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Autore: Trick    12/02/2014    5 recensioni
Erano amici e ridevano, si prendevano in giro e sì, avrebbero giurato con entrambe le mani sul fuoco che loro erano davvero amici e che lo sarebbero stati per sempre.
A dodici anni si giura su molte cose.
Anche sulle bugie.

L'amicizia fra Remus e Sirius non è mai stata particolarmente limpida: hanno già subito le conseguenze di ogni loro scelta sbagliata, ma ora è il momento di accettarle senza più maschere.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Malandrini, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Note: Nessuno sa esattamente cosa sia accaduto fra la notte di Halloween in cui muoiono i Potter e la notte del giorno dopo, quando Hagrid atterra con la motocicletta di Sirius a Privet Drive. Pare sia trascorsa un'intera giornata in cui i personaggi hanno semplicemente atteso che la saga iniziasse... (:





*
La lingua delle maschere





III.
La spia




Aveva perso il conto dei funerali ai quali era stato obbligato a prendere parte.
La rustica villetta del Derbyshire dei McKinnon era stata data alle fiamme agli inizi di gennaio. Era talmente presto che lungo le vie della cittadina di Matlock rilucevano ancora le decorazioni del Natale appena trascorso. Un panciuto Babbo Natale di ceramica davanti a un ristorantino indiano aveva perso la testa a causa dell'esplosione che aveva decimato l'intera famiglia.
A giudicare da quanto era rimasto del cadavere carbonizzato di Marlene McKinnon, non era stato il solo a perdere pezzi del proprio corpo.
Il giorno del loro funerale nevicava come se sull'Inghilterra non dovesse mai più sorgere il sole. Mentre calavano le due bare più piccole nella terra consacrata del cimitero di Matlock, Remus si era ritrovato a pensare che fossero troppo piccole. Kevin McKinnon aveva dieci anni ed era alto quanto un ragazzino di quattordici – come erano riusciti a infilarlo in uno spazio tanto angusto?
“Lo hai visto” si era risposto. “Non gli era rimasta nemmeno una lentiggine da contare”.
All'inizio era parso che Bonny-Lee fosse svanita nel nulla – e gli animi si erano accesi di speranza all'idea che fosse riuscita a fuggire e di terrore all'idea che una bambina di quattro anni fosse finita nelle mani dei Mangiamorte. Ma Bonny-Lee aveva quattro anni e aveva semplicemente deciso di nascondersi sotto il letto, lontana dai mostri. Non avevano ritrovato che il minuscolo visetto di porcellana della sua bambola preferita annerito dal fumo e dalla cenere.
Poco più di due settimane dopo Pasqua, lui e Frank Longbottom avevano trascorso tre intere giornate a cercare il braccio perduto di Benjy Fenwick. Erano riusciti a recuperare una mano, qualcosa che assomigliava vagamente a un orecchio e perfino la sua pipa – ed era l'unica cosa di lui rimasta intatta. Avrebbero potuto infilarlo sotto terra dentro un sacchetto, ma alla fine si era trattato solo di scegliere una bara in più per un compagno in meno.
Quel giorno d'ottobre Caradoc Dearborn non aveva presenziato al proprio funerale. Avevano rivoltato ogni angolo della Gran Bretagna per ritrovarlo, da Aberdeen a Londra e poi fino a Cork, nel sud dell'Irlanda – e, infine, avevano preso la decisione di farlo ricomparire una volta per tutta in una tomba vuota del cimitero di St. Kentigern's di Glasgow.
Non aveva smesso di piovere per un solo secondo e Remus si era Materializzato fradicio nel suo fatiscente monolocale a Tottenham. Aveva abbandonato il mantello sulla vecchia cassapanca di legno appartenuta a suo padre, aveva appallottolato il resto degli abiti nel cesto della biancheria ormai ricolmo di vestiti e si era immerso sotto il getto bollente della doccia.
Non si era mosso da quando aveva tirato quelle ridicole tende a fiori.
Con il capo appoggiato alla parete e le palpebre serrate, era rimasto dieci minuti con l'acqua che gli scorreva sul viso, sul collo, sul petto, giù fino alle caviglie. Una parte di lui aveva sperato che il calore potesse fargli dimenticare gli strazi di un'altra tremenda giornata passata a guardare un amico scendere sotto terra. E invece no, il vapore si era fatto strada attraverso la pelle e lo aveva risvegliato dall'intorpidimento fin quando tutto ciò che nella sua vita non funzionava come avrebbe dovuto non si fu dispiegato nella sua mente come la vecchia Mappa del Malandrino.
La sua vita traboccava di cose che non funzionavano – erano così tante che talvolta si chiedeva come potesse non vomitarle ogni mattina. Come aveva potuto credere che sarebbero migliorate? Solo qualche anno prima avrebbe detto di avere una speranza, ma aveva compreso presto che Hogwarts non era stata che una labile e meravigliosa illusione.
Aveva conseguito otto M.A.G.O. non inferiori a Eccezionale. “Uno dei risultati più straordinari degli ultimi decenni” aveva affermato con orgoglio la professoressa McGranitt. Difesa contro le Arti Oscure – con lode – Trasfigurazione, Incantesimi, Storia della Magia – un'altra lode – Babbanologia, Rune Antiche – ancora una lode – e Aritmanzia – l'ennesima lode nell'ennesima noiosa materia. Cos'era rimasto di tutti quegli ammirati risultati? Un diploma che non avrebbe mai potuto usare ripiegato con cura fra le pagine di un libro.
James l'aveva quasi convinto che davanti a otto M.A.G.O. nessuno avrebbe mai trovato motivo di sindacalizzare sul suo “piccolo problema peloso”, ma si sbagliava e Remus lo sapeva. Lo sapeva anche Sirius, che si limitava a scrollare con amarezza le spalle senza più incitarlo, senza più confortarlo. E Peter...
La vocetta acuta dell'amico tornò improvvisamente a rimbombargli in testa.
“Sirius mi spaventa” gli aveva confessato in un sussurro agitato mentre si lasciavano alle spalle il tetro cimitero di St. Kentigern's. “Si comporta in modo strano”.
“È la guerra”.
“Ma è cambiato da quando... da quando Silente ci ha detto della... della tu-sai-cosa”.
Remus aveva liquidato la questione, ma pochi minuti dopo aveva realizzato che i timori dell'amico erano fondati su dubbi logici. Sirius aveva iniziato a ignorarlo da quando Silente aveva rivelato che fra loro si annidava una spia. In sua presenza pareva dosare ogni parola – proprio Sirius, il ragazzo che parlava sempre troppo – gli voltava spesso le spalle e confabulava con James e Lily. Non smetteva mai di domandargli dove fosse stato, per quale motivo non si facesse più vedere... e Remus ribadiva ogni volta la stessa franca risposta: “Ordini di Silente, Padfoot. Non chiedermelo più”.
Glielo richiedeva in continuazione e ogni risposta sembrava soddisfarlo meno della precedente.
“Sirius mi spaventa. È cambiato”.
