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Autore: mattmary15    10/02/2014    5 recensioni
Infine c’era stato l’inferno. L’eufonia dinanzi al muro del pianto. Milo aveva scoperto che il suo cosmo era entrato in risonanza in modo particolare con quello della Vergine e ne era rimasto spiazzato.
Quando ormai il suo corpo giaceva riverso nel Cocito, era stata la delicata mano di Virgo a spezzare la catena che lo trascinava verso il letto del fiume.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Gemini Saga, Scorpion Milo, Virgo Shaka
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo VII:

Fare pace con se stessi
 

La salita di Milo verso la vetta del monte proseguiva. Aveva appena scacciato dalla mente l’immagine della piccola Tessa che la nebbia si fece di nuovo fitta e udì ancora una voce di donna chiamare il suo nome. Stavolta la voce era di una fanciulla più adulta.
Che diavolo stava succedendo su quella montagna? La nebbia si allargò in un punto e, seduta su una roccia, apparve una ragazza. Aveva un abito giallo e i capelli neri e mossi. Sorrideva con le sue rosse labbra carnose.  Labbra che Milo aveva conosciuto durante la missione sull’isola di Andromeda. Impallidì.
Quando l’aveva conosciuta sul traghetto, Arianna questo il suo nome, non le aveva detto che viveva su quell’isola. Lei gli aveva sorriso sfacciata, facendogli capire che le piaceva. Lui aveva passato la notte sul traghetto nella sua cabina. All’alba era sparito nel nulla. Aveva la missione che gli aveva affidato il grande sacerdote da compiere. Solo dopo aver distrutto l’isola, tra le macerie, aveva riconosciuto quel vestito, quelle labbra. Che cosa avrebbe potuto fare?
Arianna se ne stava immobile con lo stesso sorriso di quel giorno.
-Milo, perché vuoi raggiungere la cima della montagna?
Il cavaliere finse che, quell’assurda conversazione, potesse essere normale.
-Voglio l’acqua della vita.
-Non puoi averla senza una valida motivazione, la montagna non te la concederà per una sciocca voglia.
-La mia non è una sciocca voglia!
-Davvero? Avanti Milo, non mi dirai che è l’ennesima soddisfazione che vuoi toglierti?
Milo strinse un pugno.
-Tu sei un fantasma. Vuoi farmi la morale?
-Credi che un fantasma non ne abbia il diritto? Comunque non sono qui per questo. Sono venuta perché tu desista. Non puoi trovare la fonte. Basterà che tu trovi qualche altro interesse e ti dimenticherai dell’acqua della vita.
-Non sono così volubile! Devo salvare una persona cara!
La donna rise e si alzò.
-Davvero vorresti farmi credere che è per amore? Tu?
-Adesso basta! Anche se per te non l’ho provato, non significa che io non sia in grado di amare! E’ questo che stai dicendo?
Arianna fece qualche passo verso di lui e poi, come aveva fatto Tessa, cominciò a giocare con l’orlo del suo abito.
-Esatto. Tu non sai amare. La lussuria è l’unico sentimento che sai provare. Non saresti capace di un gesto che sappia soddisfare qualcun altro che non sia te stesso!
Urlando queste parole la donna scomparve. Non svanendo come Tessa ma dissolvendosi come una bolla di sapone. Di lei non rimase che l’eco delle sue ultime parole.
Milo rimase immobile. La montagna lo stava mettendo alla prova? Cosa voleva insegnargli?
L’acqua che scendeva lungo la parete rocciosa e che gli lambiva le caviglie, lo scosse. Riprese a correre.
Non si stupì di ritrovarsi, per l’ennesima volta, immerso nella nebbia dopo aver salito di qualche altra decina di metri.
-Avanti, chi sei stavolta?- urlò verso il cielo.
-Milo, che stai facendo?
-Riconosco questa voce!
Milo si voltò nella direzione in cui la nebbia si diradava e la vide.
-Lady Saori, sei venuta anche tu a rimproverarmi?
Saori scosse il capo mostrandogli le sue mani unite e chiuse come a voler proteggere qualcosa. Sorrise bonariamente e le aprì. Una chiave nera si librò nell’aria e raggiunse il volto di Milo.
-Milo, dipende tutto da te. Non farti raggiungere dai fantasmi del tuo passato.- disse svanendo insieme alla chiave.
Il cavaliere dello Scorpione riprese coraggio e riprese l’arrampicata. Sorrise di scherno quando, raggiunta una piana, la nebbia tornò.
Stavolta la riconobbe subito. Cloto sorrideva.
-Non disturbare l’acqua, lascia in pace i morti o i morti non ti lasceranno mai più in pace!- disse lentamente evaporando. Erano le stesse parole che gli aveva rivolto durante il loro scontro negli inferi.
-Ho capito! E’ l’acqua! Non è la montagna ad essere maledetta! E’ la fonte stessa che non vuole essere raggiunta!
Un rumore sinistro lo fece voltare. Era come un applauso ma metallico. Si voltò di scatto e si mise in posizione di difesa. Di fronte a lui se ne stava seduta, con un cesto in mano, Lucina. Sembrava intenta a tagliare delle verdure che finivano nella cesta sul suo grembo.
-Lucina, anche tu?
-Oh Milo, che ti aspettavi? Credevi davvero che, tra tutte le donne che hai fatto soffrire, non ci fossi anche io?
-Tu? Lucina che ho mai fatto per farti soffrire?
-Mi hai abbandonata per diventare cavaliere! Sapevi che ero sola. Non hai avuto alcun rimorso!
-Non è vero Lucina! Avrei rinunciato se tu non mi avessi sempre incoraggiato!
-Questo è l’amore Milo. Soffrire per il bene di qualcun altro. Un sentimento di cui tu sei sprovvisto!
-Tu non sei Lucina, lei non mi parlerebbe mai così! Rivelati!
La nebbia si alzò e divenne nera. Le sembianze di Lucina svanirono per rivelare la presenza di Atropo.
-Sei tu vecchia strega! Sei sempre stata tu?
-Oh no Milo! Sono le tue colpe che ti inseguono e non ti lasciano in pace. E’ l’acqua miracolosa che, entrando in contatto con te, rivela la tua natura. Sei un uomo malvagio.
-Questo non è vero! Forse non mi faccio tanti scrupoli a volte, ma non sono malvagio!
La vecchia rise facendo mostra delle sue unghie affilate come lame.
