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Autore: Curly_Girl    10/02/2014    14 recensioni
Come se il dolore fosse contenuto nella sua massa grassa,
Louis quando soffriva, smetteva di mangiare per mandarlo via .
Louis!Anorexic \ Larry \
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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5.Backstage

(Per ringraziarvi di tutto il supporto, ho pensato di postare una sorta di doppio capitolo! Spero tanto mi scriviate cosa
ne pensate, grazie ancora)

 


Quella mattina Harry si era svegliato raggiante, determinato, colmo della foga di chi ha sogni, progetti, persone in cui sperare ancora,          per le quali lottare.

Pieno di qualcosa che gente come Louis, poteva solo immaginare ed invidiare.
Aveva il sole negli occhi, il fervore tipico, o quasi, di un ventenne che sente di aver appena cominciato a vivere.
O almeno, era così che la gente lo vedeva.
Un gran lavoratore, decisamente una bella persona, con nulla da nascondere.
Così veniva considerato nella sua cittadina d’origine, come d’altronde a Londra, all’università, in ospedale.
Harry era una di quelle persone su cui tutti facevano affidamento, per qualsiasi cosa: l’anziana vicina lo chiamava per le riparazioni domestiche ad esempio, che di recente, erano diventate quasi quotidiane; il primario del reparto poi, tanto gentile, lo chiamava per ogni sorta di lavoro sporco, comprese le sostituzioni improvvise dei suoi altrettanto cari colleghi;
per non parlare della madre, soprattutto quando aveva bisogno di sfogarsi a causa della mancanza del figlio, oppure della sorella, con cui si vedeva per litigare quanto bastava per non scordarsi com’era la vita prima di diventare adulto.

In particolar modo, si affidava del tutto al ragazzo, il caro Liam Payne.
Inizialmente, quando si incontrarono in ospedale, molti mesi prima, parve ad Harry un tipo quasi insopportabile, uno di quelli che odiava con tutto il cuore aspettare, per qualsiasi cosa, e doveva per forza farlo sapere a tutti.
E insomma, considerata la celebre indole da gran lavoratore di Harry, aveva cominciato a chiedere lui le cartelle cliniche, e gli appuntamenti con i pazienti, così che gli arrivassero in quel piccolo lasso di tempo che la sua poca pazienza concerneva.
Poi i due avevano cominciato a mangiare alla mensa dell’ospedale insieme, poichè accadeva che quasi tutti i colleghi se ne stavano tra loro, e il povero Liam rimaneva spesso escluso, non sfuggendo così alla gentilezza di Harry.

Poi dai discorsi sul lavoro avevano cominciato a confidarsi, e a volte al più giovane, pareva che di esser diventato lui lo psicologo, ma in fondo non gli dava fastidio, anzi, si sentiva meno solo in quella grande città.
Non passò molto tempo quando, per problemi economici decisero di dividersi l’affitto dell’appartamentino di Payne.
Così Harry era diventato il segretario di tutti, disponibile per chiunque, tranne che per se stesso. Non aveva una relazione dall’ultimo anno di Liceo.
Non lo considerava di certo un problema, ma gli sarebbe piaciuto tornare a casa e aver qualcuno a cui pensare, che non fosse magari il lavandino otturato della signora Smiths.
Da qualche tempo usciva con un certo Nick, un tipo presentatogli da Liam in un bar, una sera, quando l’amico l’aveva trascinato fuori implorandolo di fargli da spalla con una ragazza.  Harry non ci aveva messo molto ad accettare l’invito, Liam era una vera frana con le donne e a lui ovviamente, non dispiaceva dargli una mano.
Fu una grande sorpresa quando la serata si rivelò stranamente propizia per lui.
Ovviamente anche con Nick non finì bene, o almeno, non come sperava.
Troppi impegni, si vedevano di rado, e quel ragazzo era un gran farfallone, il tipico stronzetto pieno di sé che pensava di poter andar di fiore in fiore alle feste, credendo che Harry non si sarebbe mai ribellato.
Però il piccolo, giovane ed inesperto, era troppo buono anche per chiudere con le persone, e così, erano rimasti amici.

