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Autore: _Miwako_    30/11/2004    16 recensioni
Molly Weasley, residente in Inghilterra, e Ginevra Granger, residente negli Stati Uniti, si incontrano per caso in campeggio, durante la loro decima estate. E scoprono di essere gemelle. Perché non sapevano nulla, l'una dell'altra? Hermione si accorgerà che Molly si sta fingendo Ginevra, e Ron che Ginevra si sta fingendo Molly? E che il loro progetto è farli rincontrare dopo dieci anni? Se non fosse che, c'è un piccolo imprevisto di nome Odile: il Cigno Nero, la futura moglie di Ron. Cosa succederà quando Hermione tornerà in Inghilterra per lo scambio, mentre Ron sarà all'oscuro di tutto ed a un passo dal matrimonio?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Per un gelato alla vaniglia___

Per un gelato alla vaniglia___

 

Allora, questa fanfiction è il frutto di un’idea improvvisa. Prima di iniziare, faccio qualche chiarimento.

La trama è fondamentalmente basata sulla sceneggiatura del film ‘The Parent Trap’ di Nancy Meyers. Si dà il caso che sia stato ridato in televisione proprio di recente, anche se casualmente avevo già scritto un paio di capitoli quando ho saputo che l’avrebbero mandato su Raiuno.

In questa storia i punti di vista saranno quattro. Dal riassunto, dovreste avere già capito, più o meno, di chi si tratterà. E’ una trama piuttosto originale, ma spero veramente che vi piaccia, comunque.

E’ probabile che qua e là ci saranno citazioni di frasi [brevi] da altri film, fumetti e libri.

In questo capitolo, il prologo, verrà introdotta la storia, perciò metto in chiaro che i protagonisti non saranno personaggi originali, bensì quelli che ben conosciamo^^ Qui, dovevo per forza far capire da dove nasce tutto quello che accadrà poi.

Fatemi sapere cosa ne pensate, per favore ^_^

 

Miwako

 

 

 

 

Prologo.

 

[Uguale è un termine relativo…]

 

 

-         Non so se ho veramente voglia di andarci. –

-         Ma davvero? –

-         Già, forse, sarebbe meglio se rimanessi a casa. –

-         Ah, sì? –

-         Bene, visto che siamo d’accordo… -

-         Ti voglio pronta, vestita, profumata e con la valigia chiusa entro cinque minuti. –

La bambina gonfiò le guance, per poi sbuffare.

La donna le fece un sorriso furbo.

-         Comportati un po’ di più da signorina. – la canzonò, e la bambina incassò il colpo.

Si voltò lanciando alla madre un’occhiataccia furente, ma non disse nulla. Salì le scale a grandi passi borbottando qualcosa di poco carino in quello che doveva essere tedesco, o giù di lì.

Solo quando fu sparita al piano superiore, la donna scoppiò a ridere.

Aveva lunghi capelli castani e mossi, ribelli, che mal si addicevano al severo chignon in cui erano raccolti. Aveva grandi occhi scuri e vellutati.

Il corpo minuto ed aggraziato.

Aveva il viso di una ragazzina.

A lei piaceva il suo viso.

Guardò l’orologio, sospirò e prese a battere un piede per terra.

-         Hermione, ma sei sicura che sia il caso di mandarla in campeggio? –

Lei si voltò con lo sguardo dardeggiante verso l’uomo dai capelli neri che se ne stava divertito sulla soglia del salotto. L’espressione di uno che se la stava spassando scomparve ed assunse un’aria forzatamente seria.

-         Ha nove anni. E’ ora che impari a stare un po’ lontana da casa. Si tratta solo di giugno e luglio. –

Lui scrollò le spalle.

-         Non per criticare il tuo ferreo metodo di insegnamento, ma non credi che dovresti essere un po’ più… -

Hermione prese un’aria indignata.

-         Non ho intenzione di viziarla. – poi, la sua espressione si addolcì. – le ho promesso che quando tornerà, mi prenderò le ferie con la forza, se necessario, pur di stare con lei. Penso soltanto che sia un’occasione interessante. –

Lui agitò una mano ridendo, come a voler scacciare una mosca infastidita.

-         Ah, fa come vuoi, fa come vuoi, non ho intenzione di impicciarmi. Ma si tratta pur sempre di un campeggio riservato ai piccoli maghi, ed è in Inghilterra – la guardò fisso. – non credi che… -

Lasciò la frase in sospeso.

Lei resse il suo sguardo, con aria indifferente, voltandosi quando sentì i passi della bambina che correvano giù dalle scale.

-         Ginevra, allora, sei pronta? Hai preso tutto? – le chiese, tentando di darsi un tono coinvolgente.

La bambina la squadrò male, ma rispose in modo estremamente educato.

-         Certo, mamma. Mi dispiace di avere fatto i capricci. – mormorò.

L’uomo batté le mani, con aria teatralmente colpita.

