Per un gelato alla vaniglia___
Allora, questa fanfiction è il frutto di un’idea improvvisa.
Prima di iniziare, faccio qualche chiarimento.
La trama è fondamentalmente basata sulla sceneggiatura del
film ‘The Parent Trap’ di Nancy Meyers. Si dà il caso che sia stato ridato in
televisione proprio di recente, anche se casualmente avevo già scritto un paio
di capitoli quando ho saputo che l’avrebbero mandato su Raiuno.
In questa storia i punti di vista saranno quattro. Dal
riassunto, dovreste avere già capito, più o meno, di chi si tratterà. E’ una
trama piuttosto originale, ma spero veramente che vi piaccia, comunque.
E’ probabile che qua e là ci saranno citazioni di frasi
[brevi] da altri film, fumetti e libri.
In questo capitolo, il prologo, verrà introdotta la storia,
perciò metto in chiaro che i protagonisti non saranno personaggi originali,
bensì quelli che ben conosciamo^^ Qui, dovevo per forza far capire da dove
nasce tutto quello che accadrà poi.
Fatemi sapere cosa ne pensate, per favore ^_^
Miwako
Prologo.
[Uguale è un termine relativo…]
-
Non so se ho veramente voglia di
andarci. –
-
Ma davvero? –
-
Già, forse, sarebbe meglio se rimanessi a
casa. –
-
Ah, sì? –
-
Bene, visto che siamo d’accordo… -
-
Ti voglio pronta, vestita, profumata e
con la valigia chiusa entro cinque minuti. –
La bambina gonfiò le guance, per poi sbuffare.
La donna le fece un sorriso furbo.
-
Comportati un po’ di più da signorina. –
la canzonò, e la bambina incassò il colpo.
Si voltò lanciando alla madre un’occhiataccia furente, ma
non disse nulla. Salì le scale a grandi passi borbottando qualcosa di poco
carino in quello che doveva essere tedesco, o giù di lì.
Solo quando fu sparita al piano superiore, la donna scoppiò
a ridere.
Aveva lunghi capelli castani e mossi, ribelli, che mal si addicevano
al severo chignon in cui erano raccolti. Aveva grandi occhi scuri e vellutati.
Il corpo minuto ed aggraziato.
Aveva il viso di una ragazzina.
A lei piaceva il suo viso.
Guardò l’orologio, sospirò e prese a battere un piede per
terra.
-
Hermione, ma sei sicura che sia il caso
di mandarla in campeggio? –
Lei si voltò con lo sguardo dardeggiante verso l’uomo dai
capelli neri che se ne stava divertito sulla soglia del salotto. L’espressione
di uno che se la stava spassando scomparve ed assunse un’aria forzatamente
seria.
-
Ha nove anni. E’ ora che impari a stare
un po’ lontana da casa. Si tratta solo di giugno e luglio. –
Lui scrollò le spalle.
-
Non per criticare il tuo ferreo metodo di
insegnamento, ma non credi che dovresti essere un po’ più… -
Hermione prese un’aria indignata.
-
Non ho intenzione di viziarla. – poi, la
sua espressione si addolcì. – le ho promesso che quando tornerà, mi prenderò le
ferie con la forza, se necessario, pur di stare con lei. Penso soltanto che sia
un’occasione interessante. –
Lui agitò una mano ridendo, come a voler scacciare una mosca
infastidita.
-
Ah, fa come vuoi, fa come vuoi, non ho
intenzione di impicciarmi. Ma si tratta pur sempre di un campeggio riservato ai
piccoli maghi, ed è in Inghilterra – la guardò fisso. – non credi che… -
Lasciò la frase in sospeso.
Lei resse il suo sguardo, con aria indifferente, voltandosi
quando sentì i passi della bambina che correvano giù dalle scale.
-
Ginevra, allora, sei pronta? Hai preso
tutto? – le chiese, tentando di darsi un tono coinvolgente.
La bambina la squadrò male, ma rispose in modo estremamente
educato.
-
Certo, mamma. Mi dispiace di avere fatto
i capricci. – mormorò.
L’uomo batté le mani, con aria teatralmente colpita.
-
Complimenti – fece, con un gran sorriso.
Quando Ginevra lo vide, il suo volto si illuminò, ma non gli corse incontro
buttandogli le braccia al collo. Gli si avvicinò e gli porse la mano, che lui
strinse allegramente. – sei la fotocopia doppiamente educata di tua madre.
Peccato che lei non chieda mai scusa… - aggiunse, in modo che solo Ginevra
potesse sentirlo.
La bambina si morse il labbro inferiore, per impedirsi di
ridere.
Per avere nove anni, era estremamente, esageratamente
controllata.
Hermione buttò di nuovo l’occhio all’orologio.
-
Oh, bene, si è fatta l’ora – mormorò,
sentendo improvvisamente un vago senso di colpa.
Forse non avrebbe dovuto mandarla.
O forse sì.
O forse no.
Okay, ormai era fatta, quindi andava bene così.
