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Autore: PinkCat_YellowDog    16/06/2008    2 recensioni
La famosa Seconda Guerra del Golfo, dove milioni di persone sono passate e morte. La storia di due soldati americani, obbligati dalla legge (lui sì, lei lo segue) a partire per l’Iraq. Ecco che si ritrovano nella Gabbia dell’Anima: un luogo fatto di dolore e sofferenza.[KankuTen one-shot][fic a quattro mani di kiara_chan e HopeToSave][Prima classificata al concorso a coppie indetto da Sae e memi]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro, Tenten
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti
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Trama: La famosa Seconda Guerra del Golfo, dove milioni di persone sono passate e morte. La storia di due soldati americani, obbligati dalla legge (lui sì, lei lo segue) a partire per l’Iraq. Ecco che si ritrovano nella Gabbia dell’Anima: un luogo fatto di dolore e sofferenza.
Autori: HopeToSave e kiara_chan
Personaggi/Paring: Sabaku no Kankuro, Tenten. Kankuro/Tenten – Tenten/Kankuro.
Genere: Guerra, Drammatico, Introspettivo
Rating: Arancione
Note: AU(Alternative Universe), Non per stomaci delicati, One-shot
Temi scelti: Gabbià, Libertà, 06:09, Guerra

Souls’ Cage
{The Second Gulf’s War}

La gabbia era stretta e opprimente. Le sbarre d’acciaio lo stritolavano in una morsa letale. Tutt’intorno era buio: solo una luce fioca, uno spiraglio bianco, proveniente dal nulla, illuminava quella gabbia. Lui si trovava dentro di essa.
Quella era la situazione da quando era partito: un oscurità infinita, di cui non conosceva le verità nascoste. Forse la vita, forse la morte…
Era rannicchiato, nudo, coperto solo dal giubbotto della divisa. Centinaia di scritte coprivano quell’unico indumento e la più visibile era sull’ampia schiena: Mostro.
Sì, mostro era la parola giusta; i mostri vanno chiusi in gabbia, in particolare i mostri assassini.
Altre parole accompagnavano il Mostro: sul braccio destro Guerra, sul braccio sinistro Arma, per il busto Bossolo, Bomba, Morte… erano infinite e si sovrastavano l’una sull’altra.
Kankuro si sentì scrollare la spalla e spalancò gli occhi, impugnando subito il fucile, ma si rilassò un poco quando si accorse che era un compagno che lo svegliava dal dormiveglia in cui era crollato.
- Kankuro, tra poco entreremo in azione
Annuì, più per convincere sé stesso che non il compare.
Appoggiò le spalle ai sacconi che facevano da barriera: dietro di lui l’inferno sembrava essersi calmato e una placida ed irreale quiete aleggiava.
La pace prima della tempesta venne in mente a Kankuro. La pace, infatti, non dura mai a lungo: l’uomo ha l’incredibile e irrisolvibile istinto di uccidere i propri simili; non v’è mai stato un periodo di tempo senza guerra o morte, lui se n’era reso conto.
L’umanità è destinata a scomparire. Anche se volessero, gli uomini non potrebbero non combattere tra di loro, perché ci sarà sempre uno o più che si farà spazio tra la folla con le buone o le cattive maniere, dovendo a tutti i costi appagare la propria avarizia e sete di potere.
Un semplice esempio di quegli uomini era il Presidente che l’aveva mandato in guerra, con le sue leggi.
Kankuro aveva un particolare odio per lui: la causa per cui era iniziata la guerra, teoricamente era la presunta presenza di armi nucleari, lì in Iraq, e per la sicurezza mondiale dovevano essere trovate, ma effettivamente la causa reale era un'altra: il petrolio era l’origine di tutto.
L’uomo strinse forte l’arma nelle mani. Odiava quella situazione: lui non aveva mai desiderato andare in guerra, ma era stato obbligato.
Stupido servizio militare obbligatorio.
Per colpa sua tra l’altro, avrebbe rischiato di morire la persona a lui più cara al mondo. Era stata sciocca a seguirlo, ma aveva insistito, e si era arruolata anche lei, ma volontariamente, per seguirlo. La sfuriata che quell’azione aveva generato in Kankuro era stata enorme: non si era mai sentito più frustrato di quel giorno; purtroppo era troppo tardi: il danno era fatto e Tenten lo avrebbe seguito in guerra.
