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Autore: ElenCelebrindal    12/02/2014    2 recensioni
Questa è la storia della vita di Legolas. Da quando era un bambino fino alla sua partenza per le Terre Immortali. Bambino, ragazzo e adulto, tutto quello che ha passato assieme a suo padre Thranduil, le sue amicizie e i suoi scontri, tutto riunito in questa fan fiction.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Legolas, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mae govannen, mellonea nîn

Erano passati quattro mesi, ormai, da quando Legolas aveva compiuto due anni, e il morale di Thranduil era decisamente alto.
 Da quando Oropher gli aveva concesso di poter state con suo figlio un paio di ore ogni giorno, tutto andava per il meglio. Un giorno, non appena Thranduil raggiunse il figlio, quest’ultimo (che sempre più spesso parlava ad alta voce) disse: “Ada, guada cosa so fae”. Appoggiandosi alla struttura in legno del letto, si tirò in piedi e riuscì a camminare fino ad arrivare dal padre, aiutandosi appoggiandosi al legno.
 Thranduil sorrise, a trentadue denti, mentre sollevava Legolas e lo lanciava in aria, per poi riprenderlo al volo: “Sei davvero bravissimo, stai imparando a camminare!”, esclamò, dandogli un bacio ogni volta che lo riprendeva.
 A Legolas piaceva moltissimo quel gioco, e i complimenti del padre lo avevano fatto ridere, tanto era felice. Quando Thranduil lo rimise a terra, sui cuscini, approntò un’espressione contrariata, ma anche se si arrabbiava manteneva sempre una dolcezza incredibile.
 Il principe ridacchiò, ma poi fece una faccia seria: “Entro domani voglio vederti camminare senza appoggiarti, chiaro?”, disse in tono perentorio.
Dapprima Legolas rimase spiazzato, ma poi vide il leggero sorriso che increspava le labbra del padre, e scoppiò di nuovo a ridere, seguito a ruota da Thranduil, che si sedette all'’improvviso accanto al piccolo. Legolas appoggiò la testa al braccio del padre, e disse: “Ada, quando iusciò a camminae bene, mi potti a fae un gìo?”. “Ma certo che ti porterò a fare un giro, iôn nîn. Ma dovrai saper anche parlare senza mangiarti le doppie e la lettera r. altrimenti, come farai a fare la conoscenza di qualcuno degli Elfi del Bosco?”.
Legolas aggrottò le sopracciglia, cercando di parlare già da subito bene come voleva il padre, ma alla fine rinunciò e disse: “Va bene, mi impegneò tantisimo, e ala fine palleò meglio di te, vedai”. Una frase del genere era troppo per Thranduil, che impiegò due secondi per decifrarla.
 Poi replicò, scompigliando i capelli del piccolo: “Vedremo se riuscirai a parlare meglio di me. Facciamo che è una sfida: se ci riuscirai prima di compiere cinque anni, ti porterò a fare un giro tra gli alberi del Boscoverde, cosa ne dici?”. Thranduil sapeva che Legolas avrebbe vinto.
 Gli Elfi imparano molto più in fretta dei mortali, e Legolas sembrava anche più precoce di altri. Il piccolo raccolse la sfida: “Va bene. Ma tu non cambiae idea, ada. Voglio vedee il bosco!”. Il principe prese la manina del figlio e la strinse: “Affare fatto!”, disse, sorridendo. Poi, a malincuore, si accorse che le due ore erano ormai quasi scadute.
Doveva tornare da Oropher, o il re si sarebbe adirato. Diede un veloce bacio a Legolas sulla fronte: “Ada deve andare. Non addormentarti prima che io ritorni, devo darti la buonanotte”. Legolas lo abbracciò, prima di staccarsi e tornare a giocare con un paio di animaletti di stoffa. Thranduil lo guardò per qualche secondo, prima di richiamare Voronwen e fare ritorno alla sala del trono.
 E così, giorno dopo giorno, Legolas cercava sempre di imparare più cose che poteva, e molto più spesso chiedeva sia a Voronwen che a suo padre di raccontargli qualche storia. A tre anni riusciva già  parlare utilizzando più parole e continuava a impararne sempre di nuove. A quattro, già sapeva camminare nel modo aggraziato degli Elfi e non inciampava più. In quel periodo, Thranduil dovette ridurre il tempo che poteva trascorrere con Legolas, a causa di alcuni episodi accaduti di recente, ma una volta appurato che non c’era nessun pericolo in agguato, tutto tornò come prima.
 Il principe cominciava già a pensare dove avrebbe portato Legolas. Non poteva negare i progressi che stava facendo, quindi avrebbe dovuto mantenere la promessa che gli aveva fatto. Né il principino mancava di ricordargliela, ogni tanto.
 Alla fine, arrivò il giorno del quinto compleanno di Legolas, e Thranduil decise che l’avrebbe fatto uscire proprio quel giorno. Oropher non contestò la decisione di Thranduil di stare assieme al figlio, per cui il principe parlò con il bambino non appena si fu svegliato. “Legolas?”, lo chiamò, per accertarsi che fosse davvero sveglio. La sua voce gli arrivò con un paio di secondi di ritardo: “Cosa c’è, ada?”, disse, con voce assonnata.