-
Allora, Harry ti accompagnerà fino
all’aeroporto – cominciò, piegandosi verso Ginevra per scostarle una ciocca di
capelli dal viso. Un pensiero attraversò la mente di Hermione, ma lei lo
scacciò immediatamente, proprio come era comparso. – ripassiamo le regole. Non
fare magie quando si è in compagnia di babbani, non parlare di magia quando
possono sentirti i babbani, non allontanarti dagli insegnanti, non uscire
dall’area magica del campeggio, e non… -
-
… non portarmi le cioccorane in giro. –
completò diligentemente Ginevra.
Hermione annuì soddisfatta, poi alzò lo sguardo verso Harry.
-
Ti ringrazio per volerla accompagnare.
Purtroppo, oggi al Ministero devo riempire una quantità assurda di scartoffie…
-
Harry fece spallucce.
-
Non c’è problema, tanto lo sai che devo
tornare anch’io in Gran Bretagna. Credo che non ci vedremo per un bel po’,
ormai sono definitivamente trasferito là. –
Hermione gli sorrise. Non rispose a quell’ultima
affermazione.
-
Beh, salutami Ginny, okay? Dille che non
deve farsi venire attacchi di panico se le viene un’improvvisa voglia di
Caramelle allo Stinco di Maiale, anche se le ha sempre trovate disgustose. Sono
cose normali in gravidanza… -
Harry arrossì vagamente.
-
Sì, beh, vedrò di dirglielo. – mormorò,
schiarendosi la voce.
Lo sguardo di Hermione tornò verso Ginevra.
-
Bene, dopo questo affascinante ripasso
delle regole – le disse, facendole un sorriso maligno. – adesso ti toccherà
abbracciarmi. –
La bambina ridacchiò e le buttò le braccia al collo.
-
Ci vediamo presto. Due mesi sono brevi,
sai? – sussurrò Hermione.
-
… sì. –
Si allontanò, ed i tre si salutarono. Hermione andò alla
finestra, a guardare Ginevra ed Harry che salivano sul taxi. Lo sguardo castano
della bambina si incrociò con lo stesso della donna. Hermione fece un sorriso
buffo e sillabò le parole ‘ti voglio bene’.
Ginevra sorrise, annuì e salì sul taxi.
Gli arrivederci sono innocui.
Puoi immaginare ogni cosa, ma non sai mai cosa accadrà dopo
aver salutato.
Di certo, Hermione Granger, ventinove anni, Auror del
Ministero della Magia Statunitense, di nazionalità inglese, non si aspettava
che dopo quell’arrivederci ci sarebbero state molte, molte cose a scombussolare
la vita di quella elegante, educata famiglia che viveva in una villetta di un
tranquillo paese vicino a New York.
-
Non ci voglio andare! Tu non mi
costringerai! –
-
Certo che ti costringerò, mocciosa! Ora,
alzati e fatti portare da Fred all’aeroporto! –
-
Fred non è ancora arrivato! –
-
Perché è un dannatissimo ritardatario! –
-
Ah, perché non posso avere un padre
normale, che non dice parole come ‘dannatissimo’?! –
-
Perché non posso avere una figlia normale
che non si lascia andare peso morto davanti a casa?! –
I due si guardarono in cagnesco.
Erano all’ingresso di una bella casa circondata dalla
campagna. In lontananza, sentirono il suono di un auto che si avvicinava.
Lui aveva scompigliati capelli rossi, era alto, snello e dalle
braccia forti.
Aveva gli occhi azzurri.
Le spalle larghe e mani grandi.
A lei piacevano le sue mani.
La bambina lo guardò con aria di sfida.
-
Al campeggio non ci vado! – sibilò.
L’uomo l’afferrò nuovamente per il braccio, cominciando a
trascinarla per il sentiero che portava alla cancellata, verso la strada.
Lei scalpitò.
-
Sì, che ci vai! –
-
Ma perché?! –
-
Perché io dico che ci andrai! E
perché devo lavorare! –
-
Non è vero! Non devi andare all’estero,
quest’estate, le partite le giocate tutte in casa! –
Lui aprì il cancello, sempre con la bambina appresso che si
faceva trascinare come un sacco di patate, con aria drammatica.
La fulminò con lo sguardo.
-
Molly, te lo dico una volta per tutte:
quest’estate ho da fare, non posso starti dietro. Ti annoieresti, credimi. –
cercò di essere paziente.
-
Ma io mi diverto a guardarti giocare! –
si lagnò lei, ed un’auto volante comparve all’improvviso all’orizzonte.
L’uomo al volante, con gli occhiali da sole e l’aria più
tranquilla del mondo, nonostante i capelli più fiammeggianti che mai, atterrò
placidamente davanti a loro.
Si tolse gli occhiali.
-
Ehi, bambolina, pronta per un giro su
questa fantastica decappottabile? – sorrise maliziosamente.
Molly si addolcì appena. Almeno, si mise in piedi da sola.
-
Non ci voglio andare. – mormorò,
testardamente.
-
Molly, tu ci vai, chiaro? –
-
Ma, papà… -
-
Niente ‘ma’! –
L’uomo sospirò con aria teatrale.
