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Autore: Aurore    12/02/2014    1 recensioni
Sequel di Midnight star.
Dopo gli eventi e le rivelazioni che hanno scosso il suo piccolo mondo, la vita di Renesmee è tornata alla normalità: è sempre più felice con Alex e insieme a Jacob ha ritrovato l'affetto e la complicità del loro legame. Ma all'orizzonte si addensano nuove nubi: quando spaventosi incubi iniziano a tormentare le sue notti, Renesmee si trova costretta a scegliere tra perdere ciò che ama di più e tentare di salvarlo, e ad affrontare eventi imprevedibili che potrebbero cambiare ogni cosa.
Tutto finisce, nulla resta uguale, e a volte il destino impone scelte e cambiamenti dai quali non si torna indietro.
Tratto dal capitolo 7:
Il suo sguardo era stata la prima cosa che mi aveva colpita, di lui, nel giorno lontano in cui ci eravamo conosciuti. [...] Lo stesso sguardo che mi aveva osservata con tanta attenzione per catturare quello che c'era in me di più profondo mentre mi disegnava. Nessuno mi aveva mai guardata così. In quel disegno c'era qualcosa di bellissimo, potente e tremendo al tempo stesso. Qualcosa di ineluttabile, che ormai non poteva essere fermato.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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C 4
Capitolo 4
Get to you

Coz I'm on my way
I'll chase the day
Yeah, I'll keep running all night
I just won't rest to catch my breath
I will run every red light
To get to you
No, I will get to you
No, I will get to you
I will
I'll get to you
Just hold on a little longer
I'll get to you.
Get to you
, James Morrison¹



Gelosia. L'altra faccia dell'amore.
Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo




Nahuel mantenne la sua promessa. Il giorno seguente tornò a trovarci, e poi il giorno successivo e quello ancora dopo, e continuò a farlo per tutta la durata della vacanza. Per la maggior parte del tempo stavamo da soli, io e lui, in casa o al mare, ma a volte Edward e Bella si univano a noi. Impararono presto ad apprezzarlo. Nahuel possedeva una cultura piuttosto vasta, un'intelligenza pronta e uno spirito acuto. Parlare con lui era divertente e appassionante. Aveva visto molte più cose di me e aveva molta più esperienza, ma per quanto io fossi curiosa, lui lo era altrettanto nei miei confronti e, come durante la nostra prima serata insieme, mi bersagliava di domande sulla mia vita quotidiana, la scuola, le amiche... Alex. Tenevamo fede alla decisione di non parlare del nostro bacio e anche i miei genitori ignoravano la cosa, su mia esplicita richiesta. Questa volta sembravano decisi a darmi tutta la libertà di azione che desideravo e mi dissi che forse il nostro rapporto si avviava davvero ad una svolta; forse avrebbero finalmente smesso di trattarmi sempre come una bambina che incapace di decidere per se stessa.
Una volta Huilen accompagnò il nipote a casa nostra su invito di Edward e Bella. Io parlai poco con lei, ma scoprii che il suo carattere era davvero schivo e cauto come era stato descritto da Nahuel.
Al termine della vacanza, mi accorsi che il dispiacere che provavo sempre nel lasciare l'Isola Esme era raddoppiato. C'era anche una persona, adesso, che non avrei voluto lasciare. In pochi giorni Nahuel ed io eravamo diventati buoni amici e per me, che con le nuove conoscenze ero sempre timida e imbranata, era una specie di miracolo. Ci avevo messo un po' perfino a socializzare con Jas, sebbene lei fosse tutt'altro che timida.
Mentre il giorno della mia partenza si avvicinava, parlammo qualche volta di scambiarci gli indirizzi e tenerci in contatto con delle lettere dal momento che Nahuel e sua zia non possedevano un telefono; entrambi erano piuttosto allergici alla tecnologia. Ma nessuno dei due era molto convinto, e a poco a poco lasciammo cadere l'argomento. Forse lui sentiva, come me, che tenerci in contatto assiduamente avrebbe potuto complicare le cose tra noi. La scintilla che Nahuel aveva acceso durante la nostra cena con quel bacio appena accennato sembrava destinata a morire senza lasciare tracce, ma temevo che se incoraggiata avrebbe potuto divampare facilmente, alimentata dall'intesa che c'era tra noi, dal misterioso e intenso legame che ci univa. E sentivo che sarebbe stato sbagliato, che la nostra strada non era quella e che se l'avessimo imboccata ce ne saremmo pentiti. E poi io avevo Alex ed ero assolutamente sicura di non desiderare nient'altro che lui. Di conseguenza, trascorrere un anno intero a scriverci lettere e a scambiarci pensieri, racconti e confidenze sarebbe stato troppo. Almeno per ora, almeno in quel momento, preferivo che mantenessimo un confine tra noi. Non sapevo fino a che punto Nahuel condividesse le mie riflessioni, ma forse le intuì e decise di rispettarle.
