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Autore: _Fedra_    13/02/2014    6 recensioni
Parigi, settembre 2013.
Durante una festa a tema, una ragazza dai lunghi capelli biondi abbigliata in maniera incredibilmente realistica fa la sua comparsa tra gli invitati. Sembra molto confusa e spaventata, come se non avesse la minima idea di dove si trovi.
Solo Rosalie Lamorlière, appena arrivata da Francoforte, riuscirà a capire che la giovane in realtà è molto più vecchia di quanto vuole far credere, forse addirittura di un paio di secoli.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bernard Chatelet, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Alle mie sorelle Ambra, Erika e Lavinia,
per tutte le gioie, i dolori, le passioni e l’immancabile amore
per la buona cucina che ci lega da ormai molto tempo.



 
CAPITOLO 2 
                      







 
Parigi diede il suo benvenuto con una pioggia battente che inzaccherò i passeggeri fino alle ossa nel momento in cui misero il naso fuori dall’aereo.
Rosalie imprecò tra i denti mentre scendeva rocambolescamente dalla scaletta trascinando il trolley, con il rischio di rompersi il collo sui gradini bagnati a ogni passo.
All’ennesima esortazione di Yolande a sbrigarsi, Charlotte perse l’equilibrio e rotolò a terra, sbucciandosi le ginocchia e i gomiti.
Si rialzò in lacrime, seguendo madre e sorella alla volta dell’interno caldo e asciutto dell’aeroporto.
Lì li aspettava Eugéne, che per l’occasione era venuto con il taxi, dal momento che non aveva la patente.
Esatto, il nuovo compagno di Yolande era anche un fervente ecologista, tra le altre cose.
Accolse le nuove arrivate con un calore, stringendo la donna  in un abbraccio passionale e stampando due baci sulle guance delle figlie.
Rosalie non poté fare a meno di inorridire.
Il quartetto salì frettolosamente sul taxi che li avrebbe portati al centro di Parigi e, dopo un tempo che parve infinito, tra il traffico che si accalcava attorno alla capitale e l’oscurità che iniziava a scendere, arrivarono a destinazione.
L’appartamento in cui avrebbero vissuto da quel giorno in poi era un piccolo attico all’ultimo piano di una palazzina d’epoca, a pochi passi dall’Opéra.
Certo che se l’è scelto proprio bene, osservò Rosalie mentre faceva ingresso nella piccola casa, arredata in maniera molto spartana ma con un delicato senso estetico.
L’appartamento di un artista.
Yolande ed Eugène avrebbero dormito in una stanza matrimoniale, mentre Rosalie e Charlotte si sarebbero sistemate nella vecchia camera di Jeanne, che ormai era andata a vivere da sola con il suo ragazzo.
L’avrebbero conosciuta quella sera, in occasione della cena che il loro patrigno aveva organizzato per l’occasione.
Le due sorelle Polignac si sistemarono nel nuovo alloggio, bagnate fin dentro alle ossa e, nel caso di Charlotte, insanguinate.
“Andiamo a farci una doccia”, disse Rosalie liberandosi della tuta fradicia.
“Non voglio!”, si lagnò Charlotte.
“Non puoi presentarti a cena in queste condizioni! Forza, fila in bagno!”.
Inutile dire che la sorellina si rifiutò categoricamente di lavarsi.
Alla fine, Rosalie dovette quasi trascinarla dentro il box della doccia, schiaffandole in mano un flacone di bagnoschiuma e chiudendole le tende in faccia.
Nell’attesa che Charlotte si rendesse di nuovo presentabile, Rosalie tornò in camera sua.
Passò per un attimo di fronte allo specchio, per controllare il suo aspetto.
I lunghi capelli di un biondo rossiccio erano intrisi di umidità, ricadendole flosci e crespi lungo le spalle esili.
La frangia versava in un totale disastro.
Con un sospiro, Rosalie si gettò sul letto e prese a fissare il soffitto con gli occhi sbarrati, il rumore della pioggia che si confondeva con quello del getto della doccia che continuava a scorrere in bagno.
Senza quasi rendersene conto, la ragazza si addormentò.
 
