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Autore: Vella    12/02/2014    10 recensioni
Una famiglia. Una contea. Una residenza.
Jenkins. Buckinghamshire. Winslow Hall. Anno 1896.
Tre storie apparentemente scollegate fra loro. Tre mondi. Tre amori. Tre, il numero perfetto.
Daniel Shaw è un poeta profondamente enigmatico, strano, seducente, romantico. Cerca la sua musa ispiratrice, trovandola d'improvviso in Wendy, una ragazza benestante e solare, con un segreto. Così nasce un amore sconfinato, senza vie, dal sapore della proibizione e dello sbagliato. Un amore fatto di sguardi e di intensi contatti umani.
Viktor Mitchell, uomo di ventotto anni, rude, agognato, senza alcuna forma di desiderio. Veterano di guerra. Ed ora divenuto professore per l'istruzione di famiglie d'alto rango. Un uomo davvero, forse troppo, sbagliato e pieno di peccati. S'innamora perdutamente di Katherine, una ragazza di diciassette anni, giovane, ribelle, forte, eppure la sua unica alunna.
E infine Gerard Collins, ventiduenne, senza tetto, soldi o famiglia. Un gigolò in cerca di amore tra persone che non lo completano. Per questo quando incontra Henry il tumulto di sentimenti che si forma nel suo cuore, lo confonde.
Henry, Wendy e Katherine sono fratelli. Sono la famiglia Jenkins. Sono sbagliati perché non seguono le convenzionali etichette ma lo struggente filo conduttore dell'amore più remoto.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, L'Ottocento
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Una lettera per la tolleranza

Ogni anno Charlotte Young aveva sempre sperato in un cambiamento radicale, in una notizia entusiasmante, in un profitto maggiore ma puntualmente nulla accadeva.
Nel dicembre del 1896, entrando nella sua camera personale, vide una lettera insolita poggiata perfettamente sul grande tavolo in mogano; il ticchettio dei suoi tacchi riecheggiò nella stanza più volte con varie pause che furono colmate da sospiri indecisi. La lettera non era stata mossa, il sigillo scarlatto, posizionato davanti, era totalmente intatto così come l'incoerenza della donna.
―Valérie! Per cortesia, vieni un attimo―. Gridò dopo essersi seduta su una poltrona a fantasia. La ragazza che aveva chiamato aprì quasi subito la porta dell'Espiazione e la richiuse immediatamente.
―Mi dica, milady―. Rispose Valérie.
―Niente comunicazioni importanti, cara?― domandò Charlotte mentre sfilava una sigaretta dalla scatolina in legno.
―Oh milady, proprio ieri pomeriggio è giunto Mr Mitchell in hotel― sorrise la ragazza.
―Qualcos'altro? Ad esempio... questa lettera?― sospirò quindi la donna mentre la cenere cadeva su uno dei tantissimi tappeti che ornava la stanza.
Valérie guardò per pochi istanti ciò che le era stato indicato e, secondo Charlotte, ci pensò su più del dovuto.
―È giunta questa mattina dal corriere― concluse. La signorina Young picchiettò le dita sul tavolo convulsamente.
―Va bene,― biascicò trattenendo un moto di riluttanza, ―allora quando ritornerà Mr Mitchell gli dica che lo riceverò dopo cena qui―.
―Sarà fatto, milady― furono le ultime parole di Valérie prima di uscire dalla stanza dell'Espiazione.
Non si sa precisamente quanto tempo Charlotte rimase ad osservare la lettera dal sigillo scarlatto, forse più di un'ora; fumò dieci sigarette fino a quando la mente non si annebbiò. La sua esitazione nasceva dalla conoscenza di quel sigillo.
Si sentì il track dopo un po' e il fruscio della carta sfilata dalla busta. L'aprì velocemente ed iniziò la lunga ed estenuante lettura, una lettura fatta per lo più di segreti proibiti, di problemi confessati e di profonde richieste. Rise più volte, un po' perché quella situazione le pareva esilarante, un po' perché s'era messa a fumar l'undicesima sigaretta, ed un po' perché finalmente era arrivato il suo momento. Un momento che bramava da anni, sin da quando aveva varcato la porta del locale e lo aveva nominato Le Dommage. Sentiva la soddisfazione uscir da tutti i pori e quello strano retrogusto di vincita solleticarle il palato: era stata la sua prima vittoria giustamente guadagnata.