-         Complimenti – fece, con un gran sorriso. Quando Ginevra lo vide, il suo volto si illuminò, ma non gli corse incontro buttandogli le braccia al collo. Gli si avvicinò e gli porse la mano, che lui strinse allegramente. – sei la fotocopia doppiamente educata di tua madre. Peccato che lei non chieda mai scusa… - aggiunse, in modo che solo Ginevra potesse sentirlo.

La bambina si morse il labbro inferiore, per impedirsi di ridere.

Per avere nove anni, era estremamente, esageratamente controllata.

Hermione buttò di nuovo l’occhio all’orologio.

-         Oh, bene, si è fatta l’ora – mormorò, sentendo improvvisamente un vago senso di colpa.

Forse non avrebbe dovuto mandarla.

O forse sì.

O forse no.

Okay, ormai era fatta, quindi andava bene così.

-         Allora, Harry ti accompagnerà fino all’aeroporto – cominciò, piegandosi verso Ginevra per scostarle una ciocca di capelli dal viso. Un pensiero attraversò la mente di Hermione, ma lei lo scacciò immediatamente, proprio come era comparso. – ripassiamo le regole. Non fare magie quando si è in compagnia di babbani, non parlare di magia quando possono sentirti i babbani, non allontanarti dagli insegnanti, non uscire dall’area magica del campeggio, e non… -

-         … non portarmi le cioccorane in giro. – completò diligentemente Ginevra.

Hermione annuì soddisfatta, poi alzò lo sguardo verso Harry.

-         Ti ringrazio per volerla accompagnare. Purtroppo, oggi al Ministero devo riempire una quantità assurda di scartoffie… -

Harry fece spallucce.

-         Non c’è problema, tanto lo sai che devo tornare anch’io in Gran Bretagna. Credo che non ci vedremo per un bel po’, ormai sono definitivamente trasferito là. –

Hermione gli sorrise. Non rispose a quell’ultima affermazione.

-         Beh, salutami Ginny, okay? Dille che non deve farsi venire attacchi di panico se le viene un’improvvisa voglia di Caramelle allo Stinco di Maiale, anche se le ha sempre trovate disgustose. Sono cose normali in gravidanza… -

Harry arrossì vagamente.

-         Sì, beh, vedrò di dirglielo. – mormorò, schiarendosi la voce.

Lo sguardo di Hermione tornò verso Ginevra.

-         Bene, dopo questo affascinante ripasso delle regole – le disse, facendole un sorriso maligno. – adesso ti toccherà abbracciarmi. –

La bambina ridacchiò e le buttò le braccia al collo.

-         Ci vediamo presto. Due mesi sono brevi, sai? – sussurrò Hermione.

-         … sì. –

Si allontanò, ed i tre si salutarono. Hermione andò alla finestra, a guardare Ginevra ed Harry che salivano sul taxi. Lo sguardo castano della bambina si incrociò con lo stesso della donna. Hermione fece un sorriso buffo e sillabò le parole ‘ti voglio bene’.

Ginevra sorrise, annuì e salì sul taxi.

Gli arrivederci sono innocui.

Puoi immaginare ogni cosa, ma non sai mai cosa accadrà dopo aver salutato.

Di certo, Hermione Granger, ventinove anni, Auror del Ministero della Magia Statunitense, di nazionalità inglese, non si aspettava che dopo quell’arrivederci ci sarebbero state molte, molte cose a scombussolare la vita di quella elegante, educata famiglia che viveva in una villetta di un tranquillo paese vicino a New York.

 

-         Non ci voglio andare! Tu non mi costringerai! –

-         Certo che ti costringerò, mocciosa! Ora, alzati e fatti portare da Fred all’aeroporto! –

-         Fred non è ancora arrivato! –

-         Perché è un dannatissimo ritardatario! –

-         Ah, perché non posso avere un padre normale, che non dice parole come ‘dannatissimo’?! –

-         Perché non posso avere una figlia normale che non si lascia andare peso morto davanti a casa?! –

I due si guardarono in cagnesco.

Erano all’ingresso di una bella casa circondata dalla campagna. In lontananza, sentirono il suono di un auto che si avvicinava.

Lui aveva scompigliati capelli rossi, era alto, snello e dalle braccia forti.

Aveva gli occhi azzurri.

Le spalle larghe e mani grandi.

A lei piacevano le sue mani.

La bambina lo guardò con aria di sfida.

-         Al campeggio non ci vado! – sibilò.

L’uomo l’afferrò nuovamente per il braccio, cominciando a trascinarla per il sentiero che portava alla cancellata, verso la strada.

Lei scalpitò.

-         Sì, che ci vai! –

-         Ma perché?! –

-         Perché io dico che ci andrai! E perché devo lavorare! –

-         Non è vero! Non devi andare all’estero, quest’estate, le partite le giocate tutte in casa! –

Lui aprì il cancello, sempre con la bambina appresso che si faceva trascinare come un sacco di patate, con aria drammatica.

La fulminò con lo sguardo.

-         Molly, te lo dico una volta per tutte: quest’estate ho da fare, non posso starti dietro. Ti annoieresti, credimi. – cercò di essere paziente.