-Tu sei malvagio. Sei stato la causa della morte di tua madre, hai fatto soffrire Lucina, hai spezzato il cuore della piccola Tessa, hai assassinato Arianna, hai tradito Atena, hai ferito Cloto, e hai condotto alla follia Shaka.
Milo impallidì. Voleva difendersi da quelle parole taglienti almeno quanto le mai della più anziana delle Moire, eppure si sentiva bloccato e colpevole.
Questo era il potere di Atropo, mettere di fronte agli uomini le proprie colpe e trovare quella che avrebbe giustificato la loro fine. Milo strinse i pugni.
-Che significa che ho condotto Shaka alla follia?
La donna rise di gusto. Evidentemente gettarlo in quello stato di agitazione, la stava divertendo.
-Shaka doveva restare negli inferi e tu, tu dovevi dimenticare l’ultimo spectre.
-Tu non mi fermerai! Io salverò Shaka. L’acqua della vita rimedierà alla sua condizione.
-Allora Milo, voglio aiutarti e farti un dono raro e prezioso. Ti regalerò ciò che di più prezioso posso dare ad un essere vivente. Ti rivelerò il giorno esatto in cui tu morirai.- disse Atropo facendo apparire, tra le sue dita, un filo carminio.
Milo scoppiò a ridere sorprendendo la donna.
-Credi che sapere quando morirò, farà di me una sorta di pazzo o disperato che cerca di allontanare il più possibile quel momento? Sappi, vecchia strega, che sono un cavaliere e la morte non mi fa paura. I cavalieri dello Scorpione, fra tutti i cavalieri d’oro, sono destinati alla morte precoce in battaglia.  Non morirò comunque prima di aver salvato Shaka.
-Molto bene. Sappi allora che il filo della tua vita verrà reciso fra quattro mesi, quando i primi fiocchi di neve cadranno. Prima di allora però il tuo destino si compirà, poiché tu sei colui la cui mano ucciderà l’ultimo spectre vivente.  Va ora, sali gli ultimi metri che ti separano dalla fonte dell’acqua della vita. Ricorda le mie parole. I tuoi ultimi battiti ai primi fiocchi di neve.
La donna sparì e Milo rimase solo con le sue parole nelle orecchie. Non aveva paura di morire. Su questo non aveva mentito. Tuttavia Atropo gli aveva rivelato che, prima di morire, avrebbe ucciso l’ultimo spectre. Avrebbe dunque posto fine alla vita di Shaka? Il rumore di una fonte zampillante lo fece voltare. L’acqua della vita era sua. Avvicinò una borraccia e la riempì mentre allo stesso modo, il suo cuore si colmava di orrendi presagi.

Quando Shaka aprì gli occhi, l’erba fresca accarezzava il suo viso. Non si mosse. Aveva smesso di lottare. Finalmente tutti quegli anni di menzogne e silenzi erano finiti. I suoi occhi si riempiono di lacrime.
Era stata, finalmente, smascherata. Gli anni passati a nascondere il suo corpo di donna sotto un’armatura, finiti. Così com’era finito il suo tormento. Ora sapevano che dentro il corpo di Shaka si celava lo spirito di Persefone, la sposa di Hades. Quel pensiero la fece piangere.
Non doveva finire così. Avrebbe, di buon grado, accettato che i cavalieri d’oro ricordassero Shaka che aveva sacrificato se stesso per salvarli dagli inferi. Ora invece avrebbero tutti saputo che era una bugiarda. Certo, Atena sapeva. Tuttavia, per gli orgogliosi cavalieri d’oro, che differenza avrebbe fatto? Avrebbero tutti pensato che erano stati ingannati, che lei era un’intrusa. Come donna e come spectre.
Le lacrime si mischiarono con la rugiada.
Provò a sollevare un braccio e si guardò il polso. Quel tatuaggio a forma di arbusto e fiori, tre per braccio, erano il simbolo del tempo che le rimaneva prima di svanire per sempre. Uno dei fiori del polso destro era già sparito. Sorrise mestamente. Persefone era stata condannata da Zeus a trascorrere sei, dei dodici mesi dell’anno, negli inferi con Hades. Ora quel ricamo intorno ai suoi polsi le diceva che le rimanevano solo sei giorni di vita prima che il suo corpo marcisse.
Cinque giorni.
Atropo le apparve al fianco.
-Venerabile Kore, siete molto debole ora. Non manca molto prima che la vostra punizione, vi raggiunga. Fate ammenda e chiedete di essere riammessa nel vostro regno. La vostra anima deve tornare a riposare al fianco di quella del vostro signore.
-Avete giocato con la mia vita fin da prima che fossi concepita. Credi davvero, Atropo, che accetterei di ritornare negli inferi adesso?
-Morirai.
-Morirò e con me porterò lo spirito di Persefone.
Atropo parve sussultare come se, per la prima volta, fosse stata toccata da quelle parole.
-Sei solo una misera mortale.
-No- scosse la testa Shaka continuando a piangere- sono un cavaliere d’oro. Morirò e Persefone scomparirà di nuovo da questo mondo. Per sempre forse, visto che Hades non sarà più in grado di richiamare indietro il suo spirito.
Atropo urlò e spalancò le sue macabre braccia. Le sue nere vesti si scossero nell’aria generando una tempesta di nebbia nera. Non appena la vecchia donna si fu calmata, la tempesta svanì nello stesso modo in cui era comparsa.
-Morirai dunque. Sappi che soffrirai molto nella morte, poiché verrà per mano di colui per cui hai tradito l’amore di Hades.
Shaka barcollò come se stesse per cadere di nuovo al suolo. Non poteva più mentire a se stessa.
Atropo svanì nel nulla e lei si lasciò finalmente cadere. Due braccia forti la sostennero. Tutti quegli anni di cecità forzata, le fecero sentire subito chi l’aveva sostenuta.
-Rajamuni.
-Shaka, perché sei sparita dal tempio?
-Ho ferito il maestro Gautama.- disse lei abbandonandosi.
-Il maestro sta bene. Quel vecchio ha la pelle dura.
Shaka sentì un po’ di calore nel petto, come se il suo cuore avesse ripreso qualche battito. Rajamuni era uno dei pochi, al santuario, a conoscere il suo segreto.  La strinse e l’aiutò a mettersi in piedi.
-Vieni, torniamo al tempio.
-No!- disse Shaka con fermezza – Raja, non tornerò più li.
-Perché? I tuoi amici sono partiti alla ricerca di una cura!