Buttò la sigaretta e posò sul tavolo una boccetta di inchiostro ed un foglio bianco, tinse la penna di nero e lasciò che alcune gocce macchiassero la risposta; aveva già tutto in mente: come avrebbe iniziato, concluso, ogni piccola sfumatura, le virgole di cui avrebbe usufruito, il sentimento che avrebbe impresso sotto un velo pietoso di indifferenza, sentiva ogni fibra del suo corpo vibrare, il suo cervello stava già elaborando tutto in maniera fulminea. In conclusione, quando scrisse la prima parola, capì che tanta soddisfazione doveva esser ripagata con quel prezzo che, dopo tanti anni, non le pareva più eccessivamente alto.
-
Quella stanza nell'ala est era chiamata la 'Camera Rossa', dopo l'Espiazione, era considerata il luogo prediletto dalla milady. Forse perché a mezzogiorno, quando il sole spaccava il cielo in due parti uguali, i raggi filtravano nelle fessure delle tapparelle e le pareti del luogo diventavano improvvisamente di un rosso acceso, inumano, perfetto, calcolatore. La notte, purtroppo, niente illuminava la stanza e nulla la rendeva sobria se non una flebile luce proveniente da una candela troppo consumata che serviva giusto per rischiarare quel poco.
Inoltre la Camera Rossa era abitata da più di cinque anni. Si diceva che fosse un figlio bastardo della milady. Ma nessuno conosceva la verità eccetto il giovanotto di diciannove anni sdraiato sul letto a baldacchino, completamente nudo ed assonnato.
―È vero quello che dicono?― una voce sottile e femminile si fece largo tra la mente di Gerard che ora aveva aperto gli occhi e girato lentamente il viso. Il suo corpo scolpito era in parte nascosto dal lenzuolo blu notte ed il viso pallido con la barba incolta incorniciava un'espressione di curiosità mesta.
―Cos'è che dicono, mia cara?― soffiò lui sul viso della giovane.
―Che questa camera sia speciale: molti la credono maledetta, altri la considerano invalicabile...―
―E perché queste dicerie, mia cara?― sospirò Gerard appoggiando la testa sul cuscino.
―Non ne sono sicura ma... credo che la curiosità nasca proprio da te―
―Da me?―
―Non sai quanta gente pagherebbe per incontrarti― sussurrò Lilì mentre posava la mano sull'addome del ragazzo e delicatamente iniziava a baciargli l'incavo del collo.
Gerard gemette così come di consuetudine, non si scompose e lasciò che la bocca, insieme alle mani, della donna lo toccassero e scoprissero ancora una volta ogni piccolo lembo del suo corpo.
―Perché tanta premura, mia cara?― sussurrò lui mentre con una calma inaudita rifiutava un suo bacio a fior di labbra.
―Chi non vorrebbe conoscere il figlio bastardo di una donna casta?― rise Lilì. A Gerard tanta superficialità diede fastidio, un fastidio egocentrico.
―Come si può considerare la proprietaria di un bordello, casta?―
―È proprio questo il bello―. Una frase spontanea, persino accattivante.
La conversazione non continuò. Era quasi mezzogiorno, scorse i primi raggi del sole farsi largo. Spense la candela al suo fianco e regalando un sorriso di compiacimento a Lilì Lantrè*, si alzò dal letto. Il suo corpo era davvero il segno di una bellezza giovane che alle donne piaceva terribilmente ma non a quelle più astute, per questo nel tempo aveva imparato a raffinare i suoi modi, e grazie a Charlotte anche la sua intelligenza era divenuta di un certo spessore.
Indossò una vestaglia da notte e ne passò una, con lo stesso marchio inciso sul bordo della manica, alla compagna.
Quando la porta della stanza si aprì la messinscena ebbe fine. Il viso addolcito di Gerard si contrasse e con sguardo circospetto ordinò ai due camerieri di posar la colazione in due angoli diversi della camera. Ed ancora altre due ragazze fecero il loro ingresso, entrando nel bagno privato e riempiendo la vasca con acqua calda e pulita, Lilì fu immersa in un salone di bellezza e nel frattempo il giovane gigolò si fumava una sigaretta.
Sempre la solita congettura, sempre la solita routine, era tutto così calcolato che ormai il ragazzo non ci faceva più caso. Poco più tardi l'attrice uscì dal bagno con la sua lunga pelliccia, sul punto di indossare i famosi guanti neri.
―Desiderate dell'uva, mia cara?― domandò Gerard mentre la servitù spariva dietro la porta.