Disse che avrebbe convinto Huilen a tornare a Forks, ma non ci sperava molto. Sua zia lo riteneva un viaggio troppo lungo e se lei restava lì, Nahuel non l'avrebbe lasciata. Ci salutammo con un lungo abbraccio e per tutto il viaggio di ritorno il pensiero che quasi certamente non ci saremmo rivisti prima della prossima estate mi rese triste e apatica. Soltanto durante l'ultimo volo, mentre ci avvicinavamo a casa, il mio umore iniziò a lievitare: casa significava Alex, Jas e Jacob. Non vedevo l'ora di riabbracciarli, tutti e tre. Jacob lo avrei trovato lì ad aspettarmi, come al solito, mentre gli altri due sarebbero rientrati qualche giorno dopo di me: Alex era a Martha's Vineyard, nella casa al mare di famiglia, Jas in California a trovare dei parenti. E poi avrei rivisto Holly, Maggie, Danielle, Tom, Paul e Scott... mi erano mancati da morire tutti quanti.
All'aeroporto trovammo ad aspettarci Esme e Carlisle, che avevano trascorso un paio di settimane a Denali insieme ad Alice e Jasper, mentre Emmett e Rosalie erano partiti da soli per un viaggio nel Sud della Francia e sarebbero tornati a settembre. Quando atterrammo era notte. Appena salita in macchina, mi addormentai, esausta, e mi svegliai a casa, nel mio letto, la mattina dopo, come era accaduto durante il viaggio di andata verso Rio.
Feci una doccia e subito aprii le valigie e iniziai a sistemarne il contenuto. Mi muovevo più in fretta possibile perchè avevo promesso a Jacob che lo avrei raggiunto a La Push in mattinata e avrei pranzato a casa sua. Ci sarebbe stata anche Rebecca con suo marito, Solomon², venuti in visita per l'imminente matrimonio di Rachel e Paul, programmato a fine agosto. Rebecca ed io eravamo state scelte come damigelle della sposa ed era nostro compito dare una mano a Rachel con i preparativi.
Stavo tirando fuori dalla valigia un mucchio di magliette da lavare, quando la mamma si affacciò sulla porta.
«Ehi, tesoro. Serve aiuto?».
Le sorrisi, senza fermarmi. «No, grazie. Ho quasi finito».
Annuì. «Okay». Esitò un istante, poi entrò nella stanza camminando lentamente. Si guardava intorno con espressione concentrata, come se stesse cercando qualcosa, le braccia incrociate, le spalle contratte e rigide. «Questa camera è troppo ordinata», disse all'improvviso.
«Be', sono stata via più di un mese, è normale. Ma il caos tornerà a regnare molto presto, sta' tranquilla», esclamai, ridacchiando. Sapeva benissimo che io e l'ordine eravamo incompatibili come l'acqua e il fuoco. Buona parte delle nostre discussioni si incentrava proprio sulla mia incapacità di tenere i vestiti nell'armadio, i libri sugli scaffali della libreria e i trucchi sul tavolino da toeletta.
Lei accennò un mezzo sorriso, continuando a guardarsi intorno. Le lanciai un'occhiata curiosa, mentre estraevo dal trolley due paia di sandali e li lasciavo cadere sul pavimento. Poi parlò di nuovo.
«Era così anche quando... quando stavi da Charlie», mormorò.