-         Ma io mi diverto a guardarti giocare! – si lagnò lei, ed un’auto volante comparve all’improvviso all’orizzonte.

L’uomo al volante, con gli occhiali da sole e l’aria più tranquilla del mondo, nonostante i capelli più fiammeggianti che mai, atterrò placidamente davanti a loro.

Si tolse gli occhiali.

-         Ehi, bambolina, pronta per un giro su questa fantastica decappottabile? – sorrise maliziosamente.

Molly si addolcì appena. Almeno, si mise in piedi da sola.

-         Non ci voglio andare. – mormorò, testardamente.

-         Molly, tu ci vai, chiaro? –

-         Ma, papà… -

-         Niente ‘ma’! –

L’uomo sospirò con aria teatrale.

-         Ed io… ed io che ti avevo preparato una sorpresa per il tuo ritorno… dato che ad agosto compi gli anni… se tu rimani, non potrò mostrartela in tutto il suo splendore… -

Molly fece una smorfia, disgustata, ma improvvisamente incuriosita.

-         Questo è un dannatissimo colpo basso. – fece.

Fred guardò l’orologio.

-         Ron, ma sei tu che le insegni quelle parole? Che vogliamo fare, si sta facendo tardi. Il raduno dei tuoi compagni alla stazione degli autobus magici si tiene tra mezz’ora. –

Padre e figlia si guardarono nuovamente in cagnesco.

Poi, Molly sospirò.

-         E va bene, ci vado, ci vado – disse, allargando le braccia, con l’aria di una che fa un grande favore. – però, papà, sei veramente un bambino. –

Fred fece per dire qualcosa, con una risatina.

-         E’ incredibilmente simile… -

Ron gli lanciò una frecciata con lo sguardo, e lui si schiarì la voce.

-         Sì, beh, ehm, allora, Molly, credo che sia ora di andare a divertirsi. –

Molly salì in macchina, sbattendo elegantemente la portiera con aria di superiorità.

Lanciò uno sguardo di sufficienza al padre.

-         Mi divertirò certamente di più senza di te. – buttò lì.

L’uomo ridacchiò, scompigliandole i capelli.

-         E’ inutile che fai la dura, lo so quando mi adori. –

Molly fece un’espressione indignata, scuotendo leggermente i capelli rossi tagliati a caschetto.

-         Io non ti adoro. – fece, sempre con aria di sufficienza. – diciamo più che altro che provo un sentimento di ammirazione che… -

Ron rise.

-         Provo anch’io un sentimento di ammirazione nei tuoi confronti. – disse, con una smorfia.

Molly non riuscì a trattenersi e lo abbracciò schioccandogli un bacio sulla guancia.

Fred fece partire il motore.

-         Molly Weasley mi adora, Molly Weasley mi adora… - canzonò Ron, mentre la macchina si alzava in aria.

Lei gli fece la linguaccia.

-         Ci vediamo ad agosto, e prega che la tua sorpresa mi piaccia, padre degenere! –

La macchina sparì, quando Fred inserì l’invisibilità.

Il sorriso di Ron si spense a poco a poco.

Non era affatto sicuro che la sorpresa le sarebbe piaciuta.

Per niente.

Non era sicuro che si potesse dire una bella sorpresa.

Ronald Weasley, ventinove anni e mezzo, Portiere della squadra di Quidditch degli Inglesi, non aveva ancora detto alla sua unica figlia, Molly, che si sarebbe sposato.

 

*

 

L’Allegro Campeggio della Noia, come l’aveva segretamente soprannominato, era esattamente come se lo era immaginato.

Allegro e noioso.

Vagamente allegro.

Tremendamente noioso.

Da ogni dove spuntavano bambini e ragazzini che facevano volare le cose solo con lo sguardo o con le dita. Ovviamente, gli unici a possedere le bacchette per poter fermarli, erano i maestri, che correvano da una parte all’altra nel tentativo di impedire che i bagagli finissero sulla testa di altri bambini.

Quanto a lei, il suo bagaglio se lo teneva ben stretto, e la testa alta.

L’Inghilterra montana era esattamente come se l’era immaginata.

Niente che non avesse già visto nei libri illustrati.

Raccolse i lunghi capelli rossi in una coda, mentre si guardava intorno.

Non era avvezza a fare amicizie.

Se capitava, bene, se non capitava, niente di grave.

Le sarebbe comunque piaciuto osservare intorno a lei.

Magari avrebbe incontrato il coniglio chiamato Coniglio*.

Non si sa mai.

-         Ginevra Granger. – richiamò la voce di uno dei maestri, guardando da una lista.

Lei alzò con sicurezza la mano, ed il maestro annuì, segnandola presente.

Nel frattempo, le si era avvicinata una bambina.

-         Ciao – disse. – io sono Paulina. Per caso, sei la figlia della Granger che lavora in America? –

Ginevra si inorgoglì improvvisamente, annuendo.

Il viso di Paulina si illuminò.

-         Allora, anche tu vivi in America. –

La bambina annuì di nuovo.

Paulina si avvicinò con aria cospiratrice.

