In the mosaic.
Irrational.
Non riuscivo a
prendere sonno quella notte, forse era per il
semplice fatto che avrei incontrato Edward Cullen anche quel
Lunedì. Dovetti
ammettere a me stessa, parecchie volte, che mi faceva
paura…il giorno prima di
incontrarlo la mia mente veniva presa dall’ansia, avrei
dovuto immaginare più o
meno la causa…il problema era proprio quello, non ne avevo
idea. Avevo pensato
più volte fossero delle coincidenze…quella di
quella sera, ad esempio, era che
comunque fino a qualche ora prima eravamo insieme. Al pensiero di lui,
abbandonato con la testa sulle mie gambe e il suo viso…quel
viso che avrei
contemplato mille volte, era finalmente rilassato.
Edward era parecchio strano.
Edward aveva bisogno di qualcuno che lo spronasse a parlare.
Edward si sentiva solo.
Edward si credeva inutile.
Edward sembrava un piccolo sasso circondato da miliardi di
chicchi di sabbia.
E
quella volta, come sempre sul conto di Edward sperai che tutto potesse
andare
per il verso giusto. Quello che non riuscii mai a capire era quanto
pericoloso
fosse stato. Lui. La sua presenza. Il suo passato.
Mi rigirai tra le lenzuola cercando di pensare a qualcosa
che potesse farmi addormentare, erano le tre del mattino dopo cinque
ore avrei
cominciato a lavorare. Ovviamente il contare le pecore non mi
aiutò nemmeno
quella volta…tutt’a un tratto, nei miei occhi
chiusi, visualizzai due occhi
verdi, pieni di rancore, fallimento, ansia…un brivido mi
percosse, quel brivido
rimase a cullarmi quando finalmente il mio respiro si fece pesante,
quel
brivido sarebbe rimasto fino a quando Edward avrebbe invaso in quel
modo i miei
pensieri. Quando mi svegliai, con la mia solita abitudine, vidi la mia
pelle
ricoperta dai brividi. “È il freddo”
pensai. Ma all’interno del mio cappotto,
con le calze di lana alle gambe nella metropolitana, quei brividi
rimasero lì,
come per visione di quello che sarebbe accaduto di lì a
poco.
Arrivai in ufficio in anticipo di dieci minuti, afferrai il
mio cellulare, il quale non visualizzavo lo schermo da ieri a pranzo e
ci trovai
undici messaggi di Rose. In alcuni mi avvertiva del motivo per il quale
era
mancata a pranzo il giorno prima, gli altri erano delle foto. Pigiai il
dito
sopra la piccola diapositiva e mentre aspettai che si caricasse il
Signor
Dumond fece capolino nel mio ufficio. Guardai l’orologio e
mancavano cinque
minuti alle otto. Tirai un sospiro udibile solo a me stessa e sfoderai
il mio
sorriso rincuorante.
«Si accomodi.» Lui lo fece e cominciò a
raccontarmi di
quanto bella fosse l’Australia. Molti erano guariti ma
avevano chiesto la mia
consulenza oltre per il semplice fatto che mi si erano affezionati. Non
approvavo ciò, difatti quando nuovi clienti venivano a
bussarmi alla porta io
mandavo via quelli che già erano tornati a essere quelli di
sempre. Ogni volta
mi si spezzava il cuore, nonostante promettessi a tutti quanti che mai
ci
saremmo persi di vista. Un senso di tristezza mi pervase quando
realizzai che
tra qualche mese avrei fatto lo stesso con Edward. Mi schiarii la voce
e dopo
cinque ore mi preparai mentalmente all’entrata di Edward. Mi
mozzò il fiato,
come sempre, nei suoi jeans e camicia nera, con i suoi capelli ramati
che
avevano voglia di essere messi al guinzaglio talmente erano ribelli, e
poi i
suoi occhi…quelli che fino a quel momento non mi avevano mai
lasciata un attimo.
Gli
occhi di Edward, molte volte, mi fecero paura, ma erano soltanto loro
che
riuscivano a darmi libero accesso a lui, alla sua anima.
«Ciao.» Mi disse sorridendomi, quel sorriso che
ogni
santissima volta faceva rotolare su se stesso il mio cuore.
«Buongiorno Edward, accomodati pure.»