Sollevai lo sguardo e la fissai. Sembrava tranquilla, ma i suoi occhi e la sua voce erano colmi di tristezza. Era come se il ricordo di quel periodo di lontananza le causasse ancora dolore, sebbene fosse trascorso un bel po' di tempo. Il senso di colpa mi artigliò le viscere, rapido e implacabile, una morsa d'acciaio. A mia volta percorsi la stanza con lo sguardo, esaminando i mobili spogli, il letto intatto, le tende chiuse, i pochi oggetti che non avevo portato con me ricoperti da un sottile strato di polvere. Meditai in silenzio per qualche secondo, poi presi dalla valigia una camicia da notte, una manciata di top, due jeans e una minigonna, li mescolai rapidamente tra loro creando un'unica massa informe, poi li lanciai in aria alla rinfusa, sparpagliandoli sul letto e sul pavimento.
«Va meglio, così?», domandai, guardando la mamma con un sorriso d'intesa.
Lei aveva seguito i miei gesti con aria sbalordita, ma in quel momento scoppiò a ridere. Aveva capito. «Sì, molto meglio. Vieni qui, tesoro».
Mi raggiunse e mi abbracciò, stringendomi forte, ed io ricambiai la stretta, sentendo un piccolo nodo in gola. Deglutii per scacciarlo.
«Piccola, il tuo cellulare sta squillando», disse la mamma. Il suo respiro freddo accanto all'orecchio mi fece rabbrividire.
«Ah, sì?». Sciolsi l'abbraccio, recuperai la borsa dal pavimento ed estrassi il cellulare da una tasca esterna. Stava vibrando. Guardai il display. «È Alex!», esclamai, felice. Premetti il tasto per accettare la chiamata. «Pronto?».
«Ehilà, Scheggia! Come andiamo? Sei a casa? Ti manco, vero? Stai morendo di nostalgia, eh?».
Che bello sentire la sua voce! La mamma mi fece un gesto da lontano ed io risposi al saluto mentre usciva dalla stanza, lasciandomi sola. «Possibile che appena apri bocca mi viene voglia di chiudere il telefono?», dissi, alzando gli occhi al cielo. «Sei insopportabile».
«Insopportabile io? Ma come, dopo più di un mese di separazione non dovresti sentire tremendamente la mancanza di tutti i miei numerosi pregi, che senz'altro non notavi quando ci vedevamo ogni giorno?».
«Li notavo eccome, credimi. A cominciare dal pregio di parlare sempre a vanvera».
«Lo so, bellezza, è il mio vanto più grande».
«Basta chiacchiere, dove sei?», intervenni, curiosa. In sottofondo sentivo il motore di un'auto.
«Sto facendo un giro. Senti, non cambiare discorso. Non c'è proprio niente che ti manchi, di me? Neanche i miei baci?».
Serrai le labbra, cercando di non fargli capire che stavo sorridendo. «No, per niente».
«Davvero?». La sua voce suonò del tutto indifferente. «Okay, vuol dire che quando ci rivedremo non te ne darò neanche uno».
Finsi di pensarci un po' su. «Mmm... E va bene, forse un pochino mi mancano».
«Ah, sì? Be', mi dispiace, Scheggia, ma non è così semplice. Adesso dovrai guadagnarteli».
«Ne riparleremo al tuo ritorno», risposi, ridendo sotto i baffi. Accidenti, quanto mi mancava. Sarei passata sopra perfino alle sue battute stupide pur di riabbracciarlo.
Lo sentii ghignare. «Già, al mio ritorno. Di' un po', che stai facendo?».
«Disfo le valigie».
«Ottimo. Non interromperò niente di importante, allora».
Eh? Aggrottai la fronte, perplessa. «In che senso?».
«Sto arrivando, Scheggia».
«Arrivando dove?».
«Lì da te».
Per poco non mollai il cellulare a terra dalla sorpresa. «Cosa? Ma... Alex, non fare scherzi idioti, dove sei?».
«In questo preciso momento? Fuori casa tua», rispose, gongolando.
«Non è possibile!», esclamai, ma in sottofondo non sentivo più il rombo del motore; si era fermato davvero. Poi sentii una portiera che si apriva. Incredula e felice, corsi nell'ingresso, spalancai la porta e lo vidi. Stava uscendo dalla sua Audi nera luccicante, in jeans dalla testa ai piedi, un giubbotto nuovo fiammante, un paio di Ray-Ban calati sugli occhi e i capelli un po' scompigliati. Fece un gran sorriso, sfilandosi gli occhiali da sole.
