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Autore: xfrankybadass    14/02/2014    4 recensioni
Ancora non riusciva a realizzare come avesse potuto ficcarsi in quella situazione così ambigua, così sbagliata.
Era inciampata nel cliché dei cliché, nel caso di tradimento più banale ma allo stesso tempo più vile e spregevole che potesse esistere, e anche se aveva cercato di negarlo a sé stessa con tutte le sue forze e di fermare la relazione che andava instaurandosi – perchè, nonostante tutto ci aveva provato – Grace non ci era riuscita.
Fanfiction basata principalmente su Jack Harries e Will Poulter, suo caro amico e attore.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jack Harries, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 3

Appuntamento

Helps somebody else get through
That's why I do the best I can

Nella penombra di una delle stanze del terzo piano del dormitorio, c’era Jack, avvolto nel soffice piumone del suo letto, – su cui era sdraiato dall’intero pomeriggio – che si stava dedicando ad una sessione di zapping estremo, fissando con sguardo assente lo schermo luminoso del televisore.
All'improvviso, qualcuno spalancò la porta della camera con irruenza; Jack sobbalzò spaventato e di scatto girò la testa verso l’uscio, dove si trovava il colpevole del suo infarto e della caduta di Gingernut, il suo orsacchiotto di pezza. In ogni caso l’identità del molestatore gli era stata chiara da subito, non appena un effluvio aromatico lo aveva colpito dritto alle narici.
One Million di Paco Rabanne, il profumo da conquista – come lo definiva Jack – di William Poulter, capace di mandare in delirio gli ormoni di ogni individuo di sesso femminile.
Jack squadrò l’amico da capo a piedi; il viso era glabro, privo di un qualsiasi accenno di barba, e i capelli che lo incorniciavano erano puliti e pettinati alla perfezione. Indossava una giacca grigia dal taglio maschile sopra una camicia bianca, un paio di jeans scuri che andavano a fasciare le gambe lunghe e muscolose, mentre ai piedi – per rendere quel look un po’ meno elegante – portava un paio di sneakers colorate.
«Allora? – domandò, facendo un giro su sé stesso – Come sto?»
Jack inarcò un sopracciglio, sciogliendosi poi in un’espressione divertita. Vedere il suo amico così febbricitante per un appuntamento lo rallegrava; Will era un cazzone, ma aveva anche un lato tenero e dolce – di cui Jack mancava totalmente e inesorabilmente – che lo spingeva ad affezionarsi subito alle persone, e soprattutto alle femmine. Infatti, quando iniziava a frequentare una ragazza, Will perdeva il senno della ragione, dichiarandosi innamorato dopo pochi giorni. Quando poi lo lasciavano, – e questo accadeva spesso – si crogiolava nell’autocommiserazione più profonda, barricandosi nella sua stanza per ore e giorni interi, fissando il soffitto e chiedendosi il perché di tutto ciò.
Ovviamente, Jack nel relazionarsi con il gentil sesso aveva un comportamento totalmente differente da quello dell’amico. Già il fatto che tenesse ancora con sé il suo orsacchiotto di pezza, – il che poteva depistare, facendolo sembrare docile e mansueto – era simbolo del suo essere profondamente immaturo. E così era con le donne; non le sapeva trattare, nonostante avesse avuto più di una relazione e attualmente fosse “incatenato” in un rapporto – molto ambiguo, basato su vari tira e molla – con Ella. Per questo motivo molte volte sembrava che le usasse e basta, da vero stronzo, ma in realtà il suo comportamento era dovuto alla sua profonda ignoranza in materia.
«Mi ti farei.» enunciò ammiccando verso Will, che ancora stava aspettando un giudizio a braccia conserte.
«Amore, lo sai che sei l’unico per me» disse l’altro, facendogli l’occhiolino e passandosi la lingua sulle labbra con fare sexy.
«Comunque – cominciò l’altro, mettendosi a sedere composto – questa Grace sembra un tipetto apposto, non strafare come al tuo solito»
«Ma io non strafaccio!»
«Sbaglio o al tuo ultimo appuntamento a quella povera ragazza hai ficcato la lingua in bocca all’inizio del primo tempo?»
Will arrossì di botto, mentre le sue narici si dilatavano e le sopracciglia diventavano sempre più arcuate, come faceva sempre quando era in una situazione di profondo imbarazzo. «Non è vero! – protestò – L’ho baciata durante l’intervallo!»
«Ah beh, allora.» disse Jack, alzando le mani in segno di resa.
«Grazie per il consiglio Don Giovanni. – disse, calcando ironicamente sull’ultima parola – Ogni tanto mi domando perché ti ascolto ancora sulle questioni amorose. Ma adesso devo proprio scappare!»
«Vai leoncino, conquista la tua preda.»
Una volta che Will uscì dalla stanza, quasi saltellando dall’euforia, Jack tornò alla sua posizione da bradipo, adagiato sul morbido materasso del letto, mentre nella sua mente continuavano a vorticare in testa le ultime parole dell’amico. Fondamentalmente, il sunto era che lui, con le donne, non ci sapeva proprio fare.
Preso dallo sconforto e dalla malinconia, afferrò il cellulare che aveva abbandonato sulla scrivania ed ignorato per ore. Selezionò quel nome dalla rubrica e lasciò che la chiamata partisse.
Presto una voce squillante gli rispose; dal tono della voce si percepiva chiaramente che la ragazza fosse felice di sentirlo.
«Ehi Ella... – iniziò lui, con leggero imbarazzo – mi sei mancata.»