Nell’abbassare lo
sguardo mi accorsi che i miei collant ultra-resistenti si erano
sfilati,
rivelando gran parte della mia gamba. Arrossii violentemente e mi
aggiustai gli
occhiali…ero solita a farlo quando su di me calava il
più totale imbarazzo. “Chissà
come diavolo si saranno strappati…” Dissi tra me,
per poi continuare “Possibile
che il suo sguardo intenso possa fare questo?” risi di me
come un’adolescente
che sogna ad occhi aperti. Era finito quel tempo per me, prima ancora
di
rendermi conto che era appena cominciato. Scossi la testa e guardai
Edward che,
come suo solito, stava in silenzio. Immersi il mio sguardo nel suo e mi
accorsi
che nel suo sguardo c’era molta nostalgia. Chissà
di cosa. Afferrai il mio
amato taccuino e stirai le mie braccia.
«Si invecchia mio caro Edward.» Dissi ironicamente,
per
smorzare un po’ di tensione.
«Resti comunque bellissima.» Mormorò
come se quella fosse la
cosa più ovvia da dire in quel preciso attimo. Abbassai per
l’ennesima volta il
mio sguardo e mi aggiustai le lenti…appunto.
«G-g-grazie…Edward, però tu lo
sai…devi dirmi qualcosa. Non
posso aiutarti se tu non mi dai qualcosa per farlo.»
Sussurrai senza guardarlo,
dovetti ammettere a me stessa che le sue reazioni erano imprevedibili e
a me l’imprevedibilità
metteva terrore…almeno fino ad allora.
«Perché sei così ostinata a volerlo
fare?» Mi chiese
dolcemente.
«Perché tu sei qui…non per conversare
con me o per farmi
compagnia. Questo è il mio lavoro ed aiutarti è
il mio compito.» Dissi
pentendomene nell’instante in cui la sua espressione si fece
delusa.
«Ovviamente non è solo quello…insomma,
lo sai…mi sono
affezionata a te e…»
«Io vedo in te ciò che tu stesso non riesci a
vedere. Me lo
hai detto ieri. Cosa vedi Bella?» Mi chiese con una nota di
stupore nella voce.
Guardai i suoi occhi…giacché mi parse di riuscire
a comunicare solo con loro…dopo
qualche secondo però chiusi i miei con uno scatto veloce.
Edward odiava. Edward
conteneva dentro di sé mostruosità che non dava a
vedere ma che i suoi occhi mi
comunicavano. Rabbrividii e aprii gli occhi. Dovevo farcela.
Quel
giorno per me fu come cercare di vincere in quella sfida e ce la feci,
per un
attimo ce la feci davvero. Solo dopo, ovviamente, mi resi conto che
vincere con
Edward presto sarebbe stata solamente la mia peggiore sconfitta.
«Ieri
mi hai detto che
non vuoi trascinarmi in quello che io chiamo il tuo tormento e che tu
chiami
schifo. Dimmi il perché…cominciamo da
questo.» Dissi sicura di me.
«Non scriverlo però.» Lo accontentai
immediatamente, posai
il mio taccuino sulla scrivania e aspettai con ansia ciò che
aveva da dire.
«Non…» Balbettò parole
incomprensibili per parecchi minuti e
poi mi trafisse con gli occhi, dopo qualche minuto mi sorrise,
facendomi dimenticare
il mio nome, dandomi quella forza che senza quel sorriso non avrei mai
avuto.
«Forza Edward, avanti dai…» Dissi
incitandolo a continuare,
facendogli capire con il mio tono caldo che io ero lì per
ascoltarlo, senza
giudicare, usando le sue parole come toccasana per lui stesso.
«Sono stato fidanzato tre volte…Bella, tre volte,
tutte e tre
le volte sono scappate via.»
«Cosa c’entra questo?» Dissi irritandomi,
confusa, arricciai
le labbra e mi chiesi perché quello che aveva appena detto
aveva ferito
qualcosa all’interno di me stessa.
Quello
che aveva ferito quella volta e altre volte, lo capii, ma solo alla
chiusura di
tutto quello che avevamo vissuto.
«Ti
da fastidio.» Sentenziò con quel sorriso furbo.
«Perché dovrebbe?»
«Non lo so. Ma lo vedo, lo sento, la tua pelle è
ricoperta
di brividi Bella.» Non so come fece a capirlo,
poiché indossavo un maglione
piuttosto coprente, le mie gambe erano fasciate dalle calze di lana, ad
eccezione di quel piccolo strappo…rimasi comunque a
guardarlo e dopo pochi
minuti si alzò.