Lanciò uno sguardo veloce all’orologio digitale legato al suo polso. L’ordine era stato stabilito per le 06:30 del mattino. Erano solo le 06:09 e il buio non aveva fermato le sparatorie, fino a quel momento.
Per tutta la notte aveva presidiato il Punto di Ritrovo, assieme ad altri due compagni e si sentiva spossato; il sonno da cui si era appena risvegliato non era servito a molto, se non a peggiorare la situazione, annebbiandogli ancora di più la mente.
Sospirò e fissò nuovamente lo sguardo all’orologio.

06:09
L'orologio digitale appeso ai resti del muro fra le macerie di un'abitazione continuava a lampeggiare, monopolizzando l'attenzione della ragazza accucciata in un angolo, nascosta dietro ad un cumulo di calcinacci.
I capelli castani, nonostante fossero raccolti in due chignon, le ricadevano morbidi sul viso lambendo le due pozze color nocciola quali erano i suoi occhi.
La mano, intorpidita, si sollevò fino ad accarezzare le tre piccole medagliette appuntate sulla divisa verde scuro.
Veloce, il palmo guizzò verso il basso, tornando a stringere il freddo metallo della mitraglietta. All'interno della canna, tre proiettili ingabbiati e pronti per essere liberati alla vista del nemico.
Sarebbero stati colpi inutili, atti solo a rubare tre giovani vite. Ma per la salvezza di Kankuro, lei avrebbe pagato quel prezzo.
Per il loro amore, per rimanere vicini, si era sacrificata, offrendosi come soldato da incorporare alle truppe partite dall'America mesi prima.
Nella sua testa, fra le urla terrorizzate dei civili e quelle inumane dei plotoni, il suo inconscio la portava subdolo a ricordarsi delle liti con suo padre, aspri conflitti conclusi il più delle volte con porte sbattute e guance rigate da lacrime amare.
All'inizio, aveva preso la guerra come un gioco, una sfida contro tutto e tutti, pur di continuare a vivere la sua favola d'amore.
Lentamente, però, la sua spavalderia era scemata, lasciando il posto al dubbio e alla paura.
Le era capitato, la notte, osservando il telo sintetico della tenda alla ricerca di qualche attimo di sonno, di chiedersi se la sua fosse stata una scelta giusta.
Più volte si era insinuato il dubbio in lei di non essere forte abbastanza, sia fisicamente che psicologicamente, per reggere un'intera guerra.
Ai telegiornali pareva molto più semplice, molto meno dolorosa.
Ma una volta dentro, le sbarre si chiudevano dietro alle proprie spalle, e ci si ritrovava in una fredda gabbia insieme ad altri uomini.
Lasciati lì, coloro che si godevano lo spettacolo al sicuro all'esterno della ferrea scatola, aspettavano solo di vedere i soldati distruggersi fra loro, vittime di sentimenti non umani.
Non esisteva più la felicità, l'affetto, l'amore.
Esisteva solo la disperazione, l'angoscia, l'odio.
Come immergersi nella lava incandescente dell'inferno, ti lasciavi sfruttare finché di te non rimaneva che una divisa e un guscio vuoto, atto solo a eseguire gli ordini.
A rimanere per ore a fissare un orologio.
Tenten osservava i rossi numeri luminosi, aspettando paziente.
Era vano il tentativo di ignorare il dolore alle ossa, la stanchezza che simile ad un macigno le gravava sulle spalle.
Da quanto non dormiva?
Giorni, settimane, forse mesi interi.
Era impossibile dormire, indossando di continuo quei laceri vestiti di terrore e disperazione. Il tempo scorreva diversamente per coloro che erano in guerra, chiusi in un universo a sè stante.
I minuti erano eternità, i giorni convenzioni dimenticate, le settimane scadenze non rispettate.
Il presidente aveva assicurato il ritiro delle truppe, tre settimane prima. Eppure non era ancora successo niente.
I nemici attaccavano ad ogni ora del giorno, costringendo i plotoni americani a sfidare anche i limiti del proprio corpo pur di vincere un inutile e infantile gioco fra miliardari.
Erano solo pedine, piccoli oggetti senza significato nè identità che presto o poi qualcuno avrebbe buttato via, dopo averli schiacciati per bene sotto la sua suola.
Nel frattempo, continuavano a sperare, contando i minuti in maniera esasperata.
"Ancora ventuno" pensava Tenten, fissando l'orologio.
Ancora poche eternità, e sarebbe partita all'attacco, uscendo dal suo nascondiglio e lasciandosi lambire dai primi raggi mattutini.