-         Lo sai, io frequento una scuola di preparazione per Hogwarts, una scuola privata. Abbiamo appena iniziato a studiare la storia più recente, e, senti questa, c’era anche il nome di tua madre. –

Ginevra stava scoppiando dall’orgoglio, ma tentò di trattenere l’espressione beata dal viso.

-         Oh, immagino – fece, con indifferenza. – dopotutto, zio Harry… -

Si interruppe, aspettando una reazione.

Non chiamava mai Harry ‘zio’.

Ma quella era un’eccezione.

Paulina sgranò gli occhi.

-         Conosci anche Harry Potter? –

-         Beh, ma certo. Lui e mia madre sono grandi amici sin da quando combattevano Vondamol. –

-         ‘Vonda’ chi? –

Ginevra arrossì furiosamente, e Paulina rise.

-         Mi sei simpatica – disse, con un gran sorriso.

Poi, indicò uno dei maestri.

-         Che ne dici se ci iscriviamo a scherma magica insieme? –

 

*

 

Una folla di bambini attorniava una ragazzina sola, che gongolava fieramente, seduta su una massa di bagagli.

Con il dito indice puntato verso l’alto, stava facendo roteare una borsa.

-         Che brava. – commentarono ammirati i bambini.

Molly sorrise beffarda.

Mocciosi.

-         Sciocchezze, sciocchezze. Chi non sa fare magie così elementari? – disse, facendo spallucce con falsa modestia.

-         Ehi, ehi, è vero che il tuo papà è Ronald Weasley? – fece uno dei bambini più grandi.

Molly si lasciò andare ad una risata da padrona dell’universo.

-         Quanti Weasley conosci, con esattezza? Solo uno ha vinto i Mondiali di Quidditch, l’anno scorso, con una splendida parata all’anello destro, comunque. Io passerò alla storia come Auror del Ministero della Magia, ragazzi, perciò ricordatevi bene il mio nome… -

-         Molly Weasley!

Tre maestri infuriati si avvicinarono e la piccola folla di bambini si aprì, intimorita. Uno dei maestri fece cadere a terra la borsa che ancora volava pigramente sopra le loro testa, con un colpo di bacchetta.

-         Sei qui da dieci minuti e già mi ricordo il tuo nome! – disse una donna in divisa, con l’aria di essere veramente fuori di sé.

Molly fece un sorriso beffardo.

-         Vedete? Ve lo dicevo, che il mio nome non si scorda facilmente. –

-         Ma bene, rispondi anche in modo maleducato! –

-         Dannatamente maleducato. – ridacchiò la bambina, facendo infuriare la donna ancora di più.

-         Bene, Molly, visto che siamo così prime donne, perché non ti iscrivi ad un gioco? –

Molly fece una smorfia.

-         Non sono per i giochi di gruppo, a meno che non si tratti di Quidditch. Perciò, se non le dispiace… -

-         Forse non hai capito. Vai a sceglierti un gioco di gruppo a cui iscriverti. Subito. –

La bambina roteò gli occhi e saltò giù dalla montagna di bagagli, sotto lo sguardo ammirato degli altri bambini.

Presentazione ai mocciosi, riuscita.

Inserimento nel mondo mocciosi, riuscita.

Evitare punizione adulti, fallita.

 

*

 

-         Mi piace la scherma magica. E’ piuttosto impressionante. –

Ginevra indossò la maschera protettiva e si stiracchiò nella tuta bianca.

Ovviamente, alla mano non portava una spada vera: era fatta di un fascio di luce, che suonava quando si colpiva un punto vitale dell’avversario.

Nei tre round della partita, chi colpiva più punti vitali vinceva.

Lei e Paulina corsero verso il raduno del gruppo dedicato alla scherma.

C’era una strana agitazione.

Le due bambine si guardarono, attraverso la maschera.

-         Bene, vi spiego per bene il gioco – disse pazientemente la maestra.

Lanciò un’occhiata rasserenante a quella folla di bambini vestiti di bianco e con le spade alla mano.

Deglutì.

-         Sì, ecco, chi di voi ha già provato? – fece, battendo le mani.

Ginevra alzò prontamente la mano.

Paulina la guardò come se fosse un’extraterrestre.

-         Io l’ho praticata da quando avevo sei anni, fino agli otto, signora. – disse, educatamente.

La donna la guardò meravigliata, per poi puntare lo sguardo sulla lista dei nomi.

-         Davvero? Ginevra Granger, giusto? Allora, abbiamo una campionessa in carica nella sezione piccoli, bambini. Ti presteresti per qualche esempio a coloro che ancora non sanno fare? –

Ginevra sorrise cortesemente, nonostante fosse difficile vederla in viso attraverso la mascherina.

Qualcuno schioccò la lingua in modo irritato.

La maestra raggelò e si voltò.

-         Hai detto qualcosa, Molly? –

La bambina fece un’espressione innocente da dietro la maschera, ed incrociò le braccia.

Guardò dritto in direzione di Ginevra, e sorrise, beffarda.

