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Autore: crazy640    14/02/2014    5 recensioni
C’era stato un tempo in cui un uomo dai capelli neri, completamente pazzo, lo faceva correre per le strade di Londra a qualsiasi ora del giorno e della notte a caccia di ladri e assassini, mettendolo nei guai con i suoi colleghi della clinica ed i suoi pazienti…e rendendolo incredibilmente felice.
Quando quel meraviglioso pazzo era uscito dalla sua vita con un gesto drammatico del suo lungo cappotto senza neanche guardarsi indietro, nella sua vita erano rimaste solo tre cose: il suo lavoro, Amelia e Matthew.
Ed erano state queste tre cose che gli avevano impedito di lasciarsi andare e crollare.
Da sei anni le sue giornate erano organizzate in modo quasi militare:ogni giorno la stessa tabella di marcia.Nessuno dall'esterno avrebbe mai immaginato che in quella macchina bene oliata ci fosse un importante pezzo mancante ed era passato talmente tanto tempo dall'ultima volta che qualcuno gli aveva fatto domande sulla sua Omega che se per caso si ritrovava ad affrontare quell'argomento con un estraneo, John si limitava a fare un’espressione triste e a scuotere la testa, mettendo a disagio il suo interlocutore.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Mpreg
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The Sign of three

 

WARNING: Questa è un Omegaverse con conseguente Mpreg ed è ambientata in un universo parallelo.

Se le tematiche vi possono infastidire, "it was nice to meet you". :D

Qui sotto troverete una breve definizione dei tre "ruoli" fondamentali nell'Omegaverse; Alpha Beta e Omega:

Ogni persona ha un odore distintivo della propria personalità che si forma nelle prime settimane di vita.

Gli Alpha sono coloro che ricoprono il ruolo più alto nella Società( posizioni nell'Esercito o nei vari Ministeri saranno inevitabilmente ricoperte da Alpha) Questi possono essere sia uomini che donne, spesso provengono da famiglie antiche ed agiate e raggiungono il loro status attraverso prestanza fisica o creando alleanze importanti all'interno della Società; generalmente dominante.

 

I Beta vengono subito dopo gli Alpha nella scala gerarchica della Società, dal carattere cordiale e amorevole; il loro senso dell'olfatto non è molto sviluppato, il che li favorisce nel campo medico( specialmente nel ruolo di ostetriche, infermieri etc.), in quanto restano immuni dai diversi odori. Possono accoppiarsi soltanto con altri Beta, in quanto la loro parziale sterilità, metterebbe a rischio la continuità della specie.

Gli omega sono considerati, da alcuni, l'anello debole della Società e, da altri, qualcosa di raro e prezioso da proteggere.

Anche questi possono essere sia maschi che femmine e, per quanto riguarda gli Omega maschi producono lubrificante "naturale" che permette loro di restare "incinti" durante l'Estro( periodo che va dai due ai nove giorni in cui l'Omega è maggiormente fertile): durante quest'esperienza due amanti possono formare un Legame( un morso alla base del collo del proprio partner durante il piacere massimo dell'orgasmo, in modo da suggellare la propria unione) e questo Legame è indissolubile.

Coppie di Alpha-Omega possono sviluppare un legame empatico con il proprio partner; un Alpha Unito ad un Omega è tendenzialmente possessivo e geloso del proprio partner mentre le Omega tendono ad essere più remissive per accontentare il proprio partner.

 

Come ogni mattina, da nove anni, la sveglia di John Watson suonò alle sette precise.

Un gemito uscì dalle labbra dischiuse dell’uomo seminascosto dalle coperte, mentre una mano si faceva spazio fra fodere e sovraccoperte per spegnere quel rumore infernale.

Quando finalmente la stanza fu nuovamente avvolta nel silenzio, come ogni mattina, John si baloccò con l’idea di concedersi altri cinque minuti nel caldo del suo letto, ma come sempre dovette cedere alla parte razionale del suo cervello e rizzarsi a sedere.

Seduto nella propria parte del letto matrimoniale, come ogni mattina John mosse le spalle, prima la destra e poi la sinistra per sciogliere i muscoli; fece scrocchiare il collo per poi alzarsi in piedi e afferrare la vestaglia di tartan da sempre ai piedi del letto, prima di dirigersi verso il bagno, pronto per la doccia mattutina che lo avrebbe aiutato a svegliarsi e che gli avrebbe concesso dieci minuti di pace e solitudine ulteriori.

Esattamente dieci minuti dopo era nuovamente nella propria camera da letto, i capelli ancora leggermente umidi, intento ad indossare i vestiti che aveva preparato la sera prima e che aveva sistemato ordinatamente sul comò: niente di troppo elegante, un paio di blue jeans, una camicia a scacchi rossa, ed un cardigan sempre rosso ma di una tonalità leggermente più scura, abiti che ispiravano allo stesso tempo sicurezza e giovialità.

Soltanto quando fu perfettamente vestito e dopo aver sistemato la stanza, aprì la porta della camera da letto ed uscì nel salotto, fermandosi sulla soglia con un sorriso sorpreso sulle labbra.

Quasi all’istante, due occhi azzurro ghiaccio si sollevarono dal libro posato sulle ginocchia nascoste da un plaid e incontrarono i suoi, chiaramente in attesa.

-Da quanto sei in piedi?- domandò John.

Matthew Watson, nove anni ed un cervello troppo brillante per la sua età, alzò le spalle.

-Ho sentito l’allarme della tua sveglia.

Credo che dovresti riconsiderarne il volume-gli consigliò prima di sciogliere i loro sguardi per posarlo nuovamente sul libro.

John sorrise e con un lieve cenno del capo, si mosse verso la cucina.

-Tua sorella sta ancora dormendo?-gli chiese accendendo il bollitore per la sua tazza di tea mattutina.

-Non la sveglierebbero neanche le cannonate…Deve aver ripreso da te in questo-commentò il bambino.

-Tu invece devi aver ripreso il mio senso dell’umorismo-rispose l’uomo senza scomporsi.

Continuando a muoversi agilmente per la cucina che ormai conosceva come il palmo della sua mano, John sistemò due fette di pane nel tostapane e tirò fuori una tazza e una ciotola prima di rialzare lo sguardo verso il ragazzo.

-Hai intenzione di fare colazione? E in quel caso: toast, cereali o uova?-gli domandò, come faceva ogni mattina.

Matthew fece un suono indecifrabile, continuando a tenere lo sguardo fisso sul libro.

-In un linguaggio comprensibile, per favore- ribatté ancora John.

-Sono combattuto: so di dare il meglio quando affronto un test a stomaco vuoto, ma al contempo dovrei aspettare fino all’ora di pranzo prima di potermi rilassare completamente e mangiare…Ed anche allora non so se avrò appetito-considerò il bambino.

John osservò suo figlio in attesa, cercando di combattere l’istinto che gli consigliava di usare la sua autorità Alpha su suo figlio, consapevole allo stesso tempo che non avrebbe ottenuto nessun risultato.

-Credo di poter correre il rischio di un toast con marmellata- decise finalmente Matthew.

L’uomo annuì ed aggiunse un'altra fetta nel tostapane.

-Nel frattempo che ne dici di andare di sopra, svegliare tua sorella e vestirvi?-disse rivolgendogli un nuovo sorriso.

-Ma…-tentò di ribattere il bambino.

-Matty continuare a studiare ora non ti servirà a nulla, ti renderà soltanto più ansioso; hai i voti più alti di tutta la classe, se escludiamo tua sorella, quindi, rilassati e va di sopra a vestirti-gli disse con voce affabile.

Era evidente che suo figlio non fosse affatto convinto del suo discorso, ma fortunatamente Matthew si limitò ad sospirare, raccogliere i propri libri e avviarsi verso la rampa di scale che l’avrebbe portato nella vecchia camera di John ora trasformata nella camera dei ragazzi.

Una lieve vibrazione nella tasca dei jeans lo avvertì dell’arrivo di un messaggio proprio nel momento in cui il  bollitore iniziò a fischiare; dopo aver versato l’acqua bollente nella propria tazza ed aver tirato fuori il latte dal frigo, John aprì il proprio cellulare per leggere il messaggio.

Mycroft passerà a prendere i bambini dopo la scuola e li porterà dal sarto per la prova dei vestiti. Il nostro appuntamento è per le cinque. G

John accennò un sorriso, controllando velocemente il calendario per controllare che quel giorno i suoi figli non avessero attività extrascolastiche.

Malgrado fossero insieme da sei anni ed avessero un bambino, alle volte gli sembrava ancora strano pensare a Greg Lestrade, il suo migliore amico, Capo Detective Investigativo di Scotland Yard, e Mycroft Holmes, eminenza grigia del Governo Britannico, come una amorevole coppia.

Eppure loro, malgrado i loro impegni e le loro responsabilità erano riusciti dove John aveva fallito…

Niente colori pastello. Matthew mi farebbe sanguinare le orecchie a forza di lamentele. E di al tuo uomo di non viziarli troppo come al suo solito JW

-Buongiorno papà!-

Il rumore di passi veloci sulle scale lo portò a rialzare lo sguardo e a lasciare il cellulare sul piano accanto al bollitore, prima di rivolgere un sorriso alla piccola della famiglia.

Amelia Victoria Watson mal sopportava essere la piccola di casa, anzi non mancava di sottolineare che era stato soltanto per pochi minuti che suo fratello Matthew Arthur Watson le aveva rubato il titolo di primogenito.

Dopo avergli posato un bacio veloce sulla guancia, Amelia si sedette al proprio posto attorno al tavolo, versando subito i cereali nella ciotola, lasciandogli addosso un lieve sentore di lavanda che fin dalla nascita John associava alla bambina.

-Possibile che questa mattina non riesca ad avervi tutti e due nello stesso posto per iniziare la giornata? Dov’è tuo fratello?- le domandò versando una goccia di latte nel proprio tea e passando poi la bottiglia alla bambina.

-Sta cercando di dare un ordine ai suoi ricci-rispose lei.

John la guardò stupito.

-Da quando tuo fratello si preoccupa di avere i capelli in ordine?

Ha per caso una fidanzatina?-domandò sistemando la propria tazza, ed il piatto a capotavola.

Amy fece una smorfia disgustata e proprio in quel momento Matt entrò in cucina, l’odore di miele e solvente chimico perfettamente amalgamato creando un odore unico che ormai era diventato la sua caratteristica, ad annunciare il suo arrivo.

-E’ per l’insegnante di storia…Nel caso dovessi sbagliare qualche domanda-disse alzando le spalle come fosse la risposta più ovvia.

John lo guardò incredulo per qualche istante prima di scuotere la testa.

Cos’altro potevo aspettarmi da Sherlock Holmes  Jr.?” si chiese, dandosi mentalmente dell’idiota.

Sorseggiando lentamente il proprio tea, John osservò i propri figli, impegnati nella propria colazione e con indosso le uniformi della scuola e per la millesima volta si chiese come avesse fatto ad essere così fortunato.

Certo quella non era la vita che aveva immaginato da ragazzo, ma quante volte i sogni di bambino si realizzano?

