Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Samita    11/02/2014    3 recensioni
Rivisitazione di questo spettacolare film in chiave adulta, un po' missing moments, molto centrata sul rapporto Anna/Elsa, con qualche OOC per un'interpretazione più matura. A chi gradisca, è benvenuto.
«Vai.
Esci.
Anche per me.
Così che io la sera possa sentire ancora questi passi felici.»

«Questo è quello che dice la gente, ché alla gente piace dire molte cose. Dice che fosse l’inverno più freddo degli ultimi cent’anni, e che il manto innevato avesse bloccato le porte delle case, e le finestre: tanta era la neve che la stessa levatrice non aveva avuto modo di giungere in tempo al castello.
Questo è quello che dice la gente.
Chè la gente lascia che le parole fluiscano come nulla fosse, e crea le leggende.
Sono quelle, ciò che restano.
Ciò che dice la gente.»
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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5: Schiena a schiena




Oltre quella porta c’era ormai una donna: Anna ci passava spesso davanti, lanciando uno sguardo ai disegni azzurri che la decoravano, e dopo un istante d’esitazione continuava a camminare lungo il corridoio.

Non sapeva cosa c’era, lì dietro. Aveva rinunciato anni prima ad entrarci.

Certo, era una stanza. Avrà avuto un letto, un armadio, un comò. Ma non sapeva nemmeno di che colore fossero le tende.

Se c’erano dei tappeti.

Quanto grande fosse.

C’era solo quella porta, e la certezza che Elsa fosse lì dentro.

Nient’altro.


A tavola, una di fronte all’altra, Anna guardava sempre e costantemente nel piatto. Elsa, composta in modo innaturale, portava la forchetta alla bocca mantenendo lo sguardo basso, apparentemente assorta in pensieri profondi ed imperscrutabili: le rare volte in cui Anna aveva il coraggio di alzare gli occhi su di lei finiva con il voltarsi sempre da un’altra parte, tempo qualche secondo, imbarazzata all’idea che la sorella decidesse di levare a sua volta lo sguardo, incrociandolo con il suo.

Certo, era una bella donna, sua sorella. Era aggraziata, riservata, statuaria nel suo corpo esile e compatto.

Eppure quei movimenti così lenti, ponderati, sembravano essere pesanti.

Cosa potesse fare tutto il giorno, sola, in quella stanza misteriosa, Anna non lo sapeva.

Lei, che era costretta ad una vita analoga, cui i genitori avevano vietato di uscire dalle porte del castello chiuse da tempo immemore, passava il suo tempo leggendo e fantasticando: ogni tanto, quasi per sbaglio e con vergogna, si ritrovava senza ben sapere come ad immagine la vita privata, nascosta, a lei inaccessibile di Elsa.

Cosa faceva del suo tempo? Forse anche lei leggeva. O studiava, per diventare regina. Forse. Un giorno.

O forse anche lei sedeva alla finestra e guardava fuori, in attesa di qualcosa.

Qualunque cosa.

Anna inspirava profondamente, sospirando in uno sbuffo che le vuotava i polmoni: non poteva cambiare questa situazione.

Questa situazione, alla fine, era la sua vita.

E doveva tenersela.


***



"Dovete proprio andare?"

Era ora di riprendere in prima persona il lavoro principale di Re di Arendelle, ovvero tessere e moderare relazioni commerciali e di non belligeranza con i paesi confinanti.

Al Sud stava succedendo il finimondo – non che non ci fosse sempre, ma la cosa era da tenere a bada. I grandi paesi del continente Europeo sembrava godessero degli spargimenti di sangue, ricchi di condottieri dalle sfrenate ambizioni, le quali ogni tanto tendevano a salire troppo a nord.

Anche l’est era da tenere d’occhio: Arendelle e gli altri regni minori erano circondati.

Dovevano essere uniti.

Era ora di ricominciare a viaggiare.

"Starai bene, Elsa."

La ragazza era inquietata: non sembrava avere mai preso in considerazione la possibilità di rimanere sola nel castello, con Anna e i due servitori. Era la prima ad allontanare i genitori dalla sua gelida stanza, ma sapere che erano lì, qualche stanza più in là, sembrava una certezza a cui non era facile rinunciare.

Elsa levò gli occhi verso il padre, lasciando trasparire dall’espressione del suo volto perlaceo una sorta di fatale incredulità.

Mi state abbandonando? Sembrava chiedere.

La Regina le sorrise, le mani strette tra di loro davanti alla gonna: si stropicciava le dita. Avrebbe voluto abbracciare quella sua fragilissima figlia, ma sapeva che Elsa non glielo avrebbe permesso.

Non la toccava da anni.

Aveva pregato loro di non farlo, disperata, piangente.

Loro la rispettavano.

Cosa farei io al posto suo? Provava a chiedersi la Regina, nel tentativo di interpretare il tumulto di sentimenti che la figlia zittiva ma mai riusciva a non far risuonare del tutto sul suo volto.

Quella sua fragile bambina, così fredda, ma così piena d’amore com’era stata – non era fragile, si diceva.