-
Ed io… ed io che ti avevo preparato una
sorpresa per il tuo ritorno… dato che ad agosto compi gli anni… se tu rimani,
non potrò mostrartela in tutto il suo splendore… -
Molly fece una smorfia, disgustata, ma improvvisamente
incuriosita.
-
Questo è un dannatissimo colpo
basso. – fece.
Fred guardò l’orologio.
-
Ron, ma sei tu che le insegni quelle
parole? Che vogliamo fare, si sta facendo tardi. Il raduno dei tuoi compagni
alla stazione degli autobus magici si tiene tra mezz’ora. –
Padre e figlia si guardarono nuovamente in cagnesco.
Poi, Molly sospirò.
-
E va bene, ci vado, ci vado – disse,
allargando le braccia, con l’aria di una che fa un grande favore. – però, papà,
sei veramente un bambino. –
Fred fece per dire qualcosa, con una risatina.
-
E’ incredibilmente simile… -
Ron gli lanciò una frecciata con lo sguardo, e lui si
schiarì la voce.
-
Sì, beh, ehm, allora, Molly, credo che
sia ora di andare a divertirsi. –
Molly salì in macchina, sbattendo elegantemente la portiera
con aria di superiorità.
Lanciò uno sguardo di sufficienza al padre.
-
Mi divertirò certamente di più senza di
te. – buttò lì.
L’uomo ridacchiò, scompigliandole i capelli.
-
E’ inutile che fai la dura, lo so quando
mi adori. –
Molly fece un’espressione indignata, scuotendo leggermente i
capelli rossi tagliati a caschetto.
-
Io non ti adoro. – fece, sempre
con aria di sufficienza. – diciamo più che altro che provo un sentimento di
ammirazione che… -
Ron rise.
-
Provo anch’io un sentimento di
ammirazione nei tuoi confronti. – disse, con una smorfia.
Molly non riuscì a trattenersi e lo abbracciò schioccandogli
un bacio sulla guancia.
Fred fece partire il motore.
-
Molly Weasley mi adora, Molly Weasley
mi adora… - canzonò Ron, mentre la macchina si alzava in aria.
Lei gli fece la linguaccia.
-
Ci vediamo ad agosto, e prega che la tua
sorpresa mi piaccia, padre degenere! –
La macchina sparì, quando Fred inserì l’invisibilità.
Il sorriso di Ron si spense a poco a poco.
Non era affatto sicuro che la sorpresa le sarebbe piaciuta.
Per niente.
Non era sicuro che si potesse dire una bella sorpresa.
Ronald Weasley, ventinove anni e mezzo, Portiere della
squadra di Quidditch degli Inglesi, non aveva ancora detto alla sua unica
figlia, Molly, che si sarebbe sposato.
*
L’Allegro Campeggio della Noia, come l’aveva segretamente
soprannominato, era esattamente come se lo era immaginato.
Allegro e noioso.
Vagamente allegro.
Tremendamente noioso.
Da ogni dove spuntavano bambini e ragazzini che facevano
volare le cose solo con lo sguardo o con le dita. Ovviamente, gli unici a
possedere le bacchette per poter fermarli, erano i maestri, che correvano da
una parte all’altra nel tentativo di impedire che i bagagli finissero sulla
testa di altri bambini.
Quanto a lei, il suo bagaglio se lo teneva ben stretto, e la
testa alta.
L’Inghilterra montana era esattamente come se l’era
immaginata.
Niente che non avesse già visto nei libri illustrati.
Raccolse i lunghi capelli rossi in una coda, mentre si
guardava intorno.
Non era avvezza a fare amicizie.
Se capitava, bene, se non capitava, niente di grave.
Le sarebbe comunque piaciuto osservare intorno a lei.
Magari avrebbe incontrato il coniglio chiamato Coniglio*.
Non si sa mai.
-
Ginevra Granger. – richiamò la voce di
uno dei maestri, guardando da una lista.
Lei alzò con sicurezza la mano, ed il maestro annuì,
segnandola presente.
Nel frattempo, le si era avvicinata una bambina.
-
Ciao – disse. – io sono Paulina. Per
caso, sei la figlia della Granger che lavora in America? –
Ginevra si inorgoglì improvvisamente, annuendo.
Il viso di Paulina si illuminò.
-
Allora, anche tu vivi in America. –
La bambina annuì di nuovo.
Paulina si avvicinò con aria cospiratrice.
-
Lo sai, io frequento una scuola di
preparazione per Hogwarts, una scuola privata. Abbiamo appena iniziato a
studiare la storia più recente, e, senti questa, c’era anche il nome di tua
madre. –
Ginevra stava scoppiando dall’orgoglio, ma tentò di
trattenere l’espressione beata dal viso.
-
Oh, immagino – fece, con indifferenza. –
dopotutto, zio Harry… -
Si interruppe, aspettando una reazione.
Non chiamava mai Harry ‘zio’.
Ma quella era un’eccezione.
Paulina sgranò gli occhi.