-         Campionessa in carica, eh? – fece. – veramente, non avete ancora visto cosa sono capaci di fare certi soggetti, qui. –

Si indicò.

Ginevra non parve per nulla intimorita.

-         Vuoi batterti contro di me? – chiese, tranquillamente.

-         Se sua altezza me lo permette. – sbatté languidamente le ciglia Molly.

La maestra passava con lo sguardo prima da una e poi dall’altra.

-         Ehm, bambine – balbettò. – è la prima lezione, non mi sembra il caso. –

Entrambe la ignorarono completamente. Si fecero strada tra i bambini ed andarono al centro della folla, che si allargò lasciandole in mezzo a quel piccolo campo di battaglia.

-         Come si chiama, sua altezza reale? – ghignò Molly, mettendo la spada davanti al viso perpendicolarmente, come da tradizione.

-         Ginevra Granger. – disse la bambina, facendo lo stesso, con un sorriso di sfida.

Molly inarcò le sopracciglia, facendo l’inchino di procedura.

Non le era nuovo, come nome.

-         E la regina degli sfacciati, come si chiama? – chiese Ginevra, inchinandosi anch’essa.

-         Molly Weasley. – disse ed indietreggiarono.

Mentre Ginevra le puntava contro la spada in attesa del segnale di inizio, ebbe un’illuminazione.

Ne aveva letto in un sacco di libri.

La maestra, contro voglia, diede con la bacchetta il fischio di inizio.

Le due bambine cominciarono a battersi.

-         Suppongo – prese a dire Ginevra, mentre colpiva la spada dell’altra in una sequenza veloce. – che tuo padre sia Ronald Weasley, mh? –

Molly si difese, poi fu il suo turno di attaccare. Erano entrambi piuttosto abili.

Nessuna dei due aveva ancora colpito l’altra.

-         Vedo che sei informata. – ridacchiò, allontanandosi dopo un ennesimo colpo contro la spada. – di solito i bambini a sette anni non studiano la storia. –

Ginevra la fissò, furente, e la attaccò nuovamente.

-         Si dà il caso che io ne abbia nove, di anni. Quasi dieci. –

Molly rise, colpendo di nuovo la spada.

-         Ma davvero? Come me. Chi l’avrebbe detto. –

La sua spada risuonò. Aveva colpito Ginevra all’altezza del petto.

Molly si allontanò per il secondo round, con espressione compiaciuta.

Ginevra non si scompose, rimettendosi in posizione.

Secondo round.

-         Quindi, tuo padre conosce Harry Potter. – continuò Ginevra, partendo nuovamente all’attacco.

Molly ghignò.

-         Ovviamente. – prese ad attaccarla. – è il marito di mia zia. –

Ginevra l’attaccò in una sequenza ancora più veloce di prima.

Tutti le guardavano, allibiti.

-         Raccontala a qualcun altro – ridacchiò, continuando a muovere abilmente la spada. – si dà il caso che Harry sia il miglior amico di mia madre. –

La sua spada fece quel suono.

Questa volta, era stata lei a colpire Molly in un punto vitale, sulla fronte.

La bambina indietreggiò, stizzita.

Terzo round.

-         Non credo proprio, dato che mio padre è il suo miglior amico. – disse, cercando di non lasciar trasparire la stizza.

Ginevra ghignò, difendendosi dall’attacco.

-         Bella questa – rise. – guarda che Harry è rimasto a casa nostra per tutto il mese di maggio. –

-         Smettila di raccontare storie. – ringhiò Molly, cercando di colpirla all’inguine.

-         Vediamo, quante volte l’hai visto, tu? – chiese Ginevra, difendendosi.

Molly avvampò, attaccando nuovamente.

-         Non mi è permesso spesso andare a casa loro – fece. – abitano nella Londra babbana. –

Istintivamente, entrambe distolsero lo sguardo dalle spade e si guardarono attraverso la tela della mascherina.

C’era qualcosa di inquietante, improvvisamente, nelle loro voci.

Senza nemmeno accorgersene, entrambe le spade sibilarono.

Si erano colpite nello stesso momento.

-         Bene, ora basta, bambine, continuerete la prossima volta. – batté le mani la donna, tirando un sospiro di sollievo. – ora, stringetevi la mano. –

Ginevra drizzò la schiena, si inchinò e le si avvicinò.

Molly fece lo stesso.

Si tolsero le maschere e fecero per stringersi annoiate la mano.

Poi, si guardarono.

Si levò immediatamente un mormorio tra tutti i bambini.

Le mani che stavano per stringersi erano lì, a mezz’aria, ghiacciate.

Ginevra deglutì.

Molly mormorò un ‘dannazione’.

Entrambe sbatterono le palpebre.

-         Ho letto di questo fenomeno. – disse Ginevra, sentendo improvvisamente la gola secca. – ma per avere la mia vita, clone mostruoso, dovrai combattere. –

Molly parve risvegliarsi.

Fece una smorfia.

-         Ma smettila, clone mostruoso sarai tu! –

Si fissarono di nuovo.

Tutti le fissarono, in silenzio.

Occhi scuri.

Capelli rossi.