-Non c’è nessuna cura. La mia condizione è irreversibile. Raja ti prego, accettalo.- concluse Shaka mostrando i polsi.
Gli occhi di Raja si fecero umidi e Shaka desiderò rivedere i colori della sua anima, quelli della terra. C’erano stati dei giorni, i primi in cui era stata condotta al santuario di Mahabodhi, in cui era stata felice. L’allenamento non era ancora cominciato e lei passava tutto il suo tempo nei giardini o in cima all’alta torre. In quel tempo aveva condiviso ogni cosa con Raja e aveva imparato a conoscere l’amore. Sapeva bene che lui l’aveva amata. Come un uomo ama una donna. Tutti quei boccioli che le andava a prendere in cima a dirupi spaventosi o quei ciottoli lucenti e preziosi che passava ore a cercare nel letto del fiume e che poi le donava, erano i simboli di una passione che cresceva insieme all’età. Insieme a Shaka però, cresceva il suo potere e così era stato deciso che non Raja, com’era naturale che fosse, ma lei avrebbe indossato l’armatura di Virgo. Rajamuni si ritrovò a perdere contemporaneamente le due cose che aveva desiderato di più: Shaka e l’armatura d’oro. Ora lui era davanti a lei con lo stesso sguardo con cui l’aveva osservata partire il giorno della sua investitura a cavaliere di Virgo. Uno sguardo di rabbia misto a tristezza. Usò il tono di voce più dolce che conosceva.
-Raja, non avercela con me. Sono stanca di lottare. Mi restano solo pochi giorni, vorrei trascorrerli in pace.
L’uomo dai lunghi capelli castani tirò un profondo sospiro.
-E sia, ma non resterai sola. Verrai a casa mia così, se avrai bisogno di aiuto, ci sarò io. O questo o il santuario.
-Accetto. Ad una condizione.- Concluse Shaka.
-Dimmi pure.
-I cavalieri di Atena  non dovranno saperne nulla.
Rajamuni annuì e condusse Shaka a suo villaggio.

Saga guardò in faccia Milo e temette il peggio. Kiki camminava davanti a lui con un faccino triste.
-Allora? Niente acqua della vita?- chiese il cavaliere di Gemini.
Milo rispose lanciandogli la borraccia. Era gonfia e fredda.
-Cos’è che non va?- riprese.
Milo gli sibilò le parole a denti stretti ad un paio di centimetri dal naso.
-Tu lo sapevi che la montagna mi avrebbe tirato addosso un mucchio di cattiverie come sassi! Mi chiedi perché sono scontroso?
-Non sapevo avessi tutta questa sensibilità Milo!- gli rispose sarcasticamente Saga –Se è solo questo il problema, muoviamoci a tornare indietro.
-Tu hai trovato quello per cui sei venuto?
-In un certo senso.
-Allora Shaka è un mostro o cosa?
-Non un mostro.
A quelle poche parole, Milo riprese quasi la sua solita espressione allegra.
-Ringrazia tuo fratello da parte mia, Kiki e digli che ci è stato di grande aiuto.- riprese Saga
-Come se il pecorone avesse combinato qualcosa!- sbottò Milo –Non mi è sembrato di sentire un grazie per il sottoscritto che si è fatto il mazzo per scalare quella montagna malefica!
Saga alzò gli occhi al cielo e gli mise una mano sulla spalla. Stavolta il viaggio dimensionale fu meno traumatico per Milo che riuscì ad atterrare in piedi.
Lo spettacolo che si ritrovarono davanti tuttavia, li fece barcollare entrambi.
La parte destra del dormitorio del santuario di Mahabodhi era completamente devastata. Sembrava essere stata sventrata da una potente deflagrazione.
I due cavalieri d’oro si misero a correre simultaneamente in direzione del fumo. Uomini e donne si affrettavano al capezzale di coloro che erano rimasti feriti nell’esplosione.  Alcuni guerrieri sollevavano pesanti orci pieni d’acqua per spegnere i piccoli incendi che si erano appiccati prevalentemente dalla combustione di travi e tende. Un forte odore di bruciato aveva riempito l’aria.
Milo riconobbe Maya.
-Ehi piccola! Che è successo?- disse inginocchiandosi davanti a lei e prendendola per le spalle.
-C’è stata una forte esplosione. Il maestro è ferito. Non so altro.
-Dove sono il tuo maestro e il cavaliere di Acquarius?
-Nella sala grande. Potete raggiungerli.
-E Shaka?- chiese Milo –Dov’è Shaka?
La piccola Maya abbassò il capo.
-Andiamo, Milo.- Disse Saga con decisione.
Corsero fino alla sala del Buddha.
Trovarono Camus e Cloto intenti a vegliare Gautama.
-Camus! Che è successo? Stai bene! Dov’è Shaka?-urlò Milo.
-Ragazzi siete tornati! Almeno voi state bene!- gli rispose Camus.
Saga non tolse gli occhi di dosso a Cloto.
-Che ci fa lei qui?- disse Gemini.
-Ci ha salvati. Se non fosse stato per il suo potere, saremmo entrambi morti. Il maestro è ferito, ma non è in pericolo di vita.
-Immagino che mi dirai che tutto questo è opera di Shaka.- disse poi Saga incrociando le braccia.
Camus annuì.
-Non è possibile! Non avrebbe mai fatto del male al suo maestro!- urlò ancora Milo che sentiva le vene nelle sue tempie pulsare forte.
-Non è più Shaka! Allora non vuoi capirlo!- gli rispose Camus adesso con la stessa forza nella voce.
Toccò a Saga, per l’ennesima volta, fare le domande utili.
-Dov’è Shaka?
-Non lo sappiamo.
-Lei- urlò Milo afferrando Cloto per gli avambracci e spingendola contro il muro con forza –lei lo sa! Avanti parla!
Camus lo prese per le spalle e lo tirò indietro.
-Non essere stupido Milo. Lei è stata qui con me tutto il tempo. Non sa niente! Levale le mani di dosso.
Milo si divincolò dalla stretta di Camus e guardò prima Cloto poi Saga.
-Allora è stato tutto inutile! Il viaggio negli inferi, il viaggio sulla montagna! Inutile!
-Milo, tu non capisci- fece Saga –sei troppo irruente e ti sfuggono le cose importanti.
-Siete voi che non capite! Shaka era pronto a sacrificarsi per tutti noi. Ora è da qualche parte la fuori, solo, sconvolto, morente e noi stiamo qui a farci le questioni morali se sia giusto o meno aiutarlo dato che è uno spectre!- concluse Milo dando le spalle a tutti e fuggendo fuori dalla stanza.
