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Autore: Letz    18/02/2014    3 recensioni
Grantaire non è esattamente quello che si definirebbe un ragazzo facile. I suoi zii, decisamente esasperati dai suoi comportamenti da ribelle, decidono di mandarlo a studiare al prestigioso collegio Valjean nella speranza che un po' di disciplina riesca a raddrizzarlo. Ce la farà Grantaire a sopravvivere all'anno scolastico? Ma soprattutto, riuscirà a sopravvivere ai suoi assurdi compagni di scuola che lo obbligheranno a unirsi al club di teatro e a recitare in "Romeo e Giulietta"?
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questa mia seconda storia si accompagna ad un ringraziamento speciale a Icharus_ che per prima ha recensito "La giacca rossa" e che mi ha convinto a pubblicare anche questa storia. 




Romeo e Giulietta



 
Quella scuola puzzava di ricchezza lontano dieci chilometri, si disse Grantaire. Di certo al collegio Valjean non si arrivava per caso: ci volevano selezioni piuttosto dure e un sostanzioso conto in banca. Per la centesima volta quella mattina si chiese cosa diavolo ci facesse lui lì. Non era ricco e nemmeno troppo intelligente, quindi i suoi zii dovevano avere davvero un buon aggancio lì dentro per riuscire a fare ammettere un disadattato come lui in uno dei cinque migliori collegi di Francia.
“Signor Grantaire, il preside Valjean è pronto a riceverla”, gli comunicò la procace segretaria cercando invano di non fissare i suoi bicipiti coperti di tatuaggi. Un sorriso sarcastico affiorò sulle labbra del ragazzo: Eponine aveva ragione, il suo aspetto faceva sempre un certo effetto alle donne.
L’ufficio del direttore sembrava provenire da un altro secolo –diciannovesimo a giudicare dallo stile dei mobili e dei quadri- pieno com’era di legno, velluto e libri antichi. Grantaire aspirò a pieni polmoni quel sottile odore di carta antica e affumicato. Forse la sua permanenza al Valjean non sarebbe stata così terribile come temeva.
Il preside era un tipo alto e piuttosto ben piantato, con i capelli più sale che pepe. Aveva decisamente l’aria di uno che ha passato la sua vita a sporcarsi le mani, piuttosto che ad ammuffire in un ufficio o dietro una cattedra; uno di quelli che sanno benissimo cos’è una rissa e la sensazione che dà il tirare un pugno ad uno sconosciuto. Grantaire si chiese come avesse fatto a finire un tipo del genere a dirigere una scuola d’élite.
“Signor Grantaire, vorrei rapidamente illustrarle le regole di questa scuola e chiarirle la mia decisione di ammetterla in questo istituto. I suoi zii sono miei conoscenti di vecchia data e siamo rimasti in contatto per molti anni dopo la fine dell’università. Essendo molto preoccupati per i suoi comportamenti autodistruttivi”, e il preside lanciò un’occhiata penetrante ai suoi tatuaggi, “e per i suoi ripetuti fallimenti scolastici hanno deciso di chiedere il mio intervento. Lei si trova qui a titolo fondamentalmente gratuito. Quando il mio bisnonno fondò questa scuola lo fece con l’intento di dare una solida istruzione ai ragazzi più disagiati di Parigi. Si renderà certamente conto che le cose sono un po’ cambiate da allora”, e qui Valjean si concesse un sorrisetto ironico, “ma, in memoria di questo spirito, ho voluto accoglierla nella nostra famiglia. I suoi doveri sono semplici: diplomarsi quest’anno e con la sufficienza in tutte le materie. Per quanto riguarda le regole…questo è un collegio signor Grantaire. Lei vivrà qui in modo permanente durante tutta la durata dell’anno scolastico. Le è permesso uscire, naturalmente in compagnia dei suoi compagni, per due sere alla settimana: venerdì e sabato. La giornata della domenica è libera e potrà impiegare come meglio crede il suo tempo. È assolutamente proibito dormire fuori o introdurre qualcuno nel dormitorio. Né donne né uomini signor Grantaire, lo ricordi bene”, e l’occhiata che Valjean gli lanciò gli fece immediatamente capire che i suoi zii dovevano aver vuotato TUTTO il sacco.
“Credo che sia tutto. Dimenticavo, dovrà prendere parte all’attività di un club se vuole diplomarsi. E su questo non voglio sentire obiezioni. Se ha bisogno di qualsiasi altra informazione di rivolga pure al signor Combeferre. So che siete piuttosto amici”, disse il preside senza nemmeno guardarlo. Il colloquio era decisamente finito.
 