-
Conosci anche Harry Potter? –
-
Beh, ma certo. Lui e mia madre sono grandi
amici sin da quando combattevano Vondamol. –
-
‘Vonda’ chi? –
Ginevra arrossì furiosamente, e Paulina rise.
-
Mi sei simpatica – disse, con un gran
sorriso.
Poi, indicò uno dei maestri.
-
Che ne dici se ci iscriviamo a scherma
magica insieme? –
*
Una folla di bambini attorniava una ragazzina sola, che
gongolava fieramente, seduta su una massa di bagagli.
Con il dito indice puntato verso l’alto, stava facendo
roteare una borsa.
-
Che brava. – commentarono ammirati i
bambini.
Molly sorrise beffarda.
Mocciosi.
-
Sciocchezze, sciocchezze. Chi non sa fare
magie così elementari? – disse, facendo spallucce con falsa modestia.
-
Ehi, ehi, è vero che il tuo papà è Ronald
Weasley? – fece uno dei bambini più grandi.
Molly si lasciò andare ad una risata da padrona dell’universo.
-
Quanti Weasley conosci, con esattezza?
Solo uno ha vinto i Mondiali di Quidditch, l’anno scorso, con una splendida
parata all’anello destro, comunque. Io passerò alla storia come Auror del
Ministero della Magia, ragazzi, perciò ricordatevi bene il mio nome… -
-
Molly Weasley! –
Tre maestri infuriati si avvicinarono e la piccola folla di
bambini si aprì, intimorita. Uno dei maestri fece cadere a terra la borsa che
ancora volava pigramente sopra le loro testa, con un colpo di bacchetta.
-
Sei qui da dieci minuti e già mi ricordo
il tuo nome! – disse una donna in divisa, con l’aria di essere veramente fuori
di sé.
Molly fece un sorriso beffardo.
-
Vedete? Ve lo dicevo, che il mio nome non
si scorda facilmente. –
-
Ma bene, rispondi anche in modo
maleducato! –
-
Dannatamente maleducato. –
ridacchiò la bambina, facendo infuriare la donna ancora di più.
-
Bene, Molly, visto che siamo così prime
donne, perché non ti iscrivi ad un gioco? –
Molly fece una smorfia.
-
Non sono per i giochi di gruppo, a meno
che non si tratti di Quidditch. Perciò, se non le dispiace… -
-
Forse non hai capito. Vai a sceglierti un
gioco di gruppo a cui iscriverti. Subito. –
La bambina roteò gli occhi e saltò giù dalla montagna di
bagagli, sotto lo sguardo ammirato degli altri bambini.
Presentazione ai mocciosi, riuscita.
Inserimento nel mondo mocciosi, riuscita.
Evitare punizione adulti, fallita.
*
-
Mi piace la scherma magica. E’ piuttosto
impressionante. –
Ginevra indossò la maschera protettiva e si stiracchiò nella
tuta bianca.
Ovviamente, alla mano non portava una spada vera: era fatta
di un fascio di luce, che suonava quando si colpiva un punto vitale
dell’avversario.
Nei tre round della partita, chi colpiva più punti vitali
vinceva.
Lei e Paulina corsero verso il raduno del gruppo dedicato
alla scherma.
C’era una strana agitazione.
Le due bambine si guardarono, attraverso la maschera.
-
Bene, vi spiego per bene il gioco – disse
pazientemente la maestra.
Lanciò un’occhiata rasserenante a quella folla di bambini
vestiti di bianco e con le spade alla mano.
Deglutì.
-
Sì, ecco, chi di voi ha già provato? –
fece, battendo le mani.
Ginevra alzò prontamente la mano.
Paulina la guardò come se fosse un’extraterrestre.
-
Io l’ho praticata da quando avevo sei
anni, fino agli otto, signora. – disse, educatamente.
La donna la guardò meravigliata, per poi puntare lo sguardo
sulla lista dei nomi.
-
Davvero? Ginevra Granger, giusto? Allora,
abbiamo una campionessa in carica nella sezione piccoli, bambini. Ti
presteresti per qualche esempio a coloro che ancora non sanno fare? –
Ginevra sorrise cortesemente, nonostante fosse difficile
vederla in viso attraverso la mascherina.
Qualcuno schioccò la lingua in modo irritato.
La maestra raggelò e si voltò.
-
Hai detto qualcosa, Molly? –
La bambina fece un’espressione innocente da dietro la
maschera, ed incrociò le braccia.
Guardò dritto in direzione di Ginevra, e sorrise, beffarda.
-
Campionessa in carica, eh? – fece. –
veramente, non avete ancora visto cosa sono capaci di fare certi soggetti, qui.
–
Si indicò.
Ginevra non parve per nulla intimorita.
-
Vuoi batterti contro di me? – chiese,
tranquillamente.
-
Se sua altezza me lo permette. – sbatté
languidamente le ciglia Molly.
La maestra passava con lo sguardo prima da una e poi
dall’altra.
