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Autore: _lawliet_    17/06/2008    2 recensioni
Ecco qui la mia prima fanfiction a più di una puntata. Mi sono concentrato su una delle cose più belle di Naruto, l'Akatsuki. Questo è l'incontro di Hidan con Kakuzu e la formazione del loro "team degli zombie". Buona lettura! “Tsk, fosse per me ti avrei già fatto fuori, anche perché a quanto ne so sulla tua testa c’è una taglia molto alta, ma ho ordini precisi, per cui vedi di non farmi innervosire, se ci tieni a vivere”. “Oh! Non potevi dire cose più lontana dalla verità, credimi. Io non ci tengo a vivere, anzi, vorrei proprio morire”. “Mi piacerebbe accontentarti, ma non posso proprio. Ucciderti per me è solo una questione di bilancio, e purtroppo, ora come ora, vali più da vivo. Mi limiterò a darti una lezione”.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akatsuki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo si fece in poco tempo sempre più nuvoloso. Rapide folate di vento accarezzavano i due ninja con dolci pennellate, e l’ondeggiare dei panneggi che coprivano le loro figure assorte, sibilando riempiva il lungo silenzio che seguì alle loro minacce. Si studiarono a lungo, con lo stesso disprezzo negli occhi di chi sa già di aver vinto e, sostenendosi lo sguardo a vicenda, parevano essere infastiditi  dalla noia che scaturiva dal constatarlo.
L’alta falce a tre lame che Hidan stringeva nella mano destra compì un mezzo cerchio che da terra la portò sino a sfiorare con una delle sue punte il giovane viso. “Mi basterà solo una goccia del tuo sangue!”, disse.
Dentro di loro ardeva lo stesso fuoco, la stessa convinzione di essere il peggior nemico che potesse capitare all’altro. Due fiamme, l’una sinuosa e ingrossata dal vento, l’altra nervosa e irrequieta che estendeva le sue lingue taglienti verso l’alto, diversissime tra loro, ma che traevano alimento dallo stessa fonte: la Morte. Porre fine alla vita di qualcuno dava loro una sensazione inappagabile di godimento, un compiacimento profondo di se stessi che li proiettava in alto, al di fuori della cerchia dei mortali, padroni incontrastati di un Olimpo macchiato di sangue. Partecipare della distruzione della vita, procedimento tanto affascinante da superare di gran lunga quello della creazione. Distintamente, nelle loro menti senza tempo, quei due covavano a loro modo una terribile vocazione: L’uno essere strumento di Dio, l’altro divenirne il sostituto.
Hidan rimase dentro l’orrendo disegno che aveva tracciato precedentemente, e  scagliò con decisione la propria arma, tenendola ben stretta tra le mani per via di una catena che la prolungava, ma il suo colpo sembrava non puntare dritto verso l’obiettivo: la lentezza e la direzione del colpo tradiva quasi l’intenzione di colpirlo di striscio, su una parte non vitale del corpo come poteva essere un braccio, un attacco facile da evitare per un ninja.
L’uomo rimase immobile. Le tre lame colpirono in pieno la spalla sinistra, una dopo l’altra, tranciando di netto l’intero braccio, che cadde pesantemente per terra assieme alla falce.
Le nuvole si raddensarono facendosi sempre più nere e minacciose. Mentre il colore del cielo sembrava tener fede all’atmosfera di morte che si creò quasi miracolosamente attorno ai due ninja, il vento ormai forte piegava a tempo i rami degli alberi, costringendoli a una macabra danza propiziatoria.
“E’ fatta!” gridò forte Hidan mentre raccoglieva a sé l’arma. I suoi occhi spiritati lo rendevano terrificante allo sguardo di chiunque, sebbene non sortissero alcun effetto al suo avversario.
“Di grazia, quale uomo ha l’onore di diventare il prossimo sacrificio per Janshin, mio signore e padrone?!”, sogghignò.
“Il mio nome è Kakuzu, e tu sei ridicolo”. La risposta fu secca e infastidita, come se la sua mente, impenetrabile come il suo volto, pensasse a qualcos’altro. Nonostante una parte del suo corpo si fosse staccata di netto poco prima, egli stava effettivamente pensando a qualcos’altro. Non si curava di essere ferito, del vento forte, del combattimento. Il suo sguardo oltrepassava la figura del giovane che aveva davanti,  il suo pensiero andava ai soldi, alle taglie che doveva riscuotere, all’organizzazione del denaro. Gli piaceva contarlo, guardarlo, sentirlo scivolare lentamente tra le mani, ma sopra ogni altra cosa, ciò che gli dava una sensazione inebriante era sapere che a  fargli guadagnare quel denaro era la pratica che più amava, quella per la quale viveva. Uccidere. 
Dopo aver inferto il colpo, avidamente Hidan sollevò la falce, avvicinando la più alta delle lame a sé; tirò fuori la lingua e, fissando dritto negli occhi la sua preda, leccò ciò che sporcava la lama fino all’attaccatura del manico. “Sei mio”.
Solo in quel momento nell’espressione di Kakuzu si ebbe un impercettibile cambiamento. Egli rimase colpito nel vedere come improvvisamente la sicurezza che poco prima albergava negli occhi del suo avversario scomparve di colpo, a conferma di una scioccante scoperta. 
Non era sangue quello sulla lama.
Erano fili, neri, di chakra.
  
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