Remus uscì dalla doccia e si avvolse in fretta in un ruvido asciugamano azzurro. In quella casa c'era sempre un freddo infernale e per quanto l'Incantesimo Riscaldante di Remus fosse efficace, l'umidità e il gelo non gli davano un attimo di tregua. Indossò una tuta da ginnastica che sua madre gli aveva comprato parecchio tempo prima, insistendo che la smettesse di vestirsi “come suo padre”. Da allora aveva iniziato ad apprezzare la praticità degli indumenti Babbani con fervore crescente. Forse il retaggio privo di magia di sua madre gli era rimasto addosso ben più profondamente di quanto non avesse mai creduto. Forse era perfino meno mago di quanto il mondo non credesse.
Si trascinò fino all'angolo cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare, ma le dispense erano vuote quanto tutto il resto della casa. Trovò solo un paio di gallette di riso che sbocconcellò con poca convinzione, poi si chinò verso il cassetto più basso, estrasse un pacchetto di Rothmans Babbane e una bottiglia ancora chiusa di economico whisky. Si lasciò cadere sul piccolo divano in pelle, appoggiò le gambe su una grossa pila di voluminosi libri e rimase a fissare il cielo rosso di Londra al di là dei vetri sporchi, soffiando di tanto in tanto rancide boccate di fumo.
“Sirius mi spaventa. È cambiato”.
Svitò il tappo della bottiglia e tentò di centrare con un lancio preciso il cestino ai piedi della finestra. Il tappo sbatté sul bordo, cadde sul pavimento e rotolò un paio di volte prima di fermarsi.
Remus soffiò una risatina sarcastica.
Portò alle labbra la bottiglia e buttò giù diverse sorsate di whisky senza gustarle realmente. Era un intruglio talmente nauseante da non lasciare alcuna soddisfazione in gola. Bruciava in bocca, scendeva lungo la laringe, esplodeva nello stomaco e rimbombava nel cervello.
Le parole di Peter avevano fatto esplodere nella sua mente un turbine di quesiti ai quali non riusciva a trovare soluzione. Peter aveva davvero ragione? Remus non se la sentiva di dargli torto. Sirius aveva posseduto un carattere particolare fin da ragazzino. Era audace, era impulsivo, era rancoroso.
Non aveva mai dimenticato del tutto quanto era accaduto durante il loro quinto anno. Lo scherzo ai danni di Severus Piton, il tradimento, quelle scuse posticce piagnucolate al suo capezzale... Sirius si era già rivelato capace di compiere scelte crudeli.
“È cambiato da quando Silente ci ha detto della profezia”.
Remus bevve ancora, sperando che il whisky potesse bruciare più in fretta. Peter aveva davvero ragione, ma non riusciva a capire perché. James era come un fratello per Sirius, avrebbe perfino tentato di cambiare la rotazione della Terra per lui... ma Sirius aveva già un fratello. Un fratello Mangiamorte, una cugina Mangiamorte, un'intera famiglia di psicopatici criminali. Si maledisse per avere anche solo pensato a un'ipotesi tanto malsana e si accese un'altra sigaretta.
Tre violenti colpi alla porta lo fecero trasalire. Rovesciò qualche goccia di whisky mentre scattava in piedi e afferrava la bacchetta con il respiro corto. Fu costretto a fermarsi qualche secondo con i polpastrelli premuti sulla tempia destra. Quanto diavolo aveva bevuto?
Si avvicinò cauto all'ingresso, appoggiò la bottiglia sulla cassapanca e serrò con forza le dita attorno alla maniglia di ottone.
“I Mangiamorte non bussano”.
«Chi è?».
«Padfoot».
Remus sgranò gli occhi. Erano trascorse settimane dall'ultima volta in cui Sirius era venuto a trovarlo. Si rigirò la bacchetta fra le dita e strinse le palpebre con aria diffidente.
«Davvero?».
«Sì, idiota. Aprimi».
«Non credo lo farò».
Dall'altra parte si udì un borbottio soffocato.
«Sono io, Remus. Apri questa maledetta porta».
«Ricordi quando attaccasti quella coda di somaro al sedere di Barnaby Burke?».
Sirius rimase in silenzio per parecchi istanti.
«Sai cos'altro ricordo?» ribatté infine. «Ricordo che fu un'idea tua, razza di imbecille».
Remus abbassò la bacchetta con una vaga smorfia nostalgica e aprì la porta. Sirius era appoggiato con aria annoiata allo stipite. Le sue labbra erano piegate in un sorriso impercettibile, ma i suoi occhi erano freddi quanto l'inverno di quell'anno.
«Pensi di farmi entrare?».
Remus gli voltò le spalle senza aggiungere nulla, lo lasciò sull'uscio di casa e tornò nel miserevole salottino, dove ricadde sgraziatamente sul divano e recuperò la sigaretta rimasta a fumarsi da sé. Sirius lo raggiunse solo qualche secondo più tardi. Sfilò il pesante mantello, lo gettò su una pila di libri impolverati e aprì la credenza senza domandare nient'altro. Scelse uno degli ordinari bicchieri allineati sulla prima mensola, afferrò una sedia di legno e si accomodò accanto all'amico.
«Grazie» sbuffò sarcastico, mentre sollevava la bottiglia di whisky e si riempiva generosamente il bicchiere. «È bello vedere che le buone maniere non sono morte».
«Prego, Padfoot. Accomodati, serviti da bere, fa' come se fossi a casa tua. È un piacere rivederti» mormorò in tono piatto Remus. «E ora dimmi per quale motivo sei qui».
Sirius lo studiò a lungo senza rispondere. Remus sbuffò, gli levò la bottiglia dalle mani e bevve ancora. La terza sorsata si rivelò così abbondante da fargli storcere il naso. Iniziava ad avvertire una leggera sensazione di intorpidimento.
«Volevo sapere come stavi».
«Non è vero».
«È vero. Ti sei dileguato subito dopo il funerale».
«Mi dispiace. Non era mia intenzione perdermi il meglio della festa».
Sirius sorseggiò lentamente dal bicchiere.
«So cosa stai facendo» commentò schietto. «E lo sai anche tu».
L'altro inarcò perplesso un sopracciglio. Diede un'ultima boccata alla sigaretta e la spense con decisione nel posacenere ormai ricolmo di mozziconi. Non se lo ricordava così pieno. Quanto tempo aveva trascorso seduto su quel divano ammuffito?
«Sto bevendo con un vecchio amico».
«No, stai perdendo la testa. James e Lily sono preoccupati».
«Tu no?».
«Non mi preoccupo per te: mi preoccupo per loro».
Remus si passò una mano sul viso per nascondere un sogghigno di scherno e si lasciò scivolare fra i cuscini. La testa sembrava diventare secondo dopo secondo sempre più pesante.
«Sei un amico esemplare, non c'è che dire».
«Non giocare a fare il sant'uomo con me, Remus. Sappiamo entrambi cosa sta succedendo».