Fisico esile.

Ed il timbro della voce identico.

-         Siamo… - cercò di dire Molly, senza trovare le parole. - … uguali. – disse, senza trovare nient’altro di meglio.

Ginevra la fissò.

-         Beh, uguale è un termine relativo… -

-         Hai i capelli lunghi. – la interruppe Molly, pensierosa. – sto male con i capelli lunghi. Lo dicevo, a papà. –

-         Veramente, sono io che sto male con il caschetto. –

La maestra prese improvvisamente il controllo della situazione.

-         Bambine… andate a cambiarvi. Ne discuterete quando… -

-         Maestra! Maestra! –

Una piccola folla di bambini del corso di scacchi si avvicinò infuriato.

Uno dei bambini puntò il dito contro Molly.

-         Ah, sì, eccola, è stata lei! - disse, in tono accusatorio.

Molly gli lanciò un’occhiata innocente.

-         Io? – sorrise dolcemente. – a fare cosa? –

-         Ha fatto un incantesimo agli scacchi ed adesso invece di distruggersi cercano di colpire il giocatore avversario! E’ pericoloso! –

La maestra le lanciò un’occhiata torva.

-         Hai fatto questo, Molly? –

La bambina, ritrovandosi alle strette, rimase in silenzio per un momento.

Poi, indicò alla sua destra.

-         Vi sbagliate, è stata lei. –

Ginevra la guardò, inorridita.

-         Come osi! – esclamò. – non farei mai niente del genere… -

Solo allora anche quei bambini si accorsero che erano identiche.

La maestra, che aveva i nervi tesi da un po’ troppo tempo, esplose.

-         Molly, Ginevra, in punizione! Al bungalow di isolamento! -

 

- Sei stata veramente, veramente scorretta. -

Molly si limitò a fare spallucce, mentre si infilava una maglietta per la notte. Dal ‘bungalow di isolamento’, in cima ad una specie di collinetta, si poteva vedere tutta la foresta nel suo inquietante buio. La porta era stata incantata, così non sarebbero potute uscire se non in caso di emergenza.

Avevano spostato i letti ai lati opposti dell’unica stanza, a parte il bagno, che c’era in quella costruzione di legno. Avrebbero dovuto passare lì la notte.

-         Io non userei mai la magia a caso – continuava a dire Ginevra, salendo delicatamente sul letto, gesticolando.

-         Oh, immagino… -

-         Ma soprattutto, non attribuirei mai la colpa ad una mia compagna! –

-         Sì, certo… -

-         E… -

Ginevra si interruppe, fissando Molly, incuriosita.

Era raggomitolata sotto le lenzuola e stava guardando qualcosa.

-         Che stai facendo? –

La bambina, accorgendosi degli occhi di Ginevra che la fissavano, nascose qualcosa sotto al cuscino.

-         Niente. – disse, con aria indifferente.

-         Dai, che stavi facendo? –

-         Ho detto, niente! –

Ginevra si morse il labbro inferiore, per impedirsi di ridere.

-         Non è che hai qualche pupazzetto, orsacchiotto o cose del genere? – sogghignò. – e poi ti dai tante arie… -

Molly si mise a sedere di scatto, rossa in volto, con aria decisamente indignata.

-         Stai zitta! – esclamò. – era solo una foto! –

-         Ma davvero… -

-         Certo! –

Tornò infuriata sotto le lenzuola.

Rimasero per un po’ in silenzio.

Ginevra prese dalla sua borsa una collana con un ciondolo quadrato. Lo rimirò per un po’, e fece per aprirlo, ma Molly parlò, riprendendo il tono da donna di mondo.

-         Sai – cominciò, voltandosi. – tu che hai l’aria di essere una figlia di papà, scommetto che non ti hanno mai fatto una festa a sorpresa… -

Ginevra tacque, fissando il soffitto e spegnendo la luce con lo sguardo.

Rimasero al buio.

-         Si dà il caso – continuava Molly. – che mio padre stia preparando un’enorme festa a sorpresa per il mio compleanno… dato che quindici giorni dopo il mio ritorno compierò dieci anni… è per questo che mi ha mandato qui, altrimenti non avrebbe potuto prepararmi la cosa di nascosto. –

L’altra bambina fece schioccare la lingua, con aria di disinteresse.

-         Mi sembra un po’ difficile che io sia una figlia di papà – fece, sprezzante. – dato che vivo solo con mia madre, ed un padre non ce l’ho. –

Avvertì chiaramente l’altra irrigidirsi.

-         Beh, non fare tanto la vittima – fece, un po’ imbarazzata. – non sei mica l’unica al mondo. Se è per questo io non ho una madre, e non me ne lamento continuamente. –

Ginevra si voltò di scatto. La fissò in penombra.

Deglutì.

Ma no.

Ma che cosa stupida.

Non poteva essere.

Eppure…

-         Quando hai detto che compi gli anni? – fece, la gola secca.

Molly sbatté le palpebre, senza capire.

-         Il quindici di agosto. –

Ginevra mancò un battito.