John Hamish Watson, trentanove anni, Alpha, aveva sempre pensato che alla soglia dei quaranta avrebbe avuto uno studio medico ben avviato, una discreta sicurezza economica, una casa in campagna, un cane, un compagno accanto e un indefinito numero di figli.

Ed in parte era riuscito nel proprio obiettivo: aveva uno studio medico, con pazienti che gli volevano bene e lo rispettavano, una sicurezza economica in parte guadagnata con il proprio lavoro e in parte grazie all’aiuto della sua famiglia acquisita, aveva una casa che, malgrado non fosse di proprietà o in campagna, era l’unico posto al mondo dove si sentisse al sicuro, e stava considerando di regalare un cane ai bambini per Natale.

A chi importava se aveva raggiunto quel traguardo attraverso rabbia, sangue, sudore, dolore, la paura di non ritornare più quello di un tempo, la sofferenza per un cuore spezzato e la consapevolezza di non essere abbastanza?

John scosse leggermente la testa, scacciando quei pensieri dalla mente e posò lo sguardo su Matthew, Matty, il suo primogenito.

Fin dal primo istante in cui era venuto al mondo, aveva fatto emergere il suo carattere, urlando a pieni polmoni finché non gli si prestava attenzione, anche soltanto accarezzandogli le piccole dita o il piedino, ma inaspettatamente bisognoso di costante contatto umano, al punto che John aveva dovuto portarlo con sé ovunque nel marsupio durante i primi mesi di vita.

Come non bastassero i suoi capelli nero corvino, i suoi riccioli, ed i suoi occhi blu ghiaccio, per capire a chi appartenesse gran parte del suo patrimonio genetico.

Malgrado l’apparenza distante, quasi algida, Matty era il più fragile dei suoi figli, legato a suo padre in maniera viscerale, alcuni avrebbero detto quasi morbosa, portandolo a chiedere gran parte dell’attenzione di John, che era disposto a condividere soltanto con sua sorella.

Con il passare degli anni, l’intelligenza prettamente Holmes si era messa sempre di più in mostra, facendolo eccellere nelle scienze, ma costringendolo a lavorare il doppio nelle materie che chiaramente non lo interessavano.

Proprio come suo padre aveva da sempre avuto problemi a relazionarsi con gli altri bambini, ma al contrario di Sherlock, Matthew aveva avuto l’aiuto di Amy che, in un primo tempo si era eletta a suo difensore, e poi lo aveva aiutato a farsi nuove amicizie.

All’età di sei anni aveva deciso di voler imparare uno strumento e John aveva acconsentito ad una sola condizione: tutti gli strumenti erano concessi tranne il violino.

Era disposto anche ad avere un arpa in casa pur di non sentire più il suono di un violino per il resto della sua vita…

Fortunatamente Matthew non era apparso particolarmente interessato a quello strumento, propendendo fin da subito per il pianoforte.

Così, dopo aver riorganizzato i mobili del salotto, sotto l’attenta guida di Amy e con l’aiuto di due uomini muscolosi gentilmente offerti da Mycroft, un bellissimo pianoforte a coda aveva fatto il suo ingresso al 221B di Baker Street invadendo gran parte del salotto.

Ma il sorriso raggiante che era apparso sul volto di Matthew non appena aveva visto lo strumento aveva ripagato John di ogni metro quadrato perso.

Da completo autodidatta, nel giro di poche settimane Matthew aveva imparato le basi dello strumento, per poi migliorare sempre più velocemente, arrivando ad eccellere al pari di un professionista in meno di due anni.

John aveva conosciuto soltanto una persona con altrettanto talento musicale…

Scacciando nuovamente quei suoi pensieri indesiderati, John accarezzò il retro del collo del bambino attento a non spettinargli i capelli, rivolgendogli un sorriso quando Matty incontrò i suoi occhi.

-Oggi viene a prendervi zio Myc all’uscita dalla scuola- annunciò prima di dare un morso al proprio toast.

-Ci sarà anche Martin?- domandò Amy.

Martin Holmes-Lestrade era il solo figlio di Mycroft e Greg, ed avendo solo quattro anni, era il piccolo della famiglia provocando un sentimento di protezione in Amelia e, inaspettatamente anche in Matthew.

L’affetto era ricambiato in pieno, visto che Martin stravedeva per i due cugini più grandi, al punto da invitarli più volte a restare per la notte, o a presentarli come i propri fratelli quando i tre bambini si trovavano insieme al parco.

John annuì.

-Zio Myc vi porterà dal sarto per la prova dei vestiti del matrimonio- spiegò loro.

Amelia batté le mani, chiaramente eccitata all’idea di vestiti nuovi, al contrario del fratello che si lasciò scappare un gemito.

-Sta tranquillo Matty, ho parlato con zio Greg e gli ho fatto giurare che non ci saranno colori o vestiti stravaganti-lo rassicurò.

-Giuro che se il vestito scelto da zio Myc non mi piace, mi presento alla cerimonia in pigiama!-minacciò il bambino.

-Ti credo sulla parola-rispose il biondo, provocando le risate divertite di Amelia.

-Posso avere un abito rosa?-chiese la bambina, una goccia di latte che le scivolava dall’angolo destro della bocca.

John alzò le spalle.

-Non vedo perché no…In fondo avrai un vestito diverso da tuo fratello e Martin, fa in modo che sia speciale-le rispose tendendole un fazzolettino.

Il viso di Amelia si illuminò, la mente già impegnata a catalogare i possibili modelli che l’avrebbero resa la più bella di tutti al matrimonio.

Malgrado condividesse l’enorme intelligenza con suo fratello, Amelia Watson era in tutto e per tutto figlia di John: aveva i suoi capelli biondo cenere, i suoi occhi blu inquisitivi e ridenti, il suo naso dalla punta leggermente alzata, e almeno per il momento aveva ereditato la sua passione per il calcio.

Quando avevano tre anni, John aveva provato in tutti i modi a stuzzicare l’attenzione di Matthew perché il bambino si interessasse allo sport ma, come avrebbe dovuto aspettarsi da un Holmes, Matty non aveva concesso alla palla neanche un istante del proprio prezioso tempo, mentre invece Amelia aveva iniziato a giocare con lui.

Con gli anni John l’aveva iscritta ad una scuola femminile di calcio in cui aveva assunto il ruolo di portiere, e ogni sabato lui ed Amy si sedevano sul divano a guardare le partite del Chelsea, mentre Matthew li osservava dalla cucina scuotendo la testa, impegnato con i propri libri.

Grazie all’intervento di Mycroft erano anche stati ospiti nella tribuna d’onore del Chelsea allo Stamford Bridge, incontrando la squadra a fine partita, e ricevendo in regalo i guanti del portiere.

Amelia aveva dormito con quei guanti sotto il cuscino per due settimane, prima di decidersi ad appenderli al muro.

Contrariamente a suo fratello, la bambina era più indipendente e, forse grazie ai geni Watson, più spigliata ed estroversa; era stata lei la prima a farsi degli amici durante i primi giorni di scuola, senza però abbandonare mai il fratello, malgrado le proteste del bambino che “quelle attività fossero noiose e poco stimolanti a livello intellettuale”, aiutandolo allo stesso tempo a farsi un piccolo gruppo di amici.

La prima volta che aveva dormito fuori casa per un pigiama party, John si era ritrovato inspiegabilmente in lacrime, messo bruscamente a confronto con il tempo che passava: presto i suoi figli sarebbero andati all’università e lui si sarebbe ritrovato nuovamente solo in quella casa troppo piena di fantasmi e il cui solo pensiero di andar via gli mozzava il fiato.

Scosse per l’ennesima volta la testa per allontanare quei pensieri tetri; forse era davvero arrivato il momento di comprare quel cane, almeno così avrebbe avuto un po’ di compagnia…

-Papà?-

John riportò la propria attenzione su Matthew, notando velocemente il toast mangiato a metà e il bicchiere di latte vuoto.

-Scusami, ero distratto-

-Da quanto tempo si conoscono lo zio Greg e lo zio Myc?-domandò il bambino, cogliendolo di sorpresa.

John aggrottò leggermente la fronte, calcolando velocemente gli anni trascorsi.

-Si conoscono da quando avevano vent’ anni, ma sono insieme da dieci anni, Uniti da sei-rispose l’uomo.

-Perché hanno aspettato tanto tempo?-chiese curiosa Amy.

John sorrise.

-Vostro zio Myc è un uomo molto timido…Per molto tempo è stato innamorato dello zio Greg senza dire nulla, convinto che potessero essere soltanto amici-raccontò, alterando leggermente la verità.

-Finché lo zio Greg non si è fatto avanti…-disse Matthew.

-Una specie-rispose sibillino John.

Matty restò in silenzio qualche istante, ma conoscendo il bambino, John restò in silenzio sorseggiando il proprio tea, perfettamente consapevole che avesse ancora delle domande.

-Perché allora hanno aspettato fino ad adesso per sposarsi?-domandò infatti il bambino.

John restò qualche istante ancora in silenzio, interrogandosi su come rispondere a quella domanda, finché non rialzò lo sguardo sul bambino e si lasciò andare ad un sospiro.

-Vi ricordate il discorso che abbiamo fatto su come ognuno di noi sia un’ Alpha, un’ Omega o un Beta?-disse per introdurre il discorso.

I due bambini annuirono quasi all’unisono.

-Voi sapete benissimo che io sono un’Alpha e che vostro padre era un’ Omega.

La stessa cosa vale per lo zio Myc e lo zio Greg.

Ora quando un’Alpha  ed un’Omega si innamorano e decidono di stare insieme, mettono in atto un processo chiamato Unione, un legame molto forte ed indissolubile che dimostra alle altre persone che lo zio Myc o lo zio Greg non vogliono fidanzati…-

-Perché sono innamorati l’uno dell’altro- s’intromise Amelia candidamente.

John sorrise.

-Esattamente.

Grazie all’Unione tutti sanno che due persone appartengono l’una all’altra, ma capita come nel caso dei vostri zii che si voglia renderlo ufficiale con un matrimonio-concluse, sperando di non aver confuso maggiormente le idee dei gemelli.

Matthew lo guardò attentamente, mille pensieri per la testa, ma John capì che al momento non era disposto a condividerli con lui.

-Sembra molto romantico…-commentò Amy.

-Tu trovi tutto romantico-ribatté il fratello in tono quasi disgustato.

-Ok prima di far scoppiare l’ennesima guerra fra Watson, andate a lavarvi i denti e a prendere le vostre borse.

E’ ora di andare a scuola-disse alzandosi in piedi e spostando i piatti sporchi nel lavello.

Amy corse verso il bagno, ma per qualche istante John sentì su di sé lo sguardo penetrante di Matthew, chiaramente combattuto se fargli quell’ultima domanda o meno.

Per incoraggiarlo, John alzò la testa ed incontrò il suo sguardo, rivolgendogli un sorriso sereno e rassicurante.

L’attimo dopo, Matthew lasciò la cucina in silenzio.