«Ta-dan!».
«Alex!».
Chiusi il telefono e mi precipitai ad abbracciarlo, traboccante di entusiasmo. Avevo preso un tale slancio che indietreggiò di qualche passo e quasi finimmo contro la macchina. Sentire la sua risata, il suo profumo, le sue braccia intorno a me, le sue labbra sulla guancia, mi provocò una scarica di autentica adrenalina.
«Che entusiasmo! Non avevi detto che non ti mancavo affatto?», scherzò.
«Non posso crederci! Che ci fai qui? Dovevi tornare tra due giorni!».
«Mi sono anticipato un po'. Sono arrivato ieri sera. Ho dato il tormento a Julie per due settimane e alla fine si è convinta a lasciarmi tornare da solo. Lei e Phoebe sono ancora a Martha's Vineyard».
Mentre parlava, mi fissava intensamente, i suoi occhi brillavano e andavano da un punto all'altro del mio viso, avidi, curiosi, come se non mi vedesse da un secolo. Era bello, proprio come l'avevo visto in sogno l'ultima volta, solo la notte precedente... Un altro incubo, quell'incubo che non era affatto sparito dopo la prima volta e tornava a farmi visita quasi ogni notte. Era sempre diverso, ma allo stesso tempo spaventosamente uguale: Alex moriva sotto i miei occhi senza che potessi fare niente per aiutarlo. E ogni volta mi risvegliavo in preda all'atroce certezza che fosse tutto vero.
La sua mano mi accarezzò il mento, dolce, delicata, preoccupata. «Cosa c'è, Scheggia?».
Mi sforzai di sorridergli di nuovo. «Niente, Alex. Sono così felice di rivederti», sussurrai. La sua espressione si rasserenò, come il cielo estivo che torna sereno quando un vento caldo spazza via le nuvole. Mi prese il volto tra le mani e fece per avvicinarsi, un'espressione all'improvviso famelica negli occhi, ma io opposi resistenza. «No, aspetta... I miei zii sono in casa», dissi, a disagio.
«Andiamo a fare un giro, allora», propose, prendendomi la mano. Sembrava euforico. «Ti va una passeggiata sulla spiaggia?».
«A La Push?».
«Sì. Non piove e bisogna approfittare di questo miracolo».
Ci pensai un secondo. «Be'... sì, mi va. In effetti, dopo devo andarci comunque, ho appuntamento con Jacob, il mio amico».
In quel momento Edward e Bella fecero capolino sulla soglia di casa, tenendosi abbracciati.
«Ciao, Alex!», esclamò la mamma.
Lui agitò la mano in risposta. «Salve!».
Mi girai verso di loro. «Andiamo a fare una passeggiata», annunciai.
Papà annuì. «Certo, andate pure. Divertitevi».
Alex aveva già aperto la portiera per farmi salire al posto del passeggero. «Okay, ci vediamo dopo». Li salutai da lontano con la mano mentre entravo nell'auto.
«Buona giornata!», esclamò Alex, sorridendo verso di loro, poi salì in macchina.
Era davvero fortunato ad avere a che fare con i miei genitori, pensai mentre guidava verso la riserva. Nonostante la loro consueta, eccessiva iperprotettività, dopo averlo conosciuto si erano tranquillizzati a sufficienza da lasciarci la massima libertà. E il fatto che papà non fosse mai riuscito a leggere neanche l'ombra dei pensieri del mio ragazzo non costituiva un grosso problema. Lui diceva sempre che a volte bastava guardare una persona negli occhi per riuscire a comprenderla e qualunque cosa avesse visto nello sguardo di Alex doveva essergli piaciuta.