-
Ehm, bambine – balbettò. – è la prima
lezione, non mi sembra il caso. –
Entrambe la ignorarono completamente. Si fecero strada tra i
bambini ed andarono al centro della folla, che si allargò lasciandole in mezzo
a quel piccolo campo di battaglia.
-
Come si chiama, sua altezza reale? –
ghignò Molly, mettendo la spada davanti al viso perpendicolarmente, come da
tradizione.
-
Ginevra Granger. – disse la bambina,
facendo lo stesso, con un sorriso di sfida.
Molly inarcò le sopracciglia, facendo l’inchino di
procedura.
Non le era nuovo, come nome.
-
E la regina degli sfacciati, come si
chiama? – chiese Ginevra, inchinandosi anch’essa.
-
Molly Weasley. – disse ed
indietreggiarono.
Mentre Ginevra le puntava contro la spada in attesa del
segnale di inizio, ebbe un’illuminazione.
Ne aveva letto in un sacco di libri.
La maestra, contro voglia, diede con la bacchetta il fischio
di inizio.
Le due bambine cominciarono a battersi.
-
Suppongo – prese a dire Ginevra, mentre
colpiva la spada dell’altra in una sequenza veloce. – che tuo padre sia Ronald
Weasley, mh? –
Molly si difese, poi fu il suo turno di attaccare. Erano
entrambi piuttosto abili.
Nessuna dei due aveva ancora colpito l’altra.
-
Vedo che sei informata. – ridacchiò,
allontanandosi dopo un ennesimo colpo contro la spada. – di solito i bambini a
sette anni non studiano la storia. –
Ginevra la fissò, furente, e la attaccò nuovamente.
-
Si dà il caso che io ne abbia nove, di
anni. Quasi dieci. –
Molly rise, colpendo di nuovo la spada.
-
Ma davvero? Come me. Chi l’avrebbe detto.
–
La sua spada risuonò. Aveva colpito Ginevra all’altezza del
petto.
Molly si allontanò per il secondo round, con espressione
compiaciuta.
Ginevra non si scompose, rimettendosi in posizione.
Secondo round.
-
Quindi, tuo padre conosce Harry Potter. –
continuò Ginevra, partendo nuovamente all’attacco.
Molly ghignò.
-
Ovviamente. – prese ad attaccarla. – è il
marito di mia zia. –
Ginevra l’attaccò in una sequenza ancora più veloce di
prima.
Tutti le guardavano, allibiti.
-
Raccontala a qualcun altro – ridacchiò,
continuando a muovere abilmente la spada. – si dà il caso che Harry sia il
miglior amico di mia madre. –
La sua spada fece quel suono.
Questa volta, era stata lei a colpire Molly in un punto
vitale, sulla fronte.
La bambina indietreggiò, stizzita.
Terzo round.
-
Non credo proprio, dato che mio padre
è il suo miglior amico. – disse, cercando di non lasciar trasparire la stizza.
Ginevra ghignò, difendendosi dall’attacco.
-
Bella questa – rise. – guarda che Harry è
rimasto a casa nostra per tutto il mese di maggio. –
-
Smettila di raccontare storie. – ringhiò
Molly, cercando di colpirla all’inguine.
-
Vediamo, quante volte l’hai visto, tu? –
chiese Ginevra, difendendosi.
Molly avvampò, attaccando nuovamente.
-
Non mi è permesso spesso andare a casa
loro – fece. – abitano nella Londra babbana. –
Istintivamente, entrambe distolsero lo sguardo dalle spade e
si guardarono attraverso la tela della mascherina.
C’era qualcosa di inquietante, improvvisamente, nelle loro
voci.
Senza nemmeno accorgersene, entrambe le spade sibilarono.
Si erano colpite nello stesso momento.
-
Bene, ora basta, bambine, continuerete la
prossima volta. – batté le mani la donna, tirando un sospiro di sollievo. –
ora, stringetevi la mano. –
Ginevra drizzò la schiena, si inchinò e le si avvicinò.
Molly fece lo stesso.
Si tolsero le maschere e fecero per stringersi annoiate la
mano.
Poi, si guardarono.
Si levò immediatamente un mormorio tra tutti i bambini.
Le mani che stavano per stringersi erano lì, a mezz’aria,
ghiacciate.
Ginevra deglutì.
Molly mormorò un ‘dannazione’.
Entrambe sbatterono le palpebre.
-
Ho letto di questo fenomeno. – disse
Ginevra, sentendo improvvisamente la gola secca. – ma per avere la mia vita,
clone mostruoso, dovrai combattere. –
Molly parve risvegliarsi.
Fece una smorfia.
-
Ma smettila, clone mostruoso sarai tu! –
Si fissarono di nuovo.
Tutti le fissarono, in silenzio.
Occhi scuri.
Capelli rossi.
Fisico esile.
Ed il timbro della voce identico.
-
Siamo… - cercò di dire Molly, senza
trovare le parole. - … uguali. – disse, senza trovare nient’altro di meglio.
Ginevra la fissò.