Fondamentalmente, diceva sempre Liam, Harry era una di quelle persone buone di natura, che non si può far altro che ammirare.
Inoltre, un po’ perché il ragazzo non amava parlarne, un po’ perché non credeva che interessasse seriamente a qualcuno, erano davvero in pochi, (e Liam era certamente uno di quelli) a conoscere la fragilità che la troppa bontà gli aveva portato. I retroscena.
Così Harry sopportava da solo il bruciare della lista di delusioni che pareva avere incisa come un marchio a fuoco sulla schiena.
Rimuginandoci sopra quando il dolore era troppo forte, costretto ad alleviarlo autonomamente con qualche metodo inutile, come piangersi addosso e poi rintanarsi a letto, tentando di dormirci sopra per non pensare.

Ad esempio, preoccuparsi del dolore altrui, delle persone, era un buon modo per distrarsi e non pensare al proprio, anche per questo Harry amava aiutare la gente ogni qualvolta che poteva: si annullava per non sentire più niente.

Non si sorprese quando, costretto a prendersi cura di Louis Tomlinson, riuscì quindi a svegliarsi tanto determinato e attivo, anche se aveva dormito poco, pensandoci tutta la notte:
perché diamine qualcuno come lui, un ragazzo di ventitre anni, dovrebbe desiderare tanto di mettere fine alla sua vita?
Forse se non per se stesso, rifletté, anche lui avrebbe potuto trovare un motivo in più per vivere, negli altri.
Harry non riusciva a toglierselo dalla testa in nessun modo.
Era un attore, a quanto pare anche ottimo, e di certo trovare un lavoro poteva non essere tanto facile, ma aveva una compagnia, e quella era la stagione in cui si lavorava di più, perché mai suicidarsi ora?
Con tutte quelle cose da fare, di cui preoccuparsi, quel palcoscenico che immaginò, Louis amasse.
Doveva esserci un modo per distrarlo da ciò che aveva dentro di tanto micidiale.

Ci arrivò solo quando quella mattina, camminando per i corridoi, per il solito giro mattutino dei pazienti, vide Liam parlare con una donna, fuori dal suo studio, che teneva per mano la figlia, la bambina muta che da un po’ Harry aveva visto nel reparto di pediatria.
Aveva gli occhi azzurri, profondi e freddi come quelli di Louis, e due treccine bionde; anzi, guardandola meglio, immaginò proprio così una delle sorelline del ragazzo, che ricordò lui avesse confessato in un momento di debolezza, fossero quattro, che lui adorava, anche se non era ricambiato, a quanto pare.
Così sorrise alla piccola, che gli fece un cenno timido con la mano, e quasi fu sul punto di ringraziarla quando una strana idea gli balzò in testa.

Il giro dei pazienti finì presto, e Harry fece in modo di lasciarsi per ultimo Louis.
Era sicuro, sarebbe stato fantastico.
Come al solito tentennò un po’ prima di entrare, da una parte perché aveva il terrore di trovarlo morto, o peggiorato, dall’altra perché il ragazzo lo metteva leggermente in soggezione. Dopo qualche secondo infilò la testa nella stanza, notandolo ancora legato.

< Buongiorno infermiere > esclamò il paziente, non appena intravide la testa riccia di Harry < Louis, chi ti ha legato? > < Il dottor Austin,
mi ha fatto visita ieri sera dopo che te ne sei andato, ha detto che oggi pomeriggio vuole farmi qualche analisi, e mi ha lasciato questo bel regalino per paura che scappassi > l’altro grugnì, infastidito.
Non sopportava quel medico, sempre con quel fare ostile, e l’idea che non fosse con Louis quando era passato, lo metteva in agitazione, c’era qualcosa che non andava, come se il dottore odiasse chissà perché quel ragazzo.
Non c’era proprio alcun bisogno di tenerlo ancora legato.

