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Autore: Rurue    19/02/2014    2 recensioni
Akemi è un'infermiera giovane, ma sveglia. Resa tale da una famiglia di maghi purosangue che la disprezza per il suo essere Maganò e da una società in piena Seconda Guerra Mondiale che la evita per la sua lontana, ma abbastanza evidente, discendenza giapponese.
La ragazza si incontrerà con un Tom Riddle giovane, ma già prepotente. Instaurerà con lui un rapporto particolare; visto da fuori parrebbe solo astioso ma, per lei, è molto profondo.
Che ruolo potrebbe avere una semplice maganò nel passato del Signore Oscuro?
Akemi, grazie al suo lavoro, incontrerà anche i fratelli Pevensie, che riusciranno a sconvolgerle completamente la vita scaraventandola affettuosamente ma con prepotenza nella loro famiglia particolare e mostrandole un mondo diverso da quello a cui è abituata.
Attenzione: la storia seguirà, in gran parte, il filo della storia presente nei libri di Lewis, per questo potrebbero esserci possibli spoiler per chi ha visto solo i film.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom O. Riddle, Tom Riddle/Voldermort
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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 I can't escape myself

So many times i've lied

But there's still rage inside

Somebody get me trought this nightimare

I can't control myself.

So what if you can see the darkest side of me?

No one would ever change this animal i have become.
                                     

                              - Animal I Have Become; Three Days Grace -

 

 

                                             

                                                        Capitolo Tredicesimo

 





<< Cosa vuoi dire esattamente con “hanno provato ad ammazzarmi”?! Non puoi dirlo in modo così tranquillo! >> risi al tono preoccupato e sconcertato del  ragazzo.

<< Affogarmi, per la precisione. >> puntualizzai << Respira Pevensie, sono ancora viva. >> feci, con tono ironico. Lo sentii sospirare rassegnato dall’altro capo del telefono.

<< Non c’entra nulla il fatto che tu sia, grazie a Dio, ancora viva. Comprendi che.. >>

<< Edmund.. >> lo chiamai prima che potesse aggiungere altro << Sta’ tranquillo, sto bene adesso. Ho la situazione sotto controllo. E poi figurati se Tom non fa il cane da guardia. >> aggiunsi, sbuffando.

<< Mi sembra abbastanza normale. Anche io ti avrei messa sotto stretto controllo. >> lo difese.

Borbottai un “paranoici” che lo fece ridere.

Ci fu qualche attimo di silenzio, imbarazzato dalla mia parte, che decisi di interrompere con una domanda neutra.

<< Che mi racconti? >>

<< In realtà nulla: hai chiamato tu. >>

Certo, speravo di trovare una delle tue sorelle..

<< Beh, insomma.. come dire.. >> mi impicciai nelle mie stesse parole, ma poi riuscii a trovare una risposta sensata << Lucy mi aveva detto di chiamare perché vi eravate preoccupati, quindi.. >>

<< Quindi cosa? >> chiese lui, quasi divertito dalla mia precedente confusione.

<< Quindi ho telefonato. Adesso sei più tranquillo? >> chiesi retoricamente.

<< Mica tanto.. >> mi rispose poco convinto << Sei a non so quanti chilometri di distanza e hanno provato a ucciderti, quanto posso essere tranquillo? >>

Dopo vari tentativi riuscii a cambiare il soggetto della conversazione e mi feci raccontare cosa succedeva a Londra. Nulla di grave, per fortuna.

Tornai al castello, soddisfatta per essermi tolta il peso ansioso di quella telefonata e di aver passato un buon pomeriggio con i Grifoni che avevo raggiunto dopo ai Tre Manici di Scopa.

Ero seduta in camera mia, davanti al comodino col grosso specchio poggiato sopra. In effetti sembrava più una toletta che un comodino.

Presi le forbici poggiate alla mia destra e le alzai con aria solenne << A noi due! >> esclamai poi, con aria e tono di sfida, sporgendomi più vicina allo specchio e prendendo le misure della frangetta per regolarmi di quanto e come tagliarla.

Detestavo fare quell’operazione da sola, infatti di solito ci pensavano Roxanne o Beth. Non avevo soldi da spendere inutilmente per andare da un parrucchiere per una cosa che poi potevo anche tranquillamente fare da sola, anche se mi seccava.