-
Beh, uguale è un termine relativo… -
-
Hai i capelli lunghi. – la interruppe
Molly, pensierosa. – sto male con i capelli lunghi. Lo dicevo, a papà. –
-
Veramente, sono io che sto male con il
caschetto. –
La maestra prese improvvisamente il controllo della
situazione.
-
Bambine… andate a cambiarvi. Ne
discuterete quando… -
-
Maestra! Maestra! –
Una piccola folla di bambini del corso di scacchi si
avvicinò infuriato.
Uno dei bambini puntò il dito contro Molly.
-
Ah, sì, eccola, è stata lei! - disse, in
tono accusatorio.
Molly gli lanciò un’occhiata innocente.
-
Io? – sorrise dolcemente. – a fare cosa?
–
-
Ha fatto un incantesimo agli scacchi ed
adesso invece di distruggersi cercano di colpire il giocatore avversario! E’
pericoloso! –
La maestra le lanciò un’occhiata torva.
-
Hai fatto questo, Molly? –
La bambina, ritrovandosi alle strette, rimase in silenzio
per un momento.
Poi, indicò alla sua destra.
-
Vi sbagliate, è stata lei. –
Ginevra la guardò, inorridita.
-
Come osi! – esclamò. – non farei mai
niente del genere… -
Solo allora anche quei bambini si accorsero che erano
identiche.
La maestra, che aveva i nervi tesi da un po’ troppo tempo,
esplose.
-
Molly, Ginevra, in punizione! Al bungalow
di isolamento! -
- Sei stata veramente, veramente scorretta. -
Molly si limitò a fare spallucce, mentre si infilava una
maglietta per la notte. Dal ‘bungalow di isolamento’, in cima ad una specie di
collinetta, si poteva vedere tutta la foresta nel suo inquietante buio. La
porta era stata incantata, così non sarebbero potute uscire se non in caso di
emergenza.
Avevano spostato i letti ai lati opposti dell’unica stanza,
a parte il bagno, che c’era in quella costruzione di legno. Avrebbero dovuto
passare lì la notte.
-
Io non userei mai la magia a caso
– continuava a dire Ginevra, salendo delicatamente sul letto, gesticolando.
-
Oh, immagino… -
-
Ma soprattutto, non attribuirei mai la
colpa ad una mia compagna! –
-
Sì, certo… -
-
E… -
Ginevra si interruppe, fissando Molly, incuriosita.
Era raggomitolata sotto le lenzuola e stava guardando
qualcosa.
-
Che stai facendo? –
La bambina, accorgendosi degli occhi di Ginevra che la
fissavano, nascose qualcosa sotto al cuscino.
-
Niente. – disse, con aria indifferente.
-
Dai, che stavi facendo? –
-
Ho detto, niente! –
Ginevra si morse il labbro inferiore, per impedirsi di
ridere.
-
Non è che hai qualche pupazzetto,
orsacchiotto o cose del genere? – sogghignò. – e poi ti dai tante arie… -
Molly si mise a sedere di scatto, rossa in volto, con aria
decisamente indignata.
-
Stai zitta! – esclamò. – era solo una
foto! –
-
Ma davvero… -
-
Certo! –
Tornò infuriata sotto le lenzuola.
Rimasero per un po’ in silenzio.
Ginevra prese dalla sua borsa una collana con un ciondolo
quadrato. Lo rimirò per un po’, e fece per aprirlo, ma Molly parlò, riprendendo
il tono da donna di mondo.
-
Sai – cominciò, voltandosi. – tu che hai
l’aria di essere una figlia di papà, scommetto che non ti hanno mai fatto una
festa a sorpresa… -
Ginevra tacque, fissando il soffitto e spegnendo la luce con
lo sguardo.
Rimasero al buio.
-
Si dà il caso – continuava Molly. – che
mio padre stia preparando un’enorme festa a sorpresa per il mio
compleanno… dato che quindici giorni dopo il mio ritorno compierò dieci anni… è
per questo che mi ha mandato qui, altrimenti non avrebbe potuto prepararmi la
cosa di nascosto. –
L’altra bambina fece schioccare la lingua, con aria di
disinteresse.
-
Mi sembra un po’ difficile che io sia una
figlia di papà – fece, sprezzante. – dato che vivo solo con mia madre, ed un
padre non ce l’ho. –
Avvertì chiaramente l’altra irrigidirsi.
-
Beh, non fare tanto la vittima – fece, un
po’ imbarazzata. – non sei mica l’unica al mondo. Se è per questo io non ho una
madre, e non me ne lamento continuamente. –
Ginevra si voltò di scatto. La fissò in penombra.
Deglutì.
Ma no.
Ma che cosa stupida.
Non poteva essere.
Eppure…
-
Quando hai detto che compi gli anni? –
fece, la gola secca.
Molly sbatté le palpebre, senza capire.
-
Il quindici di agosto. –
Ginevra mancò un battito.
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Anch’io compio… dieci anni, il quindici
di agosto. –
L’altra sembrava non cogliere l’allusione, e fece spallucce.
Ginevra si innervosì, e riaccese la luce, sedendosi sul
letto.