~
 
Grantaire e Combeferre si conoscevano da circa sei mesi, ovvero da quando quest’ultimo aveva iniziato ad uscire con Eponine. Ogni volta che lo vedeva Grantaire non poteva fare a meno di domandarsi cosa la sua migliore amica, forse persino più anticonvenzionale di lui, trovasse di tanto irresistibile in quel tizio con gli occhiali e con la faccia da nerd. Di quelli che guardano The Big Bang Theory per intenderci. Ma quando lo conoscevi meglio Combeferre si rivelava un vulcano di idee, una più strampalata dell’altra. Dopotutto, era venuta a lui l’idea travestirsi da Sailor Moon a Carnevale e di coltivare, grazie alle sue conoscenze botaniche, una pianta di marjiuana sul balcone di ‘Ponine. Grantaire aveva dovuto riconoscere che la sua migliore amica sapeva sceglierseli bene gli uomini. Sperava che tra loro durasse, dato che lui la rendeva così felice.
“Chi si rivede! Quella vecchia spugna di Taire”, grido Combeferre abbracciandolo.
“Vedo che porti ancora a spasso quella brutta faccia ‘Ferre”, ridacchiò il moro abbracciandolo a sua volta.
“Un po’ di tempo in questo posto non potrà che farti bene amico. Dacci nove mesi e sarai diventato un vero gentiluomo”.
“Un damerino impagliato che come te apre le portiere alle donne? Mai nella mia vita”, sghignazzò Grantaire. “Non mi avrete mai, voi avidi borghesi. Piuttosto che preoccuparti dei miei modi pensa ai capelli della tua ragazza”.
“Oh mio dio non dirmi che lo ha fatto sul serio! Sono due settimane che non la vedo e le avevo detto di non azzardarsi nemmeno a…”.
“Tagliarsi i capelli come una hipster? Troppo tardi caro mio. Ora si che non potrai più presentarla ai tuoi. E un uccellino mi ha detto che i suoi capelli ora sono viola”, affermò Grantaire con un sorriso sadico sulle labbra.
“Quella donna mi farà morire uno di questi giorni”, sospirò sconsolato Combeferre. “Idiozie a parte Taire, il preside mi ha incaricato di darti gli orari delle tue lezioni. Ci ho messo una buona parola. Inizi con Disegno, aula 18, tra dieci minuti. Per quanto riguarda il club…puoi unirti al mio. Ho sempre voluto presentarti i ragazzi. Ci divertiremo come pazzi quest’anno”.
“Grazie ‘Ferre sei un amico. Accetto volentieri, ma almeno dimmi di che si tratta”.
“Aula 14. Alle tre. Puntuale, ti prego. E sarà una sorpresa”.
Detto questo Combeferre scappò via lasciando in mano a Grantaire un foglio con scritti dettagliatamente orari delle lezioni, aule, nomi dei professori, programmi del corso. Per una volta il moro apprezzò l’estrema precisione dell’amico: quella mappa era oro colato per un ritardatario cronico come lui. Aveva giusto il tempo di una sigaretta prima di recarsi alla sua prima lezione.
 