Era forte oltre ogni ragionevole speranza. Era una roccia di donna.

Era un prodigio.

"Ti voglio bene, Elsa. Torneremo fra due settimane, vedrai."

"Non ti renderai nemmeno conto della nostra assenza."


La Regina strinse Anna a sé, come scaricando tutto l’amore che non aveva potuto passare alla figlia maggiore.

"Fai la brava. Lascia in pace Elsa, mi raccomando."

"Mi porterai dei libri?" chiese Anna, speranzosa.

L’unica finestra che aveva sul mondo.

Aveva passato giorni a supplicarli di andare con loro – figurarsi, non c’era stato verso.

"Tutti quelli che troverò, dovessi riempire la stiva della nave."

"Fate buon viaggio!"

La ragazza abbracciò i genitori, esuberante, entusiasta all’idea di ampliare la biblioteca.



***


"Principessa Anna?"

Quella, distesa sul divanetto della sala dei dipinti – il suo preferito – levò lo sguardo dal libro che stava (ri)leggendo. "Sì?" domandò al maggiordomo, sorridendogli.

"Vi devo chiedere di venire con me."

"Finisco il paragrafo e arrivo!"

L’uomo, grassoccio e placido, ebbe la pazienza d’aspettarla, in piedi, immobile, per una lunga manciata di minuti.

"Fatto – !" fece la ragazza, chiudendo il libro con un gesto rapido e rumoroso. Si mise a sedere, guardando l’uomo con una certa curiosità. "Dov’è che andiamo?"

"Seguitemi, per cortesia."

Passo dopo passo, lungo i corridoi silenziosi del castello, Anna andava interrogandosi sul motivo di quella strana convocazione, costruendosi impalcature di possibilità, lunghi romanzi mentali, drammi, commedie, in un turbinio di e se... magari...

Il suo furore inventivo, serrato e muto, si interruppe bruscamente quando vide entrare nel suo campo visivo la porta bianca e azzurra della camera di Elsa.

Il maggiordomo bussò.

"Principessa Elsa?" fece, senza cambiare in alcun modo il tono che aveva usato anche con Anna.

Anna prese a guardarsi intorno, iniziando a farsi agitata: non aveva previsto di incontrare la sorella. Oramai l’associava ai pranzi e alle cene – non si incrociavano nemmeno a colazione.

"Ditemi." si sentì, dall’interno della stanza.

"C’è bisogno che io parli con voi e con vostra sorella Anna, Principessa. Siamo qui fuori ad attendervi, tutto il tempo che vi sarà necessario – ma non troppo, vi prego."

Ci fu un lungo silenzio.

Anna sentiva il cuore iniziare ad accelerare: cosa avrebbe fatto Elsa?

L’avrebbe vista?

Davvero?

"Sto ascoltando." fece Elsa.

E non si vide.

"Lo chiedo con grande cortesia, Principessa. Ho bisogno di vedervi in volto."

Anna iniziò a sgranare lentamente gli occhi.

Una delle miriadi di ipotesi che si era fatta, una sola, stava prendendo violentemente il sopravvento sulle altre: si stava insinuando nella sua mente non più come fantasia, teoria, supposizione, ma come possibilità.

Sempre più probabile.

Sempre più vera.

Sempre più assoluta.

Elsa pose la mano sulla maniglia, girandola lentamente: aprì la porta, piano, lasciando solo uno spiraglio che consentisse di sporgere timidamente il volto dalla sua camera.

Osservò prima il maggiordomo, e poi Anna.

Gli sguardi delle due sorelle si incrociarono, dopo anni, senza che fosse un caso: si guardarono a lungo, Elsa come intrappolata da quella maschera d’angoscia ch’era Anna, assorbendo, lentamente, quello stato d’animo.

Il messaggio passò senza che si scambiassero parola o gesto. Si guardarono e basta, finché Elsa non tornò a fissare, con movimenti sempre lenti, il maggiordomo.

"Principesse."

Principesse, sì.

"Se volete seguirmi –" "No..." lo interruppe Elsa, scuotendo allibita il capo.

Anna, smesso di fissare la sorella, intravide il letto della sua stanza. Poco altro.

"Per favore." aggiunge Elsa, abbassando gli occhi.

Non voleva proprio uscire, si disse Anna.

Neanche adesso.

"Va bene, Principessa." espirò il maggiordomo. "In tal caso... mi rincresce dovervi informare che c’è stato un incidente in mare."


Il gelo era sorto dentro di lei.

Come se non ci fosse mai stato, lo aveva forse sentito veramente per la prima volta. Senza dir nulla, tremante, richiuse la porta della sua stanza.

"Elsa!"

Era sola.

Era definitivamente sola.


Anna aveva il cuore che batteva a mille: prese la maniglia con forza, facendo per aprire – ma lì si bloccò. Le lacrime lungo le gote, rosse ed infuocate.

"Elsa!"