Tra l’altro avevo cominciato a mettere da parte dei risparmi per poi poter prendere un piccolo appartamento e vivere da sola appena avessi raggiunto la maggiore età. Mi ero stancata della vita e delle regole del dormitorio. Beth mi aveva invitata a sistemarmi da lei, ma non volevo esserle di peso, quindi avevo rifiutato l’offerta, incentivandomi nel mio buon proposito per il mio futuro.

<< Cosa stai facendo? >> la voce dal tono perplesso e scettico di Tom arrivò improvvisa, facendomi spaventare e sobbalzare sulla sedia, rischiando di infilarmi le forbici in un occhio. Non lo avevo assolutamente sentito entrare.

Mi voltai lentamente verso il ragazzo << Non farlo mai più. >>  sibilai, i battiti del cuore ancora in modalità “infarto”.

<< Cosa fai? >> chiese ancora, con il medesimo tono. Gettò la sua borsa a tracolla ai piedi del letto e anche quell’azione, che fatta da qualsiasi altra persona sarebbe sembrata rude e senza alcuna grazia, risultò elegante fatta da lui.

<< Cosa ti sembra che stia facendo? >> risposi retoricamente, scocciata.

<< Non saprei, forse è la volta buona che ti uccidi. >> fece lui atono, ma poi aggiunse qualcosa << Anzi no, non farlo. Lascialo fare a me. >> Si sedette sul letto vicino a dove ero seduta io, dalla parte del cuscino.

Io gli feci una smorfia << Mi sto tagliando i capelli. E poi non ti ho capito: Dorsey non può farlo ma te si? Cosa sono questi privilegi? >> ridacchiai. 

Gli lanciai uno sguardo di lato per vedere cosa stesse facendo, solo per trovarlo esattamente come prima: seduto e con lo sguardo concentrato su qualcosa di inesistente nella stanza.

<< Comunque non mi sto suicidando, quindi ti va male anche stavolta, Riddleino. >>

Al nomignolo non poté non voltare lo sguardo su di me, aggrottando la fronte.

<< Ti meriteresti un Crucio per le cose che escono dalla tua bocca. >>

<< Scherzi? Mi meriterei un Oltre Ogni Previsione per la fantasia e l’impegno che ci metto per irritarti. >> sogghignai, senza vedere quale fosse la sua espressione in quel momento.

<< Come va con Madmoiselle Corvonero? >> domandai dopo qualche minuto di silenzio.

Non sentirlo rispondere immediatamente mi fece capire di aver premuto un tasto dolente. Gli lasciai il tempo di elaborare una risposta.

<< Procede lentamente e a piccoli passi, ma faccio progressi. So che inizia a fidarsi di me: l’altro giorno ha fatto qualche affermazione interessante. Gliela ritirerò fuori al momento giusto. Ma so anche che ci vorrà ancora molto prima che mi racconti tutto. >>

Schioccai la lingua sul palato, a metà tra il disappunto e il divertimento << Quello che fai non è per nulla corretto, spero che tu ne sia consapevole. Ingannare una povera fanciulla per i propri egoistici interessi personali… >>

Probabilmente avrei dovuto preoccuparmi anche per la “povera fanciulla” Akemi Aramaki, riguardo al fatto di essere usati per gli scopi di Tom Riddle, ma poco m'importava.

<< Infatti, Akemi, mi pare di aver chiesto la tua collaborazione, non il tuo parere. >>

<< Pensavo che tu avessi chiesto il mio aiuto. >> replicai, per infastidirlo.

<< Collaborazione, se proprio vuoi Cooperazione. È diverso. >> specificò infatti lui.

<< Collaborazione, Cooperazione e Aiuto sono sinonimi, sai? Basta che cerchi sul dizionario. >> feci io, sapendo che avrebbe risposto ancora per avere l’ultima parola e ragione.

<< No, non è la stessa cosa. Se ti chiedessi aiuto, significherebbe che da solo non ce la faccio. Mentre io posso farcela perfettamente anche da solo, voglio solo velocizzare le cose, quindi ti ho chiesto collaborazione. >> come mi aspettavo, il ragionamento non faceva alcuna piega, ma io scrollai le spalle.

<< Beh, chissenefrega, a me sembrava di averti sentito dire che avevi bisogno del mio aiuto. >>

<< Allora hai sentito male. >> disse, anche se sapeva perfettamente di dire una balla. Contava sul fatto che ricordassi male io e che tra qualche mese sarebbe riuscito a convincermi della cosa.

