Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Muni    16/02/2014    0 recensioni
"L’essere umano è una creatura molto particolare. È un animale, mammifero, che ha avuto la capacità di espandersi in ogni parte del globo. Certi lo definiscono la creatura più intelligente del pianeta, ma d'altronde, quei “certi” sono sempre esseri umani.
Non si può negare che l’essere umano sia considerato tra i più intelligenti per via della propria inventiva. Il suo attaccamento alla vita, così breve nell’arco dell’intera Esistenza, lo porta ad ideazioni sempre più eclatanti, a scoprire nuove forme di conoscenza. All’essere umano piace sfruttare la propria mente; per creare, per distruggere, per far felici i propri simili, per mentire.
Tra tutti gli animali è davvero una delle creature più strambe. Tra di loro esistono esemplari fantasiosi cui piace immaginare che l’universo sia pieno di creature aliene, che provengono da molto lontano.
Sarebbe tutto più semplice, se anziché guardare oltre, si soffermassero su quello che hanno vicino: quel qualcosa che passa loro accanto, continuamente, e che dimenticano di vedere.
"
Genere: Commedia, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 
XVIII
 
Amul le faceva girare la testa ogni passo sempre di più. Sentiva le dita formicolarle continuamente e il cuore battere più in fretta.
Sapeva che anche Stephan e Aaron non erano a loro agio, ma non mostravano segni di confusione com’era per lei.
Anche le gemelle erano turbate, Suzette più di Sarah.
Sembrava di vivere dentro un sogno molto realistico, tra navi volanti e città galleggianti in un cielo rosso. Avevano raggiunto un nuovo luogo, un’isola sospesa nell’aria, con un mare blu a circondarla che ricadeva nelle terre di sotto come pioggia. Dai paesi sottostanti era simile a una nuvola piovosa, ma raggiungendola dall’alto era un isola con un vulcano al centro.
Amul, le spiegò Keishan, era una terra informe ed era possibile trasformarla con la sola capacità della mente. Non tutti erano in grado di farlo, certo, ma chi aveva questo dono era chiamato “plasmatore”.
« Sono quattro i popoli che abitano su Amul: i Plasmatori, i Zitani, gli Elven e i Temporali. I primi plasmano la materia, gli Zitani sono come Jacques, vivono in comunione con gli spiriti e hanno gli occhi dorati. Gli Elven sono come Koen e i Temporali… »
« …Come Jean. » Concluse lei. « Sigismond… »
« Cosa? »
« Sigisimond ha gli occhi dorati. Significa che è un Zitano? »
Keishan la guardò confusa, poi le strinse la mano. « Hai paura che si possa trovare qui? Non dovrebbe essere contro la sua religione un luogo come questo? »
« Non lo so, ho solo paura. Su Terra avevo paura degli uomini e del cambiamento, del futuro. Qui invece ho paura del mio passato di quello di Aaron. Ho paura per le mie figlie. »
Forse era giunto solo il momento di andarsene, le disse la sua mente. Avevano vissuto a lungo, molto più di qualunque uomo o donna, probabilmente era il destino a dire che era sufficiente così, suggeriva loro di arrendersi alla corrente.
Ma no.
Quello era il pensiero dei codardi: guardò le sue bambine e i suoi uomini. Guardò Keishan. Non aveva importanza quali sfide avrebbero dovuto affrontare, non avrebbe permesso a nessuno di strapparle la sua famiglia. Non al fantasma di quel prete che la perseguitava sin dalla sua più giovane età, non alle rivoluzioni dei mortali e neanche a quel mondo di colori e magia.
L’isola di Jean era un piccolo angolo di paradiso intrappolato in un tempo impreciso. Ed era pieno di bambini con cui Suzette e Sarah si divertirono subito a giocare. Poteva essere un luogo sicuro, per ora.
Chloe non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato dal loro arrivo in quel luogo. Giorni? Settimane, mesi? Oppure soltanto poche ore?
Non sembrava esserci un sole soltanto con cui contare il tempo, tutto era sempre diverso. Jean aveva cercato di spiegarglielo, durante i sette anni in cui era rimasto con lei e Keishan, ma non era stata in grado di comprendere. Ora poteva.
Le gemelle sembravano capire quel mondo meglio di lei, soprattutto Zette, cui il padre insegnò a cacciare e combattere, per quanto piccola potesse essere. E poi cominciò a plasmare. Le veniva naturale come respirare, mentre Sarah si dimostrò capace di spostare gli oggetti con la sola forza di volontà. Era Amul che le stava cambiando oppure quella era la loro natura? In fondo lei, Chloe, che cos’era?
Clothilde capelli di fiamme, la figlia delle streghe.
Si trovò a formulare questo pensiero con i piedi nudi immersi nella battigia di una spiaggia, la mente che la trascinava indietro nel suo passato. I capelli le erano ricresciuti lunghi. Quanto tempo era passato? L’acqua azzurra di quel mare impossibile le bagnava i piedi, il vento le scompigliava la chioma. Guardò le onde rifrangersi sulla spiaggia bianca e poi le fissò alzarsi verso l’alto. Un’altra se stessa fatta d’acqua nacque dal nulla, crescendo di fronte a lei. Alzò la mano per incontrare quella del suo riflesso d’acqua e intrecciarono le dita, per quanto non potesse davvero stringere l’acqua.