 

 

Puntuale come ogni mattina, ferma all’angolo fra Baker Street e Bell Road, una figura era in attesa.

Incurante della gente che avvolta nei propri cappotti lo superava per raggiungere la fermata della metropolitana con la speranza di arrivare in tempo al lavoro, un uomo restava immobile con le spalle rivolte al muro e gli occhi fissi sulla porta nera dall’altra parte della strada.

John era da sempre un uomo puntuale, anche se lui aveva fatto di tutto per fargli perdere quell’abitudine noiosa ed inutile, ma quando era diventato padre quell’ insulso bisogno di stabilità e di ordine si era radicato maggiormente dentro di lui.

Ricordava fin troppo bene le tante discussioni avute in nome dell’ordine e del bisogno di Amelia e Matthew di orari e schemi fissi fin dalla più tenera età, per farli crescere un ambiente sereno e stabile.

 

Non ricordavo fossi così noioso…”

Con un gesto ormai automatico, prese il pacchetto di sigarette dalla tasca e ne portò una alla bocca, accendendola l’istante dopo, scacciando i cattivi pensieri con le volute di fumo azzurrino che si levavano verso l’altro.

Non doveva pensarci, non ora, non dopo tutto quello che aveva affrontato per essere lì, sul quel marciapiede, di fronte quella porta chiusa.

Come se le persone all’interno dell’appartamento fossero a conoscenza dei suoi pensieri, in quel momento la porta si aprì e l’uomo lasciò che le sue labbra si curvassero leggermente verso l’alto: otto e quaranta in punto.

La prima persona che vide fu Amy, avvolta in un cappotto blu che le arrivava alle ginocchia, i capelli biondo cenere perfettamente sistemati in una treccia e la borsa da cui si intravedeva il logo della scuola sulle spalle, le dita della mano destra strette a pugno attorno a una palla colorata: guanti.

Malgrado la lontananza, l’uomo riuscì a scorgere i piccoli cambiamenti avvenuti nel breve periodo di lontananza: in due settimane le sue guance erano diventate più piene, i capelli erano stati leggermente accorciati, anche se soltanto un occhio esperto avrebbe potuto notare la differenza, ed era cresciuta di due centimetri, anche se ormai sembrava evidente che i geni Watson su di lei avevano avuto il sopravvento.

Rendendola adorabile ai suoi occhi.

L’attimo dopo Matthew la raggiunse sul marciapiedi, il corpo slanciato e infantile in un cappotto nero dai risvolti rialzati che gli strapparono un sorriso.

Anche lui ha un aspetto misterioso e affascinante con i risvolti del cappotto rialzati, John?

I capelli neri ricci sembravano più controllati del solito, portandolo a chiedersi cosa avesse richiesto quello sforzo in più dato il solito disordine che governava i riccioli del bambino.

Così come era successo con Amelia, l’uomo focalizzò tutta la sua attenzione su Matthew assimilando le nuove informazioni: la nuova altezza, il modo in cui aveva deciso di portare i capelli, il viso che lentamente stava perdendo il suo aspetto infantile, dandogli un’espressione seria e composta.

Osservandoli insieme notò la differenza d’altezza fra i due bambini, come Amelia arrivasse soltanto alla spalla del bambino strappandogli un altro sorriso.

Vederli insieme era allo stesso tempo un balsamo per le sue ferite ed il tizzone ardente che utilizzava per riaprirle nuovamente.

Entrambi i bambini avevano lo sguardo rivolto verso l’interno nella casa, dove dalla porta aperta l’uomo riusciva ad intravedere la figura di John affaccendarsi per controllare che tutto fosse in ordine prima di uscire in strada a sua volta e chiudersi la porta nera alle spalle.

I bambini si sistemarono ai lati di John, prendendogli la mano, in un copione che aveva visto ripetersi molte mattine e che ogni volta gli provocava una inspiegabile fitta allo stomaco.

Seguendoli a distanza di sicurezza mentre si avviavano verso la Abercorn School osservò i muscoli rilassati della schiena di John, il chiacchiericcio continuo di Amelia e le sporadiche interazione di Matthew si scoprì geloso della loro intimità.

John e i bambini erano un entità impossibile da sciogliere, qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto separare.

Lo vedeva chiaramente dal modo in cui Matthew inclinava la testa per incontrare lo sguardo di John, nel sorriso dolce dell’uomo, nel battibecco scherzoso fra i due gemelli.

Se avesse voluto quel privilegio sarebbe potuto essere suo…

Scuotendo nuovamente la testa, l’uomo continuò a seguire il trio fino ai cancelli della scuola, dove dovette fermarsi a pochi metri di distanza per non essere visto dalle spie di Mycroft che ogni giorno pattugliavano il palazzo.

Nascosto in una delle stradine secondarie, Sherlock Holmes osservò John fare le ultime raccomandazioni ai bambini, prima di salutare i due gemelli con un abbraccio e posare un bacio sulla testa di entrambi.

L’attimo dopo i due bambini erano oltre il cancello, già impegnati a salutare i loro amici.

Chi l’avrebbe mai detto: due Holmes con degli amici…

No.

Watson.

Osservò i due bambini finché non scomparirono oltre l’entrata della scuola insieme ai loro compagni per poi voltarsi e scomparire velocemente.

Aveva molto da fare prima di poter tornare a casa.

 

 

Sono tanti piccoli accorgimenti che contraddistinguono un buon medico, o almeno questo è ciò che John Watson ha sempre pensato fin dal primo giorno in cui ha aperto il suo studio medico ai pazienti: puntualità, cortesia, sincerità e, soprattutto, un sorriso sempre pronto.

Dopo anni passati ad esercitare in cliniche private e non, spinto dalla necessità di essere sempre reperibile per le baby sitters che occasionalmente si occupavano di Amy e Matty, aveva deciso di darsi alla pratica privata e aprire il proprio studio.

Dopo averne parlato con Mrs. Hudson ed esserci sincerato che i suoi risparmi gli permettessero un cambiamento così radicale, aveva iniziato i lavori nell’appartamento C di Baker Street, lavorando per togliere le infiltrazioni che causavano le macchie d’umidità e dando poi al piccolo locale un aspetto confortevole e caldo che fosse rassicurante per i suoi pazienti fin dal primo istante in cui vi entravano.

Fortunatamente la sua professionalità e il rapporto d’affetto che si era creato con alcuni dei suoi pazienti lo aveva aiutato, facendosi sì che questi lo seguissero allo studio privato invece di scegliere un nuovo medico della clinica.

Da sempre specializzato nella cura di Alpha e Beta, a distanza di sette anni poteva affermare di avere uno degli studi medici più conosciuti di Londra.

John era consapevole che parte del suo successo era dovuto alla totale attenzione che metteva nel proprio lavoro: i suoi pazienti sapevano di poter contare su di lui, sulla sua discrezione, e sulla sua professionalità.

Ma soprattutto, la sua fama era dovuta all’assenza di altre distrazioni nella sua vita.

C’era stato un tempo in cui un uomo dai capelli neri, completamente pazzo, lo faceva correre per le strade di Londra a qualsiasi ora del giorno e della notte a caccia di ladri e assassini, mettendolo nei guai con i suoi colleghi della clinica ed i suoi pazienti…e rendendolo incredibilmente felice.

Quando quel meraviglioso pazzo era uscito dalla sua vita con un gesto drammatico del suo lungo cappotto senza neanche guardarsi indietro, nella sua vita erano rimaste solo tre cose: il suo lavoro, Amelia e Matthew.

Ed erano state queste tre cose che gli avevano impedito di lasciarsi andare e crollare.

Da sei anni le sue giornate erano organizzate in modo quasi militare: dopo aver accompagnato a scuola i gemelli, John ritornava a casa e apriva lo studio medico ai propri pazienti, tenendo fede ai propri appuntamenti fino a mezzogiorno quando si concedeva una breve pausa per il pranzo ed una tazza di tea, prima di riprendere a lavorare fino alle quattro, orario in cui chiudeva lo studio e andava a prendere i bambini a scuola.

Ogni giorno la stessa tabella di marcia, fatta eccezione per i giorni in cui i gemelli avevano dei club scolastici che li trattenevano a scuola oltre l’orario delle lezioni, in cui lo studio era aperto per un’ora oltre l’orario normale, per  le feste e i fine settimana.

Con gli anni aveva creato attorno a sé una rete di supporto che gli permetteva di continuare il proprio lavoro anche durante le settimane di half-term in cui i gemelli erano in vacanza, contando sull’appoggio di Mrs. Hudson, Mycroft e Greg, Molly e alcune mamme degli amici dei ragazzi.

Nessuno dall’esterno avrebbe mai immaginato che in quella macchina bene oliata ci fosse un importante pezzo mancante ed era passato talmente tanto tempo dall’ultima volta che qualcuno gli aveva fatto domande sulla sua Omega che se per caso si ritrovava ad affrontare quell’argomento con un estraneo, John si limitava a fare un’espressione triste e a scuotere la testa, mettendo a disagio il suo interlocutore.

In fondo dopo la morte di Sherlock non era stato poi neanche così difficile… Il suicidio di Sherlock era stata soltanto la conferma definitiva che l’uomo non sarebbe più tornato a casa, che quel meraviglioso capitolo della sua vita si era definitivamente concluso.

Come tutti i giorni, dopo essere tornato a casa, John si concentrò sul proprio lavoro fermandosi soltanto per il pranzo, ma la sua mente non era completamente concentrata sui suoi pazienti come al solito: continuava a pensare alla conversazione avuta quella mattina con i gemelli e all’espressione pensierosa che era apparsa sul volto di Matty.

Malgrado il bambino non avesse fatto nessun accenno a ciò che lo turbava, e che durante il breve tragitto fino alla scuola era tornato ad essere enigmatico come al solito, chiaramente concentrato sul test di storia che avrebbe affrontato di lì a poco, John era consapevole che suo figlio non aveva lasciato cadere l’argomento.

Era davvero un Holmes in certe cose…

John aveva sempre saputo che presto o tardi sarebbe arrivato il giorno in cui i suoi figli avrebbero iniziato a fargli domande su Sherlock ma, dopo la morte del detective, aveva sperato di mettere un freno a quelle domande o almeno di dirottarle verso territori più sicuri.

In fondo che domande potresti mai avere su un padre che non hai mai conosciuto?

Ma a quanto pare aveva sottovalutato la situazione… O forse aveva sperato che almeno in quella circostanza il lato Watson avrebbe avuto il sopravvento, mettendo a tacere la curiosità.

Incapace di liberarsi di quei pensieri, aveva concluso le ultime visite e aveva chiuso lo studio, per poi prendere un taxi verso Saville Row dove aveva appuntamento con Greg.

Nella loro società, rigidamente impostata sui ruoli e sulle classi in cui ognuno di loro si ritrovava inserito dai dodici anni in su, era raro trovare un Omega ed un Alpha diventare amici, senza il secondo fine di stringere con il tempo un Unione.

Ma Gregory Lestrade e John Watson erano una delle rare eccezioni.