***
 
−Siamo arrivati, Madame!
    Maria Antonietta si svegliò di soprassalto, scossa da una delle dame di compagnia che viaggiavano con lei. Fuori dal finestrino della carrozza, una foresta irta di alberi scorreva via lentamente, fino a quando il convoglio non si fermò del tutto con un lieve sobbalzo. Pochi istanti dopo, l’ambasciatore Mercy venne a prenderla di persona, invitandola a scendere. Le sue scarpette infiocchettate affondarono nel terreno fangoso, strappandole un brivido di disgusto.
    Avanzarono per qualche metro, fino a incontrare una grande tenda azzurra di fronte alla quale erano schierate alcune guardie e un gruppo di dame, capeggiate da una donna anziana dall’aspetto arcigno.
    −In occasione del vostro ingresso sul suolo francese, Madame, è stato allestito un padiglione posto esattamente sul confine. Una volta varcata questa soglia sarete ufficialmente la Delfina di Francia – spiegò Mercy mentre si avvicinavano.
    Maria Antonietta non poté fare a meno di deglutire alla vista del drappello che l’attendeva.
    −Ho l’onore di presentarvi la contessa di Noailles, Maestra della Casa – disse l’ambasciatore, indicando la donna arcigna che l’attendeva sulla soglia.
    Maria Antonietta la salutò con un inchino impacciato; poi la seguì all’interno del padiglione. Lì incominciò la prima serie di umiliazioni. In quando facente parte di una famiglia reale straniera, alla giovane arciduchessa non fu permesso di tenere alcunché della vita precedente, dai membri del suo seguito fino alla biancheria intima. Gli occhi di tutti erano puntati su di lei mentre si spogliava degli abiti austriaci per indossare quelli francesi, completamente rinnovata nella sua essenza.
    Dopo un tempo che le parve interminabile, finalmente le fu permesso di uscire all’esterno, in veste di Delfina di Francia. Lì, nel cuore della foresta, un nuovo seguito l’attendeva per portarla fino a destinazione. Insieme a Mercy, Maria Antonietta salì su una nuova carrozza, decisamente più vistosa di quella austriaca, che prese subito ad avanzare alla volta di Versailles.
    In pochi minuti, il confine con l’Austria non fu più visibile. L’arciduchessa fissava con occhi sbarrati le nuove dame che le erano state assegnate, di cui comprendeva a malapena la lingua. Cercò di ripassare mentalmente il discorso che aveva imparato a memoria nei giorni precedenti alla partenza. Era ciò che doveva dire al nuovo consorte, Luigi Augusto, e al re di Francia nel momento in cui sarebbe arrivata a destinazione. Sarebbe mai riuscita a ricordarselo?
    Dopo un tempo interminabile, la carrozza si fermò in un boschetto di proprietà reale, dove un nutrito gruppo di persone l’attendeva con aria a un tempo arcigna e solenne. Una volta che il convoglio si fu arrestato definitivamente, Maria Antonietta poté distinguere uno a uno i volti imbellettati, sentendosi gelare.
   Luigi XV, il re di Francia, era un uomo ormai in là con gli anni, ma non aveva perso affatto il fascino di cui decantavano i suoi contemporanei, nonostante le rughe e i chili di troppo. La mascella quadrata, i folti capelli scuri e lo sguardo penetrante erano quelli di sempre. Maria Antonietta lo guardò attentamente mentre si scambiavano i primi convenevoli, sperando ardentemente che suo nipote gli somigliasse. In fondo, dal ritratto non sembrava male.
    Le sue speranze crollarono nel momento in cui si rese effettivamente conto di chi fosse il suo futuro consorte. Era un ragazzo sui sedici anni decisamente goffo e impacciato, con grandi occhi di un celeste acquoso e un naso prominente, senza contare l’evidente pinguedine.
    −Benvenuta, Madame – disse questi con una vocetta acuta, per certi versi ancora da adolescente, ben poco virile.
    Maria Antonietta non seppe mai il perché di ciò che accadde negli attimi successivi. Forse perché lei, nonostante la delusione e il dolore di quei giorni difficili, aveva pur sempre un animo dolce e gentile, che la portava a provare compassione per i più deboli. Perché sì, anche se brutto e goffo, in fondo Luigi Augusto era proprio come lei, un adolescente costretto a rivestire anzitempo i panni da adulto per un bene superiore, senza un apparente perché. Forse fu proprio questo a farle abbandonare ogni freno inibitorio e a stringere il ragazzo in un caloroso abbraccio, suscitando la sorpresa e lo sconcerto di tutti i presenti.
    Da ora in avanti sarò la Delfina di Francia, continuava a pensare febbrilmente mentre stringeva le spalle tozze del suo futuro marito, che sembrò letteralmente sciogliersi a quel contatto. Avrò tutti gli occhi puntati su di me.
 