« Clothilde capelli di fiamme. » Sussurrò al proprio riflesso d’acqua. « La figlia delle streghe. »
Niente più bambini a cantare quella canzoncina deridendola, tirandole pietre e spingendola nel fango. Nessun uomo a guardarla come se incarnasse ogni male del mondo nel proprio corpo, tra le proprie gambe.
L’acqua le era affine. Come aveva fatto a non rendersene conto, per tutti quegli anni? Il braccio della sua copia d’acqua si sciolse, iniziando a risalire lungo la sua pelle, come se l’altra se stessa l’abbracciasse. Poi tutto tornò a essere solo acqua.
Il cielo si piegò su se stesso e ne uscì una figura vestita di nero. Volto magro e affilato, capelli scuri e unti pettinati all’indietro, occhi del colore delle stelle. Sentì una fitta alla schiena, sulla scapola. Ricordava quel dolore: il marchio di fuoco. Un giglio. Il suo fiore preferito, il simbolo della sua forza, la rappresentazione del momento in cui aveva capito che non si sarebbe mai arresa. Il nome di sua figlia.
Quasi le sembrò di ricordare l’odore nauseabondo delle prigioni, il dolore della carne ferita per le torture. E poi il sorriso di un uomo, un uomo dagli occhi color del miele.
« Così giovane, così fragile e costretta in catene come una bestia. »
« Una bestia è ciò che sono. Ma voi sorridete, non avete paura di morire? »
« Io non intendo morire oggi. Né domani né il giorno dopo ancora. Devo incontrare qualcuno. »
Ricordò il calore delle sue parole, il modo con cui era riuscito a farle smettere di avere paura. Il coraggio che le aveva regalato assieme ai primi gesti gentili della sua vita.
« Ma se dovessi morire? Se moriremo, vorrei almeno sapere il vostro nome. »
« Seth, come il dio della tempesta. Qual è il vostro? »
« Clothilde. Clothilde, la figlia delle streghe. »
« Un nome che evoca brutti ricordi? Come il mio. Forse dovremmo rinascere assieme. » Ricordò che avevano intrecciato le dita, attraverso le sbarre. Lui era stato marchiato alla base del collo, con lo stesso giglio che le bruciava la scapola. « Chloe ti piace? È il nome di una ninfa e uno dei tanti nomi della dea Demetra. Significa “erba verde appena rinata”. Sei appena un germoglio e non permetterò che ti estirpino prima che tu possa diventare un fiore. »
« Chloe… » aveva provato un sentimento indescrivibile, in quel momento. Era stato il giorno in cui era nata davvero.
« Trova un nome per me. »
« Io non so tante cose come voi. Non so dire cose intelligenti e belle. »
« Non importa. Qualunque nome andrà bene, Chloe. »
Si era alzato in piedi. Era quasi nudo e ne poteva scorgere le spalle ampie. Le era sembrato così forte, così giusto.
« Io… Ja… Jacques. Vi piace? È… è il nome di due apostoli. Mi piaceva sentirne il suono durante la predica del parroco. »
« Un nome cristiano? » Ricordò la sua risata. « Sì, mi piace. Jacques. Lo sai che uno dei nomi con cui venivano chiamati lui e il fratello è “figli del tuono”? Molto appropriato davvero. Ora alzati Chloe.  »
Le aveva offerto la sua mano tra le sbarre. Ricordò i suoi occhi cominciare a brillare al buio come quelli dei gatti. Per un attimo aveva pensato che forse era un demone e che voleva salvarla perché era la figlia di Satana. Poi lui le aveva chiesto: « Ti fidi di me? »
« Clothilde, Chlothilde, la figlia delle streghe. » la voce dell’uomo fece partire un brivido dalla base della testa lungo tutta la spina dorsale. « Ero sicuro che prima o poi non avresti saputo resistere al richiamo del male. Esso dimora in te, Clothilde. »
« Il mio nome è Chloe. »
« Può chiamarti come vuoi, non cambierà quello che sei, meretrice del demonio. »
Sigismond compì un passo in sua direzione, ma lei non indietreggiò.
« Per essere un uomo di chiesa ti sei spinto troppo oltre. Attraversare i mondi non è forse lo stesso tipo di magia contro cui combatti con tutte le tue forze? »
« Conosco i miei peccati, sgualdrina, e Dio mi punirà per essi. Ma prima di poter tornare al mio Creatore gli devo il sangue di voi bestie immonde. Non potrò aver pace sinché anche uno soltanto di voi continuerà a respirare. »
« Dovresti bruciare l’intera Amul. »
« Così sia. Ma comincerò con te, Clothilde. »
« Come mi hai trovata? »
Lo vide inspirare l’aria attorno a loro e sentì il marchio bruciarle sulla schiena, tanto che si costrinse a stringere i denti. « Seguendo il tuo fetore demoniaco. Non è sempre facile,  ma il Signore mi ha donato un potere superiore per stanarvi. Come si chiamava la bestia cui ti accompagnavi? Il bastardo gitano. »
« …Jacques? » la voce le tremò appena.
