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Autore: Do_Not_Touch_My_Patria    11/02/2014    4 recensioni
Sono passate due settimane dalle vicende di "Trovami Almeno un Motivo per cui Dovrei Amare l'Italia".
Gli Amis de l'ABC sono tornati a casa, a Parigi, e la vita di tutti i giorni a ripreso a scorrere tranquillamente per tutti.
Beh, quasi tutti.
Infatti, se Combeferre e Eponine portano avanti una relazione ampiamente meritata, se Marius e Cosette si stanno preparando per il loro matrimonio, se Courfeyrac e Jehan possono godersi finalmente un po' di pace e se Bossuet e Joly sono finalmente diventati una coppia a tutti gli effetti, insomma, se tutti ora sono felici, lo stesso non si può dire di Enjolras e Grantaire.
Qual è il problema?
Semplicemente, il nostro caro Apollo ha finalmente realizzato di essersi impegnato con l'ultima persona che avrebbe mai immaginato, e adesso il suo cuore deve fare i conti con la sua mente.
Come far combaciare un'anima desiderosa di amare, di ridere e di vivere, con un cervello rigido e intransigente come quello del giovane Leader?
Grantaire non è molto preoccupato: sa che ci vorrà tempo, ma lui non ha alcuna fretta, basterà fare tutto un passo alla volta...
[Sequel di TAUM, ma tranquillamente comprensibile senza averla letta.]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Enjolras, Grantaire
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II__Prima Notte Insieme









Non avrebbe saputo dire come erano riusciti a convincere Enjolras.
Probabilmente erano stati gli occhioni di Prouvaire, o forse, ipotesi ancora più probabile, Courfeyrac aveva tirato a mezzo qualche vecchio debito che il biondo non aveva estinto nel corso degli anni facendo leva sul suo eccessivo senso dell’onore.
Mai e poi mai, dopotutto, Grantaire si sarebbe sognato di attribuire la riuscita dell’impresa a sé stesso e ai mille mille baci fra i quali gli aveva ripetutamente chiesto il permesso.
Fatto sta che, alla fine, Enjolras si era visto costretto a cedere e aveva passato tutto il Sabato mattina a pulire il suo appartamento in vista della cena con Taire, Courf e Jehan.
Era una fredda giornata di fine Gennnaio e il cielo terso e illuminato dal debole sole invernale entrava nei polmoni e usciva dalle labbra sottoforma di piccole nuvolette di vapore.
Grantaire era uscito alla mattina presto e, in sella alla sua inseparabile bicicletta, si era recato fino sul Lungosenna, dove si era sistemato a dipingere fino a mezzogiorno.
Uno degli ultimi giorni di Novembre, prima che quel coperchio grigio e pesante che gravava su Parigi decidesse di riversarsi a terra in un’interminabile pioggia scrosciante, Jehan gli aveva fatto notare che dal ritorno da Firenze aveva preso l’abitudine di dipingere a colori.
Lì per lì si era limitato a sorridere e fare spallucce, ma quell’osservazione l’aveva incuriosito, così, quando era tornato a casa, era andato subito a rovistare fra i vecchi album da disegno.
Era vero.
Agli schizzi a matita e ai ritratti a carboncino si erano andati lentamente a sostituire i pallidi acquerelli e i luminosi dipinti ad olio, e la gamma di colori era andata aumentando, divampando di gialli e di rossi, di verdi e di azzurri.
Jehan era sempre stato un ottimo osservatore, e ancora una volta aveva saputo cogliere il vento di cambiamento che lo aveva investito in quegli ultimi tempi.
Certo, la sua realzione con Enjolras non era perfetta e ogni tanto finivano per discutere, ma Grantaire sapeva che il Leader degli Amis, quel ragazzo che era entrato nella sua vita come un’onda di marea, un raggio di sole insinuatosi attraverso una fessura nel legno delle imposte sprangate della sua anima, quella certezza a cui la sua storia di espedienti e rinunce si era aggrappata con le ultime forze rimaste… ebbene, sapeva che quel ragazzo lo amava, e questo lo rendeva la persona più felice sulla faccia della terra.