Subito spalancò la porta, trascinandosi dietro una sedia a rotelle < E quella? Dove mi porti? > domandò il ragazzo tirandosi a sedere, così da poter vedere meglio; Harry gli sorrise, apprestandosi a togliere quelle cinghie < Prima a prepararti, poi ti faccio fare un giro, che ne dici? > uno strano sguardo comparve sul viso del più grande < Interessante, sai? Avrei proprio bisogno di una doccia > < Non credo sia possibile Louis, non ti reggi neanche in piedi > quello rise < Ma per questo ci sei tu, no? >.
Alla strana proposta, Harry arrossì incredibilmente, come se fosse la prima volta che aiutava un paziente a lavarsi; peccato che quel paziente fosse l’ottava meraviglia del mondo, e che la cosa diventasse per lui alquanto equivoca.
< Forse è meglio se ti chiamo un altro infermiere, non pensi? > domandò grattandosi la testa < E perché mai? > < Beh, considerando che s … sono gay, non è un po’ imbarazzante? Cioè, non … > Louis rise < E’ più imbarazzante puzzare di capra selvaggia ed essere costretto a stare a contatto con infermieri e dottori, impossibilitato a lavarmi > Harry rimase in silenzio, annuendo mesto, e spostando la flebo < Ma devo portarmi dietro tutta quell’attrezzatura? > chiese supplicante il ragazzo muovendo il braccio con il filo < Ora controllo e se hai finito le dosi prescritte dal dottore, te la tolgo >.
Controllò velocemente la cartella clinica, notando che, avendo cominciato a “mangiare” in teoria, le dosi di flebo erano ridotte.
< Hai mangiato a colazione? > Louis sorrise, domanda d’obbligo < L’infermierina con la quale mi hai mollato mi ha costretto ad ingurgitare mezzo piatto di uova strapazzate, ti basta? >.
Era un dato di fatto che le infermierine fossero decisamente più dure di Harry, e questo lo sapeva Louis, come tutto il reparto.
< E’ già qualcosa, ma appena torniamo sarò costretto a mettertela di nuovo, non sei ancora abbastanza in forze Lou > il paziente annuì, porgendo il braccio al ragazzo < Aspetta, com’è che mi hai chiamato? > Harry andò in fiamme ancora una volta, abbassando lo sguardo mentre sistemava tutto per potergli togliere quell’ago < Lou, non so perché, Louis era troppo lungo > < Interessante, mi piace, Harold >.

Harold, forse neanche la prozia Evangeline osava chiamarlo più in quel modo per sgridarlo per chissà quale marachella, come capitava quando era piccolo.

< Tu dai i soprannomi al contrario invece, più lunghi sono più ti piacciono, eh? > sputò fuori il giovane facendo scoppiare il più grande a ridere < Sei sicuro che stiamo ancora parlando di soprannomi, Harold? >.
Le loro risate risuonavano ancora nella stanza quando Louis porse il polso ad Harry, impaziente di togliersi quel filo scomodo di dosso.

E mentre, tolto l’ago, lo disinfettava, l’infermiere tentò in ogni modo di fare a meno di notare vecchi ed inquietanti disegni su di esso. Ferite di guerra.
Louis però conosceva bene le persone, ed era altrettanto esperto quando si trattava di assistere allo sguardo di chi sembra vedere il dolore altrui per la prima volta.
Anche se quel ragazzo era un infermiere, anche se probabilmente aveva visto di tutto, l’ombra nei suoi occhi, quando notò quelle cicatrici sulla pelle del paziente, non sfuggì a Louis in alcun modo.

Sorrise malamente, cercando di concentrarsi solo sul tocco di Harry, delicato, gentile e un po’ impaurito, come quel ragazzo, insomma.
< Non mi fai male, sai? > tentò quindi di confortarlo, o forse di provocarlo, per sapere cosa stesse pensando < Lo so > mormorò il piccolo passando l’ovatta pregna di disinfettante < E perché tremi, allora? >.
Harry alzò lo sguardo per un attimo, incontrando quello del più grande, che pareva sincero, forse per la prima volta < Perché fanno paura > e quello annuì, completamente d’accordo < Ora sono innocue > aggiunse il paziente, costernato, chissà per quale motivo.