« Jacques. Già. » Sputò sulla sabbia. « Il solo pronunciarne il nome è come una bestemmia. » sfilò una catena con una palla chiodata alla fine di un’estremità e iniziò a rotearla nell’aria. « Ho provato un piacere estremo a strappargli il cuore dal petto. Non vedo l’ora di poterti riservare lo stesso trattamento. »
Sgranò gli occhi. Era morto? Aveva smesso di scrivere lettere perché era morto? Non lo avrebbe mai più rivisto?
Sei appena un germoglio e non permetterò che ti estirpino prima che tu possa diventare un fiore.
Iniziò a urlare, scagliandosi contro di lui. Afferrò la catena che roteava contro di lui e la usò per strattonarlo e disarmarlo. La volta si scurì sempre di più, coperta da nuvole. Dei tuoni squarciarono il cielo, dal mare iniziarono a salire vortici d’acqua e vento. Sentì nel petto la furia di un uragano scuoterla, possederla e finì con il cavalcarla, scontrandosi con l’uomo che aveva rovinato la sua giovane vita, il mostro che aveva temuto per secoli.
Era la Kair di Stephan e Aaron, la madre dei loro figli. Avrebbe combattuto per loro, sapeva di poterlo fare. Per la sua famiglia.
Per Jacques.
Un tuono esplose in tutto il suo fragore a pochi passi da loro.
« E ancora ti ritieni innocente, strega? »
« L’innocenza l’ho perduta il giorno in cui mi hai trascinata in quel tribunale. Aspetta e vedrai il momento in cui questa strega ti farà sparire dalla faccia di ogni mondo. »
« Mamma? » Quella voce la fece distrarre abbastanza da permettere a Sigismond di colpirla e farla volare a diversi metri di distanza, sulla sabbia bagnata. Si rese conto che stava piovendo, ma non importava. Gli occhi blu di sua figlia catturarono ogni sua attenzione.
« Zette! Non puoi restare qui! Corri via, torna a casa! » urlò a sua figlia, mentre Sigismond esplose in una risata.
« Una figlia! Sembra che la mia sacra missione non avrà mai fine. Vieni qui, bambina. » la sua voce si era fatta suadente e ipnotica, rivolta alla piccola.
L’istinto di madre la fece scattare in piedi ancora una volta. « Non toccherai mia figlia! »
In un attimo lui le fu accanto e sentì qualcosa fermarle il respiro, mentre le sue labbra si appoggiarono accanto al suo orecchio e poté sentire il suo fiato sulla pelle.
« Voglio proprio vedere come riuscirai a fermarmi, Clothilde. »
Le sfilò una lama dal petto e la guardò dall’alto mentre cadeva a terra, stringendo la ferita con le mani.
Suzette urlò.
« Non toccare mia figlia! » sentiva le lacrime salirle agli occhi, mentre le forze scemavano.
Sigismond la superò, lasciandola in una pozza del suo stesso sangue, lavato via dalla pioggia che continuava a cadere incessante. Suzette sgranò gli occhi nel vedere quel grande uomo nero dirigersi verso di lei.
Ma non la raggiunse mai: come una bestia qualcosa si avventò sull’inquisitore, gettandolo lontano. Sentì un ruggito, rumori di lotta. Faticava a respirare, ma cercò di mettersi in ginocchio, mentre sua figlia la raggiungeva per abbracciarla.
« Mamma, non piangere. Ci sono qui io. Papà Aaron sta combattendo contro l’uomo cattivo. Papà Stephan sta arrivando. Guarda. Lo vedi? »
Stephan accorse trafelato, sconvolto da quello che stava accadendo. La tempesta, vederla ferita, vedere Aaron impegnarsi nello scontro.
« Prendi Chloe e Suzette andate via! » urlò il principe.
Stephan era combattuto. Avrebbe voluto correre ad aiutare il loro kair, ma sapeva che non poteva lasciarla lì. La raggiunse e l’aiutò ad alzarsi in piedi.
« Ti ha ferita. » lei gli si appoggiò contro.
« Ha ucciso Jacques. » non riuscì a trattenere le lacrime.
Stephan sgranò gli occhi e guardò Aaron con evidente panico negli occhi. Poi però la prese in braccio, baciandole la fronte fredda. Sentiva le forze allontanarsi sempre di più.
« Zette, seguimi. Dobbiamo andare via in fretta. »
« Ma papà Aaron… »
« Tuo padre se la caverà! » Gridò, conscio lui stesso del pericolo che stava invece affrontando l’uomo che amavano.
Iniziarono a muoversi verso la foresta al confine della spiaggia, quando Jean comparve dinanzi a loro, stracciando la realtà come se fosse carta.
« Vi hanno trovato! L’isola non potrà più proteggervi, nessun posto è sicuro, su Amul. Dovete tornare su… Chloe! » Gridò il bambino, afferrandole la mano, agitato. Poi posò gli occhi sulla sua ferita e allungò la mano in sua direzione. « Ho fermato il sangue. Non scorrerà più. Sta a te vivere e ti prego, mamma Chloe… ti prego, vivi. » la implorò il bambino.
« Keishan e Sarah? » si trovò però a chiedere lei, con il fiato corto.
Jean non rispose, li afferrò e li risucchiò con sé dentro la sua casa. Una casa costruita dentro un enorme albero. Se Stephan non l’avesse tenuta in braccio, avrebbe perso i sensi e lui stesso vacillò dopo il cambio repentino di luogo. L’appoggiò su di una sedia, mentre Jean afferrava Richard per un braccio.