Remus non sopportò oltre e scoppiò in una fragorosa risata derisoria. Il calore del whisky aveva smesso di bruciargli lo stomaco e ora stava mettendo a ferro e fuoco ogni angolo razionale della sua mente. Sentiva di avere la lingua più sciolta e leggera del mondo, la bocca che si apriva e si chiudeva da sé, mentre Sirius diventava più simile a una figura evanescente che lo attaccava da un angolo remoto della stanza.
«Pare proprio che oggi io debba sapere un sacco di cose che non so» reagì ironico. «Erano bei tempi quelli in cui tu non conoscevi le risposte dei compiti di Storia della Magia e io ti facevo copiare, non trovi?».
«Già... bei tempi» fu costretto ad ammettere l'altro. «Ma le cose cambiano. Le persone cambiano. Gli amici cambiano».
A Remus non sfuggì il tono accusatorio nella sua voce.
«Io sono sempre stato qui». Si piegò in avanti, e quel movimento gli costò un improvviso giramento di testa. Chiuse con forza gli occhi e deglutì. Le parole gli tremarono roche fra i denti stretti. «Ma non posso più dire la stessa cosa di te».
Il volto aristocratico dell'amico si aprì in un'espressione di totale stupore. Sbatté un paio di volte le palpebre e scosse il capo come se non potesse credere a quanto aveva appena udito.
«Prego?» sibilò appena.
Remus portò nuovamente la bottiglia alle labbra. Un sorso, due sorsi, tre sorsi... non credeva potesse fare più differenza. Sfilò una sigaretta dal pacchetto di carta e se la accese con calma. Poi si sporse per tenderne una all'amico, ma Sirius gli strappò il pacchetto di Rothmans dalle mani e lo lanciò via con un gesto rabbioso. Remus sogghignò.
«È bello vedere che le buone maniere non sono morte».
«Va' al diavolo» ribatté asciutto Sirius. «Stai di nuovo cercando di rigirare ogni cosa a tuo favore. Lo hai sempre fatto e ci sei sempre riuscito, ma non questa volta, Remus. Questa volta è diverso».
«Stai cercando di gettare i tuoi troppi difetti addosso a me? Se questo ti fa sentire la coscienza più leggera, fa' pure, ma non credere che--».
«Voglio sapere dove diavolo sparisci» lo interruppe bruscamente. «E questa volta voglio la verità».
Remus gettò indietro il capo e gemette.
«Buon Dio, non di nuovo...».
«Oh, sì, amico mio. Di nuovo fino a quando non avrai sputato fino all'ultima dannata parola».
Colto da una rabbia improvvisa, Remus sbatté la bottiglia sul tavolo di legno.
«Te l'ho detto un milione di volte!» ruggì. «“Ordini di Silente”. Non ho il permesso di parlarne con nessuno, quindi smetti di chiedermelo».
«E cosa mai può esserci di tanto segreto da non poterne fare parola con i tuoi migliori amici, eh? Non ci siamo mai nascosti nulla...» ribatté con durezza Sirius. «Beh, perlomeno noi tre non l'abbiamo mai fatto».
Remus lo fissò a lungo, con il respiro sempre più rapido e la mente sempre più confusa e agitata da quel discorso di cui non riusciva ancora a capire il senso. Perché Sirius sembrava così ostinato a non voler capire? Non poteva rivelargli nulla della sua missione in Scozia. Non a lui, non a James, non a Peter. Se Fenrir Greyback avesse scoperto che si era infiltrato nel suo clan, non avrebbe avuto scampo, e per quanto Remus lo negasse anche a se stesso, fra di loro c'era una spia. Una sola parola sussurrata all'orecchio sbagliato e lui sarebbe morto. E Remus non voleva morire. Nessuno di loro voleva morire.
«Credo sia meglio per entrambi se ora te ne vai» mormorò con calma forzata.
«Non così in fretta, Moony. Ho il diritto di sapere».
«Il diritto?» ripeté incredulo Remus. «E cosa mai ti--».
Sirius si alzò in piedi con uno scatto repentino e calciò con foga la sedia, che cadde a terra con uno schianto secco. Remus appoggiò la bottiglia e si pulì le labbra con la manica della tuta con gli occhi strette in due sottili linee minacciose.
«Voglio la verità! Per una sola maledetta volta, voglio la verità!» strepitò Sirius.
Remus tacque e continuò a fissarlo. L'eccesso di whisky gli dava l'orrenda impressione di essere imprigionato in una grossa bolla di sapone, ma l'ira irrequieta di Sirius gli perforava le viscere e gli tremava nella testa annebbiata. Nessuno dell'Ordine aveva mai messo in discussione il fatto che Remus stesse compiendo qualche missione segreta per conto di Silente – nemmeno Moody aveva mai dubitato della sua sincerità. James e Lily avevano capito, Peter aveva capito, tutti loro avevano capito che non c'era nulla su cui indagare... tutti tranne Sirius, l'ostinato e orgoglioso Sirius, il ragazzo convinto di non poter sbagliare.
“Sirius mi spaventa. È cambiato”.
Remus non lo temeva, ma le parole di Peter avevano assunto un significato inaspettato, fino a distorcersi nel fantasma di una rivelazione, di un pensiero, di una spiegazione decisiva... e in quel groviglio senza senso Remus iniziò a pregare di essere totalmente in errore. “È il whisky” si disse. “Sei ubriaco, smettila”. Ma quell'idea ormai era lì, ferma fra la voce di Peter che gli faceva notare ogni stranezza e quella di Sirius che lo accusava di essere un bugiardo... non riusciva a levarsela di dosso.
Sollevò tremante il palmo di una mano e si massaggiò le palpebre.
«Perché vuoi saperlo?» domandò con un filo di voce. «Perché ciò che ho spiegato agli altri a te non basta?».
«Ho bisogno di sapere di più».
E infine, Remus capì.
L'ondata di disprezzo che lo pervase parve riscuoterlo dal folle tepore generato dal whisky e accendere ogni sconsideratezza dettata dall'alcol, ogni ragione perduta... una parte di lui continuava a ripetersi che qualcosa ancora gli sfuggiva, che non era tutto chiaro, ma lui si sentiva sicuro. Quella volta il ragazzo che non poteva sbagliare era lui. Estrasse la bacchetta con un guizzo fulmineo e la puntò dritta al petto di Sirius, con la mano tremante e il volto pallido teso in una maschera di rabbia. L'altro ragazzo fu talmente stupito da non reagire.
«Moony, cosa accidenti--?».
«Voglio vedere la confusione nei tuoi occhi mentre ammetto di essere la spia» lo derise Remus. «Non arrabbiarti con me per averti soffiato il posto». Sbuffò incredulo e si scostò un ciuffo di capelli dal volto. «Non posso crederci, ma è tutto così... chiaro. Sono mesi che non fai altro che tentare di scoprire ciò che Silente mi ha ordinato. Nessun altro è così testardo... e la domanda che ora mi tormenta, Sirius, è “perché?”. Mi ero risposto che ero in errore, che dovevo essere in errore, ma ora... ora capisco ogni cosa. Fuggi da quando Silente ci ha detto che fra di noi c'è una spia. L'ho notato, Sirius». Storse il naso con disgusto. «Sai cos'altro ho notato? Sei stato l'unico di noi a ritenerlo possibile. Quindi se ora dico di essere la spia, non potresti credermi perché tu sai perfettamente chi è. Sai che non sono io, sai che non è Peter».