Ma nemmeno il calore del sole l'avrebbe riscaldata.
L'unico pensiero capace di darle gioia era la speranza di rivedere il suo amato, di lì a poche ore.
Voleva abbracciarlo, consolarlo, coccolarlo.
In verità, l'avrebbe solo guardato, da lontano per di più, senza potersi avvicinare di un millimetro.
Abbassò lo sguardo: aveva sottovalutato la guerra, credendo ancora nei vecchi e infantili ideali dell' "amore sempre vincitore".
E ora, quella marmaglia di corpi decomposti e terreni aridi si stava rivoltando contro di lei, punendola per la sua insolenza.
Riportò gli occhi stanchi sull'orologio, ove campeggiavano perennemente quattro cifre.
06:09
Sgranò gli occhi terrorizzata, nel constatare che i due punti posti a dividere le ore dai minuti non lampeggiavano, come solitamente accadeva nei comuni orologi digitali.
No, quei luccichii scarlatti erano fermi, immobili.
Esattamente come il sangue nelle vene della ragazza.
Terrore, ecco cosa si leggeva nei suoi occhi sgranati. Si era illusa di potersi affidare a quei pochi cavi elettrici superstiti dell'attacco del giorno precedente, rimanendone imbrogliata.
L'orologio doveva aver smesso di funzionare proprio alle 06:09 di quella mattina, dopo cinque ore di agognata resistenza.
La corrente era venuta meno, arrendendosi alle ferite riportate alla rete elettrica.
Tenten si voltò lentamente verso l'orizzonte, riluttante a confermare i suoi più atroci dubbi. Oltre le macerie, oltre l'arido terreno polveroso, il sole faceva capolino, irradiando la piana con la sua calda luce.
Il cuore della ragazza mancò un battito.
Erano le sei e mezza.
Senza riflettere, uscì dal suo nascondiglio e corse verso ciò che rimaneva della porta dell'abitazione, varcandola come un fulmine.

I caldi raggi del sole colpirono le gote, arrossate dall'afa opprimente.
I capelli castani, legati in una treccia, si appiccicavano al collo, riscaldandone ancora di più la già rovente pelle.
Le mani si aggrappavano salde al leggero tessuto del vestito color rosa pastello, evitando che nella corsa si sollevasse e mostrasse più di quanto avrebbe dovuto.
Tenten odiava i vestiti, erano tremendamente scomodi a suo parere. Per lui, però, poteva fare un'eccezione.
Non le sarebbe dispiaciuto notarlo mentre cercava una vista migliore delle sue gambe o mentre la stringeva per i fianchi.
Il vociare dei suoi compagni di scuola era lontano dalle sue orecchie, persa com'era nel suo mondo.
Corse, dal portone della scuola superiore fino alla ferrea cancellata.
Sorrise, nell'avvistare l'alta figura di Kankuro, appoggiato alle sbarre di nero ferro ad aspettarla.
Un volta vicina, lo chiamò. Lui fece in tempo a voltarsi, prima di accogliere fra le braccia la ragazza, lanciatasi contro il suo petto di slancio.
Si staccarono, di poco, per guardarsi negli occhi e sorridersi.
-Buongiorno amore
La voce calda e rassicurante di lui coccolò la mora.
-Buongiorno a te, mi accompagni a casa?
-Certo, mia signora
Rise timidamente, Tenten, prima di lasciar scivolare la sua mano nell'ampio palmo del suo ragazzo.
Si incamminarono per le strade poco trafficate della città, parlando del più e del meno.
Spensierati, si godettero la loro passeggiata, fermandosi un paio di volte per le scuse più svariate: un gelatino, una bibita rinfrescante, un bacetto...
Camminavano nel loro mondo, dimenticandosi della realtà che li circondava.
L'amore li rendeva ciechi sia al fato funesto, sia alla dura realtà.
Non riflettevano, non pensavano, vivevano alla giornata, assaporando ogni ora della loro dolce routine.
Si erano conosciuti sull'autobus, pochi mesi prima, ed era stato colpo di fulmine. Entrambi, timidi, non erano riusciti a fare il primo passo e conoscersi. Si erano presentati solo grazie ad amici comuni, e il resto era venuto da sè.
Nessuno li divideva, nessuno osava contestare il forte sentimento che provavano l'uno per l'altra.
In molti, però, sussurravano alle loro spalle, sottolineando il loro poco realismo, la causa della loro futura rovina.