Dopo aver disegnato per quattro ore buone aveva riposto le sue cose nella grande borsa di cuoio ed era rimontato in sella, pedalando fino al Quartiere Latino. Lì aveva legato la bici alle inferriate dei giardini dell’Abazia di Cluny, proprio di fronte a casa di Courf, e aveva attraversato la strada fino alla sua Creperie di fiducia, pochi metri oltre il McDonald’s.
Il fatto che in tutta la mattina non avesse ancora sentito Enjolras nemmeno tramite un misero sms poteva significare una cosa soltato: il ragazzo era nel panico più totale.
Grantaire era infatti venuto a conoscenza, in quei mesi, delle scarse se non nulle capacità culinarie del biondo, che aveva vissuto gli anni dopo il diploma nutrendosi esclusivamente di cibi pronti da scaldare in microonde o delle provvidenziali torte salate che la mamma di Courf si ricordava di preparargli ogni tanto.
Dopo pranzo aveva quindi deciso di andare a fare la spesa e organizzare mentalmente la cena di quella sera, che avrebbe preparato lui stesso per salvare la reputazione del suo ragazzo.
Ed ecco che si era ritrovato a bussare alla porta di quell’appartamento sacro che pian piano aveva imparato a conoscere come se fosse il proprio.
Enjolras gli aveva dato una copia delle chiavi, ma lo scettico non aveva mai osato presentarsi senza invito o non palesare la sua presenza tramite il campanello. Dopotutto, per quanto riguardava gli spazi abitativi, il biondo non aveva mai dato alcun segno di voler aprirsi a condivisione.
All’inizio Grantaire non vi aveva dato molto peso: conosceva Enjolras e sapeva quanto fosse una persona pudica e bisognosa dei suoi spazi; tuttavia, a ormai cinque mesi dall’inizio della loro relazione, il ragazzo aveva iniziato a percepire quella reticenza come un tentativo di tenerlo ad una certa distanza.
Non si era mai azzardato a intraprendere quel genere di discussione con Enjolras, ma ogni volta che, la sera, lo salutava chiudendo piano la porta alle sue spalle, sentiva dentro di sé l’amarezza del rifiuto.
Certo, era stato lui stesso a suggerirgli di prendersi il suo tempo, a godersi tutto senza fretta, un passo alla volta, eppure adesso temeva che quell’atteggiamento potesse significare un principio di allontanamento: Enjolras non voleva che rimanesse, non voleva che entrasse nella sua vita definitivamente, a tutti gli effetti.
E questo gli faceva male.
- Grantaire! Non ti aspettavo così presto… -
La voce di Enjolras lo raggiunse fin sul ballatoio, accompagnata da un paio d’occhi azzurri colmi di stupore infantile.
Quell’osservazione si insinuò sotto alla sua pelle e rimase incastrata fra il cuore e la trachea, dolorosa e pungente come una spina.
Ah, basta! Stava diventando paranoico…
- Ho pensato di darti una mano con le vettovaglie, o mio anfitrione! – scherzò con un occhiolino sollevando i sacchetti della spesa; aveva comprato così tante cose che delle semplici buste non sarebbero bastate…
Enjolras lo fece entrare e gli prese le sporte dalle mani, andandole a posare sul tavolo in cucina ed esaminandone il contenuto.
- Sei sicuro che riusciremo a mangiare tutta questa roba? – domandò inarcando un sopracciglio di fronte alla moltitudine di buste, scatole, pacchetti e cestelli di cibo di ogni sorta.
Grantaire rise e si appropriò di una bottiglia di birra che sporgeva da un sacchetto, cercando distrattamente l’apribottiglie nel cassetto.
- Devo forse ricordarti che avremo a cena Courfeyrac? –
Il Leader tacque un momento, per poi esibire un sorrisetto dalla sfumatura malinconica.
- Se penso che quando eravamo bambini spazzolava sempre i buffet alle feste di compleanno… - osservò, lasciandosi andare ai ricordi.
Lo scettico prese due grandi sorsate di birra e si asciugò le labbra con la manica.