« Ho bisogno di te come tramite dall’altro lato. » ordinò il bambino all’Elven, che fino a quel momento aveva cercato di tenere calma Sarah, che non riusciva a smettere di piangere. « Vi aprirò un varco. Dovete andare in fretta, perché siete in molti e non potrò tenerlo aperto a lungo. »
« Dov’è mio fratello? » Urlò Keishan.
« Si sta battendo per farci guadagnare tempo. »
« Midhec. » A parlare fu Catreo, un uomo più alto persino di Stephan, dalla pelle scura e i tratti degli africani. « Non posso trattenere a lungo gli uomini di Kornil. Falli fuggire più rapidamente possibile. Dov’è Atlas? »
« Sulla spiaggia. »
Catreo annuì e uscì dalla casa nell’albero senza dire nessun altra parola, con una tale decisione negli occhi neri che nessuno sarebbe stato in grado di fermarlo neanche volendo.
Stephan voleva seguirlo, Chloe lo sapeva. Gli appoggiò una mano sul cuore.
« Vai… »
« Non ti lascio sola. »
« Se succedesse qualcosa ad Aaron non potrei mai perdonarmelo. Sigismond è venuto qui per me. » Sentì un groppo alla gola. « Se gli succedesse… sarebbe… sarebbe colpa mia. Ti prego, vai. »
Stephan era colmo di indecisione e paura. Gli afferrò il volto e lo baciò.
« Vai. » ordinò, questa volta.
« Non morire. »
Gli sorrise. « Mai, senza i miei kair. »
Stephan corse fuori così come aveva fatto Catreo. Jean e Richard stavano cercando di aprire un portale per Terra. Sembrava un impegno difficoltoso per entrambi. Vide le gemelle una accanto all’altra stringersi la mano, spaventate.
Poi Keishan le si avvicinò e l’aiutò ad alzarsi. La sua sola vicinanza la fece sentire più forte.
« Vivrai. »
« Certo che vivrò. »
Guardò gli occhi della sua dolce amica, sapendo nel profondo del cuore che l’amava come amava suo fratello. Era così volubile da provare i medesimi sentimenti per tre diverse persone? Si sentì terribilmente stanca e Keishan le prese il volto per baciarla. E con quel bacio, sentì il sapore del suo sangue sulle labbra. « Non ti permetterò di morire. »
Sentiva il potere dei Ravsaim dentro di sé iniziare a guarire la ferita, mentre il varco veniva ultimato. Jean si accasciò a terra, stravolto.
« Dovete andare. » Mormorò, pallido in volto. Richard era svanito: il tramite dall’altro lato. Avrebbero dovuto raggiungerlo.
Keishan annuì e guardò verso di lei.
« Riesci a muoverti? »
Annuì. Le forze stavano tornando. Si mosse verso le due bambine, che la guardavano spaventate.
« Morirai, mamma? »
« Non ci penso nemmeno. » Strinse i denti e si avvicinò al portale. « Ricordate il momento in cui abbiamo saltato dentro l’albero. Sarà simile a questo. »
In quel momento Stephan rientrò dentro la casa nell’albero e guardò verso di lei. Non ebbe bisogno di spiegarsi, sapeva il motivo della sua scelta. Era lo stesso che la spingeva a restare in piedi nonostante il dolore incessante al petto. Si mosse verso le gemelle e prese in braccio Sarah e Suzette per mano.
« Andiamo insieme. » Affermò risoluto e si trovò a sorridergli, sbuffando appena.
« Ti amo. »
« Ti amo anche io. »
Stephan attraversò il portale con le bambine e lei si avvicinò per fare lo stesso. Keishan attraversò il portale l’istante prima che un nuovo squarcio si spalancasse là dove si trovava e Aaron venne sbattuto contro una parete. Era bagnato fradicio, ansimante e macchiato di sangue. Le ferite, però, sembravano essere già guarite.
Sigismond si ergeva dall’altro capo della stanza, con una lama in pugno.
« Ecco il covo del demonio. »
Lo vide sorridere e puntarla verso Aaron. Non come una spada, però, ma come un’arma da fuoco. Capì come avrebbe dovuto agire ancor prima di pensarci: scattò di lato e si mise di fronte a lui. Il proiettile la attraversò come se fosse stata inconsistente.
« Non pensavo che mi avresti facilitato il compito, Clothilde. »
Sentì le gambe cedere e si voltò lentamente per vedere Aaron, che stringeva la mano al petto, sul cuore. Lo stesso proiettile che aveva colpito lei aveva raggiunto anche lui.
Allungò la mano verso di lui e il suo principe fece lo stesso. Si sfiorarono appena le dita, sentendo il varco sotto di loro. La realtà che li circondava iniziò a sfaldarsi, mentre si trovavano in parte su Amul e in parte su Terra.
Non mi importa cosa accadrà domani. Io sarò sempre al tuo fianco, Aiki.
Sentì questo pensiero echeggiare nella propria testa e in quella di Aaron, risuonando mentre la punta delle loro dita si incontrava.
Ti proteggerò al costo della vita.
Oltre Aaron vide Keishan e poi Stephan con le bambine. Suzette correva verso di lei e avrebbe voluto gridarle di fermarsi e tornare indietro. Si lasciò andare, convinta di raggiungere Terra, dove avrebbe affidato la propria vita alle scelte di Dio.