Tenten e Kankuro sorridevano continuamente, dichiarandosi più innamorati che mai.
I loro amici li guardavano preoccupati: per esperienza sapevano che amori dal dolce gusto quasi stucchevole mai avevano lieto fine.

Una volta giunti alla porta della umile casa di Tenten, i due si fermarono, ancora mano nella mano. C’era una strana atmosfera, quasi tesa. Forse era l’aria calda e dannatamente pesante a farla apparire così.
- Ehm, Kankuro…
- Sì?
- Ti… ti andrebbe di entrare?
Ecco, quella era proprio l’ultima delle cose che Kankuro si sarebbe aspettato di sentire da Tenten. La dolce e pura Tenten.
In quel momento, spiazzato, non seppe cosa rispondere e, impacciato, cincischiò qualche parola che non formulò, purtroppo, una frase di senso compiuto.
- Beh, se non è un disturbo… cioè, i tuoi genitori, magari…
- I miei oggi non sono in casa
- Ah. Beh… allora va bene
Tenten sorrise e Kankuro si sciolse davanti ad esso. Era incredibile la facilità con cui quella ragazza di un anno più giovane riuscisse ad ammaliarlo.
Scosse la testa, scacciando quei pensieri, nonostante tutto dolci.
Quasi con timore, mise piede nel corridoio semibuio della casa. Dalla pulizia e dall’ingresso spazioso e ben curato, si poteva benissimo dire che quella di Tenten era una famiglia di ceto medio, benestante. Kankuro un po’ invidiava quella vita, venendo da una famiglia ricca e sempre distante e proprio per quello aveva sempre un comportamento anticonformista.
- Vieni, mangiamo qualcosa… ti va una panino? Mia mamma ha fatto la marmellata proprio ieri!
Il ragazzo si limitò ad annuire, seguendo la fidanzata. L’occhio, inconsciamente, gli cadde verso il basso e si soffermò poco più giù della vita.
Quello di Tenten era decisamente un bel culo, si era ritrovato a pensare il ragazzo, senza un minimo di imbarazzo o ritegno, ma cercò di portare la mente altrove.
Si diresse con la ragazza in cucina, dove si sedette su una sedia di legno, mentre lei trafficava tra le dispense.
La fissava, rapito totalmente. Doveva ammettere che quel vestito le stava divinamente e, avendolo indossato, gli aveva quasi fatto un piacere, facendo sì che potesse ammirarla in tutta la sua bellezza. In quel momento sì, che lo eccitava. Eccitava in “quel” senso.
No, in quella stanza non avrebbe resistito per molto e lei non lo aiutava di certo, con tutti quei movimenti sensuali e quasi maledetti.
Quando Tenten si sporse in alto per prendere una confezione di pane e il vestito si alzò inesorabilmente, lasciando le gambe molto più scoperte di prima, Kankuro si sentì percorrere da una scossa e si alzò dalla sedia.
Allungò il braccio, prese la confezione e chiuse lo sportello, tutto sotto lo sguardo sorpreso della ragazza, più in basso di lui. Senza pensarci le prese per la vita e la fece sedere su un mobiletto della cucina, avvicinando le labbra al suo collo. Annusò il suo profumo e percepì Tenten rabbrividire sotto i suoi tocchi.
- K-Kankuro…?
- Shh, lasciami fare…
- E’… è questo il p-punto: che vuoi fare? – ansimava.
- Annusare il tuo profumo. Assaggiare la tua pelle. Baciarti… - e mentre diceva proprio quell’ ultima parola, Kankuro la baciò, più appassionatamente di altre volte.
Tenten non si ritrasse e Kankuro continuò la sua “esplorazione”. Con esasperante lentezza sfiorò la gola con la punta della lingua, per poi ritrarla, gustando il sapore ricevuto.
- Ottimo
Tenten non rispose, rapita da quei tocchi. Strinse solamente di più le spalle del ragazzo, che continuò a lambire il suo collo con la lingua.
La mano di Kankuro andò al ginocchio destro della ragazza, risalendo poi per la coscia, accarezzandola in modo decisamente “insopportabile”.
Poi si fermò, lasciando andare Tenten, che scese dalla credenza.
- Scusa
- D-di cosa?
- Per essermi lasciato andare; non avrei dovuto…
- Kankuro, non… beh, non è che… - il ragazzo rimase colpito dalla goffaggine con cui lei gli parlava, non capendone il motivo.