- Non che le cose siano cambiate… Devo forse ricordarti il compleanno di Bossuet? –
Enjolras rabbrividì al solo menzionare quell’occasione.
- Ti prego, sto cercando di dimenticare quella festa. –
Grantaire ignorò quella replica colma di terrore e scivolò verso i fornelli. Analizzò rapidamente quanto acquistato e, presa una grande padella, iniziò a tagliare le verdure con cura e maestria.
- Dove hai imparato a cucinare così bene? – chiese il biondo a bruciapelo, facendo sì che l’artista interrompesse momentaneamente il suo lavoro.
Per qualche secondo il silenzio regnò sovrano nella piccola cucina, finchè il ragazzo non si voltò con un’espressione misteriosa in volto.
- Di necessità virtù, Apollo. Di necessità virtù… - spiegò, enigmatico come ogni volta che il discorso verteva sulle sue qualità o sul suo passato.
Anche se non aveva spiegato proprio un bel niente, Grantaire aveva detto la verità: non aveva imparato a cucinare per sfizio o per passione, ma piuttosto per necessità.
L’adolescenza era un periodo della sua vita di cui non parlava volentieri, e a dirla tutta nessuno degli Amis sapeva molto di chi fosse Grantaire prima di unirsi al gruppo. Gli unici a cui lo scettico si era sentito di confessare parte del suo passato erano Eponine, con cui condivideva il dolore della disillusione, e Jehan, la cui anima pura era stata in grado di capirlo e di scavare nei suoi ricordi senza che nemmeno dovesse parlarne. Non se n’erano accorti subito, ma il poeta e Grantaire avevano scoperto di conoscersi da molto più tempo di quanto non avessero inizialmente pensato.
Le abilità culinarie dell’artista erano venute a galla proprio quando la necessità gli aveva imposto di sfruttare ogni espediente e il ragazzo, allora alle prese con la novità del Liceo, aveva dovuto imparare a cavarsela da solo in qualsiasi occasione.
Nonostante tutto a Grantaire piaceva cucinare, e quando si prodigava in questa occupazione il suo viso si trasigurava, assumeva tratti più rilassati e linee più dolci, come se i profumi e i sapori lo avessero portato indietro ad un tempo felice, estraniandolo a quella realtà che tanto lo deprimeva.
Enjolras adorava guardarlo cucinare.
Sarebbe rimasto a contemplarlo per ore, le sue mani ferme abituate a maneggiare pennelli e a sporcarsi di colore adesso imprengate del profumo pungente delle spezie e attente nel rimescolare gli ingredienti.
Se c’era un lato segreto di lui che lo aveva fatto defnitivamente capitolare, era proprio il suo essere un cuoco eccellente.
Non sapeva perché, e il pensiero lo faceva sempre sentire un po’ stupido, ma non riusciva a evitare di pensare che Grantaire, preso dalla realizzazione di chissà quale ricetta complicata, fosse dannatamente attraente.
Il moro si sentì circondare i fianchi da un paio di braccia salde e dall’incarnato pallido, e non fece nemmeno in tempo a stupirsene che il naso di Enjolras già sfregava contro il suo collo in un abbraccio che gli fece dimenticare completamente la padella sul fuoco.
Voltò il capo quel tanto che bastava ad incontrare le labbra del suo rivoluzionario, abbandonandosi a quel contatto sincero e delicato.
- Niente da fare, non imparerò mai… - brontolò Enjolras appoggiando il mento sulla sua spalla, senza azzardarsi a sciogliere quell’abbraccio spontaneo e silenzioso.
Grantaire sorrise e mescolò il soffritto con un lungo cucchiaio di legno.
- Ma no, è solo questione di esercizio. Sai quante pentole ho bruciato prima di imparare a cucinare qualcosa di commestibile? Una volta sono riuscito persino a dare fuoco a un raviolo cinese… - confessò.
Enjolras scoppiò a ridere di una di quelle sue risate sincere e limpide che solo da qualche mese aveva iniziato a concedersi con maggiore frequenza.
- Non ci credo, come diamine hai fatto?! –
Il ragazzo fece spallucce.