***
 
Rosalie si svegliò di soprassalto, madida di sudore.
Aveva fatto un incubo terribile: era la regina di Francia, Maria Antonietta, e, dopo essere stata vista senza veli da emeriti sconosciuti, era stata trascinata di fronte a un uomo basso, grasso e brutto che da quel giorno in poi sarebbe stato suo marito.
Considerando che alla fine di quella triste storia le avrebbero anche mozzato la testa, la ragazza aveva fatto di tutto per risvegliarsi.
La stanza ormai si trovava nella quasi totale oscurità e sua sorella si stava asciugando i capelli seduta sul letto.
Soffocando un’imprecazione, Rosalie caracollò in bagno e soffocò i suoi cupi pensieri sotto un abbondante getto d’acqua bollente.
Circa un’ora dopo, con i capelli finalmente in ordine e la frangia fonata, la ragazza si presentò a tavola insieme a Charlotte.
Eugène aveva apparecchiato nel minuscolo soggiorno, accendendo due candele bianche al centro del tavolo per conferire maggiore atmosfera all’ambiente domestico.
Verso le otto, lo squillare del campanello annunciò l’arrivo di Jeanne e del suo fidanzato Nicolas.
La primogenita di Eugène era quanto di più diverso potesse esistere dalle sorelle Lomorlière.
Alta e ossuta, dotata di un viso spigoloso dall’incarnato quasi bianco, Jeanne De La Motte era dotata di una bellezza selvaggia, fuori da qualsiasi schema.
I folti capelli di un nero bluastro le scendevano fin quasi a metà schiena, lisci e ribelli.
Era dotata di un sorriso sfrontato e seducente che sfoderava verso chiunque si azzardasse a rivolgerle la parola, rendendola assolutamente irresistibile.
Una vera predatrice.
“Tu dovresti essere Rosalie”, la salutò senza nemmeno presentarsi.
“E tu dovresti essere Jeanne”, rispose lei stringendole la mano in una delle sue prese ferree.
“Mia cara, è un piacere conoscerti”.
“Anche per me”
Nicolas, il suo ragazzo, era un tipo taciturno e altrettanto spigoloso, che si limitò a delle presentazioni molto spicce e formali.
Per tutta la cena, Jeanne non fece altro che parlare.
Inutile dire che Eugène semplicemente l’adorava.
Per le sorelle Lamorlière sarebbe stata dura prendere il suo posto.
Del resto, si era capito subito che da quel momento in poi avrebbero dovuto cavarsela da sole.
I loro genitori sarebbero sempre stati impegnati con le varie commedie e ancora una volta Rosalie avrebbe dovuto fare da padre a da madre a Charlotte, come se vivessero completamente sole.
A quel punto, tanto valeva restare a Francoforte, no?
Soffocando un gemito di rabbia, Rosalie infilzò un grosso pezzo del suo pasticcio di carne e lo inghiottì quasi senza masticare.
 