«È uno schifo. Il mio passato, come il mio futuro
e il mio
presente è uno schifo. Non posso dirti il
perché…forse non lo so bene nemmeno
io. Sta di fatto che la gente scappa sempre via da me. Alla fine,
comunque
vada, tutti mi abbandonano. Non voglio che mi succeda anche con te.
Devo
andare.» Sussurrò. Mi alzai e mi avvicinai
pericolosamente a lui.
«Manca mezz’ora!» Dissi stufa del suo
repentino cambiamento
d’umore.
«Devo andare. Stop. Non voglio venirci più qui
dentro, porca
troia, me ne vado okay?» Urlò talmente forte che
le mie guance divennero rosse
per la rabbia. Mentre vedevo la sua sagoma uscire dallo studio mormorai
un
vaffanculo pieno di risentimento. Sbuffai mentre mi passavo una mano
tra i
capelli e una lacrima si fece largo sul mio viso. Non capivo il suo
comportamento
e in quel momento non riuscivo a capire nemmeno il mio. Non era
stabile, come
non lo ero io da quando era entrato nella mia vita. Edward Cullen non
aveva un
solo fardello dietro…oltre a quelli c’erano pure
gli anni passati che avevano
scavato all’interno della sua mente, mentre la sua corazza
diventava
indistruttibile. Mi alzai dalla sedia e con un movimento fulmineo
gettai per
terra tutto quello che c’era sulla scrivania. Urlai per
tanto, troppo tempo,
fin quando stremata mi accasciai al pavimento, mi calmai –
come sempre – dopo
essermi accarezza gli occhi con l’indice, mentre la mia voce
sussurrava Always
dei Bon Jovi.
Non
capii mai la natura di quel tipo di comportamento che
s’impossessava di me,
capii soltanto che era l’effetto che Edward aveva su di
me…ma, sfortunatamente,
non mi causava solo quello.
«Non
è possibile Bella! Devi parlare con suo padre…o,
meglio, con il tuo! Non è una cosa che può
continuare Bella, assolutamente!» Urlò
Rosalie nella cucina di casa mia, dopo che mi ero sfogata con lei.
Fortunatamente, nel momento in cui avevo più bisogno di
qualcuno, lei c’era.
Non avevo di certo previsto la ramanzina. La guardai con gli occhi
pieni di
lacrime.
“Alla fine, comunque
vada, tutti mi abbandonano.”
E non potevo farlo anch’io…non dopo essermi
affezionata così
tanto a lui, non dopo aver capito il modo per farlo parlare almeno un
pochino
con me.
«Non posso Rosalie…»
«Ti farai male Bella.» Disse per poi da casa mia
sbattendo
la porta come se avesse voluto darmi un ceffone. Conoscevo come il
palmo della
mia mano Rosalie, e l’unico modo per avere un suo sorriso
sarebbe stato
accontentarla. L’avevo sempre fatto fino a quella volta,
poiché Rosalie mirava
sempre per il mio bene…quella volta invece non ce la feci.
Il pensiero di tradire
Edward comprimeva nel mio petto un dolore mai provato prima, un dolore
per il
quale mi sarei fatta male, un dolore per la quale presto ne sarei
diventata
dipendente. Restai accoccolata sul divano con le lacrime agli occhi per
tutta
la sera, non riuscivo a pensare in modo coerente, tutto ciò
che la mia mente
produceva era il senso di colpa che mi avrebbe schiacciata dal momento
in cui
avrei deciso di non volerlo più nel mio studio.
Tutto quello era irrazionale, ed io odiavo
l’irrazionalità,
e in quel preciso instante, non per l’ultima volta, mi chiesi
perché non odiavo
anche il pensiero di Edward, totalmente e incondizionatamente
irrazionale.
Avevo paura, ma non più paura di lui e del suo passato,
avevo paura che quella
mattina sarebbe stata l’ultima volta che i miei occhi
avrebbero incontrato i
suoi. Quegli occhi che oscuravano il suo sole, perché ognuno
di noi ne possiede
uno all’interno dell’anima, quegli occhi che mi
facevano rabbrividire, avevo
bisogno di guardare attraverso quel portale, era l’unico
modo, l’unica via che
poteva condurmi a lui, a tutto ciò che catturava la sua
mente. Che Edward era
lunatico era ormai divenuto un dato di fatto, se solo lui mi avesse
dato la
possibilità, io sarei riuscita a vederlo per davvero, molto
di più di quello
che avevo visto. Edward era buono, i suoi sorrisi erano come quelli di
un
bambino a Natale, c’era l’elemento principale
dentro di lui, quello che sarebbe
riuscito a tirarlo fuori dal baratro; c’era il sentimento
positivo, era
nascosto da qualche parte, ma era lì, io l’avevo
visto. Sentii il suono del citofono
e corsi ad aprire, sperando fosse Rosalie.