Forse in un’altra vita sarebbero stati perfetti l’uno per l’altro, avrebbero vissuto una vita felice e avrebbero fermamente creduto di aver trovato l’anima gemella.

Ma quando nella loro vita si erano intromessi fin dall’infanzia i fratelli Holmes, quella che poteva essere una perfetta storia d’amore si era trasformata in una grande amicizia.

Era stato Greg a sostenerlo quando Sherlock se ne era andato, aiutandolo con i bambini e accompagnandolo al pub perché potesse sbronzarsi e parlare senza sosta del detective; era stato lui a dargli la notizia della sua morte, con le lacrime agli occhi, ancora scioccato per averlo visto volare giù dal tetto del Barts, sedendosi accanto a lui mentre John dava sfogo al suo dolore, senza parlare, piangendo silenziosamente, consapevole che non esistevano parole adatte per confortare un Alpha che aveva perso tragicamente il proprio Omega.

Allo stesso tempo, John lo aveva accompagnato in ospedale quando l’Omega era entrato in travaglio restando accanto a lui finché Mycroft non era arrivato in ospedale, lo aiutava ancora saltuariamente con alcuni casi che per lui risultavano “impossibili” e lo ascoltava le poche volte in cui l’uomo aveva bisogno di sfogare la frustrazione accumulata contro Mycroft.

In fondo nessuno poteva capire quanto fosse stressante vivere con un Holmes quanto lui…

Quando il suo taxi si fermò davanti a Saville Row, l’Ispettore era già lì, impegnato a controllare i messaggi sul proprio cellulare: considerata l’ora Martin doveva essere già uscito da scuola e dal movimento nervoso delle dita, Greg stava cercando con tutto sé stesso di controllare i propri istinti Omega e non chiamare Mycroft ed il bambino, interrompendo così il loro pomeriggio padre e figlio.

-Aspetti da molto?-domandò John fermandosi a pochi metri di distanza.

Greg scosse la testa.

-Sono appena arrivato…Vogliamo entrare? Ho bisogno di una distrazione…- commentò il detective prima di precederlo all’interno della sartoria.

Fu chiaro fin da subito che la famiglia Holmes era una cliente abituale di quella sartoria da molti anni; tutti i commessi si dimostrarono estremamente gentili con Greg e rispettosi verso John, facendogli sentire il peso del suo lato Alpha come poche volte prima d’ora, offrendo loro tazze di tea e mini cupcakes, mostrandogli vari tipi di completi che secondo la loro opinione erano perfetti per una cerimonia d’Unione.

Lasciando il proprio tea a metà, John aveva preso un paio di completi e si era diretto verso il camerino per provare entrambi, dandosi mentalmente dell’idiota per il nodo che gli stringeva lo stomaco e che gli impediva di rilassarsi.

Malgrado i suoi difetti, John Watson era un buon amico: ecco perché si trovava lì in quel momento, impegnato ad indossare un vestito da cinquecento sterline malgrado avrebbe volentieri fatto a meno di presenziare alla cerimonia.

Non si poteva certo dire che la sua Unione era stata fra le più felici…

“Questa casa mi toglie il respiro.

Nessuno ti obbliga a restare Sherlock… Puoi sempre prendere la porta ed andartene in uno di quei gesti drammatici che ti piacciono tanto”

Scacciando dalla mente quei pensieri, John riemerse dal camerino con indosso un completo Principe di Galles nero completo di panciotto, ma Greg lo rimandò nel camerino dopo avergli concesso soltanto un’occhiata.

-Ricorda troppo lo stile di Mycroft…Non credo ti si addica-gli disse.

-Vorresti dirmi che non ho stile come il tuo fidanzato?-lo prese in giro il dottore.

-Oh hai fin troppo stile, è la classe che ti manca…-lo punzecchiò l’altro ironico.

John lo fissò con un espressione fintamente scioccata sul volto.

-Ricordami perché ho accettato di farti da testimone…-

-Perché sei l’unico che, sono certo, farà di tutto per farmi cambiare idea fino all’ultimo-rispose prontamente Greg-E poi nessuno mi capisce meglio di te…-aggiunse il detective.

-Neanche Myc?- domandò curioso John disse dirigendosi nuovamente verso il camerino.

Greg si lasciò scappare un suono sarcastico dalle labbra dischiuse.

-Gli Holmes avranno un gran cervello, ma come ben sai sono “incredibilmente ignoranti” quando si tratta di certe cose-si limitò a commentare.

John annuì in silenzio, impegnato a cambiarsi d’abito, lasciando nuovamente che i pensieri volgessero al passato, ricordando la prima volta che quelle parole erano state urlate contro di lui, seguite subito dopo da una rivista medica che per poco con lo aveva colpito in pieno viso.

“Ma è il Sistema Solare!

Cosa vuoi che mi importi chi sia il Primo Ministro o se la Terra gira intorno al Sole o ad un orsacchiotto di peluche al centro di un giardino?”

Decisamente altri tempi, si disse John finendo di abbottonare la giacca blu del completo ed uscendo nuovamente dall’angusta cabina.

Greg lo osservò attentamente per alcuni istanti prima di annuire.

-Decisamente questo-gli disse.

John si voltò verso lo specchio a figura intera, osservando il completo: i pantaloni, il panciotto, la camicia e la cravatta blu scuro gli davano un aria distinta ed elegante mettendo allo stesso tempo in risalto i suoi occhi blu oceano.

-Diciamo che può andare…-commentò lanciando un’occhiata all’amico attraverso lo specchio.

Greg alzò gli occhi al cielo senza rispondergli, mentre un commesso della sartoria lo invitò a salire su un piccolo piedistallo per potergli prendere le misure in modo da fare delle piccole modifiche al vestito.

-C’è qualcosa che ti preoccupa…-commentò Greg osservandolo attentamente.

John restò in silenzio, incerto se condividere con l’amico i propri pensieri su ciò che era successo quella mattina, limitandosi a seguire alla lettera le istruzioni del commesso.

-E’ successo qualcosa?-gli chiese ancora Greg, chiaramente deciso a non lasciar perdere.

John scosse la testa.

-Sinceramente non lo so…E’…-disse lasciandosi scappare un sospiro frustrato-E’ solo che sono un po’ preoccupato per Matty-disse.

Greg corrugò la fronte.

-Questa  mattina stava pensando a suo padre e la cosa mi preoccupa un po’, tutto qui-disse John, cercando di non ingigantire la faccenda.

-Ha detto qualcosa?-gli domandò Greg, fissando attentamente il volto dell’amico.

John scosse la testa.

-Non ce ne è bisogno…E’ mio figlio, lo conosco.

Come se non bastasse è un Holmes: anche se non ne parla mai non significa che ha smesso di pensare a lui-commentò John.

Greg annuì.

Se c’era una cosa che contraddistingueva gli Holmes era il cervello sempre in movimento, concentrato su mille problemi e percorsi mentali diversi allo stesso momento.

-Come hai fatto a capirlo?-gli chiese.

John sospirò nuovamente e si passò una mano fra i capelli corti.

-E’ cominciato tutto con la storia dei vestiti per la cerimonia; sembrava tutto tranquillo, finché Amy non mi ha chiesto come mai dopo tutto questo tempo tu e Mycroft avete deciso di sposarvi…-

-Questa è facile: perché abbiamo un bambino e siamo innamorati-lo interruppe Greg, leggermente divertito.

Ai suoi occhi non c’era spiegazione più semplice di quella.

John annuì.

-Ed è stato proprio quello che le ho risposto.

Però sai bene quanto me che si può essere innamorati e stare insieme anche senza essere sposati; così ho cercato di spiegare ad entrambi che alle volte, malgrado due persone siano Unite, alle volte sentono il bisogno di qualcosa di più forte, duraturo…-raccontò John.

-Non c’è niente di più forte dell’Unione-ribatté Greg.

John gli lanciò un’occhiataccia.

-Vuoi davvero iniziare questo discorso? Soprattutto con il sottoscritto?-gli domandò.

Entrambi erano consapevoli che avventurarsi nuovamente in quella discussione avrebbe soltanto riaperto vecchie ferite mai veramente rimarginate e l’ultima cosa che Greg desiderava era veder soffrire l’amico.

-Scusa, va avanti…-

John annuì e per qualche istante restò in silenzio, rimettendo insieme i propri pensieri e approfittando di quel momento per togliersi la giacca da cerimonia e sistemarla sul primo manichino nudo disponibile, andando poi a sedersi su una sedia di fronte al detective.

-Amy si è accontentata della spiegazione, lei è una Watson, non ha voglia di complicarsi inutilmente la vita…Ma Matty moriva dalla voglia di farmi un’altra domanda.

Glielo leggevo chiaramente negli occhi-gli disse.

-Quale domanda?-domandò l’altro.

John alzò le spalle.

-Non lo so…E’ questo il problema con Matty: finché non è pronto non riesci a cavargli nulla da bocca.

L’unica cosa che so è che riguardava suo padre-aggiunse.

Ancora una volta, Greg aggrottò la fronte.

-Fanno spesso domande su Sherlock?-s’informò.

Un espressione seccata apparve sul volto del dottore, prima che questi si alzasse in piedi cercando di scaricare la propria tensione nervosa.

-Cosa dovrebbero chiedere?

Non lo hanno mai conosciuto, se ne è andato quando avevano soltanto due mesi!

Siamo sempre stati soltanto noi tre.

Fino a qualche anno fa tenevo una sua fotografia sulla mensola del camino, in modo che i ragazzi avessero almeno un’immagine del padre, finché un giorno sono rientrato a casa e l’ho trovata in frantumi sul parquet del salotto.

E’ stato il loro modo per dirmi che quella foto doveva sparire, che lo consideravano un estraneo…-gli raccontò senza nessun’emozione nella voce.

Era strano per Greg osservare ed ascoltare John parlare di Sherlock in quel modo così impersonale, come se si trattasse realmente di un estraneo invece che del padre dei suoi figli, ricordando allo stesso tempo quella stessa voce che lodava il detective per la sua intelligenza e le sue deduzioni, che difendeva Sherlock da tutto e tutti.

La stessa voce che parlava del detective con infinito amore…

-Cosa hai intenzione di fare?-gli domandò allontanandosi dai propri pensieri e concentrandosi nuovamente sull’amico chiaramente in difficoltà.

John scosse la testa sconsolato.

-Non ne ho la più pallida idea.

Matthew assomiglia terribilmente a suo padre…

Fin dalla sua morte averlo accanto è stata la mia ancora con la realtà, ancor più di Amelia, per ricordarmi che quel periodo della mia vita è realmente accaduto, che non l’ho immaginato… Come se un pezzo di Lui mi fosse stato restituito-gli confessò sincero.

Greg lo osservò per qualche istante in silenzio, indeciso se fare o meno quella domanda che lo tormentava fin dalla morte di Sherlock.

-Posso farti una domanda?-si decise a chiedergli.

John annuì.

-Perché non hai mai pensato di cercare un’altra Omega quando Sherlock se n’è andato? Oppure dopo la sua morte quando la vostra Unione si è spezzata?-gli domandò cauto.