Ma Dio aveva un altro piano e un altro favorito.
Sigismond l’afferrò per i capelli trascinandola indietro, di nuovo su Amul. Smise di vedere Aaron e Stephan e sentì la lama del bastardo premuta contro la gola.
« Lo senti il calore delle fiamme dell’inferno che si avvicinano, strega? »
Cercò di divincolarsi, ma non era forte abbastanza. Vide Jean issarsi in piedi e cercare di muoversi verso di loro.
Poi tutto fu più confuso. Cadde a terra, sentì rumori di lotta. Grida di ordini.
« Chiudi il varco, Midhec! » Una voce profonda. Rumori. Oggetti che vengono infranti.
« Non fate fuggire il Temporale. » Una voce sconosciuta. Iniziò a sentire freddo.
« Mamma! Mamma, apri gli occhi. Mamma, aprili! »
Riuscì appena a schiuderli. La vista era offuscata, ma riuscì a scorgere due occhi blu. Cercò di sorriderle, per dirle che andava tutto bene. Ma in realtà le forze la stavano abbandonando. Non avrebbe voluto smettere di lottare, non voleva essere la bambina codarda che aveva accettato ciecamente un destino di morte per mano dell’inquisizione. Voleva essere una guerriera al pari dei suoi kair. Si disse che doveva alzarsi e proteggere la propria bambina.
Ma il suo corpo non era forte come il suo animo. Chiuse gli occhi, lo fece solo per un momento, per riprendere le forze. E non riuscì più a riaprirli.
 
IXX
 
Era cominciato tutto con un temporale.
Non avrebbe saputo dire cosa era seguito dopo i primi rombi di tuono.
Ricordava la pioggia e ricordava che Aaron era corso via per combattere. Era stato più veloce di lui, lo aveva lasciato indietro. A Stephan era toccato il compito di proteggere Chloe e le bambine. Era stato tutto simile a un incubo di quelli in cui si deve continuamente fuggire senza essere mai in salvo.
Era stato divorato dalla preoccupazione per la sorte di Aaron e al contempo, nonostante si fosse già messo a correre per raggiungerlo, non aveva potuto abbandonare Chloe. Era tornato indietro per lei e per le bambine, perché doveva proteggere loro anzitutto.
E invece non era stato in grado di proteggere nessuno.
Era stato debole. Incapace. Troppo lento. Non era neanche riuscito a tenere per mano una bambina.
In appena un secondo aveva perduto ogni cosa. Si guardò la mano che aveva stretto quella di Suzette fino a pochi istanti prima. Vuota.
Vuota.
Si era voltato e in un attimo aveva visto Suzette sparire oltre il varco dove Aaron e Chloe si trovavano, a metà tra le due dimensioni. La sua bambina era sparita. Sua moglie era sparita. E Aaron…
« Stephan, ho bisogno che tu mi dia una mano. Ti prego, reagisci! »
La voce di Richard era tanto lontana che riusciva a malapena a udirla. Mosse appena un passo, ma finì con il cadere in ginocchio.
« Aaron? »
Non sapeva neanche dove si trovavano. Usciti dal varco non c’era stato tempo di pensare. Non c’era stato il tempo di reagire quando il varco si era chiuso, senza che Chloe e Suzette potessero oltrepassarlo. Anche Jean era rimasto dall’altro lato. Avevano solo dovuto correre, veloci, perché non potessero venire seguiti. Aaron aveva perso i sensi per il colpo, lo aveva portato in braccio Richard mentre lui trasportava Sarah.
Non si era reso conto di come fossero arrivati nella stanza dove si trovavano ora. L’unica cosa che sapeva era che non era riuscito a fare nulla e ancora adesso non reagiva.
Richard urlava ordini e Madaleine cercava come poteva di seguirli. Lui si trovava a terra, paralizzato. A scuoterlo fu il pianto di Sarah in un angolo. La raggiunse carponi e la strinse a sé, cercando di proteggerla da tutto con le sole braccia, per quanto si rendesse perfettamente conto di quanto stessero tremando. Non fece altro. Non era in grado di fare altro.
Si riscosse soltanto quando Richard gli appoggiò la mano sulla spalla, cosa che lo fece sobbalzare.
« Ho fatto tutto quello che ho potuto. » Non gli rispose. Non disse niente. « Sarah, vieni con me. »
La bambina obbedì con una certa riluttanza e lui si trovò da solo. Non si mosse ancora per molto, ma poi si costrinse a raggiungere il letto dove si trovava Aaron per sedere al suo capezzale. Era pallido e respirava appena. Il suo petto era stato fasciato e si alzava e abbassava lento. Allungò la mano verso la sua e la prese tra le proprie.
« Ti ho deluso, vero? Avevi riposto in me la tua fiducia e non sono stato in grado di… non… » Scosse la testa e l’abbassò, non avendo il coraggio di guardarlo in faccia. « Cosa ti dirò quando riaprirai gli occhi? Chloe… e… Zette… » Deglutì. « …Jacques… »
Serrò le labbra e inspirò. Non se la sentì di dire più nulla, appoggiò la testa vicino al suo corpo e chiuse gli occhi. Decise di aspettare.