 Thranduil sorrise e, avvicinatosi al letto del figlio, afferrò le coperte e le tirò via: “Alzati, pigrone. Oggi ti porto a vedere Boscoverde il Grande”, disse, quando Legolas provò a protestare. A quel punto, il bambino si mise a sedere di scatto, e tutto il sonno sembrava letteralmente sparito. “Davvero?”, domandò, pensando che fosse uno scherzo. “Non sto scherzando. È il tuo regalo di compleanno, perciò, in piedi”, rispose Thranduil, facendo il solletico a Legolas.
Il piccolo Elfo si alzò subito e, con l’aiuto del padre, indossò degli abiti adatti a camminare tra gli alberi. Legolas era impaziente di uscire, ma Thranduil, quando furono davanti alle porte del Reame Boscoso, si mise davanti a lui e, inginocchiandosi alla sua altezza, gli disse: “Ascoltami bene, iôn nîn. Io ti ho promesso che ti avrei fatto vedere la foresta, ma ora sei tu che devi promettermi una cosa. Non allontanarti mai troppo da me. Boscoverde è sicuro, ma non si può mai sapere. Sei ancora troppo piccolo per avventurarti tra gli alberi senza una guida, e potresti perderti. E dovrai ascoltarmi, ogni cosa che ti dirò. Promesso?”. “Promesso”, rispose Legolas, ansioso di uscire.
 Thranduil annuì, poi si rivolse alle guardie delle porte: “Edro in ennyn” (Aprite i cancelli). Quelle spalancarono le porte di pietra del Reame e attesero che padre e figlio fossero usciti, prima di richiuderle. Quando sentì il rumore secco dei portali, Legolas si voltò, spaventato. “Non preoccuparti, li riapriranno quando torneremo”, lo rassicurò Thranduil.
 Legolas annuì e si voltò, osservando per la prima volta il magnifico scenario che gli si parava davanti agli occhi. Un ponte attraversava un impetuoso fiume e dappertutto c’erano dei maestosi alberi, di molte specie differenti.
A poca distanza dal ponte, si intravedevano le case degli Elfi che non vivevano all'’interno delle Sale, e molti di loro passeggiavano e cantavano, suonando anche degli strumenti che Legolas aveva visto spesso. Il principino rimase a bocca aperta nel vedere quello spettacolo e Thranduil, osservandolo, non poté impedirsi di ridacchiare. “Ti piace?”, gli domandò, pur conoscendo già la risposta. “Si, mi piace moltissimo”, rispose lui.
Poi indicò il fiume, ma pareva non trovare le parole per dire qualcosa. Allora Thranduil gli chiese: “Mankoi le irma sint?” (Cosa desideri sapere?). qualche secondo dopo, Legolas trovò le parole, e disse: “Mani naa essa en dîn? (Qual è il suo nome?). “Vuoi sapere il nome del fiume? Bene, quello è il Fiume Selva o Fiume della Foresta, ovvero Taurduin. Non molto lontano da qui il suo corso si unisce a quello del Fiume Incantato. Sono gli unici due fiumi di Eryn Galen”.
 Legolas prestava davvero molta attenzione, e memorizzò tutto quello che il padre aveva detto. “Voglio imparare tutto quello che posso.
 Da grande anche io andrò in giro da solo per Eryn Galen!”, esclamò, ma non si allontanò, anche se voleva. Thranduil lo prese per mano e disse: “Allora non restiamo fermi in un solo posto. Andiamo a vedere la città al di fuori delle sale dove sei cresciuto”. Legolas non se lo fece ripetere  due volte e, mano nella mano con il padre, scoprì dove vivevano tutti gli altri sudditi di Oropher. Le abitazioni degli Elfi Silvani erano semplici, ma comunque molto belle agli occhi del principino.
 Alcune erano a terra, altre costruite sui rami degli alberi, ma tutte, o almeno la maggior parte, erano fatte di legno. “Ricordi la promessa che mi hai fatto?”, domandò Thranduil a Legolas.
 Quando il bambino annuì, continuò: “Diciamo che, almeno qui dove ci sono più Elfi, potrai scorrazzare un po’ da solo, basta che io possa continuare a vederti senza problemi”. “Davvero? Hannon le, ada!”, esclamò Legolas, felice di quella piccola concessione. Il piccolo Elfo si allontanò dal fianco di suo padre, e cercò di vedere il più possibile, cercando sempre di restare con lo sguardo del padre incollato addosso. Molti Elfi che lo vedevano si inchinavano, salutandolo e sorridendo, e Legolas rispondeva sempre, rispettando le regole della cortesia che Voronwen, suo padre e suo nonno gli avevano insegnato.
 Più di una volta, quegli stessi Elfi andarono a salutare anche Thranduil, e si complimentarono anche del comportamento di Legolas. Il principe era felice che il figlio si stesse comportando bene, ma non lo diede troppo a vedere. Legolas, dal canto suo, aveva voglia di dare un’occhiata anche dall’alto, così si arrampicò sopra ad un albero non troppo alto.
Ne scelse uno con molti rami in fondo, in modo da poterci poggiare i piedi. Quando fu ad una buona altezza, si guardò intorno, scrutando in mezzo alle foglie e guardando il sole che filtrava attraverso le fronde degli alberi.