Ma Alex non faceva eccezione soltanto alle capacità extra di mio padre: ogni membro della famiglia Cullen dotato di poteri soprannaturali aveva fallito, con lui. Alice non vedeva un bel niente del suo futuro, Jasper non aveva la minima influenza sulle sue emozioni e la mamma non riusciva ad estendere il suo scudo fino a lui... era come se qualcosa la bloccasse, diceva. Incredibile, ma vero. Io ero l'unica a non aver ancora sperimentato l'efficacia delle mie capacità su di lui, ma di certo non potevo proiettare i miei pensieri nella sua testa come niente fosse. Io probabilmente non avrei sperimentato mai. La mia famiglia aveva fatto svariate ipotesi e la più accreditata era che Alex fosse dotato di uno scudo simile a quello di Bella, ma forse ancora più potente, poichè non proteggeva solo la sua mente, ma anche il suo corpo. Sarebbe stato interessante vederlo alle prese con i poteri di altri vampiri per testare questa immunità, ma a me importava poco speculare ed ero sollevata dal fatto che la sua anomalia lo preservasse da alcuni pericoli. Ovviamente un vampiro non avrebbe avuto bisogno di poteri extra per fargli del male, ma quando pensavo a Jane, a Kate e ad altri vampiri con capacità analoghe, non potevo che essere felice di quella scoperta.
Tuttavia, la faccenda aveva anche i suoi lati negativi. Sospettavo che prima o poi avrebbe potuto farmi comodo sfruttare papà per conoscere i pensieri di Alex e scoprire, ad esempio, se mi raccontava qualche bugia. Quella mattina, in particolar modo, ne avrei avuto davvero bisogno. Mentre camminavamo sulla spiaggia tenendoci per mano, come una coppietta da telefilm, mi raccontava delle due settimane che aveva trascorso a New York, nella villa dei suoi genitori agli Hamptons, prima di partire per Martha's Vineyard. Lì aveva rivisto Madison. Lui sosteneva che rivedersi era stato semplice e piacevole, nonostante fosse trascorso un bel po' di tempo dal loro ultimo incontro: in fondo erano due vecchi amici, oltre che due ex fidanzati. Peccato che io riuscissi ad immaginarmeli solo come ex fidanzati.
«Quindi avete passato parecchio tempo insieme?», indagai, ostantando un atteggiamento sereno.
Lui mi guardò con aria furba. Come sempre, intuiva fin troppo bene quale fosse il mio stato d'animo. «Be', la sua casa agli Hamptons è praticamente attaccata alla mia, non possiamo neanche uscire in giardino senza vederci».
Annuii, seria, lo sguardo fisso sulla punta delle mie scarpe. Per un minuto scese il silenzio.
«Gelosa, eh?», mormorò all'improvviso, con tono carico di soddisfazione.
Lo fulminai con gli occhi. «Niente affatto. Mi sto informando sulle tue vacanze, tutto qui».
«Sai che le ho parlato di te?».
«Davvero?», mormorai, un po' stupita. «E cosa le hai detto?».
«Non ha importanza. Conta quello che mi ha detto lei».
«E lei cosa ti ha detto?».
Alex si girò a guardarmi mentre rispondeva. «Che mi trova così cambiato da essere a stento riconoscibile».
«A me non sembri tanto cambiato».
«Tu non mi hai visto lo scorso inverno».
A quelle parole sentii un brivido spiacevole. Sapevo che era stato male nei due anni precedenti, dopo la morte dei suoi genitori, eppure, quando provavo a pensarci, mi rendevo conto di avere solo una pallida idea di quello che doveva essere successo. Per lui non era semplice parlarne e in genere entrambi evitavamo l'argomento.
«Ti conosce davvero bene», ammisi a bassa voce.
«Siamo cresciuti insieme, Renesmee. Però...». Di colpo si fermò ed io, con una mano stretta nella sua, dovetti imitarlo. Mi fissò con aria seria. «Non hai nessun motivo di essere gelosa. Non provo più niente per Madison. Cioè, non provo più quello che provavo prima. Adesso è soltanto la mia più vecchia e cara amica. Te lo giuro».
Per un secondo rimasi in silenzio a fissarlo. «E una tua ex», aggiunsi, quasi senza volerlo. Era più forte di me.
Lui alzò gli occhi al cielo. «Testarda. Vieni qui». Mi tirò più vicino a sè, talmente vicino che riuscì ad appoggiare la fronte contro la mia. Mi immobilizzai all'istante, come una preda che viene catturata e sa di non avere scampo. «Io voglio soltanto te», sussurrò con voce morbida.