Sforbiciai un’ennesima ciocca, attenta a non tagliarla troppo corta.

<< Da quanto tempo è che hai attaccato bottone con la Corvonero? >> domandai allora, per cambiare discorso.

Avevo capito che era da un bel po’ di tempo che aveva cominciato le sue ‘sedute’ con la Dama Grigia perché era risaputo che fosse eccessivamente timida e riservata. Persino a Tom Riddle, che aveva una capacità di persuasione e aggiramento fuori dalla media, non sarebbe bastata una scarsa settimana per tirarle fuori "qualcosa di interessante", come aveva affermato pochi minuti prima. In più, conoscendo il mago, non si sarebbe appellato a me se non avesse iniziato a dubitare della collaborazione del fantasma.

In base a questi ragionamenti, potevo affermare che erano minimo due mesi che la storia andava avanti. Allo stesso tempo, ero sicura che non fosse oltre l’inizio dell’anno scolastico.

<< Da ottobre, più o meno. Sono circa due mesi e mezzo. All’inizio ho avuto parecchi problemi nell’avvicinarla a causa delle aggressioni dell’aracnide di Hagrid. Era abbastanza spaventata da quegli avvenimenti. >>

Ripensai alla storia della Camera dei Segreti storcendo il naso, non mi quadrava ancora del tutto. Eppure allo stesso tempo sembrava essere l’unica spiegazione.

<< Che hai? >> mi domandò Tom, accortosi del mio mutamento d’umore.

Sospirai senza rispondergli e lui non si interessò oltre.

Tagliai via gli ultimi spuntoni di frangia e me la smossi vigorosamente con le dita, facendo cadere i capelli tagliati rimasti impigliati. Pulii le forbici e le misi via per poi raccogliere i capelli in un fazzoletto e scrollarlo nel cestino. Osservai la pioggia di capelli color pece cadere nel secchio di metallo. Mi rimisi il fazzoletto in tasca dopo averlo spolverato.

Voltandomi vidi Tom fissare le mie azioni.

<< Che ho fatto? >> gli domandai, vedendo la sua faccia scocciata.

<< Se fossi una strega li avresti semplicemente fatti sparire con un colpo di bacchetta. >>

<< Peccato che io non sia una strega, quindi li butto nel cestino come tutte le persone normali. >> risposi, sbuffando.

Lui si alzò e si avvicinò al cestino, mi scansò da davanti e, puntando la bacchetta verso l’oggetto, fece scaturire dalla punta una luce bianco-rossastra che fece sparire i capelli tagliati.

<< Ti davano proprio fastidio, eh? >> feci, ironica.

<< Dovresti ringraziarmi. Quei capelli nel cestino erano solo una delle infinite prove della tua debolezza. >>

Aggrottai la fronte, non riuscendo a seguire bene il suo ragionamento << Che sarebbe non essere una maga e quindi non poter far sparire la roba dal secchio? >> domandai come conferma, che lui mi diede. Mi astenni dal dargli una qualsiasi risposta, facendo invece una considerazione.

<< Hai imparato a afre gli incantesimi non-verbali, eh? >>

<< Sapevo farli anche prima. >> poi si rese conto di una cosa << Come fai a sapere degli incantesimi non-verbali? >> domandò, capendo che per una semplice babbana, saper fare gli incantesimi senza parlare doveva sembrare una cosa abbastanza normale. In più conoscevo il nome tecnico, cosa che doveva aver contribuito alla sua curiosità.

<< Guarda che nella teoria sono molto ferrata, io. >> Mi grattai una guancia, imbarazzata. Lui si poggiò ad una colonna del baldacchino.

<< Diciamo che quando ero piccola il fatto di aver deluso i miei genitori per il mio essere maga-nò mi faceva molto male. Volevo essere uguale ai figli dei loro amici, che facevano accidentalmente volare vasi per terra rendendo felici i genitori anche se, magari, avevano appena sfracellato un vaso da mille sterline perché stava a significare che stavano sviluppando i loro poteri, oppure che facevano spegnere e accendere candele a seconda del loro umore.