- Beh… mangiamo?

La camera di Tenten era piccola, ma confortevole. Non era affatto la classica stanza “da ragazza” che si immaginavano i maschi, ossia tutta rosa, piena di peluches e poster di cantanti famosi e affascinanti, ma una comunissima stanza da letto.
Ecco, quello era proprio il mobile preferito da Kankuro, in quel momento: un bellissimo letto, comodo e… tutto per loro.
- Kankuro, tutto bene? Ti vedo pensieroso…
- Eh? No, tranquilla, amore. Ero solo soprappensiero, davvero
Tenten lo guardò con due occhi sospettosi, ma si lasciò andare in un caldo sorriso. Tutto quello provocò un altro brivido al ragazzo.
- Sapevo che eri brava a disegnare, ma non pensavo lo fossi così tanto!
Kankuro, di fronte alla scrivania di Tenten, osservava con fare adorante alcuni schizzi della ragazza, elogiandoli. Lei, sentendosi sotto i riflettori, arrossì e nascose i disegni.
- Non voglio che tu li veda. Sono pessimi
- Non è vero! Anzi sono stupendi… anche se non lo saranno mai quanto te. Nulla lo sarà mai – con dita sicure le mise una ciocca castana che era scappata alla treccia dietro l’orecchio. Tenten, strinse la mano che le accarezzava il volto, alzandosi poi sulla punta dei piedi per baciarne il proprietario sulla bocca.
- Mmhh, sai ancora di marmellata
La ragazza rise.
- Me ne dai ancora un po’? – Kankuro non le lasciò il tempo di rispondere, che già le aveva rubato le rosee labbra. L’ultima cosa che Kankuro si aspettava da Tenten, ancora dopo l’ invito a casa, era che lo accompagnasse sul letto, assieme a lei, ma certamente non si ritirò.
La sovrastò con il suo corpo allenato.
- La principessa ha voglia di giocare?
Tenten arrossì, ridendo – Può anche darsi…
- Allora bisognerà accontentarla, questa principessa capricciosa
- Mh… è un idea
Kankuro con fare voluttuoso le accarezzò la vita, ghignando, portando nello stesso istante le labbra al collo sottile e abbronzato della ragazza, leccandolo.
- Alla principessa piace questo gioco? – mugugnò.
- La principessa… non ha mai fatto questo gioco…
Il ragazzo rimase immobile, preso di contropiede: non aveva mai pensato al fatto di essere il primo vero e proprio ragazzo di Tenten. Vero e proprio nel senso che per lei era una storia seria, e lo era anche per lui. Però, così su due piedi, non aveva riflettuto sulla possibilità che Tenten fosse ancora vergine.
Esitante riprese quello che aveva iniziato - … e la principessa è sicura di voler fare questo nuovo gioco?
- S-sì…
- Allora vedrò di far divertire la principessa – e la baciò dolcemente sulle labbra.
Kankuro sì fissò nella testa di segnarsi l’ennesima nota da scrivere: Tenten sapeva essere la ragazza più sexy e dannatamente lussuriosa del mondo, quando voleva, infatti aveva preso a baciarlo più appassionatamente, di quanto facesse di solito.
Il ragazzo si scostò, sdraiandosi a lato della fidanzata.
- La principessa non crede che questo gioco faccia venire dannatamente caldo?
Tenten non rispose, ma si limitò a sedersi su Kankuro, sorridendo.
- Io credo che bisogni rinfrescare la situazione – sciolse i primi bottoni nella camicia nera del ragazzo, potendo ammirare i pettorali sviluppati.
Annusò il petto e lo baciò all’altezza del cuore, alzando poi gli occhi e sorridendo.
- La principessa si sta divertendo
- Allora vedrò di accontentarla al massimo – Kankuro ribaltò le posizioni, tornando a quelle iniziali.
Si liberò definitivamente della camicia e prese ad accarezzare le gambe di Tenten.
- La principessa sa che l’amo da impazzire?
- Forse bisognerebbe ricordarglielo
- E invece sa che non conoscevo questo suo carattere giocherellone?
- Si dovrebbe dirglielo
- Ho voglia di vedere la principessa nuda, ma sarebbe scortese sbatterglielo in faccia
- Anche la principessa desidera colui che l’ama…
- Allora… principessa, lei conosce il numero delle spighe di grano su un campo?
- No
- E la quantità d’acqua nell’oceano?
- Neanche questo
- E le nuvole del cielo?