- E che ne so? Fatto sta che da quel giorno il cibo cinese l’ho sempre solamente ordinato… - e risero, mentre insieme, per fare più in fretta, si dividevano le mansioni e decidevano il menu della serata.
Courfeyrac e Jehan arrivarono in serata, quando le luci della città ricevevano indietro i loro bagliori da strati di nuvole sfilacciate in arrivo da ovest.
- C’è odore di burrasca… - aveva commentato il poeta, ma nessuno aveva prestato particolare attenzione alla sua constatazione, il naso troppo distratto dal delizioso profumino proveniente dalla cucina per notare l’odore di polvere e umidità che si alzava dall’asfalto del Boulevard.
Inutile dire che i timori di Grantaire si rivelarono fondati: Courfeyrac spazzolò con la voracità di un piccolo ippopotamo tutto ciò che gli capitava a tiro, comprese le paste che lui e Jehan avevano portato per dolce.
- Mi sarebbe piaciuto assaggiare un bigné. – borbottò con freddezza Enjolras rivolgendo un’occhiataccia al suo migliore amico.
Courf deglutì e fece spallucce, regalandogli un sorriso a trentadue denti.
- Beh, ci sono ancora quelli con la glassa marrone! – replicò con un cenno al vassoio delle paste.
Il biondo sbuffò, domandandosi nel suo intimo se Courfeyrac lo stesse facendo apposta o meno.
- Courf, quelli sono alcolici. Mi fanno schifo. Io volevo i bigné bianchi.-
Jehan trattenne a stento un risolino, mentre al sentir nominare l’alcool Grantaire gli faceva segno di stare zitto e, non visto dal padrone di casa, si infilava in bocca tre bigné marroni in una volta sola.
- Oh, Enjy! Cresci un po’! Non puoi prenotarti le paste! – scherzò Courf, che a scanso di equivoci, all’apertura del pacchetto, se ne era messe una decina nel piatto senza badare alla foggia o al sapore.
- E poi dai, quelli bianchi? Ma lo sai che il bianco è il colore della monarchia? –
Questa considerazione mandò in tilt il giovane Leader, che probabilmente non ci aveva mai pensato e adesso prendeva con estrema serietà quella battuta.
La sua espressione sbigottita fece ridere tutti quanti, mentre Courf si alzava da tavola e si dirigeva verso il salotto, alla ricerca dell’enorme zaino che si era trascinato dietro quella sera.
- Si può sapere che cosa diamine ci hai infilato dentro? Cos’è, un cadavere? – domandò Enjolras alzando la voce per farsi sentire, Jehan che lo aiutava a sparecchiare e ne approfittava per impossessarsi dell’ultimo macaron.
Fu il ghigno divertito di Grantaire a rispondere.
Il biondo si sentì sbiancare.
- No. No, di questo non si era assolutamente parlato. – balbettò, facendo capolino dalla porta scorrevole della cucina.
Jehan gli batté una pacca sulla spalla.
- Dovevi aspettartelo… - fu il suo commento a metà fra lo sconsolato e il divertito.
- Vedrai che ti divertirai anche tu! – spiegò con un sorrisetto andando a prendere posto sul divano accanto a Grantaire, che ovviamente si era già avventato sui giochi senza nemmeno degnarsi di dare una mano a Courf a montare l’X-box.
- Uh! Partitone a CoD? – esclamò infatti, tutto elettrizzato.
- No, dai, ragazzi…. Vi prego… -
Enjolras odiava i videogiochi.
Non solo li aveva sempre ritenuti fautori dell’atrofia del libero pensiero e dell’intelligenza umana –insomma, con Courfeyrac aveva avuto un bell’esempio scientifico-, ma era anche completamente tagliato fuori da una qualsiasi discussione, essendo lui completamente ignorante in materia.
Lo scettico si alzò in piedi e lo raggiunse circumnavigando il divano.
- Su, si tratta solamente di un paio d’ore… Lasciati andare e goditi il divertimento! – gli sussurrò a for di labbra, distraendolo con un bacio e piazzandogli il joystick fra le mani.