***
 
Versailles era molto diversa da Vienna, di questo Maria Antonietta se ne rese conto quasi subito. Tutto era esageratamente sfarzoso e opulento, regolato da una rigida etichetta come se si trattasse di uno spettacolo a cui erano ammessi solo pochi eletti, gli unici degni di partecipare al lusso del re di Francia, una sorta di divinità in terra. Era una concezione del tutto estranea e avulsa dalle spartane regole che vigevano allo Schönbrunn. Per questo, la giovane arciduchessa si sentiva perennemente a disagio.
    Ogni suo singolo gesto doveva essere assistito da un complesso cerimoniale, a cui erano ammesse solo delle determinate persone, la cui carica era regolata da legami di sangue. Era tutto un continuo di precedenze e privilegi di cui Maria Antonietta non sapeva pressoché nulla e, se non fosse stato per la puntigliosa presenza della contessa di Noailles, non sarebbe mai riuscita a gestire da sola. Il disagio e la noia crescevano di giorno in giorno, aumentando in lei la consapevolezza di essersi rinchiusa in una gabbia dorata in cui qualsiasi errore sarebbe stato giudicato dalle implacabili malelingue che serpeggiavano ovunque.
    Maria Antonietta sapeva di non essere bene accetta a corte. Tutti la vedevano come una straniera, una spia, una presenza pericolosa che poteva influenzare negativamente il re di Francia. Sembrava che, invece di risanare i dissapori tra i due paesi, fosse venuta solo per accentuarli. Senza contare i problemi che erano giunti subito dopo il matrimonio, a causa dell’assoluta incapacità di Luigi Augusto di avere rapporti con lei. Era stata fatta venire da Vienna per un solo scopo e non era ancora riuscita a portarlo a termine. Se non fosse riuscita a dare un erede al trono, a che serviva lasciarla lì a Versailles?
    Maria Antonietta tremava al solo pensiero di venire ripudiata. Le lettere di sua madre si facevano sempre più minacciose e dense di critiche, non prive di sottili frecciate velenose riguardo alla felice vita matrimoniale dei suoi numerosi fratelli e sorelle. Si sentiva uno scarto, una delusione e un disonore per entrambe le nazioni. Aveva fallito e per di più era sola. Luigi si rifiutava a priori anche solo di parlare con lei, chiuso nella sua estrema timidezza che soffocava nelle sue interminabili battute di caccia, da cui tornava esausto quando era ormai giunto il momento di coricarsi.
    Certo, ogni tanto l’arciduchessa parlava con qualche dama, ma sapeva fin troppo bene che lì a Versailles i muri avevano occhi e orecchie e che qualsiasi parola di troppo poteva essere impiegata contro di lei. Non poteva mai confidarsi apertamente con nessuno, mostrando debolezza, sfogando le sue lamentele, chiedendo compassione. Era sola, come sole sono le divinità dell’Olimpo a cui i sovrani piaceva paragonarsi. Forse non era proprio immortale come le avevano fatto credere, dal momento che aveva fallito la sua missione. In quel momento era più umana che mai.
    Quanto avrebbe avuto bisogno di un amico!
 