- Affatto
- Beh, tutte quelle cifre sommate non potrebbero che essere un millesimo dell’amore che provo per lei… - e la baciò nuovamente, tentando di farle percepire tutto l’amore che provava.

Eccola lì, la vedeva finalmente, dopo due notti di separazione. Bella come il sole che stava sorgendo, se non di più.
Splendida, meravigliosa… in pericolo.
Lei e la sua squadra era uscita pochi minuti dopo l’orario prestabilito, non si sapeva perché, ma non era quello l’importante: il ritardo aveva modificato tutte le previsioni. Modificato in peggio.
L’unica cosa che vide, subito dopo Tenten, fu il nemico. Il nemico che la puntava. Non ci pensò, il corpo si mosse istintivamente: si lanciò in avanti, con un ringhio.
In quel mentre il tempo si fermò: il bossolo dorato a mezz’aria. L’immagine fu immediata, passò veloce l’iride, la cornea, superando la retina e arrivando al cervello come un lampo. Ecco la scossa.
In quello stesso istante, quando il tempo riprese a scorrere, Kankuro sentì il colpo e si rese conto di essere stato preso. La pallottola penetrò nel petto, squarciando la divisa e perforando il polmone, mozzando il respiro.
L’uomo spalancò gli occhi, serrò le labbra mentre il sangue si faceva strada con un rivolo. La morte era vicina.
Il fucile, che fino a poco prima teneva fermamente in mano, con il quale aveva ferito e ucciso altri uomini, scivolò dalle dita, improvvisamente intorpidite e deboli.
Le ginocchia cedettero, crollarono come un palazzo le cui fondamenta erano state infrante. Possibile che la fine fosse tanto terribile e piacevole allo stesso tempo? Possibile che il sollievo prevaricasse sul dolore? Possibile, quando si è al corrente che i tuoi compagni ti stanno urlando contro, che ti gridano disperati di resistere, che stanno arrivando? Possibile anche di fronte al proprio amore?
Sì, è possibile, perché si sa che la vita della persona che si ama è salva. Perché ci si è sacrificati per lei.
Kankuro si sentiva soddisfatto, mentre cadeva. Si sentiva sollevato, perché ponendosi davanti a Tenten, tra lei e il nemico, tra lei e la pistola… ne aveva evitato la prematura morte.
La gabbia in cui era stato chiuso quando lo avevano arruolato per la guerra, ora sembrava si fosse aperta. Se prima le sbarre lo stritolavano e gli impedivano i movimenti, in quel momento dopo aver salvato la vita alla donna amata, appariva più spaziosa: la porta spalancata.
Ma ecco all’improvviso un altro flash: il tempo di nuovo bloccato. Kankuro inginocchiato a terra, sanguinante, il fucile abbandonato. Tenten immobile, col volto distorto dalla sofferenza, la bocca spalancata per uno strillo di terrore e dolore. Le labbra… quelle labbra…
Ecco il colpo. Un’altra pallottola nel petto.
Ed infine… il bruciore alla fronte. Quello che fece aprire la bocca a Kankuro dallo stupore: precisa, in mezzo agli occhi, il bossolo penetrò.
In quel momento non c’era più spazio al sollievo di aver salvato Tenten, ma solo… il buio. Il corpo crollò a terra, nella polvere, alle luci dell’alba.
- Kankuro!! – uno strillo acuto, udibile anche nel frastuono della battaglia. Una voce angelica, calda e allo stesso tempo terrorizzata. Aveva un lieve tremore, il tono dell’angelo, Kankuro se ne accorse.
Le immagini erano sfocate, rallentate – o forse era lui che stava per andarsene?
Vedeva il cielo, sereno e rosato dai primi raggi del sole; vedeva la polvere della città diroccata, che gli entrava nelle narici e nella bocca; sentiva caldo, troppo caldo… non riusciva a respirare, l’aria era pesante e afosa.
Decise di abbandonare i sensi e lasciò che le membra fossero colpite dagli ultimi spasmi. Poi le braccia rimasero a terra, inermi, come le gambe. Il volto era un espressione di eterno stupore: gli occhi e la bocca aperti, sorpresi.
Poi gli apparve la visione: tutto era bianco. Lui, seduto al centro di una piccola e stretta gabbia, dalle sbarre in acciaio: sempre la stessa gabbia. Da fuori di quella cominciarono ad arrivare essere inanimati, nei quali riconobbe le vittime del suo fucile. Però sparirono improvvisamente e la gabbia s’infranse.