-E’ sempre il solito.- Disse Saga scuotendo le spalle.
-Stavolta è peggio!- fece Camus come a volersi liberare subito di un segreto insopportabile–Ci sono cose che non sapete, cose che neanche tu sai. Shaka è l’incarnazione di Persefone!
-State mettendo tutti a dura prova la mia pazienza Camus!- fece all’improvviso Saga in modo aggressivo –Lo so che Shaka è l’incarnazione di Persefone. Sono andato in Jamir apposta per verificare a quale spectre corrispondesse la costellazione del mattino eterno del sole nero.
-Ma non è tutto qui.- riprese Camus abbassando lo sguardo su una delle candide mani di Cloto un po’ per darsi coraggio, un po’ per vedere se, dopo l’improvvisa aggressione subita da Milo, la fanciulla stesse ancora tremando.
-Allora? Cosa aspetti a parlare?
-Shaka è una donna.
Camus lo disse di getto. Talmente veloce che a Saga parve quasi di non avere compreso bene il concetto. Ci mise un po’ a focalizzare nella sua mente l’immagine di un corpo femminile nascosto sotto l’armatura della Vergine. Poteva essere davvero? Come poteva averlo nascosto? Durante il tempo in cui era stato grande sacerdote, aveva ridotto al minimo il rapporto con gli altri cavalieri d’oro per timore di tradire la sua vera identità. Ma prima? Non aveva forse lottato con Shaka nella grande arena del tempio? Non si era forse lavato negli stessi bagni in cui lo faceva anche Shaka? Non avevano diviso le stesse tende durante le missioni? Forse no. A Shaka non erano mai assegnate missioni in coppia o in gruppo come capitava a lui o agli altri cavalieri. Forse Camus aveva detto la verità. Sgranò gli occhi. Una donna. Shaka era una donna. L’incarnazione di una dea.
-Cloto, su una cosa Milo ha ragione. Tu sai dov’è. Puoi trovarla ovunque si trovi.
La fanciulla si nascose dietro le spalle di Camus.
Il cavaliere di Acquarius si voltò e la guardò negli occhi come a volerle fare coraggio.
-Se sai dove si trova, diglielo.- disse piano.
-Volete farle del male?- chiese lei col terrore negli occhi.
-Sta morendo. Che altro possiamo fare di peggio?- la incoraggiò Saga e lei si decise.
-Posso trovarla.
-Fallo allora.- disse Gemini.
La fanciulla chiuse gli occhi e le sue vesti tremarono. Sembravano galleggiare intorno a lei. Improvvisamente spalancò gli occhi e li richiuse subito dopo.
-E’ al villaggio nella piana. Nella casa dell’uomo che era di guardia al tempio.
-Bene, andiamo. Il maestro non ha bisogno di noi.- Concluse invitandoli a seguirlo fuori dal tempio.

Milo correva nella giungla incurante degli ostacoli. A volte inciampava, altre spezzava gli oggetti che ostacolavano la sua corsa. Milo piangeva. Il suo mondo, quello composto dai suoi compagni, dalle regole del grande tempio di Atena, stava andando in pezzi. In più, le parole di Atropo continuavano a tormentarlo. Non voleva essere visto da alcuno in quello stato, così continuò a correre nel lussureggiante verde dell’India. I colori di quel luogo, che tanto lo avevano affascinato nei primi giorni del suo soggiorno li, ora gli davano alla testa, lo confondevano, gli davano un continuo senso di nausea turbinando davanti ai suoi occhi.  Improvvisamente, il verde delle piante arrampicate ovunque, svanì lasciando il posto ad un azzurro come pochi. Il cielo lo sovrastò e cadde all’indietro.  Fin dove aveva corso? Faceva caldo e, questo pensiero, lo fece sorridere. La neve ci avrebbe messo un po’ prima di decidersi a cadere e ciò significava che aveva tempo. Tempo per uccidere l’ultimo spectre, per uccidere Shaka. Si sollevò e incrociò le gambe come quando Virgo si metteva in meditazione. Neanche sotto tortura avrebbe levato la mano contro un compagno. Aveva fatto tanti errori in passato ma, come nella battaglia delle dodici case, lui non aveva forse salvato Hyoga? Non avrebbe mai ucciso un compagno. Non era stato lui a riconoscere in Kanon un cavaliere d’oro? Non avrebbe mai ucciso un compagno, neppure se fosse diventato uno spectre. In fondo Shaka non aveva fatto male a nessuno. Probabilmente Atropo l’aveva ingannato. Aveva tentato di confonderlo. E lui ci era cascato perché impulsivo. Per quella stessa impulsività aveva finito col litigare con Saga e Camus. Aveva finito con il trasformare i dubbi su se stesso in dubbi su di loro. Ora si sarebbe alzato e sarebbe tornato indietro. Si sollevò e fissò i suoi occhi nel caldo sole di Bodh Gaya. Sorrise a se stesso perché sapeva che, prima di fare pace con i suoi compagni, doveva fare pace con se stesso.

Camus e Saga camminavano fianco a fianco. Cloto era scomparsa. Probabilmente li aveva preceduti.
-Intendi davvero far finta di nulla?- fece Camus all’improvviso.
-Ti ricordavo meno loquace.
-Ti ricordavo più intransigente.
-Vuoi dire spietato!
-Volevo dire intransigente.
-Chiacchieri troppo per i miei gusti. Almeno è la prova che sei guarito. La crocerossina infernale ti ha curato bene!
Camus si bloccò sul posto e lo prese per un braccio. Saga si irrigidì. Non amava sentirsi minacciato.
-Shaka è uno spectre.
-Quando dirai qualcosa che non so?
-E’ una donna!
-E allora?
-Come allora, Saga! Una donna non può diventare cavaliere d’oro!
-Non stiamo discutendo se sia degna di essere o meno cavaliere d’oro. Stiamo cercando di salvarle la vita. Se lo merita!
A queste ultime parole Camus abbassò lo sguardo e lasciò la presa. Saga addolcì la voce.
-So che sei preoccupato per Milo. So riconoscere quel tipo di affetto perché, per molto tempo, l’ho provato per Kanon. Ogni volta che pensavo che qualcosa, o qualcuno, potesse allontanarlo da me, li facevo a pezzi. Così però non l’ho aiutato. A Kanon, col tempo, sono rimasto solo io. Avrei dovuto accettare che facesse la sua vita, anche se questo poteva significare perderlo. Milo deve fare la sua strada. Lui vuole aiutare un suo compagno. Non sa neppure che è una donna!