Louis si sorprese di se stesso, non si era mai vergognato, soprattutto negli ultimi tempi, di nascondere in un modo o nell’altro, i segni del suo dolore; forse perché era certo che nessuno li avrebbe mai guardati, come di fatto accadeva.
Se non Zayn, o Juliette, i quali però non potevano fare niente.
Poi un ragazzo con gli occhi sinceri l’aveva guardato, guardato davvero, nel suo stato peggiore, vicino alla fine che tanto il ragazzo aveva cercato, e aveva partecipato alla sua sofferenza.
Allora Louis si era vergognato sul serio, perché un ragazzo così puro e innocente andava preservato da persone senza speranza come lui, non avrebbe mai voluto vederlo con gli occhi spaventati per un dolore che lui, gli aveva sbattuto gratuitamente in faccia.

Ora sono innocue. Le sue parole risuonavano ancora nella testa di Harry, che aveva aspettato un po’, respirando profondamente prima di rispondere < Non i pensieri che le hanno causate >.
Sembravano parlargli, ogni volta che le sfiorava.
Harry percepiva la disperazione di quel gesto come se con quel tatto, si trasferissero a sua volta sui suoi polsi.
Sentiva il sapore delle lacrime pregne di un dolore che non conosceva.
Fu quello il momento in cui capì che non avrebbe lasciato Louis, neanche quando l’avrebbero dimesso.
Voleva sapere, aveva fame di conoscere il suo passato, le sue paranoie.
Voleva salvarlo, anche se non sapeva come.
Era più di un paziente, più di un ragazzo con un passato triste che considerava il suo futuro degno di non essere vissuto, più di una vita da preservare.
Era tante cose che Harry non capiva, ma che avrebbe messo insieme un giorno, forse.
Il più grande enigma che si fosse mai messo in testa di risolvere.
Sperando con tutto il cuore di esserne in grado.
                                                                      

                    

< Quindi hai studiato recitazione? > domandò curioso l’infermiere, le mani nelle tasche del camice mentre Louis si accingeva a sciacquare il viso < Non è sviando il discorso che ti perdonerò per la mia doccia mancata, Harold > mugolò quello, fingendosi irritato.
Aveva la vocina acuta, leggermente femminile.
Harry dal canto suo rise, mettendo su un sorrisetto adorabile che non sfuggì in alcun modo al più grande, che tentò in tutti i modi di nascondere i suoi occhi meravigliati in un asciugamano.
< Non mi hai risposto, Lou > questo era ormai più che chiaro, anche il più piccolo sapeva come ammaliare le persone, con la voce in particolare, ma Louis non credeva che il tono del ragazzo potesse scendere così in basso.
Tanto profondo che quel Lou, gli rimbombò nel petto per un bel po’.

< Ti interessa tanto? > esclamò così ad alta voce, forse per nascondere quell’eco di brividi che ancora lo disturbava < Altrimenti non te lo avrei chiesto > concluse Harry, soddisfatto perché finalmente era stato lui ad avere l’ultima parola e a soggiogarlo.
Louis decise che forse quella volta avrebbe potuto anche dargliela vinta, insomma, era carino quando si interessava ai fatti meno tristi del suo passato. Ma sbuffò comunque, perché odiava parlare di certe cose quando avrebbe voluto solo farsi una doccia, magari insieme all’infermiere.
< Sin da quando ero piccolo, a scuola, poi ho fatto alcuni corsi quando mi sono trasferito qua a Londra, come dizione, canto e tutto il resto > affermò toccando i ciuffi scomposti dei suoi capelli, che oramai si erano mutati in un unico groviglio di nodi.
Quindi sospirò ancora, prendendo una spazzola dal beauty case che a quanto pare, Juliette aveva lasciato insieme ai suoi vestiti il giorno prima. Non era neanche entrata a salutarlo, il che gli aveva fatto capire, o meglio, gli aveva ricordato, che si fosse comportato più che da coglione, quella volta.
Aveva distrutto Zayn con un’unica frase, e aveva mancato di rispetto a tutto ciò che lei e il ragazzo avevano sempre fatto per lui.