Sentii il suo fiato sul viso e tremai. Mi prese per le spalle e mi baciò con forza, spingendo le labbra contro le mie come se avesse voluto entrarmi dentro. Non mi aveva mai baciata in quel modo, prima, con tanta passione e desiderio che a un certo punto dovetti tirarmi indietro. Mi sentivo sopraffatta, in procinto di esplodere, completamente senza fiato, le guance bollenti e le idee confuse. Anche lui ansimava, ma non si spostò di un millimetro, limitandosi a lasciarmi un po' di spazio per respirare. Nei suoi occhi brillava una luce così intensa che mi parve di non riuscire a fissarla troppo a lungo. Spostai lo sguardo alle sue spalle, cercando di recuperare il controllo, e la vidi: una sagoma alta e robusta in lontananza che veniva verso di noi. Capii di chi si trattava in meno di un secondo.
«Jake», sussurrai, ancora senza fiato. «Jake... Jake!».
Superai Alex, lasciandogli le mani, e gli corsi incontro. Con pochi passi lo raggiunsi e mi lanciai tra le sue braccia. Jacob mi afferrò, mi sollevò e mi fece volteggiare nell'aria come se fossi stata una bambina piccola. Strillai per la gioia mentre lui affondava il viso tra i miei capelli per aspirarne il profumo e lo sentivo sussurrare il mio nome all'infinito.
«Mi sei mancato da morire», bofonchiai, le labbra premute contro il suo collo.
Jacob mi lasciò andare lentamente, guardandomi negli occhi con quella sua solita espressione, l'espressione di chi vede sorgere il sole dopo una lunga notte di buio. Mi lusingava e mi imbarazzava allo stesso tempo. Si chinò per baciarmi sulla fronte.
«Anche tu. Sei cresciuta. E sei ancora più bella di un mese fa», disse, sorridendo.
Arrossii un po' e abbassai lo sguardo. Quella era la giornata degli incontri. Incontri... Alex! L'avevo completamente dimenticato! Mi girai di scatto, il cuore in gola. Era ancora lì, fermo dove l'avevo lasciato, e mi fissava con una strana espressione. Non riuscii a decifrarla.
«Voi... voi non vi conoscete, giusto?», esclamai, esitante, come se stessi chiedendo una conferma quando sapevo benissimo che non si erano mai incontrati. Mi allontanai da Jacob di qualche passo, trovandomi esattamente in mezzo a loro. «Jake, ti presento Alex Hayden. Alex, lui è Jacob Black».
Per un lungo istante nessuno disse una parola e i due si limitarono a squadrarsi a vicenda. Jacob era impassibile, mentre Alex aveva ancora quella strana espressione; teneva gli occhi ben aperti, come se volesse osservare la situazione fin nei minimi dettagli. Poi avanzò per avvicinarci a Jake e gli tese la mano.
«Ah, sì. Jacob Black», disse, con un tono freddo che mi stupì. «Sei il suo vecchio amico».
Jacob ricambiò la stretta di mano. «Sì, sono il suo vecchio amico», rispose e anche la sua voce suonò in qualche modo strana. O forse ero io a vedere e a sentire tutto in modo distorto.
Scese un silenzio di tomba. Alex e Jacob non si toglievano gli occhi di dosso, mentre io guardavo fisso a terra con un crescente senso di panico. Accidenti, che succedeva? Cos'era tutto quell'imbarazzo? Mi scervellai per trovare qualcosa da dire e rompere quell'orrendo silenzio.
«Ehm... Noi... Io ed Alex... stavamo... facendo una passeggiata», balbettai. Okay, non era un granchè come argomento di conversazione, ma sempre meglio del nulla assoluto.
«Anch'io facevo un giro. Ti stavo aspettando», rispose Jacob.
«Ah, giusto», esclamai. Lanciai un'occhiata verso Alex. «Più tardi avevo appuntamento con lui per... parlare del matrimonio di sua sorella. Sono una delle damigelle».
«Davvero?», mormorò Alex, senza smettere di fissare Jake. «Congratulazioni», disse, ma la sua voce sembrò del tutto priva di benevolenza. O forse era solo la mia immaginazione.
Mi rivolsi a Jacob, sperando che fosse più collaborativo. «Rachel è a casa?».
Annuì. «Sì, l'ho lasciata che discuteva del menù con Rebecca».
«Allora c'è anche lei!».
«È arrivata ieri con Solomon».
«Fantastico!», esclamai, felice. «Non vedo l'ora di incontrarla».