John tornò a sedersi accanto all’amico e si prese un lungo istante prima di rispondere.

Nessuno, neanche Mycroft o Greg avevano mai capito fino in fondo il legame che aveva unito lui e Sherlock…Era impossibile spiegarlo quando erano insieme, praticamente inseparabili, come avrebbe potuto spiegarlo ora, dopo anni di solitudine?

Quali erano le parole adatte per spiegare al detective che, malgrado la morte di Sherlock, John sentiva la loro Unione ancora solida con tutte le implicazioni che questo comportava?

Come spiegargli che cercare una nuova Omega avrebbe avuto per lui lo stesso effetto di tradire Sherlock, quasi l’uomo facesse ancora parte della sua vita?

-Ci ho pensato.

Per un po’ ho considerato l’idea di frequentare una beta, anche soltanto per un breve periodo, ma alla fine avrebbe richiesto troppo impegno.

Specialmente adesso che i ragazzi sono più grandi avrei dovuto sottrarre delle attenzioni a loro per concentrarle su questa nuova “persona” e lo sai anche tu quanto è geloso Matty…Non so davvero cosa sarebbe successo se avessi incontrato qualcuno, come minimo avrebbe fatto esplodere la cucina per rappresaglia-commentò con un sorriso affettuoso sulle labbra.

Greg si unì al sorriso restando in silenzio, certo che l’amico non avesse ancora finito.

-Ma credo che la motivazione principale sia sempre la stessa: per quanto io possa cercare, non troverò mai una persona che mi completi e si adatti perfettamente a me come faceva Lui…Ne abbiamo passate tante insieme, fra il suo totale rifiuto per il proprio Sesso, e la mia difficoltà nell’ammettere i miei sentimenti, senza dimenticare la sua tossicodipendenza e tutto il resto.

La parte razionale di me lo sa che se decidessi di avvicinarmi ad un’altra persona non avremmo tutti quei problemi, ma…-disse incapace di dar voce ai propri pensieri.

-Non sarebbe lo stesso, vero?-disse Greg al suo posto.

John annuì lentamente, un sorriso triste a distendergli le labbra.

-Gli Holmes possono essere dei rompicoglioni, ma malgrado tutto ne vale sempre la pena-commentò tristemente John.

-Nessuno può essere più d’accordo di me…-disse posandogli una mano sulla spalla destra.

John si strofinò il volto con entrambi le mani, cercando di allontanare i pensieri tristi che quel giorno sembravano tormentarlo.

-Cosa farai con Matty?-gli domandò dopo un po’ Greg.

Il dottore alzò le spalle.

-Non lo so…Sono sinceramente combattuto; in fondo anche Lui è suo padre, quindi se Matty ha delle domande e vuole sapere qualcosa in più su di lui, risponderò a tutte le sue domande-concluse, giungendo ad una decisione sul momento.

Greg annuì lentamente prima di fissare John per qualche istante, portando l’altro ad aggrottare la fronte.

-Che c’è?-

Il detective scosse la testa prima di alzarsi in piedi, chiaramente diretto verso il camerino di prova.

-E’ solo che mi sono reso conto che sono anni che non ti sento dire il nome di Sherlock…

Sarà meglio che vada a provare il mio vestito…-aggiunse prima di voltargli le spalle.

John restò in silenzio, lo sguardo fisso sulle proprie mani.

Che bisogno aveva di dire il nome di Sherlock ad alta voce quando questo era un costante sussurro nella sua mente?

 

 

Matthew Watson amava passare del tempo con lo zio Mycroft.

Fra tutte le persone che facevano parte della sua famiglia, era l’unico che lo capiva con un solo sguardo, senza il bisogno di parlare.

Anche suo padre aveva quell’abilità, a quanto pare acquisita in anni di conoscenza e convivenza con l’Omega che li aveva abbandonati, ma al contrario dello zio Mycroft, suo padre preferiva restare in disparte aspettando che fosse lui a cercare il suo conforto ed i suoi consigli evitando di fargli pressione.

Forse era per questo che Matthew era così legato a suo padre: la sua intelligenza era abbastanza sviluppata da renderlo consapevole di essere estremamente fortunato.

Se ci fosse stato qualcun altro al posto di John Watson, qualcuno meno comprensivo, meno accomodante, meno innamorato della sua intelligenza, allora la sua vita non sarebbe stata così facile.

Matthew avrebbe fatto qualsiasi cosa per suo padre, anche a costo di frenare la propria curiosità.

Quello che era successo quella mattina ne era un chiaro esempio: ciò che era iniziato come un banale discorso sui vestiti da cerimonia sia era trasformato presto in una conversazione più complicata che aveva portato la sua mente in quel territorio inesplorato che era l’Omega a cui suo padre era stato legato e che era morto tre anni prima.

Molte volte osservando il rapporto fra lo zio Greg e lo zio Mycroft si era ritrovato a fare dei paragoni e a chiedersi cosa fosse andato storto nella relazione fra suo padre e l’Omega, ma non aveva mai fatto domande consapevole che quello non era un discorso facile per suo padre, malgrado lui affermasse il contrario.

Quei pensieri non lo avevano abbandonato per tutta la giornata, venendo accantonati momentaneamente durante l’orario scolastico, ma ora che si trovavano a casa dello zio Greg e dello zio Mycroft erano tornati prepotentemente a occupare la sua attenzione, portandolo ad isolarsi dai giochi che Amelia e Martin stavano facendo a pochi metri di distanza.

Fortunatamente sua sorella lo conosceva fin troppo bene da sapere che quando era così profondamente assorto nei propri pensieri era meglio non disturbarlo per nessun motivo.

-Matthew…-

Una voce lo strappò dai propri pensieri, portandolo a voltare la testa verso destra, dove in piedi accanto alla poltrona su cui era seduto, svettava lo zio Myc.

Matty lo fissò qualche istante, prima di rivolgergli un sorriso accennato.

-Va tutto bene?-domandò l’uomo aggirando con grazia la poltrona e andando a sedersi di fronte al bambino.

Questi annuì.

-Oggi sei stato piuttosto silenzioso-gli fece notare l’adulto-C ’è qualcosa che ti preoccupa?-

Matthew mantenne lo sguardo dello zio per qualche istante, riflettendo velocemente se metterlo a conoscenza dei propri pensieri, che quasi certamente l’uomo aveva già letto sul suo volto, oppure se negare tutto e bandire nuovamente quelle riflessioni dalla sua mente.

-Zio Myc…Cosa è successo a mio padre?-gli domandò iniziando tentennante il discorso.

Mycroft accavallò le gambe, per nulla turbato da quella domanda, consapevole che quel momento sarebbe arrivato prima o poi.

-Lo sai cosa gli è successo: sfortunatamente è morto quando tu ed Amelia avevate sei anni-gli rispose senza particolari inflessioni nella voce.

Il bambino fece un lieve cenno con il capo.

-Lo so, ma come?- chiese ancora.

-Cosa ti ha detto tuo padre al riguardo?-gli domandò a sua volta Mycroft.

Quell’argomento Sherlock era sempre stato un argomento delicato e pieno di insidie, sia per i bambini che per John, fin da quando il detective aveva sbattuto la porta in faccia al proprio compagno ed ai loro figli; le poche volte in cui Mycroft aveva provato ad iniziare una conversazione con John sul detective, i suoi tentativi si erano conclusi con un nulla di fatto.

Quella era la prima volta in cui Matthew ammetteva apertamente di pensare a suo padre, anche soltanto di sfuggita.

-Che era un detective e che stava combattendo contro un criminale quando è morto-riassunse brevemente Matty.

Mycroft annuì, chiaramente soddisfatto.

-Non avrei saputo dirlo meglio-rispose poi.

Matthew corrugò la fronte, allontanando lo sguardo dallo zio, ancora una volta incerto se parlare ancora o chiudere il discorso una volta per tutte.

C’era qualcosa in quella faccenda, a cui non riusciva a trovare una spiegazione, e malgrado avrebbe volentieri chiuso quel discorso per non aprirlo mai più, dimenticando suo padre e l’alone di mistero che la sua figura portava con sé, c’era quella sensazione alla base del cranio che non lo lasciava in pace.

-Cosa c’è? E’ successo qualcosa?-gli domandò ancora lo zio Mycroft, questa volta chiaramente preoccupato.

Matthew scosse la testa.

-Allora perché improvvisamente tutto questo interesse per tuo padre?-si sentì chiedere.

Lui non è mio padre!

-Perché non so nulla su di lui…E non mi piace non sapere le cose.

Tutto quello che avevo era una fotografia… Converrai con me che era l’indizio meno utile per conoscere una persona-si limitò a commentare.

-Sono certo che tuo padre sarà felice di rispondere alle tue domande…-disse il funzionario britannico dopo un brevissimo istante di silenzio.

Matthew scosse la testa prima di alzare nuovamente la testa ed incontrare il suo sguardo.

Non poteva parlarne con suo padre…

-Amava mio padre?-gli chiese lasciando vincere la curiosità.

-Sì…Molto-rispose Mycroft senza indugi.

Malgrado tutto quello che era successo, i continui sbagli e le parole piene di rabbia che i due uomini si erano urlati contro nel corso degli anni, Mycroft non aveva mai dubitato, neanche per un’istante della profondità di sentimenti di Sherlock.

-Papà ci ha detto che quando una coppia è innamorata, come te e lo zio Greg decide di Unirsi e qualche volta anche di sposarsi…

Anche loro erano Uniti,vero?-disse il bambino.

-Esatto-

-Perché allora se ne è andato?

Un’Omega sopravvive raramente senza il proprio Alpha, eppure lui è riuscito a vivere tranquillamente per anni prima della sua morte.

Io ed Amelia non lo abbiamo mai conosciuto…E’ stato per colpa nostra?-domandò ancora Matty, cercando di nascondere i propri timori nel tono fermo e deciso della propria voce.

Ma niente poteva sfuggire allo sguardo vigile di Mycroft Holmes a cui bastò un’occhiata per accorgersi di quanto fosse radicata nel bambino quella paura; in un gesto istintivo, Mycroft si sedette sul bracciolo della poltrona in cui era seduto Matty e gli posò un braccio sulle spalle.

-No, tu ed Amelia non siete la ragione per cui vostro padre se ne è andato-gli disse con voce ferma- Vostro padre era particolare e…-aggiunse.

-Non ci voleva-commentò il bambino fissando il vuoto davanti a sé.

Mycroft lo fece voltare verso di sé in modo da incontrare il suo sguardo e scosse la testa.

-Matthew…-iniziò.

-E’ così non è vero?-

-No.

Vostro padre vi amava molto…Ma amava di più il suo stile di vita e non era disposto a rinunciarci-spiegò l’uomo.

Neanche per amore dei suoi figli o per il suo Alpha…

Matty annuì lentamente, ancora confuso dalle nuove informazioni.

Organizzare tutte quelle nuove informazioni nel suo Palazzo Mentale avrebbe richiesto molto tempo.

-Questo è tutto quello che posso dirti sull’argomento, ma ti consiglio di parlarne con tuo padre se vuoi maggiori informazioni-gli disse in tono affettuoso.