Louis spazzolò velocemente, tentando di dare un senso a quelle ciocche disordinate, e magari anche a ciò che aveva dentro la sua testa, non curandosi del fatto che si stesse probabilmente distruggendo una buona percentuale del tessuto cutaneo.
Ma in fondo era il minimo.
Ogni passata sempre più forte, mentre si guardava allo specchio e l’eco delle parole che aveva detto a Zayn, ed indirettamente anche a Juliette, gli tuonava in testa, con il volume sempre più alto. Tanto da fargli dimenticare che l’infermiere fosse ancora lì con lui, oscurando tutto ciò che aveva intorno, per porre così l’attenzione sull’unica cosa che al momento contava: l’odio verso se stesso.

Harry, prima poggiato al muro del bagno, ora era rigido e ritto sui piedi, inizialmente sorpreso da quella forza, poi sempre più spaventato, tanto che praticamente si avventò su Louis, sovrastandolo e avvolgendolo con tutto il suo corpo.
< Fermo > balbettò quindi, stringendo le mani del più grande, in tensione attorno al manico della spazzola < Fermo, ok? > ripeté con voce più calma, sperando funzionasse, in qualche modo.
E il ragazzo sotto di lui non si mosse per davvero, chiudendo gli occhi per evitare di guardarsi ancora allo specchio, soprattutto mentre tremava per quel gesto da parte di Harry.
Un gesto ovvio, tentò di convincersi, che qualunque infermiere avrebbe compiuto pur di fermare un paziente in una delle sue crisi.
< Harry sent.. > esordì poi, mortificato, mentre il più piccolo gli tirava giù le braccia accarezzandole, così da posizionarle dove non avrebbero più potuto crear danni, sui manici della sedia a rotelle, che poi voltò con le spalle allo specchio.

Di certo ciò che fece in seguito parve a Louis meno ovvio di quanto non pensasse precedentemente. Lo colse di sorpresa e lo calmò come mai nessuno dei tranquillanti che avesse preso in vita sua era riuscito.
Nonostante fosse umiliante essere in quello stato di fronte a lui.
Ma quel ragazzo era una serie continua di “ Nonostante ”.
Era sempre una sorpresa, un gesto, un’occhiata in più, che nessuno, figuriamoci Louis, si sarebbe mai aspettato di ricevere.
Sentiva qualcosa nelle azioni di Harry che andava oltre il suo lavoro, non solo nei suoi riguardi, ma in quelli di tutti i pazienti, di tutte le persone, che non credeva davvero di meritare.
Anzi, era certo che fosse così.
Sapeva che un essere Louis Tomlinson poteva solo attirare pena e disprezzo, che le sue parole taglienti e il suo modo di recitare con il mondo e persino con se stesso, fossero solo una parte delle disgustose caratteristiche che l’infermiere avrebbe scoperto presto; 
Ma Harry andava ben oltre persino a quello.

< Tira la testa indietro > gli disse quello dolcemente, quasi avesse sentito i suoi pensieri, sorridendogli come solo una mamma avrebbe fatto con il figlio pur di tranquillizzarlo.
O almeno, questo era quel tipo di cosa che vedeva nei film.
Louis se lo immaginava in una di quelle famiglie da telenovelas, in una cameretta tutta blu, immerso in un letto troppo grande per lui, e la madre di Harry, che magari aveva i suoi stessi occhi, che correva da lui e lo abbracciava dopo un brutto sogno, sorridendogli in quello stesso modo, mentre gli rimboccava le coperte ancora una volta, così che fosse protetto da qualunque mostro avesse disturbato il suo sonno.

Si sentiva un po’ così al momento, fuori posto, vulnerabile, ma nel modo giusto, tanto che obbedì immediatamente, senza staccare lo sguardo dalle iridi rassicuranti del ragazzo < Che vuoi fare? > gli domandò poi, un po’ spaventato < Chiudi gli occhi, Lou >.
Cedette ancora, questa volta nel giro di dieci secondi, durante i quali Harry non aveva distolto gli occhi dai suoi neanche un secondo, neanche quando aveva aperto l’acqua tiepida, infilandogli le mani tra i capelli.
E fu la pace nella mente di qualcuno che non l’aveva mai conosciuta.
Le mani di Harry, l’acqua e i movimenti dei suoi polpastrelli sulla sua cute lo trasportarono in un mondo dove tutto era giusto, dove persino Louis stesso, lo era.