Rebecca tornava sporadicamente a La Push e l'ultima volta che aveva fatto visita a Jacob e a suo padre, tre anni prima, non ci eravamo incontrate perchè la mia crescita era ancora troppo rapida per permettermi di mostrarmi tranquillamente agli esseri umani. Inoltre sarebbero state necessarie troppe spiegazioni e troppe bugie per giustificare la mia presenza accanto a Jacob senza parlare dell'imprinting, sebbene all'epoca io non sapessi neanche dell'esistenza di questo problema. Dunque non ci conoscevamo affatto ed ero impaziente di incontrarla.
Rachel, invece, trascorreva buona parte del suo tempo alla riserva, sebbene vivesse e lavorasse a Seattle, e con lui avevo da sempre un buon rapporto: l'imprinting di Paul l'aveva introdotta nel mondo sovrannaturale ancor prima della mia nascita, con lei non c'era bisogno di segreti.
A quel punto intervenne Alex. «Sembra che abbiate da fare, allora. Forse... è meglio che vada», disse, ma dal modo in cui mi guardò subito dopo capii che, se fosse stato per lui, non se ne sarebbe andato affatto. Ma perchè aveva un comportamento così bizzarro? Era la presenza di Jacob ad infastidirlo? E per quale motivo?
Ero sconcertata, ma cercai di mostrarmi tranquilla. Se loro due sembravano fuori di testa, quel giorno, almeno io dovevo mantenere la calma. «In effetti dovrei parlare con la sposa, però... Non devi andartene per forza. Possiamo continuare la passeggiata, oppure... potresti venire con noi». Esitai nel pronunciare l'ultima frase e lui se ne accorse. Non sapevo bene nemmeno io cosa stessi dicendo, ma portarlo a La Push... Alex tra i miei amici licantropi? L'idea mi inquietava un poco.
Mi fissò in silenzio per un secondo prima di rispondere. «No, nessun problema. Lo capisco, davvero. Avrete tante faccende da sbrigare...». Non concluse la frase e mi parve di cogliere una lievissima traccia di sarcasmo. Accidenti, se l'era presa? Era l'ultima cosa che volevo.
Stavo per intervenire, ma lui non me lo permise. Mi raggiunse con due passi e mi circondò le spalle con un braccio. Lo guardai negli occhi, il suo viso vicinissimo al mio, e mi resi conto con assoluta certezza che covava qualcosa. Il blu era in tempesta. Restai rigida e d'istinto feci mezzo passo indietro, preoccupata e a disagio. Jacob era accanto a noi, ci stava guardando, e la sua presenza mi frenava. Non avevo intenzione di baciare appassionatamente Alex davanti a lui. Alex percepì all'istante la mia tensione e si bloccò a pochi centimetri dal mio viso. Nei suoi occhi la tempesta fu sostituita da una rapida successione di emozioni: sorpresa, confusione, rabbia e timore. Esitò un istante, poi mi diede un fulmineo bacio sulla guancia.
«Ci vediamo, Renesmee», disse con tono formale. Lanciò un'occhiata alle mie spalle. «Jacob... è stato un piacere».
«Anche per me», rispose lui, tranquillamente.
Alex si voltò e si allontanò in fretta lungo la spiaggia. Lo seguii con lo sguardo, ansiosa, chiedendomi il motivo del suo strano atteggiamento. Possibile che incontrare Jacob gli avesse dato tanto fastidio? Possibile che io fossi così imbarazzata senza nessun motivo?
«Tutto bene?», chiese Jake. Mi accorsi che mi osservava con un mezzo sorriso sulle labbra. «Simpatico, il tuo ragazzo. È sempre così?».
Ricambiai il suo sorriso, un po' impacciata. «No, ti giuro che di solito non è affatto così. Era... nervoso per qualcosa».
«Non gli ha fatto piacere conoscermi», rispose, schietto come sempre.
«No, non dire questo. Perchè mai?». Tacqui di colpo. Probabilmente aveva ragione, ma perchè ad Alex non dpvesse far piacere incontrare il mio migliore amico restava un mistero. Adesso sì che mi avrebbe fatto comodo il potere di papà.
«Andiamo?», propose Jacob, la mano tesa verso di me.
Io la presi quasi senza accorgermene e iniziammo a camminare lentamente sul bagnasciuga.
«Allora», riprese lui, dopo un breve silenzio, «com'è andata la vacanza?».