Aspettare faceva male perché ogni secondo che passava gli ricordava che non era stato in grado di fare nulla. Era rimasto inerte a guardare morire sua moglie davanti ai suoi occhi. Aveva perso sua figlia e ora… Aaron non si svegliava. Respirava, era vivo, ma non si svegliava.
Non se la sentì di mangiare, non voleva mangiare finché non avesse sentito ancora la voce di Aaron. Almeno lui.
« Dovrai uscire da qui, prima o poi. » mormorò Madaleine appoggiandogli le mani sulle spalle.
« Non appena riprenderà i sensi. »
« Stephan sono tre giorni che non mangi. »
Si voltò a guardarla e vide che aveva gli occhi rossi. Si fissarono per un po’, senza parlare. Non esistevano parole per poter esprimere quello che sentivano, era troppo grande, troppo… troppo.
Madaleine si sedette sulle sue ginocchia e lo abbracciò stretto. Lo strinse forte e si lasciò di nuovo sconvolgere dai singhiozzi, che cercò di soffocare nascondendo il volto sul suo petto. Per un istante, un rapido istante, gli parve di vedere Chloe di fronte a sé. Guardava Madaleine e cercava di sfiorarla, ma senza poterla toccare davvero. Il fantasma si dissolse così come era comparso, effimero come fumo. Alzò lentamente le braccia e circondò il corpo sottile di Madaleine, sentendo le sue lacrime bagnargli le vesti. Guardò Aaron esanime sul letto e ancora il punto dove aveva scorto Chloe. All’improvviso gli fu chiaro che in quell’abbraccio condividevano lo stesso identico dolore. Come aveva fatto a non rendersi conto di quanto Madaleine amasse la Chloe che avevano entrambi perduto? Di quanto anche lei si sentisse impotente di fronte a quanto era appena accaduto. Il senso di colpa che provava lui, distruggeva anche lei allo stesso modo.
« Dimmi che si sveglierà. » sussurrò tra i sussurri « Dimmi che almeno mio fratello tornerà da me. »
Affondò le dita tra i capelli morbidi della ragazza, guardando il suo kair disteso al loro fianco.
« Apri gli occhi, Aaron. Abbiamo bisogno di te. »
Quella notte dormì al fianco di sua cognata, sul pavimento accanto al giaciglio del suo kair. Nei suoi sogni erano ancora tutti insieme nella loro villa francese. Ogni mattina da quel giorno in poi si svegliò con un groppo alla gola mentre le felici immagini della notte venivano rimpiazzate dal silenzio del mondo reale.
Aaron non si svegliò neanche una volta.
 
XX
 
« Hai finito il turno? Ti va una birra? »
« Oh, sì, ti prego. Ieri il detective non ha potuto fare a meno di tenerci svegli tutta la notte, per il caso Roberts. »
« Da quanto non dormi, Ghilbert? »
« A volte mi sembra da una vita. »
Uscirono dalla centrale con gli abiti civili e presero l’auto personale di Freeman per raggiungere un pub in una zona più tranquilla. Andavano sempre lì quando staccavano il turno e potevano godersi un po’ di tempo libero. C’era buona musica e trasmettevano le partite di rugby. L’ideale per rilassarsi dopo una giornata di lavoro impegnativa. O due di seguito, come nel suo caso.
« …E alla fine – ci puoi credere – si è alzata la gonna e stava senza mutande. Pluf, così, effetto “ecco a voi il grande spettacolo”. Io non lo so che hanno in testa certe donne. Comunque l’ho ammanettata e trascinata dentro in ogni caso. Ci penseranno gli stronzi della buoncostume. »
Stephan rise, prendendo un sorso di birra.
« Le cose più assurde capitano tutte a te. »
« Oh, no. Non lo hai sentito Carl O’Connor, quello del quinto distretto? Sono sicuro che se lo vedi te lo ricordi: bassetto, un po’ di pancia, sui cinquanta. Non riusciresti a trovargli un capello neanche se il detective Cherry ordinasse una ricerca approfondita a tutta la scientifica. »
« Sì, ho presente O’Connor. »
« Ottimo. Carl ci ha raccontato di una cosa assurda successa a Cardiff. Non hai sentito parlare del video? »
« Quale video? »
« Il video. » Spiegò l’amico, finendo la seconda pinta di birra e alzando una mano per richiamare l’attenzione di una cameriera per poterne avere una terza. « Una roba successa tipo una settimana fa. Non so che diavolo di squinternato stronzetto ha ripreso un qualcosa che è diventato un fenomeno della rete in pochi minuti. E cosa succede? Nel giro di un’ora si trovano l’esercito per tutta Cardiff, nemmeno fosse la nuova Roswell. I servizi segreti sequestrano il sequestrabile  e fanno un casino pazzesco. E mettono a tacere tutto. »
« Tacere cosa? »
« Alieni, Ghilbert. Alieni. »
« Oh, ti prego, non prendermi per il culo. »
« Sono serio! Non li guardi i notiziari? I fottuti cerchi nel grano e tutto il resto? »
« Ti sembro il genere di idiota che crede a queste stronzate? »
Risero entrambi e Freeman lasciò perdere il discorso, tornando ai soliti pettegolezzi da caserma tipici del loro distretto. Freeman poteva parlarne per ore, era tanto informato che Stephan si era spesso domandato se non nascondesse delle cimici in giro per la centrale.