Il bambino scosse nuovamente la testa.

-Non posso…Finirei per ferirlo-

Un sorriso leggero apparve sul volto dell’uomo prima che una carezza rassicurante gli stringesse la spalla sinistra.

-Potresti rimanere sorpreso, sai?Tuo padre è uno degli uomini più forti che abbia mai conosciuto.

Ed ora basta parlare di argomenti tristi, che ne dici di risollevarci il morale con una fetta di torta?-gli domandò alzandosi in piedi, chiudendo definitivamente l’argomento.

Matthew restò immobile per qualche istante, indeciso se seguire lo zio Mycroft oppure perdersi nuovamente nei propri pensieri, ma alla fine giunse alla conclusione che quella sera, senza l’aggiunta di maggiori informazioni non avrebbe raggiunto nessuna conclusione importante, quindi poteva smetterla di pensare all’Omega.

L’uomo non meritava tutta quella considerazione.

 

 

Fin dalla nascita Amelia Watson aveva sempre avuto due fardelli: essere l’unica donna in una grande famiglia di uomini ed essere la più piccola della famiglia.

Anche Martin, a soli quattro anni, si sentiva in dovere di proteggerla.

Ma fin da quando era bambina, Amy Watson si era assunta il compito di rallegrare le persone che le stavano intorno, soprattutto suo padre e suo fratello.

Per questo, da bambini, quando era apparso evidente che Matty non si sarebbe mai appassionato al football, si era seduta accanto a suo padre sul divano davanti alla partita per evitare che restasse deluso, finendo poi per appassionarsi a quello sport.

Era stata lei, e non Matty come credeva a tutt’oggi suo padre, a mandare in frantumi la foto sul camino che raffigurava l’ Omega che li aveva partoriti, perché sapeva che quella semplice foto non faceva altro che far nascere quesiti che sarebbero rimasti senza risposta nella mente di Matty e rendere triste suo padre al ricordo dell’uomo che li aveva abbandonati senza pensarci due volte.

Amelia Watson era stata la prima amica di suo fratello, pronto a difenderlo quando i bambini dell’asilo lo consideravano strano ed era stata sempre lei ad aiutarlo ad uscire dal suo guscio favorendo così le sue prime amicizie.

Sapeva quando Matty aveva bisogno di restare da solo con i propri pensieri e quando invece offrirgli il suo aiuto per lasciarlo sfogare e dirgli la sua opinione riguardo al problema che lo assillava.

Quando quella sera Matty si era seduto al pianoforte ed aveva iniziato a suonare “Rapsodia in Blu”, interrompendo poi la sinfonia bruscamente a metà perché incapace di concentrarsi, lei aveva capito subito che i pensieri nella sua mente erano diventati troppo rumorosi e che rischiavano di prendere il sopravvento sulla razionalità che da sempre guidava ogni mossa del ragazzo.

Le bastò un’occhiata per capire che anche suo padre si era accorto del problema, ma era evidente dall’espressione del suo volto che avrebbe aspettato che fosse Matty a farsi avanti per evitare di mostrarsi troppo apprensivo.

Meno male che lei non si poneva certi problemi…

-Che succede? E’ tutto il giorno che sei strano-gli domandò quando furono nella camera da letto che ancora condividevano.

Avevano finito di mettersi il pigiama, ma entrambi erano ancora seduti sul proprio letto, senza fare il minimo cenno a tornare al piano inferiore.

Matty restò in silenzio qualche istante, lo sguardo fisso sulla coperta che ricopriva il suo letto.

-Non riesco a smettere di pensare all’Omega-le disse senza incontrare il suo sguardo.

Amy aggrottò la fronte: aveva immaginato qualcosa di simile, ma non che l’Omega fosse diventata così importante per il fratello.

-Perché?-

-Non lo so!

E’ solo che non riesco a smettere di pensarci, di farmi delle domande…

Da quando questa mattina papà ci ha parlato del matrimonio degli zii continuo a chiedermi perché noi dobbiamo essere così diversi-le disse incontrando il suo sguardo.

Loro non affrontavano mai quell’argomento; a sei anni, di comune accordo avevano deciso di non fare più domande sull’Omega che li aveva partoriti: sapevano chi era, il suo nome, la sua professione, avevano anche scoperto cosa lo aveva lo portato al suicidio leggendo tutte le informazioni che avevano potuto trovare su internet.

Ma da quel momento avevano smesso di porre domande: se l’Omega aveva vissuto felice per tanti anni senza di loro, allora i due fratelli potevano vivere tranquillamente senza di lui.

Perché ora Matty sembrava ossessionato da quell’uomo?

-Noi non siamo diversi-ribatté prontamente Amy.

-Non essere stupida! Sai bene quanto me che alcuni ragazzi a scuola non ci parlano per via della nostra famiglia.

Tutto quello che abbiamo è papà, un Alpha…Non si è mai visto prima d’ora un Omega che abbandona i propri figli, va contro natura- le disse certo delle sue affermazioni.

Amy restò in silenzio, consapevole che il fratello non aveva ancora finito.

 -Poi ci sono lo e zio Myc e lo zio Greg, un altro Alpha ed un Omega, ma loro sono troppo diversi da noi e questo li esclude dall’essere i nostri genitori-le disse pensieroso.

-Credi che papà non sia il nostro vero padre?-chiese Amy, chiaramente scettica.

Nella loro Società era impensabile che un Alpha, con i suoi istinti territoriali e possessivi, accettasse i figli di un altro Alpha, non importa quanto potesse essere innamorato dell’Omega.

Matty scosse la testa in modo quasi frenetico.

-No, non intendevo questo… Tu sei identica a papà, quindi una parte del suo DNA deve essere per forza coinvolta…Almeno per quanto ti riguarda-aggiunse l’attimo dopo.

Amy scosse la testa, capendo finalmente il discorso del gemello.

-No-disse con quel tono categorico che la faceva assomigliare tanto al loro padre.

-Oh andiamo Amy guardami…

Non assomiglio affatto a papà, né nell’aspetto che nel comportamento.

Niente-ripeté con veemenza quasi volesse convincere entrambi.

-Allora tu cosa suggerisci?-gli chiese Amy- Pensi davvero che papà ti ha trovato all’uscita dell’ospedale e ha deciso di portarti a casa per il tuo bel faccino?-

Matty la fissò senza parlare, confermando così le sue assurde teorie.

-Ora sei tu ad essere ridicolo-commentò la ragazza.

-E’ l’unica possibilità-le rispose lui serio.

-Oppure potresti essere veramente mio figlio-s ’intromise una voce accanto alla porta della camera.

I gemelli si voltarono, chiaramente sorpresi e leggermente imbarazzati ad essere stati sorpresi durante quel discorso privato e “proibito”, verso la porta della loro stanza, dove appoggiato tranquillamente contro lo stipite della porta era fermo John, un’espressione seria e preoccupata in volto.

-Non siete mai così lenti nel tornare al piano di sotto dopo aver messo il pigiama-commentò, le braccia conserte contro il petto.

-Papà…-iniziò Amy, pronta a rimediare ai danni che quella conversazione poteva aver provocato involontariamente.

-Un’istante solo Amy-disse l’uomo avanzando lentamente nella stanza ed andando a sedersi sul letto della ragazza, lo sguardo fisso su Matty che per il momento rifiutava di incontrare i suoi occhi.

-Lo zio Myc mi ha chiamato e mi ha detto della vostra conversazione… Devo chiederti scusa Matty: avevo capito che avevi molte domande dopo la nostra conversazione di questa mattina, ed avevo pensato che fosse meglio lasciarti un po’ di tempo prima che fossi pronto a parlarne, ma non avevo considerato Mycroft e le informazioni che lui poteva darti-gli disse con voce calma.

Matty alzò lo sguardo finalmente incontrando quello del padre, senza trovarvi rabbia o rancore.

-Perciò ti chiedo scusa e sono pronto a rispondere a tutte le tue domande-disse con un sorriso rassicurante sulle labbra.

Il bambino annuì.

-Siamo davvero i tuoi figli?-gli chiese subito.

John annuì.

-Non ho il minimo dubbio al riguardo…Posso anche dirti il giorno esatto in cui  siete stati concepiti-rispose John senza indugi.

-Quando è successo?-domandò Amelia curiosa.

-Un pomeriggio freddo di Gennaio, credo fosse il secondo giorno dell’estro di vostro padre-rispose con un lieve sorriso ad incurvargli le labbra.

Matty fissò attentamente il volto di suo padre cercando ancora una volta le possibili somiglianze che erano così evidenti sul viso di sua sorella.

-Perché non ti assomiglio?-gli chiese.

-Tu ami la scienza Matty, sai bene quanto me come funziona la biologia: c’è il 50% di probabilità di avere due gemelli identici che assomigliano ad uno solo dei genitori, ed un 50% di probabilità che i bambini rassomiglino uno all’Alpha e l’altro all’Omega.

Con Amy i geni Watson hanno avuto la meglio, mentre con te i geni Holmes non hanno avuto nessuna concorrenza-rispose.

-Come è possibile? Io e lo zio Myc non ci assomigliamo per niente!-ribatté chiaramente poco convinto il ragazzo.

-Non è vero… Voi due avete la stessa intelligenza, la stessa struttura ossea, l’altezza.

Del resto, neanche tuo padre e Mycroft si assomigliavano molto e vedrai con il tempo assomiglierai sempre di più a tuo padre…Le somiglianze saranno davvero incredibili-commentò John osservandolo per un’istante senza vederlo.

Amy fissò l’espressione trasognata che era apparsa sul volto del padre al minimo accenno dell’Omega e per l’ennesima volta si chiese come facesse suo padre ad amarlo ancora malgrado gli anni e tutto quello che era successo fra di loro.

-Non voglio assomigliare a lui-disse Matty, un’espressione battagliera in volto.

A quelle parole John si riscosse e fissò Matthew con uno sguardo triste.

-Oh Matty…Tuo padre era un brav’uomo-gli disse.

-Non è vero-ribatté il ragazzo.

-Ha ragione lui papà- s’intromise Amy, attirando su di sé lo sguardo del padre.

-Amy…-

Forse era venuto il momento di affrontare quell’argomento una volta per tutte…

-Tu hai molti ricordi, invece noi non lo abbiamo mai conosciuto non abbiamo niente, soltanto i tuoi racconti e quelli degli zii…- disse lei dando manforte al fratello.

-Lui ci ha abbandonato! Come puoi dire che era un brav’uomo se non ci ha pensato neanche un’istante prima di voltare le spalle ed andarsene?

Era l’Omega ed avrebbe dovuto restare con noi…E’ scritto su tutti i libri di biologia umana che senza il collegamento empatico e fisico con la propria Omega, l’80% dei figli muore nelle prime settimane dall’abbandono.

 Avremmo potuto morire senza di lui eppure ha preferito il suo lavoro alla sua famiglia-aggiunse Matty dando voce ai pensieri che lo avevano tormentato tutto il giorno.