 Thranduil lo lasciò fare, in fondo era stato bravo ad arrampicarsi e non rischiava di cadere, ma dopo un quarto d’ora circa decise che era ora di farlo scendere. Perciò si avvicinò all'’albero e tese le braccia: “Legolas, scendi dall’albero, su”. Ma il principino stava bene, seduto su un ramo alto a piuttosto spesso: “Ma sto cos’ bene quassù. Ti prego, fammi restare ancora qualche minuto”. E, per sottolineare il concetto, abbracciò una parte del tronco dell’albero. Thranduil strinse gli occhi: “Legolas, mi avevi promesso che mi avresti ascoltato. Scendi dall’albero”.
 L’ultima frase sembrava molto un ordine e Legolas, più intimorito che altro, provò a scendere. Ma poi arrossì e, guardando il padre, disse: “Ada, non so scendere”. Thranduil, a sentire quelle parole, per poco non scoppiò a ridere.
Scosse la testa, con un sorriso sulle labbra, e salì sui primi rami bassi della pianta, quel tanto che bastava per recuperare Legolas dal ramo si cui era seduto. Il bambino gli saltò in braccio e assieme tornarono con i piedi per terra. Quando Thranduil mise giù il figlio, gli disse: “Direi che è ora di lasciare la città, si sta facendo tardi e abbiamo passato quasi tutta la mattina qui. Vieni con me, ti faccio vedere un posto speciale”.
Dopodiché si avviò, a passo lento per permettere al figlio di stargli dietro. Aveva intenzione di portarlo in una radura, ma non in una radura qualsiasi. Quando finalmente giunsero a destinazione, Legolas spalancò gli occhi, come a volerli empire dello spettacolo che vedeva.
Due alberi davvero alti piegavano i loro rami come a formare un arco naturale, e le foglie sembravano quasi delle verdi tende sottili. La radura era perfettamente circolare, e delicati fiori spuntavano tra l’erba soffice. “Questo posto è completamente naturale, nessun Elfo ci ha mai messo mano. Si è formato da solo, con il passare del tempo. Tu stai vedendo questa radura com’è ora, ma quando sarai più grande ti porterò qui durante la notte della Mereth-en-Gilith. Durante la Festa della Luce delle Stelle, infatti, i fiori colorati sono tutti chiusi, mentre sbocciano solamente dei piccoli fiorellini del colore delle stelle, e l’erba è un tappeto d’argento. È proprio qui, al centro della radura, dove noi ora ci troviamo, che rivelai a tua madre tutto l’amore che provavo per lei. Questo posto mi ispira malinconia e tristezza, perché mi fa tornare alla mente la mia bellissima Vendë, ma allo stesso tempo anche allegria e tranquillità, perché è qui che ognuno ha aperto il suo cuore all'’altro. È questo il motivo per cui ho voluto mostrarti la Land en Gilith”.
 Legolas aveva ascoltato tutto il discorso, bevendosi ogni singola parola: “La Radura delle Stelle”, mormorò, esplorando quel luogo incantato e pieno di pace. Gli vennero le lacrime agli occhi, non sapeva se di felicità per aver visto la radura, o di tristezza, per aver scoperto che anche lì c’era stata sua madre.
Si fermò proprio al centro, sollevando lo sguardo sull’ampia parte di cielo azzurro che le fronde permettevano di vedere. A Legolas piaceva quel colore, il colore che simboleggiava l’infinito del cielo. Mentre osservava attento, Thranduil si avvicinò e lo abbracciò, percependo i pensieri che vagavano per la giovanissima mente del figlio. “Se non vuoi tornarci più, dimmelo”, disse all'’improvviso il bambino, continuando a guardare in alto. Thranduil restò in silenzio. “Ho capito che la Land en Gilith ti ricorda la mamma, e per questo sei diventato triste. Non ci rimarrò male. Non devo tornare qui assieme a me, se ti senti così”.
 Il principe rimase sorpreso da quelle parole: suo figlio aveva capito molto di più di quello che Thranduil aveva lasciato intendere e, sebbene avesse affermato che quel luogo gli infondeva anche allegria e tranquillità, la realtà era che la vista della Radura delle Stelle era sempre un dolore per il principe.
Tuttavia, per garantire al figlio di vederla almeno durante la Mereth-en-Gilith, rispose: “Non devi preoccuparti. Non mi dispiace rivedere la Land en Gilith, e ti ci porterò di nuovo, in futuro”. Legolas abbassò la testa e sorrise al padre: “Va bene, ma ora andiamo via. Ho voglia di vedere qualcosa di più”. Thranduil acconsentì e, prendendo di nuovo per mano Legolas, lo condusse attraverso le fronde di numerosi alberi, mostrando al figlio i sentieri, sia visibili che invisibili, utilizzati dagli Elfi.
Legolas cercava di memorizzarne pi che poté, ma quando ripresero la via per le Sale ne ricordava solamente un piccolo numero. “Sei stato bravo, oggi”, disse all'’improvviso Thranduil. “Forse, qualche giorno, potrai uscire anche in compagnia di qualche guardia del palazzo”. “Dici davvero?”, disse Legolas, felice. “Si, ma solo se ti comporterai bene. E se non ti arrampicherai sugli alberi finché non impari a scendere”. Il bambino ridacchiò, annuendo.
 Thranduil gli regalò un ultimo sorriso, poi assieme attesero che i portali venissero aperti e rientrarono nel Reame Boscoso, con l’aria di aver passato una giornata splendida e rilassante. 

