci bene, però, non era pienamente convinta che il padre fosse tanto preoccupato per lei.
-Stai tranquillo, non ho detto niente che possa mettere in pericolo il tuo nome.- rispose lei con aria di sufficienza.
-Cosa stai dicendo? Catherine, spero tu sia consapevole del fatto che con questa tua bravata tutta la nostra famiglia è a rischio.- le urlò lui.
-La mia bravata? Credi che abbia ucciso la Carter, papà?- domandò lei incredula.
-Dimmelo tu, dopo aver saputo che avete litigato quella sera non so più a cosa credere.- rispose l’uomo.
-Certo, perché la cosa più ovvia che tu possa pensare di tua figlia è che sia un’assassina. Mi pare giusto, è questo lo spirito della famiglia.-
Quanto era stata stupida! Per un attimo aveva veramente pensato che suo padre fosse preoccupato per lei. In fin dei conti, però, perché avrebbe dovuto esserlo?  In diciotto anni si era a malapena accorto di avere una figlia, figurarsi il peso che doveva rappresentare per lui la faccenda di essere padre.
La principessa, ferita, si voltò e cominciò a camminare verso casa.
-Catherine, dove stai andando?- la richiamò Henry.
-A casa. O mi hai già sbattuta fuori?- chiese lei ironicamente.
-Non essere infantile, sali in macchina che dobbiamo continuare il discorso.-
-Io non devo dire nient’altro. Se non riesci a credere a tua figlia, nessun discorso al mondo riuscirà a farti cambiare idea, ma non preoccuparti, se la caverà da sola anche questa volta. Come sempre, del resto.- disse Catherine acida.
-Invece di fare la vittima, prova a metterti nei miei panni, Catherine. Come posso crederti se una ragazza con cui hai discusso viene trovata morta?- chiese lui, come se la sua domanda fosse lecita.
-No, papà, la domanda è un’altra: come puoi non credermi? Comunque lasciamo perdere, ci vediamo a casa.-
E questa volta si incamminò verso il centro, lasciando Henry Hudson a riflettere su quello che aveva appena detto.
Era stato davvero un padre così pessimo?, si chiese.
 
Possiamo vederci?
Il ragazzo guardò il messaggio appena ricevuto. Era tutta la mattina che aspettava sue notizie, ma tutte le volte che aveva provato a chiamarla il cellulare era spento.
Ok, tra dieci minuti al lago.
Era preoccupato per come le cose si stavano mettendo, soprattutto per il fatto che la polizia sospettasse di Catherine. Certo, quando aveva ricevuto quello stupido messaggio, anche lui si era ritrovato a pensare che la ragazza non fosse del tutto innocente, ma riflettendoci bene, Catherine non aveva fatto niente, qualcuno stava cercando di incastrarla.
Ma chi?
Aveva fatto innumerevoli supposizioni, ma non era così semplice, in fin dei conti ogni singolo individuo di Rushwood avrebbe potuto fare una cosa simile. Ogni individuo di quel posto era un potenziale assassino, qualcuno lo era anche in atto. Lo aveva sempre saputo, quella cittadina aveva qualcosa di inquietante, una sorta di velo oscuro calato su tutti i suoi abitanti dal quale era impossibile sfuggire.     Io ce l’ho fatta, pensò. Eppure si trovava lì di nuovo. E, quella volta, con un cadavere tra le mani.
Si riscosse dai suoi pensieri non appena vide la macchina della principessa avvicinarsi. Le andò incontro e la guardò, mentre, con la solita indifferenza, scendeva dall’auto.
-Come stai?- le chiese subito il ragazzo.
-Benissimo, non vedo come dovrei stare.- rispose lei acidamente.
-Catherine, smettila di trattarmi come se fossi un cretino. Ti conosco meglio di chiunque altro in questo posto e sai che a te ci tengo.-
-Non dire stronzate.- lo zittì.
-Sai che è la verità, non mi avresti chiesto di incontrarci altrimenti.- E in quel momento la principessa realizzò che Mike aveva ragione: lo reputava qualcuno di vicino, la cosa più simile al voler bene che conoscesse.
-E allora perché mi hai lasciata dicendomi di non poter stare con me? Ti facevo tanto schifo? Però non ti eri fatto scrupoli a scoparmi!- Nonostante tutto, però, era anche colui che era riuscito a farle più male.
-Lo sai il perché.- le disse.
-No, non lo so. Altrimenti non te lo direi.-
-Catherine, tu stavi con Jason. Volevi lui, non me. Era lui quello che presentavi a tutti come il tuo ragazzo, mentre io ero costretto a starmene nascosto. Era una situazione di merda… Ed ero geloso.- ammise il ragazzo.
-E te ne sei andato per questo?- domandò la principessa.
-Me ne sono andato perché non sopportavo più Rushwood e tutto quello che vivere qui comporta. Anche il tipo di relazione che avevamo.-
Per la prima volta da quando era bambina, Catherine si sentì in colpa. Non tanto per essere stata una delle cause della partenza di Mike, quanto per non essere riuscita a capire quanto lui ci tenesse a lei e per non aver visto tutto il male che era riuscita a creare. Lei amava Mike, lo aveva sempre amato, anche quando stava con Jason, anche quando affermava il contrario, anche quando lo allontanava in tutti i modi possibili. Ma non poteva dirglielo, lei era Catherine Hudson.
Fece, quindi, l’unica cosa che le riusciva bene.
Si avvicinò al volto del ragazzo e lo prese tra le mani, poi lo baciò. Prima lentamente, quasi come se volesse renderlo cosciente di quello che sarebbe successo, poi, quando lui arpionò i suoi fianchi con le mani, il bacio si fece più profondo. Le loro lingue giocavano, si rincorrevano, tornavano a cercarsi dopo un anno. Catherine infilò le mani tra i capelli di Mike e lo tirò più vicino, mentre lui la prendeva in braccio per poggiarla a sedere sull’auto.
Nessuno dei due si chiese fino a dove si sarebbero spinti, in fondo non importava. O, forse, erano sicuri di non volersi fermare. Non più, almeno.
Erano distanti per un anno, una catastrofe era alle porte e le loro vite stavano per cambiare radicalmente, cosa avrebbe potuto impedirgli di amarsi?
Cosa avrebbe potuto impedirgli di amarsi, se non un disastro?
  
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