Al numero uno di Chandos Road si trovava Wilks, uno dei ristoranti più rinominati di Bristol.
Grazie alla visuale data dall’ampia vetrata che si estendeva lungo il perimetro della facciata – scandita solo da colonnine e dal portone d’ingresso in ferro battuto – , già dall’esterno si riusciva a cogliere l’atmosfera rilassata del posto.
L’interno era caratterizzato da uno stile sobrio ma allo stesso tempo originale; quadri in perfetto stile dadaista ricoprivano le pareti, mentre un gran numero di tavoli arredavano la sala, circondati da normali sedie o da soffici divanetti in pelle marrone.
Grace si sentiva a suo agio seduta al tavolo con Will. Nonostante una leggera atmosfera d’imbarazzo avesse cominciato ad aleggiare tra di loro nel momento in cui Grace era salita nella macchina del biondo, i due si erano presto ritrovati a conversare con naturalezza, come se le parole si riversassero automaticamente dalle loro bocche, in un flusso continuo, facendo così svanire l’impaccio iniziale.
Durante il tragitto verso Wilks, Grace si era scoperta spesso a studiare i movimenti del biondo, soprattutto quando questo controllava la strada con attenzione, stretto al volante; oltre al tono di voce, basso e sensuale, che lei trovava estremamente piacevole all’udito, era rimasta ammaliata dal lampo di luce che illuminava i suoi occhi verdi ogni volta che sorrideva.
A sua volta, anche Will, da quando avevano incominciato a chiacchierare, l’uno di fronte all’altra, si era perso più volte a guardarla, incantato dalla sua bellezza. Quella sera, i capelli biondi le cadevano dolcemente lungo le spalle, incorniciando gli occhioni verdi messi in risalto dal trucco leggero; ogni volta che i suoi, di occhi, incrociavano quelli di lei, sussultava; lo affascinava la spontaneità del suo sguardo, che curioso si soffermava ad osservare ciò che la circondava.
«Allora Grace – cominciò, poggiando i gomiti sul tavolo e congiungendo le mani con fare curioso – raccontami qualcosa di te.»
«Tipo? » chiese lei, abbassando lo sguardo; le domande così vaghe la mettevano in soggezione.
«Tipo come fai di cognome, quali sono i tuoi hobby, se hai fratelli o sorelle eccetera eccetera»
«Il mio cognome è Earnshaw, e »
«Earnshaw? – la interruppe lui, sgranando gli occhi – Come la Earnshaw&Co di Londra?»
Grace sospirò sconsolata. Odiava il suo cognome con tutta sé stessa, dal momento che questo aveva influenzato ogni aspetto della sua vita, dal momento della sua nascita.
Suo nonno era stato il fondatore della Earnshaw&Co di Londra, la società di architetti e designer d’interni più importante della città, e dopo la sua morte era stato il padre a incaricarsi della gestione dell’impresa; ovviamente, l’eredità di famiglia e gli svariati successi del padre avevano fatto sì che Grace e la sua famiglia vivessero nella bambagia e con privilegi che altri ragazzi della sua età potevano solo sognare. Ma tutto ciò – per quanto fosse grata alla sua buona stella - non era ciò che voleva. Desiderava essere indipendente, viaggiare, scoprire il mondo; non essere favorita dal suo cognome. Molte persone poi, nel corso della sua vita, l’avevano delusa, avvicinandosi a lei non perché rimaste affascinate dalla sua persona, ma perché miravano alla ricchezza ed alla fama del padre.
«Già» rispose secca, facendo spallucce.
«Perché non me l’hai detto prima? »
«Perché non la ritengo una cosa importante. Molte persone si sono approfittate di me solo per il mio cognome, non è proprio una cosa carina»
«Certo, capisco benissimo » affermò Will, sorseggiando dal suo bicchiere il Falanghina che la cameriera si era curata di portare al tavolo.
La capiva sul serio.
Fondamentalmente, era lo stesso. Però, al contrario di Grace, lui la fama se l’era cercata; fare l’attore comportava soddisfazioni impareggiabili, anche se bisognava imparare a mettere in conto la fama, l’attenzione rivolta su di sé e la propria vita privata sbattuta su uno squallido giornale da quattro soldi. Il problema più grande però, era capire di chi fidarsi o meno.