-E che succederà quando lo scoprirà? Gli uomini di Persefone hanno fatto tutti una brutta fine.
Saga si fermò un attimo a riflettere sul fatto che forse Milo stava combattendo in quel modo per Shaka perché inconsciamente ne era attratto. In fondo lui non si era infilato in quella storia per lo stesso motivo? Certo, inizialmente voleva sdebitarsi con Atena, dopo però aveva seguito Shaka. Come una falena che segue la luce.
-Che succederà se l’acqua della vita salverà Shaka?- chiese Camus con un’incertezza nella voce che non apparteneva alla sua natura.
-Prega che lo faccia. Perché se così sarà, potremo fare i conti con tutto questo avendo la coscienza a posto. Dopo potremo fare pace con noi stessi. Ora andiamo, il villaggio è vicino e non sappiamo quanto resti a Shaka.

Rajamuni la guardava dormire. Quasi non respirava. Dopo tanto tempo, si concesse di pensare che era bella. I lunghi capelli neri a circondarle i lineamenti decisi e le lunghe ciglia. Sotto di esse, riposavano i più profondi abissi che avesse mai visto. Certo lui avrebbe preferito riavere la sua Shaka. Quella dorata come le spighe del grano e dagli occhi azzurri come il cielo. Tuttavia non faceva differenza poiché per lui contava il suo spirito, la sua essenza. Per lui Shaka aveva un solo colore, il bianco. Vestita di bianco, l’aveva vista il primo giorno che l’aveva incontrata. Piangeva la piccola Shaka perché aveva perduto la sua famiglia e il maestro l’aveva vestita con il colore del lutto. In quel sari bianco però Shaka era apparsa bellissima. Come una dea Indù. A lei aveva dato il suo cuore in sacrificio.
Si mosse appena e aprì gli occhi. Si alzò lentamente.
-Ben sveglia. Ti ho preparato la colazione.- disse Rajamuni dissimulando una voce allegra.
A quelle parole Shaka si guardò i polsi. Un altro fiore era scomparso.
-Grazie Raja.
-Su quella sedia ti ho messo degli abiti puliti. C’è sia un kurta che un sari. Scegli tu.
Shaka si voltò a guardare i vestiti. Da quanto tempo non indossava un abito femminile?
-Non lo so, Raja. Forse il sari. Tanto ormai non conta più.
-Conta per me. Mi faresti felice se indossassi ancora una volta il sari.
Shaka tornò a guardarsi le mani. Si alzò e andò davanti alla tinozza dell’acqua. Si rinfrescò e si guardò allo specchio. Non ricordava che i suoi capelli si fossero scuriti e si allontanò dalla superficie riflettente.
-Stai bene?- chiese l’uomo porgendole un asciugamano.
-Sì. Avevo scordato il mio aspetto. Tutto qui.
-Il maestro non ha sempre detto che l’aspetto esteriore non conta nulla?
-Già, chissà come sta il maestro.
-Sta bene. Ho detto ai miei di avvisarmi se fosse accaduto qualcosa al vecchio. Sta tranquilla. Io esco a raccogliere un po’ di frutta. Tu vestiti.- concluse chiudendosi la porta alle spalle.
Shaka lasciò cadere la tunica e prese la stoffa del sari. Ora come ora, il bianco non le si addiceva. Si ricordava come si annodava? Al secondo tentativo ci riuscì. Si guardò di nuovo allo specchio.
Come poteva essere morente, sentirsi così debole e, allo stesso tempo, avere un aspetto così sano? A parte il colore diafano della pelle, i suoi muscoli erano ancora tesi e la sua pelle morbida. Nonostante i molti anni passati a nasconderlo sotto le fasce elastiche, aveva ancora un seno florido e il ventre piatto e liscio.
Forse quella bellezza veniva da quegli occhi scuri e profondi come il tartaro?
La porta si riaprì e lei si voltò di scatto verso Rajamuni ancora impreparata a farsi vedere. Le mele caddero dalle braccia dell’uomo e rotolarono fino ai piedi di Shaka. Lei si chinò a raccoglierle e lui le fu subito affianco.
-Scusa. Ammetto che neppure nelle mie più recondite fantasie, ti ho immaginata così bella.
Shaka arrossì. Avrebbe voluto alzare lo sguardo e ringraziare Raja per averle concesso cinque giorni di vita normale, cinque risvegli come quello, cinque passeggiate lungo al fiume per aspergere l’acqua sacra. Invece l’unica cosa a cui riuscì a pensare, non appena afferrò quella mela rossa e liscia, fu Milo.
Le parole di Atropo le tornarono, prepotenti, alla mente. La morte sarebbe venuta per mano dell’uomo per cui lei aveva deciso di tradire Hades. Una voce nella sua mente che era le apparteneva ma non era la sua, le disse che quell’uomo era Milo. Chiuse gli occhi. Non avrebbe permesso che Milo la vedesse così. Pensò che, forse, cinque giorni non se li meritava, che non ne aveva il diritto. Forse era tardi per chiedere perdono a Saga, a Camus e a Milo per le sue bugie, tuttavia non era tardi per fare finalmente pace con se stessa.
Sorrise e Raja pensò che forse i suoi complimenti l’avevano resa felice.
-Io vado alla vecchia taverna, te la ricordi? Riso con pollo e verdure? Ma sì. Due belle porzioni abbondanti!- disse uscendo di nuovo in tutta fretta.
Shaka pensò che, quando fosse tornato e non l’avesse trovata, Raja avrebbe urlato di dolore e disperazione.
Lei però doveva andarsene, per il bene di tutti, ancora una volta. Quella voce, che era nella sua testa e che lei sapeva appartenere a Persefone, le sussurrava di restare e aspettare l’arrivo di Milo.
Quello era il motivo per cui sentiva invece che doveva andarsene via in fretta. Pensò di scrivere un biglietto. Non lo fece. Aprì la porta e non la richiuse, così Raja avrebbe compreso subito che qualcosa non andava e che averla in casa con lui era stata solo una fragile illusione.

Si era perso. Invece della strada per tornare indietro al santuario, aveva fatto quella per allontanarsene ancora di più. I suoi sensi di aracnide gli suggerivano che la direzione era sbagliata, ma la via era quella giusta. Quando raggiunse una cascata si accasciò e maledisse il suo istinto.