Sirius aveva continuato a guardarlo come una statua di ghiaccio, ma nei suoi occhi imperversava una tempesta di odio e furia. Rimase per un attimo in silenzio, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso di macabra soddisfazione, una luce beffarda gli illuminò il viso e in quel secondo, immobile fra la polvere di quell'appartamento diroccato, ricomparve il ragazzino di quindici anni che tanto si era divertito a spedire Severus Piton fra le fauci di un Lupo Mannaro in una notte di luna piena.
«Lo sapevamo» mormorò con espressione alienata. «Lo sapevamo fin dal primo momento. Non potevi che essere tu. Chi altri, d'altronde? Se non noi, chi?».
Remus trasalì, ma Sirius continuò a ridacchiare con malignità, incurante della sua bacchetta e della sua aria minacciosa.
«Sei sempre stato quello intelligente, quello furbo...» riprese. La sua voce non era mai suonata tanto feroce e crudele. «Ma te l'ho detto, Remus: questa volta è diverso. Questa volta nessuno sarà pronto a perdonare le tue bugie».
Remus dischiuse lievemente le labbra. Sentiva il sapore acido del whisky risalirgli l'esofago, ma non era intenzionato a indietreggiare. “È lui” si ripeté. “È la spia. Peter aveva ragione”. Eppure c'era ancora qualcosa che non gli tornava... qualcosa che non stava nel posto in cui avrebbe dovuto stare, qualche dettaglio che il suo cervello intorpidito non riusciva a cogliere. Era tardi per mettersi a sedere e prendersi un po' di tempo per pensarci. Aveva scelto di agire in fretta e ora avrebbe reagito.
«Stai cercando di far passare me per la spia...» mormorò Sirius stravolto.
«Per quale altro motivo avresti insistito tanto per sostituire Silente come Custode Segreto?».
Sirius si mosse con sconcertante rapidità, estrasse la propria bacchetta e Disarmò Remus con un semplice movimento del polso. Remus si era sempre dimostrato troppo rapido e preparato per farsi Disarmare da Sirius, ma in quel momento i suoi riflessi erano rallentati dal whisky, gli occhi appannati, i nervi a pezzi. Sirius gli fu addosso prima ancora che potesse difendersi, lo afferrò per il collo e lo scaraventò sul pavimento, piombandogli addosso come un avvoltoio famelico. L'urto lo fece boccheggiare, ma fu in grado di trovare la forza per piantare le unghie nelle braccia dell'altro.
«F-figlio di p-puttana...» ringhiò fra i denti.
«Quando il tuo Signore ti dà dei compiti da svolgere, Prefetto Lupin, accertati di restare sobrio» lo derise con malignità Sirius, prima di sferrargli un pugno micidiale in pieno viso.
Remus emise un grido soffocato e rotolò su un fianco, premendo il punto in cui le nocche di Sirius si erano schiantate contro il suo naso. La bocca si riempì subito dell'amaro sapore del sangue e più Remus cercava di sputarlo fuori, più quello sembrava tornare dentro. Odiava il sangue più di qualunque altra cosa al mondo... “Forse no” si disse all'improvviso. “Forse c'è qualcuno che odio di più”.
Tentò di reagire, ma Sirius era più forte e più sveglio.
«Incarceramus!» esclamò quello.
Le funi che scattarono fuori dalla punta della bacchetta di Sirius si attorcigliarono attorno ai polsi e alle caviglie di Remus in un stretta micidiale. L'incantesimo era talmente potente da impedirgli di sollevare le mani oltre la testa. Cercò di calciarlo, ma fu un tentativo vano.
«Non ti permetterò di arrivare a James e Lily, Remus».
Si Smaterializzò con uno schiocco e lo lasciò sul pavimento gelido, con il sangue che non smetteva di inondargli il viso e il collo. Cercò di alzarsi, ma fallì. Rassegnato, rimase fermo a fissare il soffitto, con il fiato sempre più caldo e il dolore sempre meno pungente, mentre nella sua testa si illuminava finalmente una luce di sobria ragione.
“Lo sapevamo fin dal primo momento” aveva detto Sirius. “Non potevi essere che tu. Chi altri, d'altronde? Se non noi, chi?”. Remus cercò ancora di liberarsi dalle funi. “Noi” continuava a ripetersi. “Noi chi?”. Non James, non l'onesto James che ancora si ostinava a ripetere che non c'era alcuna spia fra i suoi migliori amici; non Lily, non l'unica amica che avesse mai avuto; non Silente, non l'uomo a cui doveva ogni magra soddisfazione della sua intera vita... ma se non loro, chi?
“Sirius mi fa paura” ricordò ancora una volta. “È cambiato”.
Gridò il nome di Sirius con tutto il fiato che aveva in gola nella speranza che l'amico fosse ancora nelle vicinanze, che per qualche assurdo motivo potesse sentirlo e fosse pronto ad ascoltarlo sotto quella nuova ragione che ora lo stava portando alla follia... si agitò frenetico, rovesciò una pila di libri e continuò a chiamarlo fino quando le forze non lo abbandonarono e non si ritrovò a piagnucolare esanime sul pavimento.
“È Peter... buon Dio, è Peter”.

*


Sirius si Materializzò in un buio viottolo poco fuori Tottenham. Incurante della pioggia, estrasse la bacchetta e chiuse concentrato gli occhi, cercando di evocare ogni ricordo felice, ogni attimo in cui aveva riso...
«Expecto Patronum!».
Dalla punta della sua bacchetta uscì un labile sbuffo di fumo bianco. Sirius imprecò, muovendosi avanti e indietro come una belva in gabbia. “Peter aveva ragione. Era davvero Remus”. Non riusciva a spegnere il cervello. Per un secondo venne colpito dal desiderio di Materializzarsi nuovamente nel suo appartamento e fargli molto più male di quanto non gli avesse fatto, di distruggerlo pezzo dopo pezzo, di ucciderlo... era un pensiero che lo aveva attraversato anche mentre lo sovrastava con la bacchetta in mano, ma non c'era riuscito. Aveva incrociato lo sguardo di Remus e ogni momento trascorso in compagnia dell'amico – del vigliacco, del bastardo, del traditore – era sfrecciato nella sua memoria come un'infinita serie di fotografie. Remus che gli sussurrava le risposte giuste a Storia della Magia; Remus che faceva il tifo per la squadra di Grifondoro accanto a lui sugli spalti; Remus che gli aggiustava ogni mattina il nodo della cravatta; Remus che chiudeva un occhio sulle loro marachelle; Remus che beveva, che mangiava, che rideva, che gli camminava al fianco da così tanto tempo da fargli scordare la vita prima di Hogwarts. Remus a terra, con il naso e la bocca piene di sangue e le mani bloccate dietro la testa, lo sguardo ardente, bestiale, ferito... era stata una sensazione strana, come se improvvisamente fossero tornati dodicenni nella Guferia, come se Remus fosse tornato il ragazzino in lacrime all'idea che Sirius lo disprezzasse. Aveva scacciato quel ricordo con la foga con cui si scaccia una zanzara. Non era un ricordo felice.