<< Da bimba ingenua quale ero, pensavo che leggere i libri di incantesimi di mamma mi avrebbe aiutata: ero molto fiera di me, all’età di otto anni conoscevo a memoria quasi tutti gli incantesimi di trasfigurazione e difesa, ovviamente però conoscerli non mi rese mai capace di farli. Adesso che sono grande non ricordo molto. >>

Sorrisi tristemente, ricordando tutte le sere passate nascosta in camera mia o dietro la scrivania dell’ufficio di mio padre, con un mozzicone di candela in mano attentissima a non far cadere la cera sui libri della mamma o sui tappeti della villa.

Poi arrivava la vecchia Kora, l’elfa domestica, che mi infilava a letto a forza e retava vicino a me finché non era sicura che mi fossi addormentata per non rischiare di trovarmi nuovamente in giro per la casa e poi beccarsi un rimprovero dai miei genitori perché non ero a letto, oppure lei sapeva che i miei sforzi erano vani, e quindi cercava di distrarmi.

Mi mancava molto Kora, era un’elfa domestica particolare; almeno secondo me. Ovviamente con i suoi padroni (i miei genitori) si comportava servizievolmente, ma quando stava con me buttava fuori tutto il suo caratterino brontolone e severo, ma anche apprensivo. Avrei potuto andare a trovarla, certo, ma la voglia che avevo di tornare a casa era pari all’inesistente. Lei invece non poteva assolutamente muoversi dalla villa senza il permesso dei miei, i quali mai gliel’avrebbero dato per andare a trovare la figlia ‘traditrice del proprio sangue’.

Abbassai lo sguardo da Tom e lo feci cadere distrattamente per terra. Casualmente, notai che era fuoriuscito qualcosa dalla borsa del ragazzo, rivoltandosi per terra. Mi chinai per raccogliere l’oggetto ma, appena lo presi tra le dita, fui costretta a lasciarlo andare di scatto, a causa di una intensa scossa che mi aveva pervasa. Non saprei bene come descrivere quella scossa, che a primo impatto poteva somigliare a una elettrica, ma ripensandoci era come se all’improvviso e in pochi istanti, una moltitudine di emozioni, per lo più negative, mi fosse crollata addosso come una cascata d’acqua.

Mi voltai verso Tom, per dirgli qualcosa ma, appena mi voltai, lo vidi piegato in due, con una mano al petto e la faccia distorta dal dolore.

<< Ehi, stai bene? >> domandai sinceramente preoccupata. Mi avvicinai, poggiandogli una mano sulla spalla per voltarlo di poco dalla mia parte.

Lui si alzò di nuovo in posizione eretta, allontanandomi con un braccio << Si. >> rispose solamente, nonostante il colorito molto più pallido del solito dichiarasse il contrario.

Mi avvicinai nuovamente << Sei sicuro? Quelli erano i più comuni sintomi di u.. >>

<< Akemi! >> venni interrotta bruscamente dall’altro, che aveva abbandonato tanto rapidamente l’espressione di dolore quanto gli era arrivata << Sto bene, non c’è bisogno che tiri fuori uno dei tuoi lati più irritanti. >>

M’imbronciai, poggiando le mani sui fianchi con fare piccato << Santo cielo, hai sempre qualcosa per cui lamentarti! Illuminami, cosa avrei fatto di tanto irritante? >>

<< Fai l’infermiera porta iella. Piantala è scocciante. >>

<< Non faccio l’infermiera porta iella! Mi stavo solo preoccupando per te! >>

<< Neanche te ne accorgi, ormai è più forte di te. Ogni volta che vedi qualche comportamento strano cominci ad elencare malattie assurde. >>

Piegai la testa di lato, cercando di ricordare di averlo fatto << Davvero? >> chiesi poi. Il ragazzo mi lanciò uno sguardo sottile, ma non ne colsi il significato.

<< Non riesco a capire se ci fai o se sia semplice deformazione professionale. >>

Scrollai le spalle, come per far cadere l’argomento. Evidentemente doveva essersi stancato anche lui visto che non insistette.

<< Cosa hai fatto al quaderno, Tom? >> gli domandai poi, ricordando la spiacevole sensazione che mi aveva assalita toccandolo.

<< Quale quad.. >> fece per chiedere, ma poi sembrò realizzare di cosa stessi parlando. Sembrò realizzare poiché nella frazione di mezzo secondo lanciò uno sguardo stranito a me e al quaderno che giaceva ai miei piedi, poi si portò la mano al petto e recuperò la fredda espressione del solito << Ah, il diario. >>

<< Diario? >> ripetei, scettica << I diari sono da femmine. >>

<< Sono da femmine se ci scrivi sopra “caro diario” e gli racconti delle tue sventure amorose, Akemi. >> replicò, scocciato dalla mia affermazione.