Quando finalmente i due ragazzi smisero di parlare, John si concesse un istante per organizzare i propri pensieri, affondando il viso nelle proprie mani, chiedendosi come aveva fatto a non accorgersi quello che preoccupava i suoi figli: da quanto tempo i gemelli provavano tanto risentimento verso Sherlock?

Come aveva fatto a non capire che malgrado i suoi sforzi l’assenza dell’Omega aveva pesato molto durante la loro crescita e ne aveva condizionato le interazioni sociali?

 Come poteva definirsi un buon padre se non si era accorto di nulla?

Dopo un prolungato silenzio, John tornò a posare lo sguardo sui propri figli, prendendo un respiro profondo prima di parlare nuovamente.

-E’ vero.

Lui era l’ Omega, ma incontrandolo per la prima volta avreste creduto di avere di fronte un Alpha.

Faceva di tutto per nascondere il suo Sesso, utilizzando degli inibitori dell’ odore e dell’ estro, era riuscito anche a mettere a punto uno spray per mascherare il suo odore chiaramente Omega trasformandolo in uno Alpha, convinto che lo avrebbe aiutato nel suo lavoro.

Vostro padre era un Omega ma prima di tutto, di me, della famiglia, della sua sicurezza e della sua salute, veniva il suo lavoro: non c’è niente che vostro padre amasse più del suo lavoro, dei suoi misteri e dei suoi puzzle-disse John, cercando di spiegare ai propri figli quella creatura meravigliosa e complicata che era sempre stata Sherlock Holmes.

Amy aggrottò la fronte.

-Non c’è niente che un’Omega ami più del proprio Alpha-commentò poco convinta.

John sorrise tristemente.

-Malgrado la nostra Unione, vostro padre diceva di essere “sposato con il suo lavoro”.

Il lavoro era la sua vita…Ed io l’ho sempre saputo.

Fin dal primo giorno, da quando ha inventato la sua carriera di consulente detective, ma mi sono innamorato lo stesso di lui, quindi forse un po’ di colpa ce l’ho anche io-commentò.

-Tu però sei rimasto-gli fece notare Matthew.

John alzò un sopracciglio, prima di allungare una mano ed affondarla nei riccioli folti del bambino in una carezza rassicurante.

-Certo che sì.

Non ho mai preso in considerazione la possibilità di scappare o di non avervi nella mia vita.

I miei istinti mi avrebbero distrutto nel giro di pochi giorni…-disse sincero.

Amy si avvicinò al padre sul letto finché non poté poggiare la testa sul suo avambraccio destro.

-Quindi ora capisci il nostro punto di vista…-gli disse in un sussurro.

E malgrado non gli piacesse ammetterlo e si sentisse parzialmente colpevole per come erano finite le cose, John capiva perfettamente i gemelli.

Senza parlare, Matty si alzò ed andò a sedersi sulle ginocchia del padre, la testa contro la sua spalla sinistra un gesto che faceva sempre più raramente ora che aveva undici anni e che dimostrava tutta la sua insicurezza ed il suo bisogno di conforto in quella situazione.

Respirando profondamente l’odore peculiare dei suoi figli, John chiuse gli occhi per qualche istante, cercando di trasmettere ai gemelli il proprio amore ed il proprio supporto per far capire ad entrambi che niente era cambiato, che i due ragazzi avevano ancora il tutto il suo amore incondizionato e la sua devozione.

Quando capì che l’atmosfera nella stanza si era rasserenata, John annuì prima di voltarsi leggermente verso Amelia.

-Non sapevo che anche tu la pensassi come Matty-le disse.

-Matty ha sempre dato voce ai sentimenti di entrambi-rispose la bambina guardandolo da sotto in su.

-Mi dispiace non averlo capito prima…Mi dispiace non essermi accorto di tante cose-disse ad entrambi.

-Va tutto bene papà…Sapevamo  che per te Lui era molto importante.

Però possiamo smettere di parlarne?

E’ assurdo pretendere che Lui faccia parte della nostra famiglia quando invece ci ha voltato le spalle alla prima occasione-disse Amy.

-Lui non ci ha mai voluto, perché dobbiamo continuare a piangere e rattristarci per la sua morte?-aggiunse Matty con lo stesso tono di voce.

John annuì lentamente.

-Ok, faremo come preferite.

Ma ad una condizione: voglio che mi promettiate che non appena c’è qualcosa che vi preoccupa, qualsiasi cosa, voi verrete da me e ne parleremo insieme, invece di ingigantire la questione come è successo adesso.

Ed io prometto che farò qualsiasi cosa per aiutarvi-

I gemelli si scambiarono uno sguardo e poi annuirono brevemente.

Il trio restò in quella posizione a lungo, bisognoso di affermare nuovamente il proprio Legame e di liberarsi una volta per tutte del fantasma di Sherlock.

Circondato dall’affetto dei propri figli, John si decise che era venuto anche per lui il momento di dimenticare e di andare avanti con la propria vita: Sherlock  era stato l’amore della sua vita, l’unica persona con cui avrebbe potuto passare il resto dei suoi giorni, ma malgrado sentisse ancora un Legame empatico con l’uomo nonostante tutti quegli anni di lontananza, se ne era andato.

Era venuto il momento di voltare pagina e dirgli addio una volta per sempre.

 

 

Negli ultimi trenta minuti, le telecamere che circondavano la sua proprietà avevano intercettato dei movimenti sospetti.

Mycroft conosceva benissimo l’identità dell’intruso.

Consapevole che sarebbe riuscito a gestire la situazione da solo, aveva richiamato il servizio di sicurezza e gli aveva ordinato di lasciar passare l’intruso, certo che questi avrebbe trovato la strada per il suo ufficio senza troppi problemi.

Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato. Erano settimane che lo aspettava e lo temeva allo stesso tempo.

Le telecamere in giro per Londra avevano intercettato la figura di Sherlock Holmes negli ultimi trenta giorni, inizialmente a zonzo per le strade della città vestito come uno dei suoi amati senzatetto; poi nel corso delle settimane aveva abbandonato i suoi travestimenti ed aveva ripreso, per la prima volta in tre anni, i suoi abiti firmati, trovandosi sempre più spesso nei pressi di Baker St.

Le guardie che controllavano l’Abercorn School avevano notato la sua presenza, ma si erano trattenute dall’intervenire in quanto Sherlock non aveva fatto il minimo accenno ad avvicinarsi a John o ai bambini, limitandosi a guardarli da lontano.

Ed ora, la sua presenza lì, a quell’ora tarda, poteva voler dire soltanto una cosa.

Sherlock Holmes era tornato.

Finalmente la porta del suo studio si aprì e Mycroft, senza allontanare lo sguardo dal proprio portatile, la sentì richiudersi con delicatezza.

-Mi sembra di ricordare che nostra madre ti abbia insegnato le buone maniere fratellino caro-gli disse salvando il documento su cui stava lavorando.

-Devo averle cancellate per far spazio a qualche informazione più importante fratello caro-rispose la voce calma e profonda.

Chiudendo con la mano destra il portatile, Mycroft alzò gli occhi sul fratello ancora fermo davanti alla porta.

Tre anni d’esilio ed in continuo assetto da combattimento avevano avuto il proprio peso su Sherlock: l’uomo era decisamente sottopeso, il grasso corporeo rimasto sostituito dai muscoli da cui pendeva un completo di ottimo taglio, ma chiaramente vecchio di quattro anni, delle occhiaie profonde facevano da contorno a due occhi tormentati ed in continuo movimento; i capelli ricci erano stati decolorati in una sfumatura castana e mentre di solito erano tenuti sotto controllo da creme e prodotti ora erano liberi e decisamente arruffati, dandogli l’aria di un pulcino bagnato.

L’uomo respirava faticosamente, il che avrebbe potuto far pensare ad una leggera apprensione per quell’incontro, ma Sherlock aveva smesso di aver paura di lui da quando aveva sei anni, quindi doveva esserci almeno una costola rotta e non curata.

Concludendo il suo veloce assestamento, Mycroft si lasciò andare contro l’alto schienale della sedia e accavallò le lunghe gambe, incontrando nuovamente gli occhi di ghiaccio del fratello.

-Finalmente ce l’hai fatta a farti vivo…E’ da una settimana che aspetto la tua visita-disse con un tono leggermente annoiato.

Sherlock raddrizzò le spalle e si mosse nell’ufficio con velocità e grazia fino a raggiungere una delle sedie di fronte alla scrivania.

-Ed io che pensavo di essere riuscito ad evadere la tua sorveglianza-commentò.

-Devo dedurre che tutto si è concluso nel migliore dei modi-disse Mycroft deciso a restare su argomenti “professionali”.

Sapeva qual era il vero motivo della sua visita, ma non gli avrebbe reso la vita facile: poche volte nella sua vita, Mycroft aveva avuto l’enorme potere di poter rinfacciare qualcosa al suo caro fratellino ed ora, che Sherlock si trovava lì per elemosinare il suo aiuto, l’uomo si sarebbe goduto quella sensazione fino all’ultimo.

-Hai saputo che tutto si è concluso nel migliore dei modi nel momento in cui gli idioti di cui ti circondi hanno trovato il cadavere di Moran.

La rete criminale di Moriarty è stata completamente distrutta ed il mio lavoro è finalmente terminato-rispose l’altro, arrogante come al solito.

Mycroft annuì leggermente.

-Devi sentirti così orgoglioso di te stesso in questo momento-commentò.

Sherlock alzò le spalle.

-Un po’-ammise, senza falsa modestia.

Non era cosa da poco smascherare e distruggere completamente da solo un cartello criminale radicato talmente in profondità da avere succursali in tre diversi continenti e centinaia di “impiegati”.

I due fratelli si fissarono per qualche secondo in silenzio, entrambi consapevoli di quello che sarebbe successo di lì a poco, ma tutti e due bisognosi di qualche ulteriore istante di pace prima dell’inevitabile lite che sarebbe scoppiata di lì a poco.

-C’è un ulteriore motivo per cui sei piombato in casa mia senza farti annunciare?-chiese Mycroft unendo le dita delle mani e portandole a poca distanza dalla bocca.

-Non posso semplicemente sentire la tua mancanza fratello caro?-

Un’espressione dura apparve all’istante sul volto del funzionario britannico, chiaramente poco incline ad ulteriori tentennamenti.

-Non abbiamo mai sentito il bisogno di fare conversazioni inutili, vuoi davvero cominciare ora?

Perché sei qui?-gli domandò nuovamente.

Un’espressione altrettanto seria apparve sul volto di Sherlock.

-Sai perché sono qui-si limitò a rispondere.

-Naturalmente.

E posso dirti fin da ora che per quanto mi riguarda puoi anche uscire da quella porta e sparire nel buio della notte-rispose subito l’altro.

-Voglio tornare a Londra e far sapere a tutti che sono ancora vivo.

E voglio vedere John-continuò imperturbato il più piccolo degli Holmes.

Mycroft annuì lentamente, come se stesse considerando quella possibilità.

-Sono certo che ti accoglierà con le lacrime agli occhi ed un grande abbraccio dopo undici anni-

-Voglio conoscere i miei figli-aggiunse Sherlock.