-
Ma che ti prende? - chiese Molly,
socchiudendo gli occhi per la luce.
L’altra la fissava, stringendo in una mano il ciondolo.
-
Dov’è tua madre? – fece, senza tanti
preamboli.
Molly inarcò le sopracciglia.
-
Non lo so. – distolse lo sguardo. – mio
padre non me ne ha mai voluto parlare. –
Ginevra si chiese come diavolo facesse ad essere così
stupida.
Come faceva a non capire?
Era incredibile, ma era…
Plausibile.
-
Neanche mia madre ha mai voluto dirmi
dov’è mio padre – disse, fissandola, con uno sguardo d’incoraggiamento.
Molly sbatté le palpebre.
Ginevra sospirò.
-
Molly, non ti viene in mente niente?
Ma insomma, guardati, e poi guarda me! Siamo uguali! –
L’altra fece una smorfia.
-
Uguale è un termine relativo… -
Ginevra si alzò e costrinse la ragazza a mettersi seduta.
-
Di chi era la foto che guardavi prima? –
fece, senza riuscire a nascondere l’emozione.
Molly abbassò lo sguardo.
-
Beh, è l’unica che ho trovato di… -
Finalmente, sembrò che qualcosa le scattasse nel cervello.
Alzò lo sguardo.
Rise nervosamente.
-
Ma dai… - fece. - … dai, non può…
insomma… è assurdo, non… -
Ginevra sorrise, soddisfatta che anche lei pensasse la
stessa cosa.
Alzò un sopracciglio.
-
Io ho solo una foto di mio padre ed è… -
Molly mise la mano sotto al cuscino.
-
… strappata a metà… - completò,
paralizzata.
Ginevra annuì lentamente.
-
Al mio tre. – disse, deglutendo
rumorosamente. – uno… due… -
Si fissarono.
-
Tre. –
Entrambe tirarono fuori le foto.
Molly da sotto il cuscino.
Ginevra aprì il ciondolo.
Rimasero a guardarle per un tempo indefinito.
Poi, si fissarono.
-
La cosa è molto, molto inquietante. –
disse Ginevra.
Era davvero incredibile.
-
E’ dannatamente inquietante. – mormorò
l’altra.
Assurdo.
-
Suppongo… - continuò Ginevra. - …
suppongo che se tu hai una foto di mia madre… ed io… -
-
Una foto di mio padre… -
-
Credo… - si guardarono di nuovo,
allibite. - … che abbiamo gli stessi genitori. –
*
-
… e questi sono i nonni. Abitano proprio
vicino a casa nostra, ed andiamo spesso a mangiare da loro, specialmente io,
dato che la mamma all’ora di pranzo è al lavoro. Ed anche quando c’è,
preferiamo andare da loro, dato che lei senza magia non sa nemmeno lontanamente
cucinare, però vuole per forza imparare. –
Molly e Ginevra se ne stavano raggomitolate nelle rispettive
coperte, al centro della stanza, sedute sul tappeto. Quest’ultima teneva aperta
la sua agenda, che si portava costantemente dietro, ed in cui teneva alcune
foto. L’altra, aveva semplicemente sparso per terra tutte quelle che aveva
trovato nel suo portafoglio, che erano principalmente fototessere magiche che i
proprietari delle stesse avevano scartato.
Molly annuì, guardando curiosamente la foto scattata con una
macchina fotografica babbana. Era veramente strano il modo in cui se ne stavano
lì, immobili. Che senso aveva rimanere così fermi, quando le foto dovrebbero
essere qualcosa di vivo?
-
Ehi, ti ho già fatto vedere lei? Non
credo che tu l’abbia mai vista – disse improvvisamente la bambina, frugando nel
sottile mucchietto di foto ricordo. Ne prese una e gliela mostrò. – questa è la
moglie di Harry, hai detto che non l’hai mai vista. E’ la sorella di papà, sai?
–
Ginevra la prese in mano, e la guardò con aria colpita.
Il viso di Ginny Weasley se ne stava lì e si muoveva
impercettibilmente sullo sfondo bianco, con l’aria vagamente annoiata ed
imbarazzata che si ha quando si devono fare foto regolamentari.
-
Accidenti, com’è carina – mormorò
Ginevra. – quanti anni ha? –
-
Ventotto. Se io mi facessi crescere i
capelli, e tu te li tagliassi, le somiglieremmo moltissimo. –
Ridacchiarono.
Continuarono a guardare le stesse foto, ed a volte
dimenticavano di parlare dell’argomento principale che si erano ripromesse di
discutere.
Solo quando fu notte inoltrata, ed entrambe non avevano
minimamente sonno, Ginevra si ricordò di quanto fosse strana quella situazione.
-
Senti, diciamo la verità – disse,
arrampicandosi sul suo letto. – i nostri genitori sono stati veramente
disonesti a non dirci nulla. Insomma, come pensavano di nascondercelo, anche
fra dieci anni? E scoprirlo per caso, così, potrebbe anche portarmi un grave
trauma, sai. Pensavo che la mia famiglia fosse solo la mamma, ed invece ora mi
ritrovo con un papà ed una sorella, che tra l’altro è la mia gemella.