«Non credo…» sospirò lei, sorridendo.
Will inarcò le sopracciglia, chiedendosi tra sé e sé se Grace ci fosse o ci facesse. Non aveva ancora compreso se la ragazza facesse finta di non aver realizzato la professione di lui o se facesse sul serio.
«Fidati, ti capisco benissimo. »
«Beh ora tocca a te! – esclamò lei, sviando il discorso – Raccontami qualcosa. »
« Poulter, William Poulter – enunciò lui, ammiccando e tendendole una mano come se si stessero conoscendo per la prima volta – ho due sorelle, un fratello e sono nato e cresciuto ad Hammersmith, Londra.»
Mentre Grace cercava di far collegare le sinapsi del suo cervello, in maniera tale da riportarle alla mente dove avesse già sentito il cognome Poulter, – perché era sicura di averlo già sentito – una ragazza si avvicinò a loro. Inizialmente Grace pensò che la cameriera fosse venuta ad accertarsi che tutto andasse per il verso giusto, ma in seguito la biondina si accorse che la tipa in questione era vestita da tutto fuorché da cameriera. Aveva le gambe lunghe ed affusolate strette in un paio di leggins di pelle, e il “petto” prosperoso era messo bene in evidenza da una magliettina succinta.
«Tu sei Will Poulter, vero? » squittì lei, con una voce fastidiosa paragonabile ad un trapano in azione alle otto di domenica mattina.
«Sì. » rispose Will gentilmente, con un sorriso che – agli occhi di Grace – sembrava grato per qualcosa.
Detto ciò, la ragazza si protese verso di lui, poggiando i gomiti sul tavolo e inarcando la schiena, in maniera tale da evidenziare la sua prosperità sotto gli occhi dell’attore, che si grattò la nuca imbarazzato cercando di guardare ovunque tranne che davanti a sé.
«Posso farmi una foto con te? Ti trovo un attore fantastico! »
Ti trovo un attore fantastico.
Ti trovo un attore fantastico.
Grace aggrottò la fronte, incredula. Vaneggiò per qualche secondo su quella frase, arrovellandosi sui possibili significati della parola attore – che non ne aveva poi così tanti – , e all’improvviso realizzò.
Si batté una mano sulla fronte, mormorando un “deficiente” tra sé e sé; come avesse fatto a non pensarci prima o a non accorgersi di niente, proprio non lo sapeva. Per lei, quello era un semplice appuntamento con un semplice ragazzo, e non con un attore di fama mondiale candidato ai BAFTA di quell’anno.
Aveva fatto la figura della deficiente, ma anche lui aveva omesso questo piccolo dettaglio.
«Perché non me l’hai detto prima?! » ruggì Grace, interrompendo il chiacchiericcio tra Will e l’ammiratrice voluttuosa.
Will si voltò verso di lei, confuso; in un istante capì, e sul suo viso si aprì un sorriso furbo. Finalmente Grace aveva afferrato chi fosse lui veramente, e il fatto che non l’avesse concretizzato prima gli dava la certezza che lei, in quel momento, fosse seduta di fronte a lui perché interessata a William come persona, non come attore.
«Perché non la ritengo una cosa importante. » la scimmiottò lui divertito.
Grace sbuffò, incrociando le braccia in segno di disappunto.
«Stronzo.»
«Scusa! – strepitò stizzita la fantomatica fan, che ancora non aveva schiodato. – Stavo finendo di parlare con Will, posso?»
«Fai pure. » acconsentì Grace con un’alzata di spalle, anche se la sua espressione dimostrava il contrario.
La situazione divenne comica quando la tipa tirò fuori dalla tasca dei leggins attillati – e Grace si chiese se il sangue circolasse tra i vasi sanguigni delle gambe, per quanto erano stretti quei cosi – un bigliettino, ci scrisse sopra il numero di telefono e lo porse a Will, facendogli segno di chiamarla mentre si allontanava da loro sculettando.
Grace tossicchiò, come per ricordare a Will la sua presenza, dato che questo non toglieva gli occhi da quel maledetto pezzettino di carta.
«Lo vuoi?» chiese lui porgendoglielo con un ghigno beffardo stampato in volto.
«Dì un’altra parola e te lo faccio ingoiare. »