-Stupido idiota!- disse a se stesso allungando una mano all’acqua fresca che cadendo da quella poderosa altezza, si infrangeva e raccoglieva in quella sorta di lago per poi rincorrere quella del fiume –Ora come farò a tornare al tempio? Almeno fossi sceso al villaggio! Bhé, ora come ora, non posso farci nulla.
Milo si stese nell’erba fresca e trovò la sensazione piacevole dato che la sua pelle bruciava per il sole rovente e il caldo del posto. I suoi muscoli si rilassarono e il suono dell’acqua scrosciante lo aiutò a calmarsi. In breve si addormentò.
Nei recessi della sua mente sognò di nuovo la fanciulla che lo liberava dai lacci della morte. Solo che ora non era più bionda ma portava lunghissimi capelli corvini. Nel sogno Atropo gli ordinava di ucciderla ma lui si rifiutava e, mentre lottava con la più anziana delle Moire, giungeva Camus che attaccava la fanciulla con la sua aurora del nord. Lei urlava e precipitava, precipitava in un baratro. Quando finalmente lui poteva raggiungerla, lei era morta e il suo corpo galleggiava sotto il velo d’acqua trasparente.
Provava a tirarla fuori ma, all’improvviso, si accorgeva che all’altezza del petto aveva uno squarcio che grondava sangue. Consapevole della morte, si abbandonava e ricadeva sul corpo della donna. Solo in quel momento udiva una voce che diceva una sola parola: vivi.
Milo si svegliò in preda al sudore e all’agitazione. Si sfilò la maglia e si lanciò in acqua. Sentiva il cuore battere all’impazzata, sembrava gli stesse per esplodere nel petto. Che avrebbe pagato ora per avere uno solo dei tocchi che Camus gli riservava dopo le infinite sessioni di allenamento per raffreddare la sua temperatura sempre troppo alta. Da scorpione del deserto.
Il sole stava per tramontare. Il caldo opprimente passava. Lo specchio d’acqua si tinse del rosso del sole morente e Milo rivide se stesso giocare con Shaka sul cornicione del balcone più alto del tempio di Mahabodhi. Erano passati solo pochi giorni ma a Milo sembrava un ricordo lontano. Si sollevò lasciando che il bordo dell’acqua gli solleticasse l’ombelico e si passò le mani nei capelli per tirarseli indietro.  Stirò i muscoli del torace e camminò verso la riva. Ora il lago ai piedi della cascata sembrava fatto di fuoco.
Fece per infilarsi la maglia quando, un riflesso in cima al dirupo attirò la sua attenzione. Contro luce non riuscì a distinguere bene ma c’era qualcuno lassù. Una delle figure indietreggiava sempre più verso il ciglio del dirupo. Non erano affari suoi, eppure qualcosa lo costrinse a guardare. Ancora un momento e poi, la figura a ridosso del burrone, si lasciò cadere nel vuoto.

Camus e Saga trovarono facilmente la casa di Rajamuni. Non si aspettavano, però, di trovarla vuota.
Raja li sorprese alle spalle. Aveva in mano un cesto dal quale si levava un filo di vapore. Appena l’uomo li vide, il cesto finì per terra e il riso si rovesciò nell’erba.
-Cosa ci fate voi qui?
-Siamo venuti a cercare Shaka.- disse Saga cercando di non farlo sentire minacciato e mostrando la borraccia- E’ l’acqua della vita. Potrebbe salvarla.
A quelle ultime parole Raja fece un passo indietro.
-Voi sapete la verità.
Saga annuì.
-Ad ogni modo, non è qui. Tu sai dov’è?
Raja corse in casa e con la stessa velocità, ne uscì.
-Era qui. Doveva restare qui.- disse tremando- Lei sta morendo, le restano solo pochi giorni.
Camus fu scosso a un brivido. Finora aveva pensato solo a Milo, al fatto che non voleva perdere quel rapporto privilegiato che aveva con lui. Temeva che Milo potesse perdere la testa per Shaka se avesse saputo che era una donna. Per questo, quando l’aveva scoperto, non glielo aveva detto. Ora però, stava prendendo coscienza che Shaka stava realmente morendo.
Saga lo scosse.
-Chiama Cloto.
-Chi ti dice che, se la chiamo, verrà?- chiese Camus sinceramente.
Saga reagì estremamente infastidito.
-Andiamo! Sei l’unico che non si è accorto che la filatrice ha un debole per te!
Camus non era il genere d’uomo cui si potevano fare commenti del genere per due ordini di ragioni: la prima atteneva al fatto che il cavaliere di Acquarius non aveva mai mostrato interesse per le questioni di tipo sentimentale e amoroso; la seconda riguardava il fatto che non li capiva. Semplicemente gli sfuggivano le semplici regole d’ingaggio di un corteggiamento. Per cui il fatto che Cloto fosse apparsa dal nulla per salvarlo e poi fosse ricomparsa a vegliarlo e infine che l’avesse avvolto nelle sue vesti per salvargli ancora la vita, a Camus sarebbe sembrato il semplice corso degli eventi.
-Chiamala.- concluse Saga.
Non ci fu il tempo per tentare, comunque, perché Cloto apparve e li afferrò entrambi per i polsi. Scomparvero tutti e tre sotto gli occhi di Raja che rimase a chiedersi se avrebbe mai rivisto Shaka.

Il vento soffiava forte e l’acqua della cascata arrivava come pioggerellina rarefatta fin dove si trovava lei. Shaka guardò verso il basso. Il sole stava tramontando. Aveva passato tutto il giorno a guardare il vuoto del baratro.
-Fare pace con se stessi, a volte, significa ammettere che tutto è compiuto.- Si disse ripensando agli insegnamenti del maestro Gautama.
Si alzò e raggiunse il bordo del dirupo. Una folata più forte delle altre la fece voltare. Sgranò gli occhi. Innanzi a lei c’erano Cloto, Camus e Saga. Indietreggiò di un passo.
-Fate qualcosa!- urlò Cloto –Vuole gettarsi di sotto!
Camus non riusciva a parlare. Quella era Shaka? Non sembrava la stessa persona che era sparita dal tempio. Non c’era traccia di energia negativa in lei, i suoi occhi scuri non incutevano timore, bensì pietà.
Saga sollevò una mano per farle capire che non si sarebbero avvicinati e che, dunque, non c’era ragione di indietreggiare. Saga aveva intuito sin dal viaggio in Jamir che Shaka non era un semplice spectre e che, probabilmente, era Persefone. Si ricordò di quando, durante il viaggio nella terra di Yomi, aveva litigato con lei e tentato di estorcerle i suoi segreti.