Ogni tanto socchiudeva le palpebre per guardarlo, credendolo disgustato, e ritrovandolo invece che gli sorrideva ancora, magari facendogli qualche boccaccia per farlo ridere.
Finito di sbrogliare tutti quei nodi, Harry lavò i capelli di Louis, sperando che nel reparto nessuno si fosse accorto della sua assenza.

Il più grande aveva smesso di tenere gli occhi chiusi da un pezzo, e nonostante si sentisse un po’ in imbarazzo, l’infermiere decise di allungare i tempi, soprattutto se questo significava vedere Louis in pace, almeno per un po’.

Bramava i pensieri del ragazzo come mai prima d’ora, ma non aveva il coraggio di parlare, e non sapeva neanche se farlo sarebbe stata la cosa giusta.
Fu quindi Louis a precederlo < In un’altra vita potresti darti all’Hair-Styling, caro il mio Harry Styles > quello rise un bel po’ prima di capire il gioco di parole, probabilmente fermo mentalmente a quel “mio” uscito fuori poco casualmente dalla bocca del più grande.
Gli sarebbe piaciuto appartenere a qualcuno in quel modo, qualcuno che ricambiasse.
< Ci avevo pensato, ma non so come me la caverei con le tinte > Louis rise < Non sono solito fare programmi a lungo termine, ma magari un giorno potresti sperimentare su di me, ho sempre voluto farmi rosso >.

Il sorriso di Harry si allargò ancora una volta, sia per la strana proposta, sia per quella sorta di appuntamento campato per aria, che gli diede la possibilità di fantasticare su un Louis fuori dall’ospedale, un Louis nel suo ambiente, a casa sua, magari.
< Vuoi davvero correre il rischio Lou? > esclamò per distogliere se stesso da quelle immagini < Il rischio di fare un programma a lungo termine o quello di farmi tingere da te? > l’infermiere abbassò gli occhi sul più grande, prendendo ad asciugargli la testa con un asciugamano < Non è un rischio fare programmi a lungo termine > lo corresse.
Poi passarono alcuni secondi di silenzio, che Harry non ebbe il coraggio di spezzare, ancora una volta.

< Non per me, ma di certo lo è per gli altri > specificò ancora Louis, rattristando il ragazzo, che scoperto dall’asciugamano, lo guardò dritto negli occhi in attesa che continuasse < Non prendo appuntamenti di solito, ed evito spesso di fare amicizia, perché è un rischio per le persone che coinvolgo > Harry aveva paura di sapere a cosa Louis alludesse < Sono un po’ come una granata, Haz , e se un giorno dovessi esplodere non vorrei proprio che tu fossi uno dei feriti, come Zayn e Juliette >.
Dovevano essere i suoi amici, quelli che lo avevano portato al pronto soccorso.
< E’ per questo che li ho allontanati > spiegò ancora < Non pensi di averli feriti comunque? > intervenne il più piccolo, sconvolto < Penso che prima o poi sarebbe dovuto accadere, e preferisco che evitino di passare la vita a salvarmi, succederà anche con te >.

Ora Harry era confuso.

< Perché vuoi morire, Louis ? > quella fu l’unica domanda che riuscì a formulare al momento, il fatidico quesito che tutti si erano posti, compresi Juliette e Zayn, cui Harry sapeva che il ragazzo non aveva mai dato una risposta.
Si sentì stupido, perché immaginò che lui, un conoscente, fosse l’ultimo a cui l’avrebbe mai svelata.

< Io non ho mai voluto morire Harry >.

Quella frase rimbombò nel bagno umidiccio.