Vi prego di non inviare i Cavalieri Neri a catturarmi per portarmi a Mordor se il capitolo è così cortino. Qui ho voluto descrivere la prima uscita nel bosco di Legolas e, sebbene ci sia poco spazio per le sue riflessioni e sentimenti, tutto vi sarò spiegato nel prossimo capitolo. Prima di ringraziare, vorrei mettere in chiaro alcune cose: "Eryn Galen" è il nome Sindarin di Boscoverde il Grande e "Taurduin" è il nome Sindarin del Fiume della Foresta, entrambi nomi creati da Tolkien. "Land en Gilith", invece, è un nome da me creato apposta per la storia utilizzando il Sindarin. Bene, ora posso ringraziare:

1) tutti i lettori silenziosi
2) LokiLove, Chiaretta_6, ewan91 ed Elenwen per le recensioni
3) Elenwen, fredfredina, letizia2002, LokiLove e nadivolraissa per aver aggiunto la storia alle preferite
4) Chiaretta_6, Elenwen, ewan91, Medea_96 e nadivolraissa per aver aggiunto la storia alle seguite
5) Elenwen, nadivolraissa e Satana1 per aver aggiunto la storia alle ricordate
6) tutti quanti quelli che sono finiti qui per sbaglio e sono arrivati fino in fondo ;)

Bene, non c'èpiù altro da dire. Alla prossima


Hannon le

ElenCelebrindal
 
   
 
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