―No. Non ho fame oggi―.
―Quando ci rivedremo?― sussurrò il gigolò avvicinandosi al corpo sbilanciato e formoso della donna, la strinse e poi, con un'eleganza degna di nota, portò le sue mani sul petto.
―Dopo Natale, persino dopo Capodanno...―
―Precisamente?― digrignò i denti.
―Mi farò sentire con la milady, non temere― Lilì avvicinò la sua bocca a quella di lui ma ancora una volta il giovane rifiutò un contatto.
―Oh, che permaloso!― disse allontanandosi, ―mica è un peccato, sai?―
―Mia cara, non fraintendete, semplicemente io...― ma Gerard non concluse la strana frase che stava elaborando al momento, le porte rosse della camera vennero riaperte nuovamente ma questa volta la visita fu una boccata d'aria.
―Lantrè!― la voce di Charlotte si fece largo tra i pensieri di entrambi.
―Milady!― rispose di rimando l'attrice prima di lasciarsi andare ai convenevoli saluti. Gerard rimase a guardare la maestria della sua protettrice e quanto fosse capace di mettere il buono umore ai suoi clienti. Sorrise sotto i baffi ed aspettò che le donne concludessero una conversazione che poco gli interessava in cui erano nominati nomi troppo articolati, difficili da ricordare, gente che mai avrebbe incontrato e che mai avrebbe voluto incontrare.
―Questi giorni saranno davvero difficili per me e non credo che ritornerò per le prossime due settimane, i miei amanti temono che li possa lasciar da soli― sospirò Lilì, in un finto sentimento affranto.
―Non temere, Lantrè. Credo proprio che ci rincontreremo prima dello scadere di queste tre settimane― rise Charlotte.
―Davvero? E dove?―
―Il Ballo Nevoso― rise ancora.
―Oh, questa è buona! Milady, tu ti prendi troppo gioco di me! Mr Jenkins non entrerebbe mai in collaborazione con un bordello, figurati se si parla del suo ballo―.
Ora Gerard era ritornato tra loro e con una certa attenzione cercò di seguire il filo logico di tanta apprensione.
―A quanto pare, quest'anno le regole son cambiate― soffiò Charlotte, era distante un centimetro dalla giovane cliente.
Si salutarono di nuovo e quando Lilì Lantrè se ne fu andata da quella stanza, il suo sguardo cadde sul viso del figlioccio caro.
―Gerard...― disse, ―come stai?―
―Sto bene, mamà― La donna prese posto sul letto appena fatto ed accavallando le gambe tirò fuori il porta sigarette, non chiese il permesso, accese e basta. Gerard fumava di rado e solo dopo notti come quella trascorsa, quindi non proferì parola alcuna.
Guardò la protettrice con più attenzione del solito, costatando che i lineamenti del viso erano decisamente rilassati, sobri, eppure qualcosa non lo convinceva: la luce finta nei suoi occhi vibrava di paura e di apprensione, il corpo che sempre aveva ammirato era diventato tutto d'un tratto smunto e poco raffinato.
―Come è andata con Lilì?― domandò.
―Direi soddisfatta― rispose.
―Bene―. Passarono pochi minuti fino a che Gerard non si trovò più d'accordo in quel silenzio ingombrante.
―Che devi dirmi, mamà?― Si avvicinò al davanzale in cui era riposta la colazione e riempì due calici di Champagne, porse uno a Charlotte e ritornò alla sua posizione primordiale, in attesa.
―È arrivato questo―, lasciò cadere sull'orlo del letto il sigillo scarlatto della lettera immorale. Il giovane guardò l'oggetto tagliato parsimoniosamente dalla donna. E trattenne un sorriso.
―Il Ballo Nevoso...― aggiudicò. Posò il suo calice e non poté non abbracciarla in un attimo di felicità e di impeto non corrisposto. Charlotte guardò il suo viso e strinse le labbra.
―Sono davvero felice per te, mamà. E...―
―Per favore Gerard, risparmiati queste frivolezze. Ad ogni traguardo c'è sempre un prezzo da pagare, non credere che sia tutto frutto di felicità. Quello è solo un attimo. Un attimo che dura fin troppo poco―. Fiatò la milady posando a sua volta il calice senza scomporsi e senza mai abbassare il capo. Il giovane si ritrovò confuso e corrugando la fronte cercò di trovare le parole giuste per un'affermazione più efficace, meno... meno colpevole. C'era qualcosa che premeva sulla sua nuca, qualcosa di caldo e di doloroso; una parte del suo cervello lavorava per scorgere il prezzo ispido.