< Non capisco > esclamò il più piccolo, esternando una frustrazione che Louis aveva sentito tante volte nella voce di Juliette, che aveva visto troppo spesso negli occhi di Zayn < Io sono morto nel momento in cui ho capito di non provare niente, sono un essere vuoto, non ho mai percepito dolore per il passato, o qualsiasi tipo di sentimento, per nessuno, neanche per i pochi che forse mi volevano bene, l’unica cosa che sento è il vuoto che rappresento in mezzo a tutti gli altri.
Sono bravo a recitare emozioni e farle suscitare negli altri, ma la maggior parte delle volte, se non su un palco, non sono positive.  E tutto questo non ha senso, capisci? E’ solo frustrante >.
Harry era in bilico tra il piangere e lo svenire, ma non fece nulla di tutto questo, se non fissare inerme quel ragazzo.
< Anche la mia famiglia la pensa così, sono nato senza un padre e cresciuto in una casa in cui ho solo occupato un posto, che una volta lasciato libero, non è mai stato rimpianto da nessuno > Louis sorrise malamente all’infermiere, prendendogli una mano, giusto per sentire se fosse vivo o meno, perché come previsto, il riccio sembrava essere sbiancato.

Non diceva a nessuno quelle cose, non aveva mai parlato così chiaramente neanche ai suoi amici, ma sentiva di doverlo fare con Harry, sentiva di doverlo avvertire prima che si fosse affezionato.

< E Zayn e Juliette, non pensi a loro? > domandò il più giovane, cercando di concentrarsi su Louis il più possibile e non sulle loro mani < Loro lo sanno, è per questo che te ne ho parlato, vorrei che tu fossi consapevole di chi sono, per poter scegliere > Harry scostò brusco il palmo da quello del ragazzo, un po’ innervosito < Scegliere cosa? Non si può scegliere Louis, e un infermiere non può farlo, figuriamoci se posso farlo io come persona, tutti hanno il diritto di essere salvati, soprattutto chi pensa che non ne valga la pena >.

Così il più grande sorrise, spostando all’indietro le ruote della sedia a rotelle e uscendo dal bagno, con una fluida manovra, come se fosse stato lì seduto per tutta la vita.

E lasciò Harry senza più una parola, ma tanti pensieri.

Come se gli avesse detto che se non poteva farlo lui, avrebbe scelto Louis al suo posto.
Solo dopo essere scivolato con la schiena la muro Harry aveva capito che in parte, per qualche assurdo evento del suo passato, le parole di Louis erano vere.
E se lui non avesse potuto scoprirne il perché , sicuramente Liam ne sarebbe stato capace.

Tutti hanno il diritto di essere protetti, soprattutto chi non conosce la salvezza, chi pensa di non meritarla, chi sceglie quella degli altri prima della propria.
E Louis Tomlinson era questo.
                                                                                          
Non passò molto prima che Harry, scrollando la testa, uscì fuori dal bagno, placcando la sedia a rotelle del ragazzo, che si stava dirigendo in camera. Ricordò come si era sentito quella mattina appena sveglio e raccolse la sua determinazione in una brusca manovra della carrozzella.

< Harry, ma che fai? > chiese il più grande, spaventato < Mi hai detto che hai studiato dizione e recitazione, no? > quello annuì, un po’ preoccupato < Allora abbiamo bisogno di te, Louis >.

E da quel momento Harry non diede più alcuna risposta, semplicemente ignorò Louis e lo spinse fino dentro all’ascensore.
Il più grande era un po’ sorpreso da quel comportamento e non seppe cosa aspettarsi finchè le porte metalliche, scivolando, non rivelarono un reparto pieno di colori.

< Mi hai portato in pediatria, Harry? >.

 


SBAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAM.
E' LUNGHISSIMO 4277 PAROLE CIRCA.
Sono due capitoli, ma erano troppo importanti e ho pensato anche che sarebbe stato carino farvi questa specie di regalo per ringraziarvi OuO

Se avevo deciso di smettere e non postare più, beh, mi avete dato un motivo per andare avanti, e spero me ne darete sempre.

Detto questo, mi auguro di trovare qualche recensione, e ci vedremo al prossimo capitolo :)

Un bacio bellezze. ♡

.Ellie
  
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