“È Remus, è Remus, è Remus...”.
Non poteva ancora crederci, ma quella verità metteva a rischio tutto ciò che aveva, tutte le persone che amava. Non poteva fare altro che crederci e rassegnarsi alla cieca amarezza che fosse vero. Si concentrò sul volto magro di James, sugli occhiali un po' storti sul lungo naso, sulla sua risata sfrontata e i capelli scompigliati. Pensò a quella volta in cui erano scappati dalla Torre di Astronomia a cavallo della Nimbus 1000 di James, a quando si erano conosciuti sull'Hogwarts Express, a quando era scappato da Grimmauld Place e c'era solo James, solo il suo migliore amico, solo suo fratello... non poteva perderlo.
«Expecto Patronum!».
Il vapore argenteo che fuoriuscì dalla sua bacchetta assunse la forma di un grosso cane dal muso allungato e dalle lunghe orecchie a punta. Sollevò la testa verso di lui, fissandolo paziente con le orbite vuote e profonde. Sirius gli appoggiò una mano sulla sommità del capo e il calore dell'incantesimo gli passò fra le dita come se avesse tentato di accarezzare un'onda.
Aveva sempre amato i cani, ma non aveva mai avuto modo di possederne uno.
«Sai dove andare».
Il cane fece un lungo balzo in avanti, ma anziché atterrare sulle muscolose zampe anteriori spiccò il volo e svanì in pochi istanti. Sirius lo guardò allontanarsi fino a quando non ebbe perso la sua sagoma fra quelle delle nuvole. Infilò le mani nelle tasche e si Smaterializzò ancora.
La prima cosa che vide quando riaprì gli occhi fu il cassonetto Babbano di Grimmauld Place dietro il quale era solito comparire. La strada era già stata riccamente addobbata da ghirlande di carta dalle quali pendevano profili di zucche e fantasmi, le arcate delle porte erano circondate da ragnatele di cotone e piccole file di finti pipistrelli a testa in giù.
Halloween era la sua festa preferita, ma da quando si era lasciato alle spalle Hogwarts e il ricco banchetto non aveva più trovato né il tempo né l'umore adatto. Ridere dei mostri aveva smesso di essere facile da quando avevano iniziato a uccidere sul serio. I Bones erano stati sterminati proprio l'anno prima. Nel loro salotto avevano trovato una ciotola a forma di zucca ricolma di Api Frizzole che nessuno aveva mangiato.
Sirius s'incamminò a testa bassa in direzione della casa di James e Lily, con le mani sprofondate nelle tasche del cappotto e il bavero alzato per ripararsi dal vento di ottobre. Perlomeno aveva smesso di piovere. Superò il cancellino d'ottone, attraversò il cortile e bussò con decisione alla porta.
«Prongs! Prongs, aprimi. Sono Sirius».
Dovette attendere solo pochi secondi prima di vedere la faccia di James fare capolino attraverso uno spiraglio della porta. Aveva gli occhiali storti sul naso e l'espressione spaventata.
«Cos'è successo?» domandò nervoso mentre lo faceva entrare.
«È Remus» affermò lapidario. Si lasciò James alle spalle e si avvicinò al caminetto accesso per asciugarsi. «E prima che tu possa ribattere con la solita storiella su quanto Remus sia onesto e leale, è lui. Capisci, James? So che è lui».
James richiuse molto lentamente la porta e rimase immobile nell'ingresso, con il capo chino e una sottile ruga pensierosa sulla fronte.
«Sirius, ne abbiamo già parlato...».
«No, James, tu non capisci!» strepitò all'improvviso. «È lui. Sono appena stato a casa sua, lo ha ammesso! Ha cercato di attaccarmi!».
«Per l'amor di Godric, Sirius!» lo raggiunse la voce alterata di Lily dal pianerottolo del primo piano. La giovane scese a rapidi passi le scale e gli rivolse un'occhiata severa. «Non dovresti essere qui, è troppo pericoloso. Avevamo deciso che ti saresti nascosto».
«Sirius è venuto ad avvisarci che la spia è Remus» spiegò stancamente James. Si abbandonò fra i cuscini del divano e rivolse all'amico un sorriso tirato. «Di nuovo».
Sirius si sentì montare da una rabbia improvvisa.
«Devi darmi ascolto!».
«Non gridare!» lo ammonì Lily. «Harry sta dormendo».
«Harry è in grave pericolo. Siete tutti in grave pericolo, quindi vorrai scusarmi se non riesco a preoccuparmi del sonno del mio figlioccio». Fece un profondo respiro e aggiunse più pacato: «Lily, ti prego... devi credermi almeno tu. La spia è Remus».
«Remus ha davvero cercato di attaccarti? Remus?» s'informò James, calcando con particolare eloquenza sull'ultima parola.
«Cosa?» esclamò sconvolta Lily, stringendo le mani in grembo. «Remus non farebbe niente del genere».
«Oh, Lily... quanto si vede che non lo conosci realmente» commentò gelido Sirius. «Ti sei lasciata abbindolare come tutti. Remus ha sempre avuto il dono di incantare la gente – e non dire di no, James: sai che è vero. Sempre con i suoi modi educati, con quel suo fare gentile... è così che pensava di fregarci, lasciandoci credere che fosse nostro amico. E forse un tempo lo è stato, ma non oggi, non più. Non dovete pensare al bene di Remus, dovete pensare al bene di Harry».
James e Lily si scambiarono uno sguardo fugace. Fu James a parlare.
«Non posso credere che Remus sia la spia, Sirius... non posso credere che qualcuno di voi lo sia. Siete i miei migliori amici, nessuno di voi mi tradirebbe mai. Non Remus. Non Peter. E men che meno tu... ma su una cosa hai di certo ragione: dobbiamo pensare a Harry».
Si sfilò gli occhiali e si massaggiò stremato le palpebre. C'era un'ombra di incredibile tristezza sul suo viso. Lily si sedette accanto a lui con aria affranta.
«Ne sei davvero sicuro, Sirius?».
«Credi che potrei mai mettervi in pericolo? Siete la mia famiglia». Si inginocchiò ai piedi della giovane e avvolse la sua mano fra le proprie. «Lily, pensaci: c'è una spia fra di noi – e ormai nessuno può negarlo – e se non sono io, se non è Peter... chi altri resta?».
Lily serrò le palpebre. James si costrinse a fissare l'amico negli occhi con espressione imperscrutabile, poi annuì lentamente e sospirò.
«Quando questa maledetta storia sarà finita dovremmo fare i salti mortali per farci perdonare da Remus».
«James, è--».
«Solo una precauzione momentanea. E lo faccio solo per Harry» lo interruppe con decisione. «Hai in mente qualche idea?».
Sollevato dalla certezza che l'amico gli avrebbe finalmente dato ascolto, Sirius sorrise.