Enjolras interruppe il bacio e strabuzzò gli occhi.
- Come, scusa?! –
Grantaire sorrise imbarazzato e si grattò la nuca.
- Ho scommesso una settimana di bevute che sotto alla mia guida avresti vinto contro Jehan… -
Il ragazzo lo guardò, atterrito, poi spostò lo sguardo su Courfeyrac che, seduto sul tappeto, già alzava indice e medio in segno di vittoria.
- Idiota, dovresti saperlo che nessuno ha mai vinto una scommessa contro quel bastardo! – sibilò a denti stretti, nella speranza di non farsi sentire dagli avversari.
Ma ormai era in ballo il suo onore, e non si sarebbe tirato indietro.
Oltrepassò Grantaire e andò a sedersi sul divano accanto a Jehan.
- Bene, adesso spiegatemi cosa devo schiacciare e vedremo chi è il migliore qui. – fece con un ghigno preoccupante stringendo la presa attorno al joystick.
Gli altri tre si scambiarono un divertito sguardo d’intesa: anche Enjolras era infine caduto nel vortice dei videogames.
Grantaire sapeva dell’immensa e inspegabile fortuna di Courfeyrac in fatto di scommesse. Lo sapeva, e avrebbe fatto bene a trarre insegnamento dalla tragica batosta che aveva subito quell’estate a Firenze, tuttavia la sua testardaggine lo aveva portato a ripetere l’errore più e più volte, facendo sì che quella sera i suoi due migliori amici lo fregassero su tutta la linea.
 Niente da fare, nonostante Enjolras si fosse dimostrato un giocatore discretamente abile, tutti sapevano che la sfida era persa in partenza: nessuno, nemmeno Courfeyrac, era in grado di eguagliare la precisione e la maestria che Jehan dimostrava nei giochi di guerra.
Il Leader aveva una buona tattica, ma l’esperienza del poeta aveva immediatamente fatto comprendere a tutti quale sarebbe stato l’esito della scommessa.
La serata trascorse fra risate, rivincite e imprecazioni, fino a quando Jehan non ritenne opportuno tornarsene a casa.
- Tu potrai anche passare la notte in bianco, ma domani riprendono i corsi e non posso permettermi di addormentarmi sul banco! – esclamò all’indirizzo di Courfeyrac, che era ben intenzionato a fare le ore piccole.
Questo finì di infilare l’X-box nello zaino e gli passò un braccio attorno alle spalle.
- Io invece credo proprio che stanotte passerai la notte in bianco pure tu! – gli sussurrò nell’orecchio con il solo risultato di farlo avvampare.
Grantaire gli rivolse un’occhiata indecifrabile e scosse la testa divertito.
- Quanto sei scemo, Courf… -
Il ragazzo, in tutta risposta, gli mostrò il dito medio e salutò Enjolras con un cenno della testa.
- Allora ci vediamo domani pomeriggio, Enj! Buon divertimento con i piatti! – esclamò per poi fiondarsi giù per le scale, onde evitare reazioni violente da parte dell’amico.
- Courf, inciampa su una baionetta! – gli gridò dietro quello mentre Jehan salutava con la mano.
Quando i due se ne furono andati, lo scettico tornò in cucina con un sospiro.
- Dai, che ti aiuto a lavarli… Ma non potresti comprarti una lavastoviglie? – si lamentò con un sorriso.
Enjolras fece spallucce.
- Per una persona soltanto? Non vale la spesa… -
Quella frase cadde nel silenzio. Nonostante si trattasse di una semplice constatazione, Grantaire si era sentito in qualche modo ferito, come se con quell’osservazione Enjolras l’avesse nuovamente escluso dalla sua vita, dai suoi progetti.
Un rumore sordo e un flash di luce biancastra annunciarono che le previsioni di Jehan si erano rivelate azzeccate: le nuvole avevano interamente coperto il cielo parigino, e adesso riversavano la loro noia sulla città in un violento temporale.
- Merda… - sibilò l’artista.
- Sono in bici. – aggiunse in spiegazione all’occhiata interrogativa del biondo.
