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Autore: TheRebelInk    19/02/2014    1 recensioni
-Fermati! – urlai correndogli incontro – No! Fermo! Non lo fare! Aspetta!
Tremava come una foglia. – Lasciami in pace!
-No! Scendi per favore! Non sai quello che stai facendo!
- TU non sai quello che stai facendo! – e si alzò in piedi. Ero nel panico, disperata. Non sapevo come fermarlo e lui sembrava sempre più deciso.
- Come ti chiami? – gli chiesi.
Lui esitò poi, tra le lacrime, rispose:- Ettore.
Due vite.
Le stesse scelte.
La storia di come ognuno di noi può rialzarsi anche nei momenti più difficili.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo 7
 
Avevo bisogno di prendere una boccata d’aria. Il dolore stava risalendo ogni mia cellula e percepivo il mio corpo come qualcosa che non mi apparteneva. Oltrepassai il cancello d’entrata e iniziai a camminare verso la pista ciclabile che tagliava i campi intorno alla città. Aumentai il ritmo dei passi. Le scarpe da tennis aggredivano la stradina sconnessa imitando prima i battiti del mio cuore, e poi il tumulto di tutti quei pensieri che mi affollavano la mente, e crescevano, crescevano confondendosi, c’erano voci che gridavano sempre di più…
E mi accorsi che stavo correndo e che ormai ero senza fiato. Mi fermai in mezzo alla pista, ansimando. La città era scomparsa dietro le fronde dei pioppi e dai rami cadeva fluttuando una pioggia di batuffoli candidi. Nel silenzio della campagna chiusi gli occhi.
Regolai il respiro.
Rallentai il battito.
I fiori dei pioppi frusciavano nella calura estiva e mi accarezzavano il viso come tante piccole mani, e allora riuscii a svuotare la mente. Tornai indietro lentamente, godendomi quel nuovo tipo di vuoto che mi invadeva il petto. Era un vuoto… pacifico, placido e leggero.
Ettore dormiva ancora e decisi di lasciargli un biglietto.
 
Vado a casa. Passo a trovarti all’ora di cena. Se hai bisogno di chiamarmi trovi il numero sulla scatola degli antidolorifici.    Bet
 
Trovai solo mio fratello in casa che ripeteva le tabelline con quella sua vocetta acuta. Osservandolo, mi vergognai ancora di più di me stessa. Percorsi il corridoio fino alla mia camera. Non ricordavo di averla rivoltata in quel modo, ma da qualche parte avrei pur dovuto cominciare. Ammucchiai tutti i vestiti sparsi sul pavimento, li spolverai e li riposi nell’armadio. Ringraziai mia madre per aver lasciato la stanza così come l’avevo ridotta io il giorno prima. Raccogliendo le foto stropicciate da terra, mi fermavo ogni volta a ricordare dove le avessi scattate e restavo lì, a fissare quei volti che ora sembravano lontani anni luce. Come se fossi stata separata dal mondo reale per secoli e avessi viaggiato in luoghi immortali.
Era quello il punto, infatti: ero stata sul punto di morire e per questo, ora, mi credevo quasi imortale. Credevo che dopo aver tentato il suicidio sarei stata più forte. In realtà, ero più fragile di un granello di polvere nel vento.
 
 
  
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