«Remus sa che sono il vostro Custode Segreto, quindi ne è al corrente anche Voldemort. Dobbiamo giocare d'astuzia. Sostituire il Custode senza che nessuno lo sappia».
Lily inclinò perplessa il capo.
«Silente?».
«Troppo pericoloso, Silente si ostina a non voler dubitare di Remus. Ho pensato a qualcuno ancor migliore, qualcuno a cui nessun Mangiamorte presterebbe mai attenzione. Peter».
«Peter?» ripeté incredulo James. «Sirius, Peter è...».
«Il più debole di noi, sì. Chi mai potrebbe immaginare che lo avete scelto come Custode Segreto? Ho già spedito il mio Patronus per dirgli di raggiungere Godric's Hollow, ormai starà per arrivare». Si alzò in piedi, si diresse verso la finestra e scostò la tenda floreale per sbirciare in strada. «Fidatevi di me. È probabilmente l'idea più intelligente che io abbia mai avuto».
Lily tentò di abbandonarsi a una risatina forzata.
«Oh, beh, suppongo sia tutto dire, no?».
Dovettero aspettare una decina di minuti prima di vedere l'amico passeggiare con aria sperduta lungo il marciapiede che costeggiava la casa. Sirius uscì in fretta dalla porta e lo raggiunse a grandi passi. Peter sobbalzò quando sentì la sua mano poggiarsi sulla spalla.
«Ehi, Wormtail. Calma i nervi, sono io».
«S-Sirius... mi ha spaventato» balbettò a disagio, aggiustandosi la sciarpa e il berretto. «Perché mi hai chiamato qui? James e Lily vivono qui, è qui che--».
«Ma non parlarne in strada, razza di scemo!». Lo afferrò per il bavero della giacca e lo trascinò senza troppi convenevoli davanti all'abitazione incantata dei Potter. «Riesci a vederla, vero? Sei con me, dovresti riuscire a vederla».
«La c-casa?».
«No, la Gigantessa che sta vendendo pop-corn all'angolo» ironizzò seccato Sirius. «Certo che devi vedere la casa, Peter!».
«La vedo».
«Per le mutande di Merlino, cosa aspetti a entrare?».
«M-ma... io non posso... non--».
Sirius roteò gli occhi al cielo e lo scaraventò con uno spintone secco nell'ingresso. James uscì dalla cucina con aria incoraggiante.
«Ciao, Wormtail. Lily è di sopra: Harry si è svegliato un'altra volta».
«James... non capisco, cosa sta succedendo?» pigolò in fretta.
Il giovane aprì la bocca per spiegare la situazione, ma Sirius si intromise e schioccò a mezz'aria le dita.
«Lascia stare, Prongs, sei sprovvisto del dono della sintesi e abbiamo poco tempo. Remus è la spia, Peter». Si stupì della facilità con cui riusciva a dirlo. Aveva creduto che avrebbe fatto molto più male. Ignorò la faccia spaventata dell'amico e continuò: «Avrà sicuramente rivelato a Voldemort – oh, per favore, controllati, è solo un nome – che io sono il Custode Segreto di James e Lily. Posso scommettere l'intero contenuto della mia camera blindata alla Gringott che mi staranno attaccati al sedere quanto la coda di un cane... ed è qui che ci servi tu».
«Io?».
«Tu sarai il vero Custode Segreto».
Peter impallidì.
«I-io? M-ma Sirius, io non--».
«Peter».
I tre ragazzi si voltarono in direzione delle scale mentre Lily scendeva con il figlio stretto fra le braccia. Harry sollevò la piccola manina rotonda e afferrò una ciocca dei capelli rossi della madre.
«C-ciao, Lily».
Lei lo guardò per un lungo istante con una luce di sincero affetto negli occhi e si chinò per lasciargli un bacio leggero sulla guancia. Peter arrossì di colpo e arretrò imbarazzato, facendola sorridere di cuore.
«Oh, Peter... so che ti stiamo chiedendo tanto».
«Nessuno saprà mai che sei tu» aggiunse James. «E Sirius ha promesso che si nasconderà a sua volta da qualche parte e non farà niente di avventato». Storse le labbra nel tentativo di fare un sogghigno malandrino, ma il risultato fu una smorfia agitata. «Ha perfino promesso che non farà niente di stupido, se riesci a crederci».
Sirius non diede segno di averlo sentito. Aveva preso il bambino dalle braccia di Lily e ora non vedeva nulla che non fosse il visetto roseo del proprio figlioccio. Sollevò le dita e giocherellò con quelle minuscole di Harry, facendolo ridere. La sua risata innocente lo portò a pensare a quale razza di uomo avrebbe mai desiderato far del male a una creaturina così perfetta. “Remus” si rispose in un lampo. “Remus non è mai stato un uomo”.
«Andrà benissimo, Harry. Te lo prometto» gli mormorò.
James si rivolse a Peter.
«Ci aiuterai?».
Peter non rispose subito. Spostò lo sguardo spaventato da Sirius a Harry, da Lily a James, torcendosi le mani e umettandosi nervoso le labbra. Sirius abbozzò una smorfia sarcastica e gli rivolse un occhiolino fugace.
«Avanti, Wormtail, non farti pregare. È la tua grande occasione, amico».
Poi, molto lentamente e tremando fino alla punta dei piedi, Peter acconsentì. Sirius sentì i nervi calmarsi all'improvviso. Si accomodò sul divano con Harry fra le braccia mentre osservava distratto James, Lily e Peter compiere l'Incanto Fidelius.
“È fatta” si disse.
Il bambino emise un vago borbottio scocciato.
«Hai ragione, piccolo Prongs» ridacchiò. «Oggi ho la testa da tutt'altra parte».
Dimenticare l'espressione rancorosa di Remus era impossibile. Tentò di concentrarsi su Harry, su quanto realmente fosse meraviglioso e importante, si ripeté che la sua scelta era giusta, che chiunque avrebbe fatto lo stesso... si domandò se Remus sarebbe finito ad Azkaban e venne attraversato da un brivido di terrore. “L'Inferno sarebbe una punizione migliore... ma Remus ci ha traditi, non merita altro”. Si sentiva nauseato, ma non poteva negare una certa primordiale soddisfazione. Il pensiero di quanto sarebbe potuto accadere se non avesse fermato Remus era insostenibile.
Per formulare in modo corretto un Incanto Fidelius occorreva solitamente meno di un quarto d'ora, ma lo spaventato balbettio di Peter rallentò l'operazione. Non riusciva nemmeno a tenere ferma la bacchetta. Quando riuscì a pronunciare l'ultima parte del giuramento, si era fatta sera e Godric's Hollow iniziava a riempirsi dei primi ragazzini in costume da Halloween.
Sirius riconsegnò Harry a Lily, lasciandogli un ultimo buffetto sulla guancia morbida e recuperò il mantello. Peter lo imitò rapidamente senza dire una sola parola.
«Sta' attento, Padfoot» disse James. Teneva le mani nelle tasche con fare rilassato, ma i suoi occhi brillavano inquieti. «Non fare niente di stupido».