«Bella domanda! Da dove comincio?», esclamai, divertita.
«Da dove vuoi». Sembrava stupito.
«Okay. Dunque... ho incontrato Nahuel».
«Nahuel? Quel Nahuel?».
La sua sorpresa mi fece ridacchiare. Non se l'aspettava, e come dargli torto. «Non credo che in giro ci siano molte persone con quel nome. Abbiamo fatto amicizia molto in fretta, sai? Stiamo molto bene, insieme. È come se fossimo sulla stessa lunghezza d'onda. E indovina che è successo? Ha cercato di baciarmi».
Parlai di getto, senza pensarci, e un attimo dopo ero già pentita. Jacob si fermò ed io con lui. «Cosa?», disse, con voce bassa e fredda.
Lo guardai, riluttante, e arrossii di botto. Dannazione, sembrava arrabbiato. Mi dissi che forse avevo appena commesso un errore. Non era il caso di parlare di quello, ma ero troppo abituata a raccontargli tutto... mi veniva spontaneo.
«Sì», borbottai, ma non aggiunsi altro, desiderando con tutte le mie forze di rimangiarmi quello che avevo detto. All'improvviso ero di nuovo a disagio, come poco prima, sotto gli sguardi gelidi del mio ragazzo e del mio migliore amico.
Jake non smetteva di fissarmi sconvolto. «E cos'è successo?», indagò, cauto.
«Niente. Cioè, io l'ho fermato prima che... succedesse... qualcosa di rilevante».
«Quindi non vi siete baciati?».
Ma cos'era, un'interrogatorio della CIA?
«No. Quasi», mi corressi subito dopo.
Non aggiunse altro. Rimase in silenzio per un po', poi riprese a camminare all'improvviso, tirandomi dietro di sè. Ogni tanto gli lanciavo un'occhiata furtiva, ma la sua espressione era piuttosto neutra. Sembrava solo molto impegnato con i propri pensieri. Per rompere il silenzio presi a parlare a raffica degli argomenti più svariati: le sperimentazioni culinarie in salsa brasiliana della mamma, il mucchio di cartoline che Emmett e Rose mi avevano spedito dalla Francia, le vacanze delle mie amiche, i preparativi per il matrimonio. Lui interveniva di tanto in tanto, ma rimase serio e pensieroso per il resto del tempo. Probabilmente la sua iperprotettività nei miei confronti gli stava suggerendo di prendere subito un aereo per il Brasile e dare una bella lezione al mio nuovo amico... Sì, doveva essere questa la spiegazione. Il fatto che Nahuel avesse provato a baciarmi non poteva che infastidirlo, perchè era il mio migliore amico, era il mio Jacob, e non tollerava che qualcuno facesse lo stupido con me. Be', se la sua reazione era quella, non avrei mai più fatto il nome di Nahuel davanti a lui.
Eppure... non riuscivo a non sentirmi sconcertata. Avevo sempre pensato di poter parlare di tutto, con Jake, senza alcun imbarazzo o difficoltà. Un tempo era stato così. Adesso, evidentemente, le cose erano cambiate.









Note.
1. Qui la canzone. Adoro questo ragazzo! Grazie di esistere! xd
2. Il nome del marito di Rebecca, Solomon, è preso dalla Guida ufficiale illustrata, come al solito. A me non piace affatto, lo ammetto, ma praticamente è canon... E il canon è canon.








Spazio autrice.
Salve, salve, salve ^^. Come andiamo? E allora, che ve ne pare? Cosa ne pensate del modo in cui "si chiude" la faccenda tra Nahuel e Renesmee? In realtà potrebbe non essere affatto chiusa. Potremmo ritrovare Nahuel in futuro, chissà :-P.
Forse questo vi sembrerà un capitolo un po' di passaggio perchè non succede un granchè, ma se fate attenzione vi accorgete che in realtà la storia prosegue eccome... Anzi, possiamo dire che ha fatto un piccolo passo avanti. Forse il testo della canzone, Get to you, potrebbe darvi un suggerimento. E un passo avanti ancora più lungo ci sarà nel prossimo capitolo. Quindi, mi raccomando, leggete, recensite e fatemi sapere! Grazie, un bacione! Alla prossima! <3
   
 
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