Una risatina sarcastica riecheggiò nella stanza, mentre un sorriso amaro incurvava le labbra di Mycroft.

-Sono di John-gli fece notare.

-Sono anche figli miei-ribatté Sherlock prontamente.

-No, non lo sono!-disse l’altro alzando leggermente la voce- Te ne sei andato quando avevano soltanto due mesi…Non hai nessun diritto su di loro.

Non ti conoscono, non sanno neanche il tuo nome.

Credi davvero che ti accoglierebbero con amore se domani ti presentassi alla loro porta?-chiese Mycroft cercando di controllare la propria irritazione ed i propri istinti Alpha.

Mycroft Holmes e molti Alpha del suo circolo avevano una grande ammirazione per John Watson: nessuno prima d’ora era riuscito nell’arduo compito di crescere dei figli completamente da solo senza la propria Omega, o senza sceglierne un’altra che lo “completasse”, dando il meglio di sé malgrado i propri istinti.

L’idea che Sherlock adesso potesse rovinare la tranquillità che John ed i bambini avevano raggiunto soltanto per soddisfare un proprio capriccio lo rendeva furioso.

L’istante dopo, consapevole di essere vicino a perdere il controllo, Mycroft prese un respiro profondo e allontanò lo sguardo dal volto dell’altro.

-Per una volta nella tua vita, fa la cosa più giusta e lasciali in pace-aggiunse l’attimo dopo.

Sherlock restò in silenzio qualche istante, prima che Mycroft lo sentisse prendere un respiro profondo preparandosi a parlare di nuovo.

-Non posso.

Devo conoscerli.

Tutte le mattine aspetto che escano di casa per poter cogliere anche solo pochi sguardi…Adoro vederli insieme, il modo in cui sembrano integrarsi perfettamente l’uno all’altro ed ora che sono al sicuro voglio far parte della loro vita.

Voglio conoscerli…Sapere cosa amano, cosa odiano…Dannazione! Sono il loro Omega!-esclamò alla fine.

-Te ne ricordi soltanto adesso?-gli domandò Mycroft concedendogli uno sguardo freddo.

Frustrato Sherlock scattò in piedi, voltandogli per qualche istante le spalle prima di tornare a fulminarlo con lo sguardo.

-Mycroft…Non ti ho mai chiesto nulla…-disse Sherlock terribilmente vicino a supplicare per la prima volta in decenni.

-Eccetto aiutarti nel tuo piano e mantenere il tuo dannato segreto!-gli fece notare l’altro-Hai una vaga idea di quello che succederà quando Greg e John scopriranno il mio coinvolgimento nella tua finta morte?-

-Era la mia unica possibilità e tu lo sai…-rispose prontamente il moro, una mano fra i riccioli ribelli, prima di puntare un dito verso il fratello- Come ti sentiresti se Greg non ti permettesse di vedere Martin?-gli chiese.

Il viso di Mycroft si trasformò in una maschera imperturbabile, combattendo contro i propri istinti che chiedevano a gran voce una punizione per l’Omega insolente: Sherlock non aveva nessun diritto di tirare in ballo la sua famiglia.

-Non parlare di cose che non puoi capire fratellino caro…-disse soltanto.

Svuotato da ogni istinto battagliero, Sherlock si lasciò cadere sulla poltrona.

-Ho bisogno del tuo aiuto-disse nuovamente mettendo da parte il proprio orgoglio.

Mycroft lo fissò attentamente per qualche istante: era evidente che Sherlock fosse sincero, che volesse davvero instaurare un rapporto con i gemelli e soprattutto che volesse rincontrare John… Ma quanto sarebbe durato quel desiderio?

Quante ore, giorni, mesi prima che qualche crimine, puzzle o delle stupide ceneri di tabacco distraessero la sua attenzione portandolo ad allontanarsi nuovamente dai gemelli e da John?

Cosa sarebbe successo se malauguratamente le sue aspettative non fossero state soddisfatte?

Se si fosse sentito ancora una volta soffocare e avesse sentito il bisogno di scappare per l’ennesima volta?

La famiglia Watson aveva faticato molto per raggiungere il proprio equilibrio e per la prima volta nella vita, Mycroft doveva anteporre il bene di qualcun altro a quello di Sherlock.

-Lo so…Ma non posso aiutarti questa volta Sherlock.

Non distruggerò il fragile equilibrio che John ed i bambini hanno raggiunto soltanto perché hai deciso di giocare alla famiglia felice… Che succederà quando cambierai idea un’altra volta?-gli domandò fissandolo con aria severa.

-Non cambierò idea. Non questa volta-rispose prontamente l’altro.

Mycroft atteggiò il volto in un’espressione felice.

-E’ meraviglioso… Sarà meglio chiamare John quanto prima per dargli la bella notizia cosicché possa stendere il tappeto rosso-lo canzonò.

-Non prendermi in giro-disse Sherlock fra i denti, chiaramente irritato.

-Non ne ho alcun bisogno…Stai facendo un ottimo lavoro da solo- disse sporgendosi leggermente verso di lui sul piano della scrivania- Puoi raccontarti tutte le bugie che preferisci, qualsiasi cosa ti aiuti a dormire la notte, ma tu ed io sappiamo che è stata la noia a farti abbandonare la tua famiglia, molti anni prima di Moriarty ed i suoi giochetti, quindi preferisco morire piuttosto che permetterti di avvicinarti ai tuoi figli soltanto per ferirli un’altra volta-disse in un sibilo minaccioso.

Sherlock fissò il fratello per qualche istante, percependo i feromoni Alpha che avevano iniziato ad impregnare la stanza e che riaffermavano l’autorità di suo fratello e conferivano un velo di minaccia alle sue parole.

-Quindi non  vuoi aiutarmi…-commentò per nulla turbato.

Mycroft tornò a sedersi comodamente sulla propria sedia, le mani pigramente abbandonate sul grembo.

-Ti aiuterò a tornare nel mondo dei vivi, ma ti suggerisco vivamente di lasciarli in pace.

Con la mia autorità Alpha e di fratello maggiore ti proibisco di contattare John o di avvicinarti ai bambini-disse in tono perentorio e chiudendo definitivamente il discorso.

Un lieve tremore attraversò la schiena di Sherlock a quell’ordine, ma fortunatamente il tremore alle ginocchia e l’impulso di obbedire all’ ordine dell’ Alpha erano svaniti molti anni prima.

-Interessante…-disse alzandosi in piedi, un sorriso ironico sulle labbra-Peccato che tu non sia il mio Alpha…E della tua autorità di fratello non so che farmene.

Come sempre è stato un piacere fratello caro-lo salutò voltandogli le spalle e uscendo pochi attimi dopo dallo studio.

 

 

Era cominciato tutto con un messaggio, come tante volte era capitato in passato.

Dopo aver messo a letto i gemelli, John era tornato in salotto sedendosi sulla sua vecchia poltrona, una bottiglia di whiskey sistemata accanto a sé per dare il proprio addio a Sherlock.

Avrebbe dovuto farlo molti anni prima ed andare avanti con la propria vita, ma non era mai riuscito a liberarsi dalla sensazione che malgrado la morte il Legame con Sherlock non si era mai interrotto, rendendo impensabile l’idea di cercare un nuovo Omega.

Aveva chiuso gli occhi e si era abbandonato ai ricordi, desiderando per un’istante di poter cancellare dal proprio hard-drive i ricordi più dolorosi e anche quelli più emozionanti e felici in modo da dimenticare più facilmente l’uomo con cui aveva sperato di condividere il resto della sua vita.

Dopo il primo bicchiere, per evitare di cadere nella tristezza e nell’ autocommiserazione, aveva acceso la televisione e aveva iniziato a fare zapping fra i canali senza concentrare la propria attenzione su nessun programma in particolare.

Fu in quel momento che il suo cellulare, lasciato sul pianoforte di Matthew, vibrò.

Il primo istinto fu di lasciare il cellulare sul pianoforte, leggendolo l’indomani mattina, ma alla fine la curiosità ebbe la meglio, portandolo ad alzarsi in piedi e ad avvicinarsi al piano.

Il numero era sconosciuto, ma non appena diede un’occhiata alle parole sullo schermo, John si sentì gelare.

Senza troppi giri di parole: non sono morto. -SH

Una mano scattò contro il pianoforte per supportare il suo peso, mentre il suo cervello sembrò scollegarsi per alcuni istanti.

Era impossibile.

Sherlock era morto…Greg lo aveva cadere dal tetto del Barts e non gli avrebbe mai mentito per tutti quegli anni, non dopo essergli stato accanto nei primi giorni dopo l’accaduto.

Respirando profondamente, John cercò di calmarsi, le dita serrate attorno al proprio cellulare.

Non poteva permettere ad un perfetto estraneo di sconvolgerlo in quel modo soltanto per farsi una risata alle sue spalle: Sherlock era morto e non poteva riaprire quel capitolo proprio adesso che aveva deciso di voltare pagina una volta per tutte.

Non so chi tu sia, ma questo è uno scherzo di pessimo gusto: Sherlock Holmes è morto. –JW

Con le gambe ancora tremanti si avvicinò nuovamente alla propria poltrona e si versò un nuovo bicchiere di whiskey, bevendolo poi tutto d’un fiato.

In quei brevi istanti di “normalità”, John si convinse che si era trattato davvero di uno scherzo di pessimo gusto; nonostante fossero passati anni dalla morte di Sherlock c’era ancora gente che si sentiva in dovere di esprimere il proprio parere al riguardo, fosse questo positivo o negativo.

Nessuno però fino a quel momento era riuscito a trovare il suo numero privato; doveva parlarne con Mycroft in modo che potesse prendere provvedimenti contro l’anonimo mittente.

Il suo cellulare vibrò nuovamente e prima che se ne rendesse conto, John aveva già alzato il cellulare vicino al viso ed aveva aperto il nuovo messaggio.

Oh John…E’ la mia prolungata assenza che ti ha reso così stupido? –SH

Che faccia tosta!

Un occhio meno attento lo avrebbe potuto scambiare per l’originale… Sicuramente conosceva le caratteristiche basilari del comportamento di Sherlock, ma chiunque fosse stato a contatto con il detective per cinque minuti sapeva che l’uomo considerava ogni persona che lo circondava uno stupido.

Sherlock Holmes non sarebbe qui a scrivermi…E lui sa perché –JW

Vediamo se questo fosse stato sufficiente a farlo smettere.

Non erano passati neanche trenta secondi prima che il suo cellulare vibrò di nuovo.

Vuoi ancora diventare vecchio con me nella nostra casa nel Surrey? –SH

Oh Cazzo…

Nessuno era a conoscenza di quel particolare: in quel momento c’erano solo lui e Sherlock.

Possibile che…

Oh Sherlock… Come hai potuto prendermi in giro ancora una volta?

Riprendendo il controllo di sé, John prese un respiro profondo e compose un veloce messaggio di risposta prima di abbandonare il cellulare sul tavolino da tea.

Sherlock Holmes è morto. Dimenticati questo numero –JW

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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