Aveva visto una crepa profonda aprire in due sua sorella: l’aveva vista avere paura, e in quel lungo e intenso sguardo le sembrava di aver potuto percepire la sconfinata solitudine, e timore, e incertezza e inadeguatezza che si era portata dietro in tutti quegli anni.

Sua sorella non era una ragazza forte, posata, riservata ed indipendente: sua sorella era fragile, un cristallo ricolmo di crepe che si nascondeva per non farle vedere. Questo aveva visto.

Questo l’aveva fatta scoppiare in lacrime.

Sì, il loro genitori erano morti in mare.

Sì, erano sole.

Ma ora Anna realizzava che erano veramente sole, in due diverse solitudini che forse mai più avrebbero potuto incontrarsi.


***


Elsa non era uscita più dalla sua stanza.

Non per la cena.

Non per il pranzo.

Non per il funerale.

Anna sostava sola in mezzo alle due grandi pietre commemorative recanti i nomi dei loro genitori, il capo chino, mentre il vento le fiordo soffiava su di lei e le spostava le due trecce rossastre.

La preghiera in norvegese antico, e poi rimaneva solo il rumore del mare agitato e l’aria che le sibilava nelle orecchie.


Il corridoio era lungo. Non un’anima.

Non c’era mai stata.

Ma ora era peggio.

Anna muoveva dei passi ponderati, fissando distrattamente il tappeto rossastro.

Arrivata davanti a quella porta, quella porta sempre chiusa, sbarrata. Maledetta.

Dannatissima porta.

Avrebbe voluto buttarla giù. Prenderla a spallate.

Mandare a quel paese la riservatezza di Elsa, il suo bisogno di stare sola – non era vero. Non era sano.

No, Elsa stava male. Era sempre stata male, almeno tanto quanto lo era stata Anna – nessuno vuole stare solo, si convinse quel giorno.

In mezzo a loro, c’era la porta.

"Elsa..."

Posò l’orecchio al legno, appoggiandovisi esausta contro.

"Elsa... ti prego."

Socchiudendo gli occhi per la disperazione e l’attenzione, cercava di capire se almeno poteva sentirne il respiro.

"Elsa, lo so che sei lì dentro. Ti prego."

Ti prego.

"Ti prego." Ripeté, sentendo le lacrime sul volto. Di nuovo.

Piangere era routine, in quei giorni.

Ma quelle lacrime erano così calde, e lei era così disperata. Cosa voleva da Elsa?, si chiese, accasciata contro la porta. Perché era lì?

Cosa sperava di ottenere?

"Si chiedono tutti dove sei, Elsa. Ti prego."

Fatti vedere.

Stai con me, per una volta.

Almeno questa volta.

"Mi dicono di avere coraggio, sai?" chiese, retorica, quasi sorridendo all’assurdità di quella frase. "Io ci provo, Elsa. Davvero. Ci provo."

Ti prego.

"Ti prego."

Elsa.

Anna fece un respiro profondo.

"Sono qui per te."


Dietro quella porta la sua sorellina piangeva. In mezzo a tutto il ghiaccio e alla neve che invadeva la sua stanza, con prepotenza, con insistenza, Elsa si aggrappava alla voce di quella ragazzina di quindici anni, rimasta sola, più sola che mai.

Voleva lei.

Voleva aiutare lei.

"Lascia solo che entri, ti prego."

No.

Non posso.

No.

Vattene, Anna.

Ti prego, vattene.

Ma non riusciva a dirlo. No.

Quel giorno non ce la faceva. Aveva bisogno di sapere che era là.

Che oltre quella porta c’era qualcuno. C’era Anna.

Non poteva farla entrare. Non avrebbe mai potuto.

Ma almeno, poteva non mandarla via.

Elsa si appoggiò contro la porta e si lasciò scivolare delicatamente a terra: raccolta a fagotto, come spesso usava fare: nella sua culla. Anna, dall’altra parte.

Non sei sola, Elsa.

In questo freddo, lei è lì. Dall’altra parte.

"Mi sei rimasta solo tu, Elsa."

Piangeva, d’un pianto maturo: ormai anche lei stava per diventare adulta.

Probabilmente lo era diventato quel giorno.

Anna cresceva alle sue spalle, tutto in una volta; come a lei era successo quel maledetto giorno di dieci anni prima.

Dieci anni.

Dieci dannatissimi anni.

"Che faremo, ora?"

Non lo sapeva.

Non ne aveva la più pallida idea.

Niente, Anna. Non faremo niente. Aspetteremo, come abbiamo sempre fatto.

Non so cosa.

Ma aspetteremo.


"Vuoi fare un pupazzo di neve?"





___________________________


Eccomi! Oddio come scrivo veloce in ‘sti giorni. Sarà perché devo studiare?

Grazie per il seguito, siete tantissimi :D

questa parte mi è piaciuta molto da scrivere, anche se non si distacca molto dall’originale; però con il contorno che ci ho messo davanti prima sono riuscita ad esplorare un po’ più le due ragazze...

=)

buona notte e al prossimo aggiornamento! grazie a tutti!






   
 
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