-         Anch’io compio… dieci anni, il quindici di agosto. –

L’altra sembrava non cogliere l’allusione, e fece spallucce.

Ginevra si innervosì, e riaccese la luce, sedendosi sul letto.

-         Ma che ti prende? - chiese Molly, socchiudendo gli occhi per la luce.

L’altra la fissava, stringendo in una mano il ciondolo.

-         Dov’è tua madre? – fece, senza tanti preamboli.

Molly inarcò le sopracciglia.

-         Non lo so. – distolse lo sguardo. – mio padre non me ne ha mai voluto parlare. –

Ginevra si chiese come diavolo facesse ad essere così stupida.

Come faceva a non capire?

Era incredibile, ma era…

Plausibile.

-         Neanche mia madre ha mai voluto dirmi dov’è mio padre – disse, fissandola, con uno sguardo d’incoraggiamento.

Molly sbatté le palpebre.

Ginevra sospirò.

-         Molly, non ti viene in mente niente? Ma insomma, guardati, e poi guarda me! Siamo uguali! –

L’altra fece una smorfia.

-         Uguale è un termine relativo… -

Ginevra si alzò e costrinse la ragazza a mettersi seduta.

-         Di chi era la foto che guardavi prima? – fece, senza riuscire a nascondere l’emozione.

Molly abbassò lo sguardo.

-         Beh, è l’unica che ho trovato di… -

Finalmente, sembrò che qualcosa le scattasse nel cervello.

Alzò lo sguardo.

Rise nervosamente.

-         Ma dai… - fece. - … dai, non può… insomma… è assurdo, non… -

Ginevra sorrise, soddisfatta che anche lei pensasse la stessa cosa.

Alzò un sopracciglio.

-         Io ho solo una foto di mio padre ed è… -

Molly mise la mano sotto al cuscino.

-         … strappata a metà… - completò, paralizzata.

Ginevra annuì lentamente.

-         Al mio tre. – disse, deglutendo rumorosamente. – uno… due… -

Si fissarono.

-         Tre. –

Entrambe tirarono fuori le foto.

Molly da sotto il cuscino.

Ginevra aprì il ciondolo.

Rimasero a guardarle per un tempo indefinito.

Poi, si fissarono.

-         La cosa è molto, molto inquietante. – disse Ginevra.

Era davvero incredibile.

-         E’ dannatamente inquietante. – mormorò l’altra.

Assurdo.

-         Suppongo… - continuò Ginevra. - … suppongo che se tu hai una foto di mia madre… ed io… -

-         Una foto di mio padre… -

-         Credo… - si guardarono di nuovo, allibite. - … che abbiamo gli stessi genitori. –

 

*

 

-         … e questi sono i nonni. Abitano proprio vicino a casa nostra, ed andiamo spesso a mangiare da loro, specialmente io, dato che la mamma all’ora di pranzo è al lavoro. Ed anche quando c’è, preferiamo andare da loro, dato che lei senza magia non sa nemmeno lontanamente cucinare, però vuole per forza imparare. –

Molly e Ginevra se ne stavano raggomitolate nelle rispettive coperte, al centro della stanza, sedute sul tappeto. Quest’ultima teneva aperta la sua agenda, che si portava costantemente dietro, ed in cui teneva alcune foto. L’altra, aveva semplicemente sparso per terra tutte quelle che aveva trovato nel suo portafoglio, che erano principalmente fototessere magiche che i proprietari delle stesse avevano scartato.

Molly annuì, guardando curiosamente la foto scattata con una macchina fotografica babbana. Era veramente strano il modo in cui se ne stavano lì, immobili. Che senso aveva rimanere così fermi, quando le foto dovrebbero essere qualcosa di vivo?

-         Ehi, ti ho già fatto vedere lei? Non credo che tu l’abbia mai vista – disse improvvisamente la bambina, frugando nel sottile mucchietto di foto ricordo. Ne prese una e gliela mostrò. – questa è la moglie di Harry, hai detto che non l’hai mai vista. E’ la sorella di papà, sai? –

Ginevra la prese in mano, e la guardò con aria colpita.

Il viso di Ginny Weasley se ne stava lì e si muoveva impercettibilmente sullo sfondo bianco, con l’aria vagamente annoiata ed imbarazzata che si ha quando si devono fare foto regolamentari.

-         Accidenti, com’è carina – mormorò Ginevra. – quanti anni ha? –

-         Ventotto. Se io mi facessi crescere i capelli, e tu te li tagliassi, le somiglieremmo moltissimo. –

Ridacchiarono.

Continuarono a guardare le stesse foto, ed a volte dimenticavano di parlare dell’argomento principale che si erano ripromesse di discutere.

Solo quando fu notte inoltrata, ed entrambe non avevano minimamente sonno, Ginevra si ricordò di quanto fosse strana quella situazione.