-E’ personale- aveva detto allora e mai parole erano state più sincere.
Shaka era bellissima. Come Atena. Non come Atena. Aveva di Atena la dignità, ma possedeva una maggiore umanità. Santo cielo, come aveva fatto a non capire prima che era una donna? Tutta quella femminilità, dove l’aveva nascosta?
-Cloto perché li hai condotti qui?- chiese con fermezza ma, allo stesso tempo, dolcezza nella voce.
-E’ tutta colpa mia, signora. Non voglio che poniate fine alla vostra vita così! I cavalieri hanno preso l’acqua della vita. E’ ciò che gli dei chiamavano ambrosia. Vi può curare!
-Può curare Persefone. Non può fare nulla per Shaka.- rispose lei con la pacatezza che un tempo era appartenuta al cavaliere di Virgo.
-Non essere sciocca!- gridò Saga –Milo ha scalato la montagna maledetta per prenderla, vuoi che il suo sacrificio sia stato vano?
A quelle parole Shaka tremò. Milo non era con loro e ora Saga parlava di sacrificio.
-Dov’è Milo?
-Chi può dire dove sia quell’idiota. E’ scappato a cercarti. Era in ansia. Tu sai che non mollerà fino a che non ti avrà guarita.
-Gli hai detto tutto Camus? Gli hai detto cosa sono?- disse rivolgendosi ad Acquarius questa volta con una punta di cattiveria nella voce.
Il cavaliere non rispose.
-Milo non sa nulla.- intervenne Saga –Sarai tu a dirgli come stanno le cose, quando sarai guarita.
-Saga, non so perché tu abbia deciso di aiutarmi. Ad ogni buon conto, ti ringrazio ma tu sai che non posso farlo. Tu fra tutti, dovresti sapere che non posso tornare su miei passi. Persefone è una divinità di morte. Appartiene all’olimpo oscuro di Hades. Il mio maestro e il sommo Shion fecero di tutto per sigillarla con l’armatura di Virgo. Ora quel sigillo è spezzato. Non mi pento perché vi ho salvati dalla morte. Ora però non posso permettere che un pericolo tanto grande permanga. Persefone deve sparire. Non avrebbe neppure dovuto risvegliarsi in quest’epoca. Per questo voi dovete andarvene ora.  L’ambrosia può salvare lei ma non me. Io non voglio risvegliarmi come una divinità malvagia. Questa è la mia decisione. Se tu avessi potuto scegliere avresti fatto le cose che hai fatto sotto l’influsso di Arles?
Saga abbassò lo sguardo e lasciò cadere la borraccia. Camus reagì.
-Aspetta! Cosa diremo a Milo? Che ti abbiamo lasciata morire senza neanche tentare?
Shaka gli sorrise e Camus si sentì in colpa.
-Io l’ho aiutato quando ha perso te, tocca a te aiutarlo quando saprà che ha perso me. E, ve ne prego, non ditegli che sono una donna. Ne sarebbe umiliato.- concluse sorridendo.
Cloto le corse incontro ma Camus la trattenne.
Shaka lanciò un ultimo sguardo verso Saga carico di mille parole, pensieri, lacrime e sorrisi e si gettò di sotto.

Mano a mano che la distanza con la superficie dell’acqua si accorciava, Milo afferrava la realtà. Quella persona sarebbe morta. Da quell’altezza, l’impatto con l’acqua sarebbe stato fatale. Prese la rincorsa e bruciò il suo cosmo più forte che poteva. Saltò e intercettò la figura a mezz’aria. Non aveva però calcolato che, così facendo, sarebbero finiti contro la cascata. Un muro d’acqua verticale invece di uno orizzontale.  Meraviglioso. Milo sorrise stringendo la testa della persona che aveva appena salvato e diede le spalle alla cascata. Amava le situazioni disperate, tiravano fuori il peggio di lui. Il dolore alla schiena fu tremendo e si ritrovò a cadere di testa nella nuvola d’acqua ai piedi della cascata.
Anche questo impatto fu doloroso ma non aveva tempo di pensare al dolore. Lui era riuscito a prendere un bel respiro ma, certamente, i polmoni della persona svenuta si stavano velocemente riempendo d’acqua.
Quel demonio di cascata faceva resistenza. Non voleva lasciarlo andare. Milo usò di nuovo tutto il cosmo che aveva per nuotare fino alla superficie. Il sole era tramontato. Sollevò il capo coperto di capelli neri della persona svenuta tra le sue braccia. Scostò i capelli ed impallidì. Il volto sotto quella massa di capelli neri e bagnati era quello di Shaka. Scosse il suo corpo e lo portò a riva. L’abito bagnato aderiva alle sue forme perfette e Milo divenne ancora più pallido e poi rosso in viso. Il corpo che aveva tra le braccia era quello di una donna. Tornò a guardare il suo viso. Era Shaka. Non c’era margine di dubbio. O no? Somigliava alla donna del sogno. Era la donna del sogno. Era Shaka? La sua testa scoppiava e Shaka -era Shaka?- non respirava. La ripose sull’erba e cominciò a fare delle rapide e precise pressioni sul suo torace. Non era facile considerando che il seno della donna -era il seno di Shaka?- si alzava ad ogni pressione e gli sfiorava le mani.
Si vergognava ma quell’immagine lo eccitava. Si fermò e si chinò per vedere se respirava. Niente. Riprese a spingere sul petto e, al quarto colpo, la donna -era Shaka?- tossì espellendo l’acqua. Lentamente aprì gli occhi. Erano neri e liquidi.
-Shaka?
-Milo… io… non sono…morta.
A quelle parole, Milo sentì le lacrime sgorgare da sole. Era sollevato? Arrabbiato? Lei era Shaka. E lui lo aveva sempre saputo. Se solo avesse trovato il coraggio di guardare davvero!
Se avesse guardato con gli occhi del cuore il giorno che Shaka lo aveva abbracciato e lui aveva pianto per Camus, avrebbe visto, mentre l’abbracciava che il collo di Shaka era sottile e liscio, diverso dal suo. Se durante gli allenamenti, sotto il sole di Grecia, avesse guardato col cuore, avrebbe visto che, mentre tutti rimanevano a dorso nudo, Shaka continuava a combattere con la divisa addosso. Se avesse guardato col cuore, l’avrebbe visto che i pochi sorrisi che faceva erano dolci come quelli di Saori. Se avesse guardato col cuore, le poche volte che aveva stretto Shaka, avrebbe sentito che era il corpo di una donna quello tra le sue braccia.