«Chi è?» Dio, la mia voce suonava
più roca di quello che
pensavo.
«Sono Edward.» Mi presi un attimo di silenzio,
cercando di
decifrare il suo tono di voce, ma non ci riuscii, poiché non
mi aspettavo
minimamente fosse lui.
«Come?»
«Edward Cullen.» Era spazientito, ma riuscii a
sentire una
piccola risata. Alzai gli occhi al cielo, sicura che se non era per
quella
sera, prima o poi mi avrebbe mandata al manicomio. Aprii il portoncino
e lo
aspettai davanti alla porta.
«Che fai qui?» Dissi prima di guardarlo dalla testa
ai
piedi. Come sempre i miei pensieri non gli rendevano giustizia, non
avevo mai
visto qualcuno di così bello come Edward. I suoi capelli
scarmigliati ad arte,
il suo viso ricoperto da un filo di barba, le sue labbra
dall’aspetto morbide
come il burro, e i suoi occhi che in quel momento non mi dicevano
nulla, mi
affascinavano solamente, erano verdi, ma erano speciali. Erano
l’interno di
Edward Cullen.
«Posso entrare?»
«Chi ti ha detto dove abito?»
«Essere il figlio del presidente ha i suoi
privilegi.»
«Potrei denunciarti.»
«Mi vuoi troppo bene per farlo.» Disse con un
sorriso
divertito, quel sorriso mi fece dimenticare tutto quello che era
accaduto
quella mattina. Edward tagliava a pezzetti il mio cuore, ma
c’era l’antidoto a
quello; il suo magnifico sorriso che mi scioglieva ogni qualvolta come
neve al
sole. Mi scostai di lato e gli feci spazio per entrare, nel chiudere la
porta
mi resi conto che ero in canotta e shorts, nessuno dei miei pazienti si
era mai
permesso di venire a casa mia…le uniche persone che lo
facevano erano i miei
genitori e Rosalie.
«Vuoi qualcosa da bere?»
«No, grazie.» Mormorò guardando le mie
gambe, arrossii e mi
imbarazzai come mai prima di allora. Mi sedetti al suo fianco e lo
guardai
esaminando la sua espressione.
«Volevo chiederti scusa…per
oggi…»
«Nessun problema.»
«No, Bella, mi sono comportato da…»
«Nessun problema Edward!» Dissi interrompendolo,
avevo
dimenticato quello che era successo e passare ancora una volta sopra
l’argomento
mi avrebbe fatto di nuovo male, ed io non volevo che lui lo vedesse.
«Bella, ascolta…»
«No Edward! Non voglio parlarne, chiaro?» Dissi
urlando,
perché non lo capiva? Non riusciva a vedere quanto dentro di
me lui era
entrato? Imprevedibilmente mi abbracciò facendo scorrere il
suo naso sul mio
collo, la mia pelle si ricoprì di brividi e con un gesto
repentino le mie
labbra finirono sulle sue.
Sapevo che era sbagliato. Sapevo che tutto quello mi avrebbe
portato all’apice di qualcosa di doloroso. Sapevo che come
sempre sarei finita
per rimpiangere tutto.
Era
anche quello l’effetto che Edward Cullen aveva su di me.
Dopotutto non riuscii a dire di no nemmeno quella volta,
afferrai i suoi capelli e continuai a baciarlo. Era la mia droga. Era
la cosa
migliore che potesse capitarmi. Era la mia rovina.
Salveeeeeee. No,
sono qui, non state sognando!
Ho cercato di pensare a mille modi per chiedervi scusa, ma
nessuno di quelli rendeva l’idea. È un periodo
strano questo…non ho mai un
attimo di tempo, quando ce l’ho la mia mente bacata mi porta
a leggere o
guardare film…Ma, sì, c’è un
ma! Cercherò di smetterla! Questa storia mi piace,
stranamente, e spero che piaccia anche a voi. Venerdì ci
sarò! Anche perché ho
in mente cosa devo scrivere!
Non
abbandonatemi!
Ps: per chi segue “ Just a little Woman”, non
temete, tra
oggi e domani arriverà anche il prossimo di quella
lì :p
Un bacione.
Roby <3