-         Senti, diciamo la verità – disse, arrampicandosi sul suo letto. – i nostri genitori sono stati veramente disonesti a non dirci nulla. Insomma, come pensavano di nascondercelo, anche fra dieci anni? E scoprirlo per caso, così, potrebbe anche portarmi un grave trauma, sai. Pensavo che la mia famiglia fosse solo la mamma, ed invece ora mi ritrovo con un papà ed una sorella, che tra l’altro è la mia gemella. Veramente, veramente disonesto. –

Molly si buttò all’indietro sul cuscino.

-         Appunto, guarda che per me vale lo stesso. Ma poi, che bisogno c’era di nasconderlo? Mica mi offendevo, se venivo a sapere che avevano divorziato. Sono cose che succedono continuamente. –

Rimasero un po’ in silenzio, soppesando quelle parole.

Beh, non era proprio così facile.

Non sempre.

Quasi mai.

-         Almeno – continuò Molly, voltandosi dalla parte del muro, in modo che Ginevra non potesse vederla in viso. – almeno, sapere che mia madre esiste, non mi sarebbe dispiaciuto. –

Ginevra deglutì, senza rispondere e continuando a fissare il soffitto.

Sapeva cosa voleva dire.

Aprire la porta di casa e trovarla vuota.

Andare a dormire e mangiare da persone conosciute soltanto di vista.

Compleanni su compleanni di coetanei.

E vedere i loro genitori. Entrambi.

E fare domande, senza ricevere risposta.

Dopo un po’, ci si stanca di fare domande.

E si crede che non importa più.

Anche se non è vero.

No, non era proprio così facile.

Non lo era mai.

-         Mi piacerebbe incontrarlo, per una volta – disse all’improvviso Ginevra. – papà, intendo. Una volta soltanto, giusto per vedere com’è. Per sentire che voce ha, e quelle cose lì. –

Molly sentì la gola secca.

-         Se è per questo, anche a me piacerebbe sapere com’è la mamma. – borbottò. Aveva il tono scontroso. Ma era evidentemente troppo imbarazzata per quello che aveva detto, persino per voltarsi.

Ginevra fece spallucce, e sospirò.

Forse, un giorno. Un giorno sarebbe tornata in Inghilterra per vederli.

E magari…

Molly si voltò di scatto, all’improvviso. Così velocemente che cascò dal letto con tutta la coperta, ma aveva l’espressione troppo eccitata per essersene anche soltanto accorta.

Ginevra la guardò come se fosse pazza.

-         Ginevra! – fece Molly, a bocca e occhi spalancati, come se fosse presa da una sorta di visione mistica.

L’altra si limitò ad inarcare le sopracciglia, senza capire.

Molly si guardò intorno, come troppo emozionata per sapere cosa fare.

-         Ho avuto una grande idea! –

Ginevra la guardò preoccupata.

-         No… aspetta, aspetta. Non so se posso fidarmi delle tue idee. –

-         Di solito, no, ma questa è veramente una grande idea! –

-         Ah, davvero? Beh… -

Molly la zittì con un cenno agitato della mano.

-         Possibile che tu, che ti vanti di essere una specie di piccolo genio incompreso, non ci arrivi? Senti. A me piacerebbe incontrare la mamma. A te piacerebbe incontrare papà. Loro non sanno che noi sappiamo. E noi siamo gemelle. No? –

Tacque per qualche istante, mentre Ginevra a poco a poco raggiungeva le conclusioni.

Ovviamente, sgranò gli occhi con aria terrorizzata.

-         Stai scherzando? – gemette. – mi stai chiedendo di scambiarci? No! Non posso farlo! –

-         Non avevi detto che ti piacerebbe incontrare papà? –

-         Certo, mi piacerebbe tantissimo, ma… insomma, se ne accorgeranno subito! –

-         No, se stiamo attente. Io ti insegno ad essere me, e tu mi insegni ad essere te. –

-         Ma io ho i capelli lunghi! –

-         Te li taglierò io. –

A quel punto, Ginevra la fissò.

Una parte di lei, la parte razionale, ovviamente, le stava suggerendo di lasciare perdere. Se sua madre se ne fosse accorta, sarebbe stata in punizione per l’intera esistenza. E poi, forse non era il caso di intromettersi nelle faccende dei grandi, cosa a cui Molly, come al solito, non aveva minimamente pensato. Evidentemente, i loro genitori avevano avuto buone ragioni per separarsi.

Ma l’altra parte di lei, quella che aveva la definibile forma di un diavoletto, le stava letteralmente gridando di andare. Di andare a conoscere suo padre, come aveva sempre voluto.

Solo per un po’.

Giusto per dargli un’occhiata, e parlargli un po’.

Poi, basta, non si sarebbe affezionata e né lui, né la mamma avrebbero saputo niente.

C’era ancora il problema di come tornare nelle rispettive nazioni, una volta lo avesse conosciuto per bene.

Ma le cose che preoccupano i grandi, non preoccupano mai i bambini.

Molly inarcò le sopracciglia, con aria impazientemente interrogativa. Stringeva la coperta con le dita.

Ginevra la fissò per un po’, tentando di vedersi con i capelli corti.

-         Va bene… e sia. Ad agosto, tu salirai sull’aereo per New York ed io sul treno per Londra. –

 

 

 

  
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