Sirius fece un sogghigno ironico.
«Sai che non mi piace il pericolo».
James tentò di sorridere. Scosse il capo con rassegnazione e lo fissò a lungo senza aggiungere altro. Poi gli gettò un braccio attorno alle spalle e lo serrò in un disperato abbraccio fraterno. Preso in contropiede, Sirius si limitò a scompigliargli i capelli.
«Ehi, Evans, tuo marito è un po' troppo languido e appiccicoso» scherzò con affetto.
La giovane ridacchiò nervosa e si aggiustò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Mentre varcava la soglia di quella casa per l'ultima volta – l'ultima fino a quando tutto quel caos non sarebbe finalmente terminato, si diceva – Sirius fece un sospiro di sollievo. A conti fatti valutò che aveva dimostrato un'incredibile freddezza di mente.
“Remus sarebbe fiero di sapere che non ho dato di matto”.
Si bloccò pochi passi oltre il cancellino, nello stesso istante in cui la casa dei Potter svaniva grazie all'Incanto Fidelius. Non poteva credere di averlo pensato realmente, di aver dimenticato cosa Remus avesse fatto. Era assurdo, eppure pareva proprio che il suo cervello non volesse accettare l'amara realtà.
«Sirius?».
«Va' a casa e non uscire per alcun motivo, Peter».
Si allontanò in fretta da lui, ignorando le sue insistenti richieste di sapere dove si sarebbe nascosto. Raggiunse il cassonetto e si Materializzò nel vecchio appartamento poco distante da Bristol che era appartenuto a suo zio Alphard. Si diresse in camera da letto senza levarsi nemmeno il mantello e si lasciò cadere sul materasso con un gemito spossato.
Non riposava da giorni e si sentiva a pezzi, ma si attaccò alla convinzione che il peggio era ormai passato. Doveva essere passato o non ne sarebbero più usciti. Si chiese se non sarebbe stato più saggio tornare da Remus per assicurarsi che James e Lily fossero davvero al sicuro. Avrebbe potuto trovare il coraggio di mettere fine a quella storia una volta per tutte... o avrebbe potuto trascinarlo davanti a Silente e costringerlo a confessare la verità.
“Meglio di no” decise infine. “Che faccia l'errore di venirmi a cercare... che venga, quel bastardo. Avrà ciò che si merita”.
Strinse le dita attorno alla bacchetta e aspettò.


*


Doveva essere ben più stanco di quanto non avesse creduto, perché si era addormentato senza nemmeno rendersene conto. Si sollevò dal letto e afferrò l'orologio da taschino di Alphard Black. Non lo portava mai con sé per timore di perderlo, ma lo teneva sempre sul comodino in modo da potergli rivolgere qualche occhiata nostalgica di tanto in tanto.
Erano le dieci passate.
Probabilmente Remus si era ripreso dalla sbronza, forse era già riuscito a liberarsi e stava valutando quale fosse la mossa più astuta. Sirius emise un soffio sprezzante: Remus ragionava sempre troppo. Per una volta era stato Sirius a giocare d'anticipo, eppure qualcosa non gli tornava. “Sono passate ore, ma di Remus non c'è traccia”. Non era possibile che si fosse rassegnato: aveva molti difetti, ma non era facile farlo capitolare.
Sirius venne colpito da un orrendo presentimento. E se Remus avesse intuito il suo inganno? Dopotutto era sempre stato il più intelligente del gruppo. Era quasi impossibile, ma Sirius non riuscì a levarsela dalla testa... c'era una sola cosa che avrebbe potuto fare.
Materializzarsi in piena notte con i Mangiamorte appostati ovunque era fuori discussione. Si alzò in piedi, ruotò su se stesso e si Materializzò nel garage Babbano che aveva affittato. La sua motocicletta riposava da settimane sotto a un lenzuolo bianco, ma si avviò immediatamente. Sirius accarezzò con affetto il contachilometri.
«Brava ragazza».
Il piccolo villaggio di Barrington dove Peter abitava con la madre distava a più di un'ora di viaggio da Bristol, ma a qualche centinaio di metri da terra non c'erano né traffico né semafori. Era il motivo principale per cui amava così tanto quella motocicletta incantata.
Atterrò a pochi passi dalla villetta dei Minus mentre il campanile della chiesa rintoccava le undici. Barrington contava un numero talmente modesto di abitanti da far dubitare che fosse Halloween. A quell'ora la maggior parte di loro doveva essere già rincasata.
Sirius attraversò a balzi il cortile della casa e suonò il campanello. Spostò il peso da un piede all'altro nel tentativo di diminuire l'ansia crescente. Sbuffò e suonò ancora. Dovette suonare altre due volte prima che la minuta signora Minus si affacciasse allo spioncino.
«C-chi è?» domandò con un'acuta nota di terrore.
«Sono Sirius Black, signora Minus» la tranquillizzò in fretta. «Sto cercando Peter».
La donna aprì la porta di una spanna. Non assomigliava molto al figlio. Era altrettanto bassa di statura, ma i suoi lineamenti erano più gentili e i suoi occhi scuri e brillanti. La confusione sul suo viso lasciò lo spazio a un'ombra spaventata.
«Il mio Petey? Perché non è con te?».
Sirius aggrottò perplesso le sopracciglia.
«Con me? No, signora, Peter mi ha giurato che sarebbe tornato a casa».
«È tornato. La cena era già pronta, ma non ha avuto il tempo di mangiare perché doveva raggiungerti. Cose importanti, ha detto, molto urgenti...» spiegò debolmente la signora Minus. «Petey non mentirebbe mai».
Fu come ricevere una coltellata nei reni e non essere più in grado di respirare, ma i suoi nervi scattarono ben prima della sua mente. Si lasciò alle spalle i richiami concitati della signora Minus che lo pregavano di trovare il figlio disperso, saltò a cavallo della motocicletta e partì senza più curarsi di quanti Babbani avrebbero potuto vederlo. Accelerò fino a far ringhiare il motore, puntando dritto verso Godric's Hollow.
“Non può essere vero, non può essere stato lui, non lui, non Wormtail... era Remus, maledizione, doveva essere Remus”.
Aveva la nausea, ma sapeva che non era ancora troppo tardi. Lo sapeva. Non poteva essere diversamente, James e Lily stavano bene, Peter non aveva avuto il tempo per agire. Strinse i denti. Non era vero. Peter aveva avuto fin troppo tempo, e il tempo continuava a trascorrere, secondi e minuti che non sarebbero più tornati, che non si fermavano... era il viaggio più rapido e interminabile che avesse mai affrontato.
Godric's Hollow era avvolta da una bassa nebbia. Sirius atterrò malamente davanti al cancellino dei Potter, smontando talmente in fretta da far scivolare la preziosa motocicletta sull'asfalto... e la vide.
Ciò che avvolgeva il villaggio non era nebbia, ma denso fumo grigio che si levava dal tetto esploso della casa. I vetri delle finestre al primo piano erano esplosi, le luci del soggiorno ancora accese, la porta divelta dai cardini.