La chioma rossiccia di Eve ondeggiava nell’aria, mossa dal vento serale. Nascosta nell’oscurità, i suoi occhi cristallini scrutavano attenti le figure dei due ragazzi all’interno del ristorante. A quanto le sembrava, Grace e Will erano in perfetta sintonia e l’appuntamento stava procedendo senza difficoltà.
Un ghigno comparve sul suo volto; il fatto che la sua migliore amica stesse passando del tempo con una persona che la attirava, fisicamente e caratterialmente, era la dimostrazione che i consigli di Eve erano serviti a qualcosa, volti a spronarla ad andare oltre le sue paure e le sue insicurezze.
L’ appostamento della rossa stava procedendo da una ventina di minuti ormai, e lì immobile, esposta alle intemperie della notte, stava morendo di freddo.
Nel buio si riusciva a scorgere un’altra ragazza, acquattata nell’angolo opposto a quello di Eve; aveva i capelli biondi raccolti in una coda alta ed il viso immerso in un’enorme sciarpa colorata, per proteggersi dal gelo oppure – più probabilmente – per nascondersi dall’individuo che stava spiando.
Il religioso silenzio venne spezzato da una serie di starnuti della bionda, che sussurrando qualche imprecazione, tirò fuori i fazzoletti dalla borsa.
Eve, nel frattempo si era girata con stizza verso la fonte di tutto quel casino, e riconoscendo la ragazza sgranò gli occhi, incredula.
«Liv!» esclamò, agitando un braccio per farsi individuare.
Liv trasalì, poiché assorta nello spionaggio non si era accorta della presenza della rossa. Spostò dunque lo sguardo dal suo centro di interesse – che sembrava essere lo stesso di Eve – e lo portò su questa, che ancora la fissava sconcertata.
«Eve? - domandò, sorpresa quanto l’altra – Sei tu? »
«Non ci posso credere.»
Olivia Thompson era stata una delle amiche più care ad Eve durante l’infanzia passata nella capitale inglese; si erano conosciute ad un maneggio nei pressi di South Kensington, condividendo così, ogni pomeriggio, la passione per l’equitazione. Da lì avevano stretto una forte amicizia, che aveva cominciato ad affievolirsi solo con l’arrivo dell’adolescenza e conseguentemente con lo sviluppo di interessi diversi.
Liv la raggiunse velocemente, abbassando lo sguardo mentre passava davanti la vetrata del ristorante, – come per evitare di farsi vedere dalle persone al suo interno – e la cinse in un forte abbraccio.
«Che ci fai qui? Pensavo vivessi a Londra!» affermò, allargando le braccia.
«Potrei dire lo stesso – ribatté la rossa, guardandola sottecchi – comunque studio giurisprudenza all’università. Tu?»
«Idem. Ho deciso di venire qui a Bristol con il mio migliore amico Will, non so se lo hai mai conosciuto. – Eve impallidì, collegando per un attimo la figura del migliore amico di Liv con quella di Will, lo spasimante della sua Grace. Poi scosse la testa, pensando tra sé e sé che l’Inghilterra era piena di ragazzi soprannominati in quel modo, e dunque doveva essere soltanto una simpatica coincidenza. – Alto, biondo, capelli corti… sopracciglia buffe tipo le mie. »
Al sentire quell’ultima frase, Eve si rese conto che era arrivato il punto in cui doveva ammettere a sé stessa che quella era tutt’altro che una simpatica coincidenza, e che Liv si era appostata al freddo e al gelo per controllare l’andamento dell’appuntamento del suo migliore amico, esattamente come aveva fatto la rossa.
« Ah certo, il ragazzo seduto a quel tavolo con quella ragazza… – disse identificandolo, sporgendosi un pochino per indicare il tavolo in cui Grace e Will stavano ridendo e scherzando – che si da il caso sia la mia migliore amica. »
Liv boccheggiò, puntando l’indice con fare incredulo prima su Eve e dopo su Grace, più di una volta, mentre la rossa annuiva silenziosamente.
«Quindi anche tu… - cominciò la bionda, bofonchiando – eri qui per…»
«Per…»
«Riportare qualcosa alla tua migliore amica!» esclamò cercando di trovare un alibi, ma nemmeno lei era convinta di ciò che aveva appena affermato.
«Senti Liv, – incominciò l’altra, cingendole le spalle con un braccio – che ne dici se entriamo dentro a spiarli invece di stare qui fuori a morire dal freddo?»
«Andata.»