Era libero.
Colpo al cuore! Un peso gli cadde addosso, cancellando l’allucinazione.
Tutto era accaduto nell’arco di pochi secondi.
Tenten era su di lui, col volto rigato dalle lacrime.
- Kankuro! Kankuro, per favore, respira!
Era in paradiso? Perché un angelo gli stava parlando. Anche se era un po’ diverso dal classico canone di “angelo”. Essi non avevano i riccioli biondi e puliti? Quello aveva i capelli scuri e sudati. Essi non avevano un viso bellissimo e perfetto? Quello sì, era bello, ma era anche sporco e insanguinato. Essi non portavano tuniche bianche e candide e non avevano le ali? Quello aveva una lercia divisa militare americana, color kaki, e possedeva un fucile. Oppure non erano rappresentati da pingui bambini? Quello era tutt’altro che un bambino, ma un adulto in tutto e per tutto.
No, non era il paradiso, quello era…
- T-Ten… Ten… - sussurrò incapace di altro.
- R-Resisti, la squadra di soccorso sta arrivando!
- Ten… T-Ten…
- Tenten, è inutile. Morir…
- Sta zitto!
Vicino a loro un altro soldato, compagni di guerra, era restio al credere alla possibile sopravvivenza di Kankuro: era impossibile. Con due pallottole nel polmone e una in fronte la morte era sicura! Era ancora più incredibile il fatto che fosse ancora cosciente.
Gli occhi dell’americano erano spenti, ormai, opachi, che guardavano qualcosa lontano, persi. Kankuro udiva le voci, esseri distanti. Voleva rispondere, ma non poteva. Riusciva solo a sussurrare a malapena il nome della donna amata.
I suoi bellissimi occhi color nocciola lo fissavano liquidi. Le labbra screpolate si muovevano freneticamente, a formulare parole disperate: lo chiamava, la sentiva, ma lui non diceva altro che il suo nome.
- Ten…
- Kankuro… respira, sopravviverai – la voce tremava.
- N-no… T-Ten…
- Tranquillo, sono qui, con te!
In lontananza si sentiva arrivare un altro drappello di soldati: i soccorsi.

Confusione.
Un ricordo offuscato dalle salate gocce agli occhi e dalle grida indistinte.
Polvere, sangue e lacrime.
Pugni chiusi sbattuti violentemente contro il terreno arido, fino a sbucciare le nocche.
Urla di dolore, di disperazione.
Parole disarticolate, movimenti inconsulti.
E due salde braccia a sollevarla di peso per portarla in salvo sulla camionetta dei soccorsi.
I minuti, le ore e i giorni a venire alla morte di Kankuro Tenten li rimembrava così, come un unico ricordo sfocato.
Quando il suo amato aveva chiuso gli occhi, pure lei li aveva chiusi, smettendo di vivere.
Il cuore doleva, costante, ogni singolo secondo. Il baratro buio in cui era sprofondata le impediva di rapportarsi con la realtà esterna. Chiusa nel suo mondo, era capace solo di piangere, accarezzandosi il ventre, nel tentativo di ritrovare un po' di speranza.
Passò una settimana, e la disperazione la portò a sfiorare la pazzia.
Per questo motivo venne rimandata in America e affidata alle cure di un dottore e uno psicologo. Grazie alla loro terapia, dopo un anno Tenten riuscì a riprendersi e a tornare dalla sua famiglia.
Erano riusciti a farla ragionare, a farle superare la perdita del fidanzato, contando spesso sulla scusa della piccola vita che lenta cresceva nel grembo di Tenten.
Non poteva permettere che anche suo figlio morisse, per questo si era fatta forza e aveva affrontato i suoi sentimenti.
Ormai quel buio periodo della sua vita era solo un ricordo chiuso con cura nella sua mente.
Erano passati ben quindici anni dalla morte di Kankuro, e dalla sua rinascita.
Si asciugò una lacrima solitaria, Tenten, posando il mazzetto di fiori di campo dinanzi la candida lapide.
Sotto alla foto di un ragazzo sorridente campeggiava il suo nome, inciso nella fredda pietra.
Sabaku no Kankuro.
Deglutì a fatica, la donna dai lunghi capelli castani, a causa del groppo in gola che le mozzava il respiro.
Ripensare ogni anniversario della morte del suo amato a come quella era avvenuta era doloroso.
Era evitabile una perdita simile.
