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Autore: teabox    18/02/2014    4 recensioni
Dove Sherlock Holmes non vorrebbe accettare un caso che non sembra interessante e Molly Hooper gli fa cambiare idea (tutte le volte in cui è necessario).
[Adattamento del racconto "L'Avventura dei Faggi Rossi" da "Le Avventure di Sherlock Holmes" di Sir Arthur Conan Doyle, in versione sherlolly (qui e là).]
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Sinistra?»

«Esattamente», confermò Sherlock ispezionando il tallone di una donna deceduta. 

«E’ un termine abbastanza forte per una casa», fece presente Molly.

Sherlock estrasse la lente d’ingrandimento e osservò meglio due piccole punture quasi invisibili. «E’ come l’ha descritta.»

Era stato finalmente riammesso al laboratorio e all’obitorio, anche se il suo ritorno non era andato esattamente come l’aveva previsto. L’idea iniziale prevedeva presentarsi all’ospedale come se niente fosse, aspettare le proteste di Molly e rivelare solo allora di aver accettato il caso di Violet Hunter.

In realtà, quando era entrato nel laboratorio, Molly aveva a mala pena alzato gli occhi su di lui e lo aveva accolto come se lo avesse visto solo il giorno prima, e non da una settimana. Sherlock, risentito, si era seduto accanto a lei, occupando il computer, e aveva aspettato. Molly aveva continuato il gioco del silenzio. 

«Ho accettato il caso», aveva allora annunciato. 

Molly aveva nascosto - malamente - un sorriso. «Lo so.»

Sherlock aveva alzato un sopracciglio e Molly si era finalmente degnata di guardarlo. «John mi ha mandato un messaggio. Ha detto che potevo porre fine al tuo esilio», disse.

E lo disse con tono pericolosamente divertito che Sherlock non apprezzò in nessun modo. Ma prima di poter replicare, Molly riprese a parlare.

«C’è un cadavere con una storia davvero interessante in obitorio. Vuoi dare un’occhiata?»

Ecco. Quella era la ragione per cui Molly Hooper era necessaria nella sua vita. E perché - impossibile non ammetterlo - gli era mancata in quella settimana in castigo.

 

«Ha spiegato cosa volesse dire con “la casa è sinistra”?», chiese Molly osservando Sherlock e quello che stava facendo. Sembrava a tutti gli effetti che stesse annusando il tallone del cadavere. 

Sherlock si mosse attorno al corpo. «Ha detto che il terzo piano della casa è chiuso. In disuso, le hanno detto. Ma apparentemente provengono dei rumori, di tanto in tanto. E’ riuscita a capire da quale lato della casa arrivino e dal giardino ha notato che una delle finestre di quel piano è chiusa. Sbarrata con assi, per la precisione.»

Molly lo guardò esitante. «Topi? O qualche altro animale che è arrivato lassù?»

«Difficilmente», rispose Sherlock. Indicò il cadavere. «Hai detto che è stata trovata morta nel suo letto e che l’appartamento è nel centro di Londra?»

Molly accennò un sì.

Sherlock le rivolse un piccolo sorriso. «Esami tossicologici, Molly. A qualcuno questa donna non piaceva abbastanza da ucciderla con un serpente. I segni del morso sono sul tallone destro. Vipera, probabilmente della famiglia dei crotalini.»

«Oh. Okay», rispose Molly ancora incapace, anche dopo tutto quel tempo, di non stupirsi davanti alla meccanica del cervello di Sherlock.

«Ora», riprese a parlare lui con leggerezza. «Violet ha accettato di fermarsi per un altro po’ nella casa e cercare di ottenere qualche informazione in più. E prima che tu aggiunga qualcosa, no, Miss Hunter non dovrebbe essere in pericolo. Non ancora, per lo meno. Rucastle - il datore di lavoro - sembra una persona tutto sommato affabile e non troppo strana.»

«A parte la richiesta del taglio di capelli», fece presente Molly.

«A parte quello», concesse Sherlock.

«E la storia del vestito», aggiunse Molly.

«E quello», ammise Sherlock.

«E-»

«Molly Hooper», la bloccò Sherlock infastidito. «E’ fin troppo ovvio che ci sono molti elementi strani in questo caso. Non è necessario elencarli tutti, non trovi?»