Enjolras diede un’occhiata fuori dalla finestra e sospirò, sembrava proprio che il diluvio non avesse alcuna intenzione di smettere.
- Beh, puoi rimanere finchè non smette, mica ti caccio… -
Eppure a Grantaire, più che una cortesia, quel gesto parve una concessione.
Quel finché non smette lo immerse in un gelo ben peggiore di quanto non avrebbe potuto fare il temporale: era evidente, il suo Apollo non lo voleva tra i piedi.
Annuì distrattamente, e mormorando un “grazie” poco convinto andò a sedersi sul divano e prese a fare zapping.
Enjolras finì di asciugare i bicchieri e li ripose nella credenza, per poi andare a sistemarsi vicino a Grantaire.
Non dissero niente, nemmeno si sfiorarono. Rimasero seduti sul divano come statue di marmo, ognuno dei due immerso nelle proprie elucubrazioni mentre le parole senza senso del film in tv soffocavano i pensieri.
Dopo un’oretta di pesante e fastidioso silenzio il giovane Leader degli Amis sparì in camera sua, emergendone poco dopo con un plaid a strisce rosse, bianche e blu.
- Io vado a letto. Ci… Ci vediamo domani… - sussurrò lasciando la coperta sullo schienale del divano.
L’artista annuì e gli augurò la buonanotte con un grande sorriso ma, non appena la porta della camera da letto si chiuse alle spalle del biondo, si portò le mani al volto e si lasciò cadere sdraiato sul divano.
Era un idiota.
Uno stupido illuso senza speranze, nulla di più.
Come aveva potuto credere che Enjolras avrebbe voluto costruire qualcosa di solido assieme a lui? Come aveva potuto lasciarsi andare all’idilliaco scenario di una vita al suo fianco?
Era evidente: a Firenze le cose erano andate in quel modo perchè il biondo si era sentito in colpa per via dell’incidente. Forse ci aveva provato davvero, a farsi andare a genio Grantaire, ma alla fine i nodi erano venuti al pettine.
Enjolras era troppo bello, troppo retto, troppo perfetto per potersi accompagnare ad uno come lui, l’emblema della sregolatezza e del disordine.
Era solo questione di tempo, poi il castello di carte sarebbe crollato.
Fra questi pensieri angoscianti e il rumore squarciante dei tuoni, le immagini alla tv che si susseguivano senza preoccuparsi di ricevere attenzione, Grantaire si addormentò.
Nel frattempo, in camera sua, Enjolras rimuginava.
Era un cretino.
Un deficiente che non aveva nemmeno il coraggio di guardare in faccia la realtà.
Come aveva potuto comportarsi in quel modo, quando era evidente che chiunque si sarebbe aspettato un atteggiamento diverso in un frangente simile?
Dopotutto stava con Grantaire ormai da cinque mesi, e mai la sua vita gli era parsa così luminosa.
Eppure quel passo gli sembrava enorme, definitivo, come dire addio a tutto quello che c’era stato prima.
Ma che male c’era a lasciarsi la sua vecchia vita alle spalle? Che male c’era ad accettare una volta per tutte quel cambiamento che non gli aveva fatto che bene?
Si rigirò nel letto molte volte, quella notte, chiedendosi se anche Grantaire desiderasse un po’ di stabilità e qualche certezza in tutta quella faccenda, se anche lui in qualche modo avesse sperato in un epilogo diverso a quella serata.
Gli si formò un groppo in gola e si coprì il volto con il cuscino, disperato e in balia dei suoi sentimenti che proprio non volevano dargli tregua.
Dopotutto lui lo sapeva, lo sapeva già da un pezzo.
Era da molto che aveva capito cosa desiderava, solo non aveva il coraggio di chiederlo a Grantaire.
Era una cosa seria, quella, un passo decisivo.
Doveva rifletterci, ragionare, valutare i pro e i contro.
Avrebbe dovuto consultarsi con qualcuno, stilare una lista, fare qualcosa…
E invece le azioni erano state più veloci dei suoi pensieri, e lo avevano cacciato giù dal letto senza sciogliere quel nodo che gli impediva di respirare o deglutire.