***
 
Primo giorno di scuola.
Perlomeno, da quel giorno in poi Rosalie avrebbe avuto una buona scusa per mettere il naso fuori di casa.
In quell’ultima settimana, non era riuscita a concludere granché, visto che aveva dovuto trascorrere la maggior parte del tempo a badare a Charlotte, che aveva l’insana abitudine di cacciarsi puntualmente nei guai.
Un paio di volte le aveva proposto di accompagnarla a esplorare Parigi, ma vista la sua reticenza a camminare e a visitare monumenti, la cosa era morta sul nascere.
Con il fatto che la sorella stesse a scuola fino al tardo pomeriggio, Rosalie poteva finalmente respirare un po’.
L’istituto dove le due sorelle Lamorlière erano state iscritte non era molto lontano da casa e si poteva raggiungere facilmente con la metropolitana.
Rosalie era rimasta immediatamente colpita dall’efficienza dei mezzi pubblici di Parigi.
C’era una quantità infinita di linee sotterranee che raggiungevano qualsiasi angolo della città, incentivando il suo desiderio di esplorarla da cima a fondo nel tempo libero.
Si era subito procurata una mappa e si era lasciata immergere nel caos mattutino della stazione, tenendo Charlotte per mano.
Era infinitamente nervosa per quel primo giorno di scuola.
Certo, avendo una madre svizzera, si era abituata a parlare il francese con la stessa fluidità del tedesco, tuttavia Rosalie non si sentiva affatto tranquilla.
Cosa avrebbero pensato di lei i nuovi compagni?
L’avrebbero subito accettata o l’avrebbero considerata come la novità del giorno, l’eterna straniera?
A quel pensiero, sommato alla nostalgia per la vecchia vita, Rosalie si sentì montare una rabbia inimmaginabile, stringendo la manina sottile di Charlotte fino a strapparle un gemito.
Una volta lasciata la sorellina di fronte alla scuola, Rosalie proseguì alla volta del suo nuovo liceo, che si trovava alla fermata successiva della metro.
Era un bel palazzo della fine dell’Ottocento, che sorgeva all’interno di un parco verdeggiante in cui di recente erano stati installati degli impianti sportivi, tra cui una pista di atletica leggera e una piscina.
Non c’era però traccia di un corso di scherma.
Rosalie salì a rilento i gradini che la separavano dall’ingresso, mescolandosi con la folla di studenti che si lanciavano richiami in francese, alcuni dei quali, espressi in forme gergali, le risultarono assolutamente incomprensibili.
Controllò l’aula della prima ora sull’orario, mentre le note dei Rammstein le defluivano prepotenti nel cervello dagli auricolari, camminando spedita per i corridoi.
Quella scuola era un vero e proprio labirinto, doveva ammetterlo.
Cercò di orientarsi tra le bacheche zeppe di messaggi e gli armadietti degli studenti, ma inutilmente.
Ormai si era decisamente persa.
Era così presa dalla sua disperata ricerca dell’aula, da non accorgersi del ragazzo alto e dinoccolato che veniva precipitosamente nella sua direzione, andando letteralmente a sbatterci contro.
“Mi dispiace!”, esclamò la ragazza desolata, mentre lo sconosciuto si risistemava il suo gigantesco paio di occhiali da nerd sulla punta del naso all’insù.
Era un tipo strano, di quelli troppo alti e troppo magri, senza l’ombra di un muscolo, a tal punto che anche la taglia da uomo più piccola gli ricadeva floscia come se fosse stata appuntata a una gruccia appendiabiti.
Aveva una folta chioma di capelli biondi e lisci, con un ciuffo ribelle che gli ricadeva continuamente sugli occhi scuri, costringendolo a scrollarsela via di tanto in tanto.
“Oh, non ti preoccupare!”, rispose questi disinvolto, raccogliendo da terra i libri che gli erano caduti di mano.
Sentendosi a disagio, Rosalie lo aiutò.
“Grazie, molto gentile”, disse il ragazzo sorridendo. “Sei nuova?”
“Sì. Sai per caso dove si trova l’aula di chimica?”.
“Oh, certo! Devo andarci proprio adesso! Se vuoi, ti accompagno”.
“Ti ringrazio, sei molto gentile”.
Lo sconosciuto le fece strada per i corridoi.
Era così alto che Rosalie faceva fatica a stargli dietro.
“Mi chiamo Louis”, le disse a un certo punto.
“Rosalie”.
I due raggiunsero l’aula a lezione già iniziata, prendendosi un bel rimprovero dal professore in cattedra, che però cinque minuti dopo presentò Rosalie alla classe.
Dopo l’imbarazzo iniziale, dove decine di occhi curiosi furono puntati su di lei, la ragazza ebbe il permesso di sedersi accanto a Louis, che appariva visibilmente raggiante di averla al suo fianco.
“Tu conosci bene Parigi?”, gli chiese alla fine dell’ora.
“Sì, perché?”.
“Avrei bisogno di una palestra. Una dove facciano scherma. Ne avrei proprio bisogno!”.
A quelle parole, Louis si illuminò.
“Ne conosco una molto buona”, rispose. “Ci va Lucile, una mia amica. Se vuoi, ti do il suo contatto Facebook”.
“Magari, grazie!”.
Louis staccò una pagina vuota di uno dei suoi quaderni zeppi di una calligrafia ingombrante e disordinata e vi scrisse in stampatello il contatto della ragazza.
Rosalie lo strinse al petto come il più prezioso dei tesori.



Buonasera a tutti!
Innanzitutto, devo ringraziare di cuore tutti coloro che in questi giorni hanno letto, recensito e inserito nelle seguite questa mia piccola follia: davvero, tutto questo calore per me è stato inspettato e spero che i prossimi capitoli siano all'altezza delle vostre aspettative!
Scusatemi se uso questo incipit un po' lungo, in cui voglio considerare il parallelismo tra Rosalie e Maria Antonietta, fondamentale per la nascita della loro futura amicizia.
Nel prossimo aggiornamento, faranno la loro comparsa anche gli altri protagonisti dell'anime/manga...e non solo!
Come sempre, vi lascio il link della mia pagina facebook, qualora aveste voglia di scoprire indiscrezioni, scaricare foto sulla fanfiction o leggere altri miei lavori in sospeso. 
Grazie a tutti e a giovedì prossimo con il resto della storia! :)

F.

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