Si chinò su di lei e le scostò alcune ciocche umide dalle guance.
-Non morirai. Te l’ho già detto mille volte, quante altre ancora dovrò farlo?- sorrise.
Shaka chiuse gli occhi e voltò il capo di lato. Lui la sollevò da terra e la strinse fra le braccia.
-Ti ho detto che, per me, non avrebbe fatto differenza.
-Milo, cosa fai?
-Ti dimostro che non fa differenza.
Shaka si allontanò da lui con le ultime forze che le rimanevano.
-No Milo! Questa non è una delle storie che ti raccontava la tua tutrice da bambino. Io sono il male. Dovevo morire, non essere salvata da te. Soprattutto non da te.
-Non da me? E perché mai? Persefone odia gli scorpioni?
-Non fare così!
-Così come?
-Non essere sarcastico! Non sfidare forze più grandi di te.
-Ho sfidato la morte!- urlò Milo e le parole uscirono come se fossero state nel suo cuore da sempre –La morte non mi fa paura. Mi fa paura una vita senza di te!
Shaka si sentì venire meno. Cosa doveva fare adesso? Per lei lottare contro la morte era stato semplice. L’aveva fatto tutta la vita. Lottare contro la vita, poteva? Poteva lottare contro Milo? Milo era la vita per Shaka.
-Non mi resta molto da vivere ma, se per te non fa differenza, vivrò i miei ultimi giorni.
-Fa differenza.- Disse Milo sollevandola -Saga ha la cura.
-Curerà solo Persefone.- gli rispose Shaka.
-Tu sei Persefone.- disse Milo con semplicità.
Shaka chiuse gli occhi. Come faceva la verità a palesarsi così facilmente tra le labbra di Milo? Tra le desiderabili labbra di Milo? La sua voce interiore, che era lei ma non proprio lei, le suggerì che in cambio della sua vita, o quel che ne restava, avrebbe desiderato un solo bacio di quelle labbra velenose.
Milo si bloccò di colpo. Di fronte a lui stavano Saga, Camus e Cloto che erano scesi dalla cima del baratro per recuperare il corpo di Shaka.
Milo, istintivamente, nascose il suo seno dalla loro vista stringendola di più a se. Poi fu colto dalla consapevolezza che erano loro gli altri uomini in cima al monte.
-Avete lasciato che cadesse?
-E’ stata una sua scelta.- Disse Camus.
-La scelta di una persona sconvolta che sa di essere condannata a morte!
-Le abbiamo detto della cura- intervenne Saga -ma dice che teme lo spirito di Persefone.
-Lei e Persefone sono la stessa persona. Sono l’unico che ha un po’ di ottimismo? Shaka è sempre stata Persefone e ha scelto di combattere per Atena. Non è malvagia. Fu costretta a restare negli inferi, ricordate la storia?
-E’ solo una delle versioni… - riprese Camus.
-Allora facciamo a modo tuo. Prendi l’acqua della vita e salvala.- concluse Saga porgendogli la borraccia.
Milo poggiò Shaka sull’erba e avvicinò la borraccia alle sue labbra. Shaka prese un sorso ma lo rimise subito dopo.
-Non ci riesco.- sussurrò Shaka.
-Solo un sorso.- fece Milo.
Lei riprovò. Niente.
-Non ci riesco.
Milo si alzò e prese a camminare verso Cloto. La ragazza indietreggiò e cercò Camus con lo sguardo. Milo comprese e alzò le mani.
-Non intendo farti del male. Voglio chiederti di portarli via. Per un po’. Devo restare solo con Shaka.
-Perché?- chiese la divinità.
-Hai visto tu stessa che mi ascolta. Voi l’avete spinta al suicidio. Portali via.
-Milo che vuoi fare?- chiese Camus preoccupato.
-Allora?- chiese Milo rivolgendosi solo a Cloto e ignorando l’amico.
Cloto raggiunse Camus e Saga e li fece scomparire.
-Che vuoi fare?- chiese Shaka.
Milo si voltò a guardarla e Shaka vide una luce nei suoi occhi che non aveva mai visto.
La raggiunse e si inginocchiò davanti a lei.
-Berrai quel sorso.
Shaka cominciò a trascinarsi indietro, lentamente.
-Non rendermi anche divertente la cosa Shaka!- disse Milo sorridendo.
Shaka urtò qualcosa indietreggiando e sentì due braccia forti bloccarla.
-Saga!- urlò Milo – Tu che ci fai qui?
Saga strinse Shaka per le spalle e gli rispose.
-Sono il signore delle altre dimensioni e credevi che Cloto avrebbe potuto trascinarmi dove non voglio? Avanti facciamo in fretta. Da solo non ci riusciresti mai. La tengo ferma.
Solo allora Milo comprese e scattò.
-Non intendevo costringerla! Per questo volevo che ve ne andaste!
-Credi di poterla sedurre?- chiese Saga –Avanti, fallo in fretta o lo farò io.
Milo si sentì infiammare. Prese un sorso dalla borraccia e si inginocchiò daccapo.
Shaka provò a ritrarsi. Non le sarebbe dispiaciuto baciare Milo ma era tra le mani di Saga e la testa le cominciava a girare. Quando le labbra di Milo la toccarono, fremette e sentì il liquido dolce scendere nella sua gola. Questa volta non tornò su. Le labbra di Milo rimasero incollate alle sue fino a quando non sentì un calore forte alla bocca dello stomaco e svenne. In pace con se stessa.

Piccole note dell'autrice:
Rieccomi... Scusate l'iimenso ritardo con cui aggiorno questa fic. Un po' ho avuto giornate tremende, un po' volevo che fosse completo, che arrivasse fino al primo bacio di Shaka e Milo. Nota tecnica: non c'è nessuna prova nell'universo di Saint Seiya che l'acqua della vita sia l'ambrosia. Non trovo però nulla di strano nel fatto che possano essere la stessa cosa.
Per il resto spero che il risvolto che ha preso la trama vi piaccia. Ormai il triangolo ha preso la sua forma. Che faranno Cloto e Camus lasciati soli soletti da Saga? E che succederà quando Shaka si sveglierà dal tremendo bacio di Milo? Prometto di aggiornare presto. Kisses.
PS. Un ringraziamento speciale va a Tanit... ho rovinato tutto??? XD.

  
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