A un tratto qualcuno di non troppo aggraziato prese una sedia e si aggiunse al loro tavolo, sedendosi al contrario: appoggiando le braccia allo schienale e “cavalcando” la sedia. Una ragazza.
« Ehi, sei ubriaca, ragazzina? »
« No. Sono qui per parlare con lui. Però una pinta me la faccio volentieri, cazzo. »
« …La conosci, Ghilbert? »
Stephan rimase a fissarla, bocca semi spalancata, la pinta mezza vuota in mano. Capelli tagliati sotto l’orecchio scalati, rossi, due occhi neri e profondi e quel maledetto sorrisetto saccente che la faceva somigliare così tanto a suo padre. Aveva cominciato a somigliargli crescendo, durante l’adolescenza. Era stato come una pugnalata vedere in sua figlia i volti di Chloe e Aaron così evidenti, marcarsi ogni giorno di più. E come l’aveva amata, per lo stesso motivo, la sua bambina.
« Sarah… »
« Ti trovo bene, vecchio. È parecchio che non ci si vede. » solito sorrisetto, mentre masticava una chewing-gum senza preoccuparsi troppo di tenere chiusa la bocca.
« È la tua ex? » Si trovò a domandare istintivamente Freeman, e lui scosse la testa disgustato alla sola ipotesi.
« No, certo che no. Lei è mia… »
« Sorella minore. » Tagliò corto Sarah. « Ti spiacerebbe lasciarci soli un poco? Io e Steph non ci vediamo da un pezzo. Serio. Insomma, puoi andare a prendermi una birra. Giuro che sono maggiorenne, sbirro. »
« Sarah… »
« Non fare il rompicoglioni, Steph. »
Le crisi adolescenziali di ribellione erano saltate fuori durante gli anni cinquanta, nel dopoguerra, anche se già durante la seconda metà dell’ottocento aveva il vizio di frequentare le suffragette. Gli anni sessanta l’avevano vista marciare in testa a manifestazioni femministe, orgogliosa nell’indossare solo i pantaloni e arrestata due volte per essere andata in giro in topless. Negli anni settanta aveva giocato a fare la figlia dei fiori con Richard, come naturale conseguenza.
« Fai quello che ti pare. » Non ci sarebbero state speranze di convincerla a fare qualunque altra cosa in ogni caso.
« Va bene, andiamo a prendere una birra per la nostra signorina Ghilbert. Cristo, Stephan, ti conosco da quattro anni e non avevo idea che avessi una sorella. Pure parecchio carina, devo dire. »
« Fila, Freeman, e levale gli occhi di dosso. Rapidamente. »
« Sei divertente, versione fratello maggiore, agente. » rise il collega allontanandosi, dando loro un attimo di tregua. Per qualche istante si sentì soltanto Sarah masticare il suo chewing-gum.
« …Papà, dovresti fartene una ragione, ormai: voglio dire, ho duecentovent’anni. Ho superato la parte della bambina innocente da un paio di secoli. »
« Non me lo ricordare. Stai ancora con quel tale? Quel… come si chiamava? »
« Non lo so. Sono stata con diversi “tali” nell’ultimo periodo: dipende da quello che intendi. »
« Cambiamo argomento. »
« Hai cominciato tu. »
« Cosa ci fai qui? »
« “Ciao Sarah, tesoro mio, è da un sacco che non ci vediamo, mi sei mancata, che hai fatto di bello in questi anni”? »
« Sarah… »
« Ho capito, ho capito. Che vecchio impaziente. Lo sai, eri più divertente quando negli anni cinquanta stavi in fissa con quell’italiana con la fissa del paranormale. Si chiamava… »
« Sarah! »
La vide scoppiare a ridere e dare un’occhiata a Freeman. « Il tuo amico ha un bel culo. » poi tornò a guardare lui. « E noi abbiamo un problema. »
Alla prima affermazione, stava per urlarle dietro, ma alla seconda si trovò spiazzato.
« Cosa? Che genere di problema? »
« Il genere di problema con i capelli biondi, alto più o meno così. » Mimò un’altezza variabile attorno al metro e cinquanta.
« Jean? »
« Tombola. »
« Cos’è successo? »
« Ricordi Jack? Il pirata che lavora per Kornil. O come diavolo si fa chiamare ora… Nicodemus? Che nome del cazzo. »
« Non sembri troppo preoccupata, quindi immagino che Jean stia bene. Qual è il problema, allora? »
« Jean, stare bene? Non ne ho idea. Ha ben pensato di fare un salto. E ha pensato di farlo davanti alle telecamere di tutto il mondo. Sentito parlare di quello che è successo a Cardiff? »
Per un istante non rischiò di perdere il bicchiere e farlo scivolare a terra. Decise di scolarne l’intero contenuto e alzarsi in piedi, infilandosi la giacca.
« Jean è andato su Amul? »
« Lo escludo. È tipo pluri ricercato da quelle parti, ora come ora. Ho telefonato a Victor e Archie. Nessuno lo ha visto. Ti sono ronzata attorno tutto oggi e ho capito che non è venuto neanche da te. Questo significa che ha fatto un salto parecchio lungo e non lo vedremo prima di un po’. Ovvero abbiamo tempo di prepararci. Dobbiamo organizzare un porto sicuro perché non possano rintracciare il suo portale. »
Annuì e guardò Freeman vicino al bancone. Gli fece cenno di doversene andare e per qualche secondo discussero a gesti. Dopo pochi minuti furono fuori dal locale.