Molly trattenne un sorriso. «Immagino di no.»

 

*

 

Violet era sempre stata brava con i bambini. Ed era anche una persona responsabile, la maggior parte delle volte.

Quindi, anche in quelle circostanze quanto meno sospette, cercò di non venire meno al suo impegno di tata, che era pur sempre la posizione per cui era stata assunta e per cui veniva pagata.

Ma la verità era che ai Faggi Rossi - il nome che era stato dato secoli prima alla villa in cui si trovava a lavorare - c’era ben poco da fare. Il bambino di cui si doveva prendere cura era per la maggior parte del tempo a scuola, da cui tornava solo nel tardo pomeriggio. Tre volte alla settimana aveva altre attività che lo tenevano occupato fino all’ora di cena e due volte alla settimana passava i pomeriggi e le sere dai nonni.

Detto in altre parole, Violet aveva ben poco da fare come tata e molto tempo libero per pensare per quale ragione i Rucastle l’avessero assunta. 

Certo, la moglie era una creatura fragile e nervosa, che parlava poco e si faceva vedere ancora di meno, preferendo auto-medicarsi con alcol e ansiolitici.

E certo, il marito era sempre occupato con qualcosa, quasi sempre chiuso nel suo studio al secondo piano della casa.

E certo, a parte loro due e Violet, non c’era nessun altro in quella casa in modo permanente. Un cuoco andava e veniva, così come un paio di donne delle pulizie. Qualcuno doveva pur prendersi cura del bambino, quando era da solo.

Eppure. 

Sapeva che c’era qualcosa che non tornava. Sapeva che c’era qualcosa di sbagliato.

E i suoi dubbi si trasformarono in sicurezze un pomeriggio di quella seconda settimana, quando fece la più incredibile delle scoperte.

 


 

 

«Sembra una ragazza sveglia», commentò Lestrade. 

«Troppo giovane per te», replicò distrattamente Sherlock.

Lestrade protestò imbarazzato. «Non stavo di certo pensando…»

Sherlock alzò un sopracciglio in risposta. «Comunque», disse chiudendo la parentesi, «il fatto è che Miss Hunter non ha trovato qualcosa di davvero incredibile, ma piuttosto di inusuale.»

Greg, seduto nella poltrona di John, prese quello che Sherlock gli stava passando. «Capelli?»

«Esatto.»

«E cosa vuoi che faccia?»

Sherlock si alzò dalla poltrona camminando lentamente per la stanza. «Portarli da Molly Hooper e chiederle di analizzarli.»

Greg lo guardò stupito. «E non puoi farlo tu?»

Una risata sarcastica arrivò dalla cucina e John li raggiunse con due tazze di tè. «Potevamo», disse porgendone una a Lestrade, «ma non possiamo più. Di nuovo.»

Greg rivolse un’occhiata confusa a John, prima di spostare lo sguardo su Sherlock. «Cosa hai fatto questa volta?»

«Assolutamente nulla», replicò secco Sherlock. 

John esclamò un “ah!” pieno di sarcasmo, prima di rivolgersi a Greg. «L’ultima volta che siamo passati dal Barts abbiamo incrociato Tom. E Sherlock ha pensato bene di commentare la cosa con Molly.»

«Non ho detto niente che non fosse vero», si difese Sherlock.

«Le hai detto-»

«Ad ogni modo», s’intromise Sherlock con un tono di voce troppo allegro, «il punto è che abbiamo bisogno della tua assistenza, Grant.»

«Greg», lo corresse Lestrade appena esasperato. «E non potresti semplicemente chiederle scusa?»

Un altro “ah!” di John bloccò la risposta di Sherlock. «Potrebbe. Certo che potrebbe. Ma quest’idiota pensa di non avere niente di cui scusarsi.»

«Perché non ho niente di cui scusarmi», rispose Sherlock stizzito. «Ora, possiamo gentilmente passare alle cose davvero importanti? Puoi far analizzare a Molly quei capelli?»

Greg guardò la busta e sospirò. «Certo che posso.» 

Sherlock sorrise. «Bene. Grazie, Lestrade. Finalmente qualcuno che fa qualcosa di utile.»