Ma da giovani non si può sapere tutto della vita e nemmeno prevedere i piani del fato funesto.
Tenten, dopo anni, si accontentava di essere rimasta vicina a Kankuro fino alla fine, e di aver dato alla luce il frutto del loro amore.
Era riuscita a salvare il feto di poche settimane grazie alla cura dei medici, evitando un aborto spontaneo dovuto alle fatiche della guerra.
Eccolo,infatti, vicino a lei, vivo e sano.
Un ragazzo sui quindici anni dai corti capelli castani e i vispi occhi dello stesso colore.
Fissava anche lui la lapide, un'espressione di delusione in volto.
Avrebbe voluto conoscere suo padre, avrebbe voluto aver passato l'infanzia a giocare con lui.
Non poteva certo provare un dolore simile a quello della madre, ma di certo i rimpianti bruciavano come ferite aperte.
Odiava la guerra per essersi portata via suo padre in modo così vile. Non era morto da eroe, si era solamente ritrovato indifeso contro il nemico. Nemmeno alla vista di un uomo che salva la vita alla sua amata i plotoni avversari avevano provato pietà. L'avevano ammazzato senza esitare, come con molti altri.
Strinse i denti, al solo pensiero del futile motivo di un conflitto talmente disastroso.
Fissò la lapide un'ultima volta, prima di abbassare lo sguardo.
-Mamma, andiamo?- chiese, la voce flebile. Era incapace di sopportare oltre quel gravoso peso calatogli sul cuore appena messo piede nel cimitero.
Tenten rimase in silenzio, gli occhi puntati sull'inanimata immagine del suo amato.
Chiuse gli occhi, sospirando.
Rimanere attaccati in modo maniacale alla gabbia del passato non sarebbe servito a niente.
Dovevano vivere il loro presente, sperando di essere continuamente osservati dal cielo dalla persona a loro più cara, libera da quella dolorosa vita mortale.
Guardò un'ultima volta la tomba, rivolgendo un'ultimo pensiero d'amore alla fredda pietra, sperando che arrivasse al caldo spirito che l'aveva salvata anche in punto di morte. Non era stato il trapasso più eroico, per la nazione e il mondo, ma l'aveva protetta e sicuramente continuava a farlo, lassù in paradiso.
Si voltò, decisa a non versare lacrime per un trauma ormai superato.
Parlò, rivolgendosi al figlio ancora immobile di fronte alla lapide.
-Non serve a niente rimpiangere i morti. Tuo padre sicuramente vorrebbe che tu vivessi a testa alta la tua vita. Andiamo, Kankuro.-
Il ragazzo annuì e, insieme alla madre, lasciarono sola la piccola tomba, ma non abbandonarono mai il ricordo del loro protettore.

Note Autrici:
Prima classificata al concorso a coppie indetto da memi e Sae.
Siamo tornate, in coppia addirittura. Vi conviene tremare.
Con questa storia io, kiara_chan, e la mia compare HopeToSave ci siamo guadagnate il primo posto. Ancora non ci crediamo *-* Quante ne abbiamo passate prima di metterci d'accordo e cominciare a scrivere xD. Direi che la nostra complicità ha funzionato, sìsì.
Ringrazio la mia degna compare, la bebottolina, per la sua ossessione per la guerra, la sua svogliatezza e il suo essere pasticciona. Non che io sia meglio, anzi <.<
Complimenti anche a Talpina Pensierosa e Hinata Hyuuga e MillyMalfoy e WishfulThinking.
Complimenti anche alle giudici, per l'idea del contest.
Che altro dire, se non che siamo felicissime del primo posto? Quando abbiamo letto i risultati entrambe abbiamo cacciato un urlo di gioia. In seguito Beba si è calmata mentre io ho continuato a sclerare.
Ci rivederete presto, spero...credo....forse....
In ogni caso, temete il gatto rosa e il cane giallo u.u
Recensite, sennò Kankuro vi pianterà cinque pallottole in fronte u.u

Posso dire qualcosa anche io, ora che ho riscritto tutto l'html?XD
Come ha detto Gretuzza (sì, il tuo nome, l'ho detto, probblèmi?XD), non ci credevo, ma mi sono calmata... XD Andiamo a fare un po' di yoga, cara? u.u
Sì, sono scema, ma non importa... u.u
Non badate alla minaccia di Greta... u.u ci penserà Tenten, tanto!XD

PinkCat_YellowDog *-*

  
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