La serata proseguì tranquillamente, tra una chiacchera e molti bicchieri di vino; grazie a questi e all’effetto inibitorio dell’alcool, inoltre, i due erano riusciti ad aprirsi totalmente, toccando i più svariati – ed anche privati – argomenti.
Grace era stata bene come non le succedeva da tanto. Condividere una serata con un individuo di sesso maschile era stato facile, nonostante le delusioni passate che l’avevano portata a provare una forte diffidenza verso chiunque.
Quando lui la riaccompagnò al dormitorio, una volta finita la cena, gli lasciò un delicato bacio sulla guancia un po’ arrossata; ripensò varie volte a quel gesto quando si sdraiò a letto, ma non se ne pentì minimamente.
Will, dal canto suo, avrebbe voluto mordere quelle labbra carnose che si erano poggiate per un breve istante sulla sua pelle; ma sapeva bene che ancora non era il momento e che bisognava dare tempo al tempo.
Quella serata non era stata che l’incipit di un qualcosa, ancora indefinibile, ma che sicuramente si sarebbe protratto nel tempo.


- - -

Perdonatemi amici! Sono stata e – sono tutt’ora – occupatissima con la sessione invernale, ho ancora da dare un solo esame e poi mi potrò dedicare anima e corpo a questa fanfiction.
Beh? Cosa ve ne pare? Sinceramente pensavo di poter fare di meglio, ma purtroppo questo è quello che è uscito e non ho tempo per riscriverlo. hahaha
Sono carini Grace e Will eh? E Liv&Eve versione totally spies? Okay, sto delirando e dovrei studiare.
Tra l’altro mi sono appena resa conto che sto per pubblicare questo capitolo, intitolato l’Appuntamento, il giorno di San Valentino. Ebbene, non è una cosa voluta.
Io odio San Valentino. Con tutta me stessa.
Grazie per il sostegno, a chi ha messo questa fanfiction tra le seguite e che ogni volta perde del tempo a leggere e recensire i miei deliri.
Grazie ad Irene, Gabri, Angelica, Sofia ed Elvira.
Un bacione, Fra.

  
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