Sirius non sapeva cosa significasse perdere ogni cosa. L'improvvisa consapevolezza fu talmente dolorosa da impedirgli di rendersene conto.
«No, no, no, no, no... James!».
Sfrecciò attraverso il cortile e fece irruzione nel soggiorno distrutto. Le tende a fiori di Lily avevano preso fuoco e l'aria era appesantita da un intenso odore di zolfo. Sirius boccheggiava guardandosi a destra e a sinistra, pallido e tremante.
I piedi scalzi di James spuntavano da oltre il divano.
Sirius gridò, si gettò sull'amico, si aggrappò disperato alla camicia impolverata, scuotendolo con foga, chiamandolo con voce irriconoscibile.
«Sveglia, James! Svegliati!».
Non era come morire: era come aver vissuto troppo e non aver alcuna possibilità di andarsene. Era come essere svuotati da ogni sensazione umana, da ogni pensiero... gridava, piangeva, e non riusciva a capire cosa stesse accadendo.
“Morto, morto, morto”.
Ci vollero dieci minuti prima che l'eco del vagito di Harry lo facesse riemergere da quell'oceano confuso. Risalì le scale come un ubriaco, reggendosi al corrimano, muovendosi in maniera instabile. Lily era riversa sul pavimento con i capelli avvolti come una fiamma attorno al volto cereo e una pallida mano tesa verso la porta.
Sirius la guardò attraverso le lacrime senza vederla davvero. Harry aveva un rivolo di sangue che gli scendeva dalla fronte fino a inzaccherargli il colletto del pigiamino. E Lily era a terra e non si muoveva, e Sirius iniziò a pensare per quale diavolo di motivo stesse a terra mentre Harry piangeva. James non aveva più gli occhiali, non poteva salire o avrebbe sicuramente mancato un gradino e si sarebbe ammazzato nella caduta...
“Ammazzato, ammazzato, ammazzato”.
Fu questione di un attimo, un guizzo di coscienza che non se ne andò più e gli fece davvero capire cosa fosse accaduto. Irreparabile, insanabile, reale – ed era colpa sua. Crollò in ginocchio accanto a Lily, la sollevò per le spalle e le scostò i capelli dal viso. I suoi occhi spenti sembravano ancora guardarlo, ma erano vacui, persi, morti.
Gridò ancora, ma questa volta fece più male. Questa volta sapeva perché gridava, perché soffriva – perché James era morto e Lily era morta e Harry piangeva e niente si sarebbe più sistemato. Il tempo smise di scorrere. Quando Sirius si rialzò in piedi per prendere il bambino fra le braccia avrebbero potuto essere trascorsi dieci minuti quanto dieci anni o dieci secoli.
«Va b-bene, Harry. Va t-tutto bene, ci sono io ora, andrà bene, tutto bene».
Una volta tornato in soggiorno, cercò in ogni modo di evitare di guardare il cadavere di James, ma sembrava che ovunque voltasse lo sguardo ci fosse il suo viso. Sorrideva e aveva undici anni, il faccino birbante che proclamava eterna amicizia, due mignoli che si intrecciavano e giuravano di non separarsi mai. Aveva undici anni anche lui, anche Sirius, poi sedici e dormiva con James a casa Potter, e James rideva ancora, rideva e lo chiamava “fratello”, e poi si sposava e rideva di nuovo e scherzava su quanto fosse assurdo che fosse riuscito a sposare Lily Evans.
«S-Sirius?».
Sirius sollevò il capo molto lentamente.
La gigantesca figura di Hagrid troneggiava al di là della porta d'ingresso. Era così grosso che fu costretto a piegarsi per varcare la soglia di casa. Si guardò smarrito intorno e quando vide James cacciò un urlo spaventato e si chinò su di lui.
«È morto» disse apatico Sirius.
«Ma J-James... qua bisogna portarcelo al San Mungo, Sirius, e Lily... Lily...?».
«È morta».
Hagrid rimase in silenzio mentre l'orrore si faceva largo nei suoi occhi.
«Lily e James morti... Silente mi ci aveva mandato per prendere il piccolo Harry in custodia, la vecchia Bathilda ci ha detto che era successo qualcosa, ma io mica pensavo che erano morti...». Tirò rumorosamente in su con il naso, si asciugò il volto con la manica del pastrano e si rialzò, rischiando di sbattere la testa contro il lampadario. «Erano bravi, James e Lily, tanto bravi».
«Dov'è Silente?».
«Al Ministero della Magia».
Sirius fremette di rabbia al solo pensiero che Silente non avesse raggiunto immediatamente Godric's Hollow.
«I Mangiamorte di Tu-Sai-Chi stanno ancora in giro» continuò Hagrid in tono cupo. «Silente mi ha detto che Harry deve andarci via in fretta da qua, perché è troppo pericoloso per un bambinetto così piccolo e deve andare a stare dai suoi zii...».
«Di' a Silente di andare al diavolo insieme a quei maledetti Babbani» sbottò Sirius mentre usciva una volte per tutta dalla casa. «Io sono il suo padrino, Hagrid. Harry resta con me».
L'omone lo inseguì nel cortile.
«No, no... Silente mi ha detto di portarci il bambino».
«Io sono il suo padrino!» gridò furioso Sirius, stringendosi ancora di più a Harry. «Che Silente me lo venga a strappare dalla mani, se ha il coraggio!».
Hagrid trasalì, ma non aggiunse altro. Si avvicinò con cautela e appoggiò una mano sulla spalla del giovane. Era talmente grande da coprirgli l'intero avambraccio.
«Lo so che tu e James eravate tanto amici, Sirius... ma Silente pensa che anche se Tu-Sai-Chi è andato via, Harry è ancora in pericolo».
“Il Custode Segreto doveva essere Silente. Se solo io e James gli avessimo dato ascolto, loro sarebbero ancora vivi”.
Sirius fece una smorfia afflitta.
«È colpa mia, Hagrid» mormorò.
«No... ma che dici? Non le devi mai più dire queste cose...» lo consolò. «Non è mica colpa tua, è colpa di Tu-Sai-Chi... ma adesso è finito tutto, Sirius».
“No” lo corresse mentalmente Sirius. “È colpa di Peter e io non ho ancora finito”. Lanciò uno sguardo riluttante al gigante ed estrasse la bacchetta con un profondo sospiro.
«Convalesco» recitò.
La ferita sulla fronte di Harry si asciugò magicamente. Il bambino lanciò uno strillo infastidito. Sirius sorrise triste e gli posò un bacio fugace sulla guancia prima di consegnarlo fra le immense braccia di Hagrid.
«Puoi prendere la mia motocicletta, a me non serve più... ma stai attento a Harry» lo mise in guardia prima di incamminarsi.
Hagrid annuì, dondolando impacciato il bambino.
«Certo, certo... ehi, ma dove stai andando?».
Sirius voltò appena la testa. Nei suoi occhi brillava una luce pericolosa.
«Devo fare una cosa. E poi...». Si passò una mano fra i capelli. «Va' da Remus. Digli che mi dispiace».

   
 
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