- Grantaire… - si ritrovò a sussurrare, scuotendolo piano per svegliarlo.
- Mh… - fu la risposta del ragazzo addormentato.
- Grantaire… - ripeté con dolcezza, inginocchiandosi accanto a lui.
Lo scettico aprì un occhio, intontito dal sonno al quale era stato strappato.
- Che c’è? –
Enjolras sorrise timidamente, arrossì come un bambino, abbassò lo sguardo e lo prese per mano.
- Vieni a letto, fa freddo qui… - e senza aspettare una qualsiasi replica lo trascinò piano verso camera sua.
Grantaire non parlò, non disse niente, si limitò a sfilarsi i vestiti in silenzio e a prendere posto sotto le coperte.
Nessuno parlava, ma non era come prima, sul divano.
Quel silenzio non era pesante, faceva piacere.
In quel silenzio riuscivano di nuovo a parlarsi, a capirsi.
Enjolras appoggiò la testa sul suo petto e chiuse gli occhi. Era tutto così perfetto…
Lo scettico non disse niente e, assonnato ma felice di quella concessione dai colori di un nuovo inizio, si limitò ad accarezzargli piano i riccioli finchè entrambi non sprofondarono di nuovo in un sonno tranquillo e sereno.
L’ultima cosa di cui Grantaire si rese conto prima di chiudere gli occhi e sorridere fu un suono, o meglio, l’assenza di un suono: aveva smesso di piovere.




















 
Note:

Eccoci qui, ritornate dopo una stressante e dolorosa sessione di esami!
Almeno sono andati bene ad entrambe, sennò avrei potuto uccidere/mi... xD
Sì, ci abbiamo messo una vita, facciamo schifo, lo sappiamo. Che poi sento che questo plurale mi verrà fatto pagare dalla cara dolce Ame, che come al solito è al di fuori della mia vergognosa lentezza.
Cooooomunque, passiamo al capitolo!
Questi due sono dannatamente diabetici, e anche se la fanfiction è etichettata come fluff ho dovuto metterci un po' di angst, sennò morivo sommersa dagli zuccheri. xD
Ma poi ve lo immaginate Grantaire che cuicina? =w= -Koori va in tilt-
A proposito di Taire, qui abbiamo avuto un piccolo e brevissimo scorcio sul suo passato. Che ci nasconde il nostro caro scettico? Lo scopriremo presto, abbiate fede! ~
Nel fratempo Enj e Jehan si sono sfidati a Call of Duty.
Non mi divertivo tanto a scrivere una scena dai tempi di Ferre & Just Dance e il motivo per cui Joly non guida... xD
Ma ecco che appena quei casinari di Courf e Jehan -si, lo so che l'unico vero casinaro è Courf- se ne vanno arriva la tensione.
Perchè dopo tutto questo tempo le cose fra i nostri eroi non hanno ancora assunto una forma definitiva, il piccolo Taire si sente in qualche modo respinto e si fa le paturnie e Enj non ha il coraggio di dirgli di restare.
Però diamine, mollarlo sul divano non è stato per niente carino!
Beh, ma il nostro biondino si è fatto perdonare, no?
Niente, non ce la faccio, questi due li amo in maniera troppo esagerata... <3

Ora piccola INFORMAZIONE DI SERVIZIO! :D
Con il secondo capitolo siamo giunti a metà di Step by Step. Siccome ho una shot pronta da mesi sull'infanzia del nostro Leader preferito che si ricollega in qualche modo con tutta la vicenda dei nostri Amis e spiega un paio di cosette pensavo di pubblicarla ora, prima del terzo capitolo di SbS.
Quindi stay tuned, gente! Ci si rivede presto! -imparate a non fidarvi troppo di questa frase, però, l'Uni si è rivelata più massacrante del previsto-

Un grazie immenso a tutte le favolose persone che ci recensiscono/seguono/peferiscono/leggono, non ci saremmo mai aspettate un simile riscontro a Step by Step.
Siete persone meravigliose e vi amiamo.
Oh. <3

Au revoir et Vive la France!
Ame&Koori
  
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