<< Oh.. >> mi portai teatralmente una mano davanti alla bocca << Tom, raccontare a un fascio di fogli le tue sventure amorose non risolverai nulla! Vuoi parlarne a me? >> lo derisi. Lui mi fulminò, ma trovò futile il dover specificare che non ci scriveva le sue pene d’amore, poiché non lo disse.

<< L’ho incantato affinché lo possa aprire solo io. >> rispose dopo un breve silenzio.

<< Ti rendi conto che è da psicopatici questa cosa? >> lui mi guardò male << Ossessivi, tra l’altro. >> aggiunsi, facendolo sbuffare. Prese il diario e lo rimise nella borsa, poggiandosela su una spalla.

<< Concentrati sui tuoi, di problemi di psiche. >> mi consigliò prima di aprire la porta. Si bloccò sul posto.

Allungai il collo per vedere oltre lo strato di legno della porta quale fosse il motivo del suo arresto.

<< Riddle. >> disse una flebile voce femminile fuori dalla porta, ma lui uscì e si allontanò, senza salutare ne lei, ne me.

Esther Dorsey entrò nella mia stanza guardando fuori dalla porta, che però si chiuse dietro al ragazzo. La vidi abbassare lo sguardo, con aria mortificata.

Le rivolsi un sorriso gelido, condito da un buongiorno per nulla sincero.

Lei mi guardò con un misto di emozioni negli occhi, probabilmente troppo confusa per capire quale stesse prevalendo in quel momento: se la rabbia nei miei confronti o il dispiacere nei confronti di Tom.

Mi sedetti sul materasso, continuando a fissarla. << Sei venuta qui per un motivo preciso, Esther, o solo perché avevi l’immensa voglia di vedermi? >>

Lei non rispose ed io sbuffai, seccata << So che ti riesce difficile credermi, visto che potrei avere più di un bon motivo per farti ammazzare senza remore. E so anche di non essere una strega, come te. >>

E strega inteso in tutti i sensi..

<< Ma se volessi, riuscirei a farti perdonare dal tizio che è appena uscito dalla stanza senza neanche degnarti di uno sguardo. >> Probabilmente non avevo mai detto una balla tanto grande nella mia vita, ma erano particolari superficiali, anche perché Esther Dorsey non poteva saperlo e io avevo bisogno del suo aiuto.

Lei aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse. Non smisi di fissarla, ma decisi di darle il tempo di pensare, anche se già conoscevo la risposta.

<< Ti aiuterò. >> disse infatti, con voce tremante. All’udire di quelle parole, sfuggì un sorriso vittorioso dalle mie labbra. Ridacchiai e mi alzai, avvicinandomi alla ragazza tanto da sentire il suo respiro sui capelli.

<< Vedo che, finalmente, hai capito chi ha il coltello dalla parte del manico. >> 










**** Angolo Autore

.. Bene ...

Okay, stavolta non so davvero dove andare a nascondermi. Chiedo scusa per il ritardo, non era assolutissimamente mia intenzione lasciarvi in sospeso così a lungo.

La verità è che il 2013 è finito male e il 2014 è cominciato ancora peggio, quindi la voglia di mettermi lì a scrivere ce l'avevo sotto i piedi. Tra l'altro sono abbastanza spaventata dal fatto di star raggiungendo i capitoli del quaderno: essì, proprio così. Sono una persona estremamente masochista, quindi prima scrivo sul foglio e poi ricopio al computer.

La cosa mi porta via un sacco di tempo (e un sacco di voglia), ma mi aiuta molto a schematizzare. Avevo iniziato a pubblicare i capitoli con almeno sei capitoli di vantaggio su carta, ma li ho belli che raggiunti, e ora ho un solo capitolo di distanza. Quindi, nonostante abbia già il tempo ridotto causa secondo quadrimestre, dovrò ritagliarmi uno spazio di giornata in cui dovrò ricominciare a scrivere. 

Detto questo.. che ne pensate? 

La strana reazione di Akemi col diario vi fa venire in mente qualcosa? Anche se no, tranquilli, tutto verràò spiegato più in là. Devono succedere ancora parecchie cose.

Detto questo.. vi saluto e al prossimo capitolo!

Un bacione grande a tutti quelli che mi seguono :)

Rue.

 


  
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