John alzò gli occhi al cielo.

 

*

 

Molly avrebbe volentieri detto a Greg dove esattamente Sherlock avrebbe potuto infilarsi quei campioni di capelli, ma Greg aveva insistito che il caso era davvero importante e quelle analisi davvero necessarie.

Quindi Molly aveva ceduto.

Era stato sulla soglia del laboratorio che Greg si era fermato e, con un sospiro, aveva posto la domanda. «Sherlock verrà mai riammesso qui? Perché sarei un detective, Molly, ma Sherlock sembra considerarmi un fattorino.»

Molly, nonostante tutto, si sentì dispiaciuta per Lestrade. «Presto», promise con una punta di esasperazione.

 

*

 

«I risultati dei test dovrebbero essere pronti a breve», disse Sherlock a Violet, di nuovo seduta nella seggiola tra le due poltrone dell’appartamento. Da fuori filtrava il rumore di una Londra che si preparava per un venerdì sera di uscite e bevute. «Ho mandato a Molly il tuo campione di capelli insieme a quello che hai trovato nella villa per il confronto e-»

«Chi è Molly?», domandò Violet accettando la birra che John le stava offrendo.

«La sua patologa», rispose John con un’alzata di spalle.

«Non è la mia patologa», precisò Sherlock.

Violet lo guardò un attimo, prima di ignorarlo e rivolgersi invece a John. «La sua patologa? Nel senso che puoi avere una patologa?»

Sherlock alzò gli occhi al cielo. «Ho detto che no-»

«Beh», s’intromise John parlando sopra Sherlock. «Non è letteralmente la sua patologa, ma quasi. Anche se ultimamente è meno “sua” del solito.»

«Oh, è per questo che è così», disse Violet annuendo.

«Se solo la piantaste-»

«Sì e no», rispose John sedendosi sulla sua poltrona. «E’ sempre così, ma ultimamente di più. E’ stato bandito dalla sua presenza.»

«Adesso basta. Molly Hooper non è la mia patologa», s’intromise secco Sherlock guardando Violet, prima di girarsi verso John. «Ed essere bandito dalla sua presenza non influenza il mio umore in nessuna maniera.»

John e Violet nascosero i loro sorrisi prendendo un sorso di birra.

«Ora, come dicevo prima di essere interrotto», riprese a parlare Sherlock imponendosi un tono di voce calmo. «I campioni sono in laboratorio e tra un paio di giorni dovremmo ricevere i risultati. Non credo che scopriremo più di quello che già sospettiamo, ma le analisi potrebbero comunque portare qualche informazione significativa. Il fatto che assomiglino così tanto ai tuoi capelli è interessante, ma ho bisogno di più.»

 

Violet ripensò a quando aveva trovato per caso quella treccia di capelli in una delle camere dei Faggi Rossi e al brivido che le aveva dato la scoperta. La reazione era stata di certo stupida, ma quando aveva li aveva visti aveva pensato immediatamente che si fosse trattato dei suoi capelli. Ovvio, poi, che non aveva impiegato molto a convincersi che anche se della stessa strana sfumatura tra il castano e il rosso, quella treccia non era sua. Lei i suoi capelli li aveva lasciati sul pavimento di un parrucchiere nell’East End, non amorevolmente raccolti con un fiocco verde nel fondo di un cassetto di un armadio in una casa in cui non era mai stata prima. 

Ma la cosa era sembrata così strana che non aveva potuto fare a meno di prenderne una ciocca e portarla da Sherlock, sperando che apprezzasse.

 

«Bene.»

La voce di Sherlock riportò Violet nel 221b di Baker Street. Lei e John lo seguirono con lo sguardo muoversi per l’appartamento, prendere il cellulare e infilarsi il cappotto.

«Devo andare», annunciò sbrigativo, «ma ci risentiamo appena arrivano i risultati.»

John e Violet si alzarono e lo seguirono giù, fino al marciapiede, dove Sherlock fermò un taxi e vi salì velocemente, con appena l’accenno di un saluto ai due.

«Dove pensi che stia andando?», domandò Violet.

John guardò il taxi allontanarsi. «Temo che questa sia una domanda molto pericolosa da porre», rispose John accennando una risata.

  
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