« Freeman mi parlava di un video riguardo qualcosa successo a Cardiff. È il qualcosa che penso? »
« Già. Questo significa che abbiamo addosso i servizi segreti, l’esercito, la S.P.R. e Dio sa cos’altro. Probabilmente anche i “cacciatori di vampiri” e come minimo anche quell’altra stronza oltreoceano, la Kav. »
« Fantastico. Provo a entrare nel database alla centrale per vedere se riesco a recuperare qualche dato. »
« Ricorda di stare attento all’Oracolo, se ci sgama è un casino. » Ora che erano fuori, Sarah si accese una sigaretta.
« Non dovresti fumare. »
« Non scassare le palle, genitore part time. C’è un’altra cosa che credo dovresti sapere. »
La guardò con aria interrogativa, mentre lei espirava la prima boccata di fumo.
« Nel video Jean stava parlando con qualcuno. Non ho idea di che trip si fosse fatto, ma le sue parole sono state “non posso crederci, sei tornato”. »
Stephan si bloccò in mezzo alla strada e Sarah lo attese qualche passo più avanti.
« Già. Come pensavo anche io. » Prese una boccata di fumo. « Parlava di mio padre Aaron, vero? »
Per un attimo ebbe la netta impressione che il proprio cuore avesse smesso di battere, ma subito dopo lo sentì martellare nelle orecchie.
« Non… no. Riccardo ci avrebbe chiamato. Gli hai telefonato? »
« Neanche per idea. Ti sei perso la parte in cui abbiamo tutto il fottuto mondo addosso? Se quell’idiota di Jean ha fatto la follia di andare da Riccardo e se Aaron è davvero tornato, l’ultima cosa che dobbiamo fare è cercare di contattarlo. »
« Ma… »
« Stephan, ragiona, ti prego! Io non me lo ricordo neanche com’era, ma mi ricordo come sei stato tu dopo che la mamma e Zette sono morte e lui… lui quasi. » Gli si avvicinò decisa, fermandosi a un passo da lui. « Ricorda quello che mi hai sempre detto, cos’è la cosa più importante. »
« La famiglia. »
« Esatto. La famiglia. Dobbiamo creare un porto sicuro per Jean. Andiamo da mio fratello. »
Si trovò a serrare i pugni, cercando di soffocare il tumulto di emozioni che lo invase. Aaron era tornato? Oppure era solo un’illusione? L’unico modo per avere la sua risposta era seguire il consiglio della figlia. Avrebbe dovuto chiamare la centrale per le ferie che aveva accumulato. Prenotare un aereo per Praga.
Rimandò ogni paranoia, ogni preoccupazione, ogni tormento. A volte, prima di addormentarsi, rievocava il volto del suo kair. Quanti decenni aveva passato al suo fianco, seppur non facesse altro che dormire? Il suo principe dormiente, come in quella sciocca favola per bambini, con una ragazza punta da un fuso.
Victor fece il suo lavoro per aiutarli a organizzarsi contro le forze di Amul. Aveva perso il suo ruolo di sovrintendente e si era trovato a doversi reinventare su Terra tanto quanto loro quando aveva dovuto scegliere tra salvare la vita di Catreo e restare al suo posto. Avevano costruito una rete di supporto per tutti gli Aioni d’Europa, in parte anche grazie alla S.P.R., una società che era stata aperta ad aiutarli per decenni, in segreto.
Tutto era pronto, ma di Jean nessuna notizia per giorni. Settimane.
Fino a che un tardo pomeriggio, mentre si trovava dentro una stanza a giocare a carte con Arcadius, il Temporale non si riversò dentro la sala principale  del palazzo sotterraneo che usavano come rifugio sicuro.
Sia lui che l’amico balzarono in piedi nel sentire delle urla provenire da oltre le mura. Superarono una porta e li videro.
Jean. Un ragazzo con i capelli rossi.
Aaron.
~~~

Finito. 
Ho deciso di riunire tutto questo pezzo finale perché, beh... racchiude una certa intensità (almeno per me) e credo vada letto tutto assieme. 
Inizialmente ero indecisa se pubblicare o meno questo lungo flashback. Ci sono alcuni temi che tratta che vanno un po' oltre la storyline principale, si citano personaggi ed eventi che non sono sicura verranno considerati nel "presente". Inoltre teoricamente è stata scritta più per me, per chiarirmi le idee sulle relazioni tra i personaggi, che per essere letta da qualcun altro. Però devo dire che sono molto affezionata a questo pezzo e quindi mi fa piacere condividerlo, ci sono dei passaggi cui tengo moltissimo e soprattutto tutto il lato introspettivo che coinvolge il personaggio di Stephan è qualcosa che ritengo valga la pena di essere letta. 
Purtroppo sono un po' indietro con la scrittura del seguito della storia principale, mi scuso con chi mi sta seguendo, non ho moltissimo tempo da dedicarvi e a volte anche l'ispirazione fa le sue bizze (maledetti blocchi degli scrittori). Doveste nel frattempo aver voglia di scrivermi un piccolo feedback, commenti, consigli, domande, qualcosa... >.< mi renderebbe molto felice! Ho sempre ansia da prestazione (?), io. 

Muni
  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Muni