~
 
Essere un privilegiato era decisamente figo, decise Grantaire ammirando l’aula 18. Nel suo vecchio liceo erano fortunati se avevano abbastanza banchi per tutti gli alunni, qui invece l’aula di disegno straripava di ogni oggetto che un creativo come lui potesse desiderare. Carboncini, pennelli, album da disegno, persino dei cavalletti di legno. Era il paradiso, quello vero. Avrebbe potuto chiudersi in quell’aula a doppia mandata e vivere di sola arte. Purchè qualcuno lo rifornisse di sigarette e birre ogni tre ore.
Il professore, un tipo scialbo che pareva un impiegato, era stato preavvisato del suo arrivo e lo fece accomodare al suo banco cianciando su quanto avesse sentito parlare del suo talento e come fosse curioso di vedere qualcuno dei suoi lavori. Meno parlare e più disegnare, voleva gridargli in faccia Grantaire, ma la cosa sarebbe probabilmente parsa scortese e quello era solo il suo primo giorno. Che ci mettessero almeno una settimana a capire che tipo era. Decisamente doveva essere la sua giornata fortunata dato che dalla bocca dell’impiegato -pardon, il professor Vattelapesca- erano uscite le magiche parole disegno dal vero. Oh, questo era davvero il paradiso.
Grantaire era così preso a preparare la sua postazione –odiava doversi alzare mentre dipingeva per recuperare altro materiale- che non si accorse dell’entrata del ragazzo finchè non alzò gli occhi e se lo trovò davanti. Era la cosa più bella che avesse mai visto, e di certo la tunica greca che indossava e lasciava scoperta un sacco di pelle  –qualcuno avrebbe detto troppa, ma non lui di certo- aumentava l’effetto wow. I ricci biondi cadevano morbidi fin quasi sulle spalle, lievemente schiacciati da una corona di alloro che cadeva mollemente sulla fronte. Se qualcuno glielo avesse chiesto Grantaire avrebbe detto che la pelle del modello luccicava letteralmente, peggio che un vampiro in Twilight. Il modello si sistemò su una sedia incrociando le gambe e fissando un punto imprecisato del muro oltre Grantaire che ringraziò tutti i santi del Paradiso di non dover fare i conti con quegli occhi così azzurri. Disegnare non era mai stato così difficile. Non perché il ragazzo si muovesse o la composizione –chiaramente impersonava Apollo, dio della musica- fosse particolarmente difficile, ma perché il cervello di Grantaire continuava a ruminare pensieri piuttosto osceni. La colpa era tutta delle labbra del modello, di come se le leccava quando erano troppo secche e di come se le mordicchiava quando sembrava particolarmente annoiato. Dio, quelle labbra sembravano create apposta per fare dei meravigliosi…stop, stop, stop. Basta pensare ad Apollo in ginocchio davanti a te e tutto quello che quella situazione faceva presagire.
Due ore dopo la lezione era finita, e lo era anche il disegno di Grantaire. Non era del tutto soddisfatto del panneggio della tunica ma il viso era decisamente “spettacolare”, come ci tenne a precisare il professore. E davanti a tutta la classe. Mentre sistemava la sua postazione Grantaire controllava con la coda dell’occhio il modello. Non poteva permettergli di scappare così. Si fece coraggio e con il suo miglior sorriso di conquista si avvicinò baldanzoso.
“Ehi. Come va?”. Silenzio.
“Volevo solo dirti che sei un modello fantastico e…cioè se ti andasse di posare per me qualche volta” –magari anche senza niente addosso, disse una vocina nella testa di Grantaire- “insomma questo è il mio numero e…uhm. Beh fammi sapere”. Per tutta risposta il modello alzò un sopracciglio e se andò, lasciando Grantaire in un mare di imbarazzo. 


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Eccomi tornata a tormentarvi con le mie storie. Che dire, Grantaire è in assoluto il mio personaggio preferito e sono fermamente convinta che se fosse vissuto ora sarebbe un ribelle pieno di tatuaggi che non vede l'ora di menare le mani XD  Visto che Marius mi irrita abbastanza non volevo che la povera Eponine soffrisse per un tale imbecille, quindi l'ho felicemente accoppiata con il caro vecchio Combeferre. Spero che il povero Victor non si stia rivoltando nella tomba D:

~Letz



 
  
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