―Quale sarebbe questa volta il prezzo?―
―Non lo so―, rise. ―È un burattinaio abile e latente. Sappi però che non ho intenzione di crucciarmi ulteriormente, io son qui per darti un'altra notizia positiva―.
Gerard smise di osservare il sigillo e schioccando la lingua sotto il palato, guardò dritto negli occhi la donna.
―Sono tutt'orecchi―.
―Il mio figlioccio non mancherà a quest'evento, già immagino milioni di decorazioni, neve vera che scende leggiadra sui vostri capi al lume di candele; un corridoio speciale: è la mia idea―. Charlotte lasciò cadere la cenere della sigaretta per terra e gli lanciò un'occhiata loquace.
―Non credo di aver colto tutte le sfumature di questa conversazione― constatò Gerard ed in effetti era proprio spaesato. La sua mente si trovava in un turbinio di pensieri misti e contrastanti, a dirla tutta non era neanche così interessato a ciò che aveva da dirgli mamà.
―Gerard―, concluse Charlotte, ―questa è la casa della tolleranza, non c'è bisogno di capire, basta semplicemente... tollerare―.
Un sospiro e le tende che cadono sul sipario.
La milady non avrebbe accettato qualunque prezzo. Questo Gerard lo sapeva.



Il ticchettio della pioggia sulla finestra era l'unico rumore che aleggiava nella stanza. Elizabeth era seduta comodamente sul letto a baldacchino e guardava di fronte a sé il grande armadio in mogano nero: le ante erano aperte, osservava con circospezione i vestiti all'interno senza però trovare quello giusto. I capelli erano scompigliati sul cuscino e il viso imbronciato dai mille pensieri. Tutti sapevano che non era una ragazza dall'intelligenza acuta e il suo spropositato amore verso i vestiti era solo un piccolo capello dei tanti suoi vizi.
Every, la governante, era preoccupata per un altro motivo. Come era possibile che la sua padroncina si stesse già dedicando ai preparativi del viaggio? Mancavano due settimane, c'erano tante feste e cose da fare, ma alla signorina Elizabeth, così pareva, tutto ciò non le interessava affatto. Aveva un unico pensiero che, personalmente, Every bramava di sapere.
Nella biblioteca degli Ermakje, George era seduto dietro la scrivania con una miriade di fogli attorno.
―Posso, signore?― Every entrò circospetta con la solita teiera di tè.
―Prego, Every. Poggia lì, su quel tavolo fianco al camino― rispose l'uomo senza alzare lo sguardo dagli affari.
―Signore, volevo parlarvi di Mss Elizabeth― sospirò la donna dopo aver eseguito gli ordini.
―Che sia una cosa veloce―.
―Per quanto ho potuto capire, la signorina vuole iniziare i preparativi del viaggio―. George fermò per un attimo la piuma stretta in mano che, fino ad un attimo prima, si muoveva sul foglio.
―Oh, per l'amor del cielo, mancano due settimane―, con gli occhi incontrò quelli della sua interlocutrice.
―Sapete com'è fatta vostra sorella, signore. Ha queste manie... incontrollabili, se mi permettete di dirlo―.
―Le parlerò questa sera a cena, se ciò ti rincuora―.
―Va bene signore. Vi ringrazio―. Disse Every mentre usciva dalla stanza e lanciava un'ultima occhiata al suo padrone.
Era innocua, le dicevano. Ma l'innocuità è sinonimo di desiderio.

*Lilì Lantrè: il nome è stato debitamente storpiato, poiché questa storia non ha intenzione di riportare vicende realistiche ma semplicemente verosimili.
Nell'Ottocento ella era un'attrice e fu amante di persone alquanto famose.



Spazio scrittrice:
Sono viva. Oh my gosh. E chi l'avrebbe detto! Mi scuso per questo immenso ritardo, ma ero confusa e fino ad oggi non sapevo precisamente cosa aggiungere.
Stiamo andando lentamente? Oh, ragazzi, è così che deve andare! Perché nei prossimi capitoli vi ritroverete in un turbinio amoroso e pieni di colpi di scena che... preferireste di gran lunga questi momenti.
Ora vi pongo una domanda:
-SPOILER
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- Il Conte Ermakje (George) sa qualcosa di questo bordello? Di questo ballo? SPOILER! Adieu! E fatemi sapere cosa ne pensate!


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