Veramente, veramente disonesto. –
Molly si buttò all’indietro sul cuscino.
-
Appunto, guarda che per me vale lo
stesso. Ma poi, che bisogno c’era di nasconderlo? Mica mi offendevo, se venivo
a sapere che avevano divorziato. Sono cose che succedono continuamente. –
Rimasero un po’ in silenzio, soppesando quelle parole.
Beh, non era proprio così facile.
Non sempre.
Quasi mai.
-
Almeno – continuò Molly, voltandosi dalla
parte del muro, in modo che Ginevra non potesse vederla in viso. – almeno,
sapere che mia madre esiste, non mi sarebbe dispiaciuto. –
Ginevra deglutì, senza rispondere e continuando a fissare il
soffitto.
Sapeva cosa voleva dire.
Aprire la porta di casa e trovarla vuota.
Andare a dormire e mangiare da persone conosciute soltanto
di vista.
Compleanni su compleanni di coetanei.
E vedere i loro genitori. Entrambi.
E fare domande, senza ricevere risposta.
Dopo un po’, ci si stanca di fare domande.
E si crede che non importa più.
Anche se non è vero.
No, non era proprio così facile.
Non lo era mai.
-
Mi piacerebbe incontrarlo, per una volta
– disse all’improvviso Ginevra. – papà, intendo. Una volta soltanto, giusto per
vedere com’è. Per sentire che voce ha, e quelle cose lì. –
Molly sentì la gola secca.
-
Se è per questo, anche a me piacerebbe
sapere com’è la mamma. – borbottò. Aveva il tono scontroso. Ma era evidentemente
troppo imbarazzata per quello che aveva detto, persino per voltarsi.
Ginevra fece spallucce, e sospirò.
Forse, un giorno. Un giorno sarebbe tornata in Inghilterra
per vederli.
E magari…
Molly si voltò di scatto, all’improvviso. Così velocemente
che cascò dal letto con tutta la coperta, ma aveva l’espressione troppo
eccitata per essersene anche soltanto accorta.
Ginevra la guardò come se fosse pazza.
-
Ginevra! – fece Molly, a bocca e occhi
spalancati, come se fosse presa da una sorta di visione mistica.
L’altra si limitò ad inarcare le sopracciglia, senza capire.
Molly si guardò intorno, come troppo emozionata per sapere
cosa fare.
-
Ho avuto una grande idea! –
Ginevra la guardò preoccupata.
-
No… aspetta, aspetta. Non so se posso
fidarmi delle tue idee. –
-
Di solito, no, ma questa è veramente una grande
idea! –
-
Ah, davvero? Beh… -
Molly la zittì con un cenno agitato della mano.
-
Possibile che tu, che ti vanti di essere
una specie di piccolo genio incompreso, non ci arrivi? Senti. A me piacerebbe
incontrare la mamma. A te piacerebbe incontrare papà. Loro non sanno che noi
sappiamo. E noi siamo gemelle. No? –
Tacque per qualche istante, mentre Ginevra a poco a poco
raggiungeva le conclusioni.
Ovviamente, sgranò gli occhi con aria terrorizzata.
-
Stai scherzando? – gemette. – mi stai
chiedendo di scambiarci? No! Non posso farlo! –
-
Non avevi detto che ti piacerebbe
incontrare papà? –
-
Certo, mi piacerebbe tantissimo, ma…
insomma, se ne accorgeranno subito! –
-
No, se stiamo attente. Io ti insegno ad
essere me, e tu mi insegni ad essere te. –
-
Ma io ho i capelli lunghi! –
-
Te li taglierò io. –
A quel punto, Ginevra la fissò.
Una parte di lei, la parte razionale, ovviamente, le stava
suggerendo di lasciare perdere. Se sua madre se ne fosse accorta, sarebbe stata
in punizione per l’intera esistenza. E poi, forse non era il caso di
intromettersi nelle faccende dei grandi, cosa a cui Molly, come al solito, non
aveva minimamente pensato. Evidentemente, i loro genitori avevano avuto buone
ragioni per separarsi.
Ma l’altra parte di lei, quella che aveva la definibile
forma di un diavoletto, le stava letteralmente gridando di andare. Di
andare a conoscere suo padre, come aveva sempre voluto.
Solo per un po’.
Giusto per dargli un’occhiata, e parlargli un po’.
Poi, basta, non si sarebbe affezionata e né lui, né la mamma
avrebbero saputo niente.
C’era ancora il problema di come tornare nelle rispettive
nazioni, una volta lo avesse conosciuto per bene.
Ma le cose che preoccupano i grandi, non preoccupano mai i
bambini.
Molly inarcò le sopracciglia, con aria impazientemente
interrogativa. Stringeva la coperta con le dita.
Ginevra la fissò per un po’, tentando di vedersi con i
capelli corti.
-
Va bene… e sia. Ad agosto, tu salirai
sull’aereo per New York ed io sul treno per Londra. –