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Autore: 9Pepe4    19/02/2014    11 recensioni
Il Maestro Qui-Gon Jinn non ha nessuna intenzione di prendere un nuovo apprendista… Ma l’incontro con Obi-Wan Kenobi, un Iniziato di sette anni, potrebbe cambiare le cose.
Peccato che il passato, in un modo o nell’altro, trovi sempre la maniera di fare lo sgambetto al presente.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Obi-Wan Kenobi, Qui-Gon Jinn, Yoda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15 – Un indiziato

La sala dove venivano serviti i pasti era abbastanza ampia, ma non avrebbe retto il confronto col refettorio del Tempio Jedi.
Quando Qui-Gon scese per la colazione, tre dei cinque tavoli erano occupati dai piccoli Iniziati e dai loro istruttori.
Considerata la loro tenera età, i bambini stavano mangiando in un silenzio ammirevole… Cogliendo un paio di teste ancora ciondolanti e qualche espressione assonnata, però, Qui-Gon sospettò che quella quiete fosse più merito della stanchezza che della disciplina appresa al Tempio.
Dopodiché, senza riuscire ad evitarlo, l’uomo cercò Obi-Wan con gli occhi.
Il bambino era intento a mangiucchiare una tartina arancione. Quando si accorse dello sguardo di Qui-Gon, gli rivolse un vago cenno del capo.
Il Maestro Jedi quasi sorrise. L’espressione del bambino gli dava la netta impressione che Obi-Wan non fosse molto loquace, di prima mattina.
Dopo aver mangiato, l’uomo si alzò ed uscì dalla sala con l’intenzione di tornare in camera, ma poi si attardò nell’ingresso per parlare col proprietario della locanda.
«Queste nuvole gonfie promettono pioggia» affermò Tar, alludendo al colore bigio del cielo all’esterno. «Presto ci ritroveremo frotte di Ysalamiri fin quasi dentro casa».
«Fin dentro casa?» ripeté Qui-Gon, inarcando un sopracciglio.
Il suo interlocutore scrollò le spalle. «Non esattamente, ma si avvicinano alla città» rispose. «Fanno sempre così, quando c’è un temporale, non so se per cercare riparo o calore».
Il Maestro Jedi si accigliò lievemente. Con ogni probabilità, la presenza ravvicinata degli Ysalamiri avrebbe reso la Forza ancor più disturbata. Non era una prospettiva allettante, ma non ebbe il tempo di rimuginarci su a lungo.
In quel momento, infatti, si udì il sibilo della porta che si apriva, ed una voce femminile: «Scusatemi, disturbo?»
Sia Qui-Gon che Jon Tar si voltarono verso l’ingresso.
A parlare era stata una donna di media statura, dai capelli corvini e i tratti delicati. Indossava una tunica chiara troppo larga per lei, ma era comunque possibile indovinare la sua corporatura snella.
«Salve» la salutò il locandiere, con una punta di sorpresa.
Dal suo tono, il Maestro Jedi ebbe la netta impressione che non solo non si aspettasse minimamente di vedere la donna, ma anche che la conoscesse almeno di vista.
«Posso fare qualcosa per voi?»
«Veramente» replicò lei, «vorrei parlare col Maestro Jedi».
Tar annuì come se una parte di lui se lo fosse aspettato, scoccando un’occhiata verso il suo ospite.
La donna, da parte sua, parve avere un ripensamento, e valutò Qui-Gon con lo sguardo. «Voi siete il Maestro Jinn, dico bene?»
«Sono io» confermò lui, inarcando lievemente un sopracciglio. «Voi, invece…?»
«Sono Maya Larr» si presentò la donna. «Mio marito vi ha fatto visita ieri».
«Signora Larr» disse Qui-Gon, non appena si fu ripreso dal primo stupore. «A cosa devo la vostra visita?»
Mentre lo domandava, la guardò con maggiore attenzione.
Fja Larr aveva detto che sua moglie era stata poco bene, e non sembrava aver mentito: la donna era pallida, e i suoi occhi erano segnati dalla stanchezza.
In più, c’era qualcosa… Anche se il suo legame con la Forza pareva un po’ disturbato, Qui-Gon riusciva ad avvertire una certa desolazione provenire da lei. Che avesse avuto dei problemi di depressione?
«Voi dovreste controllare casa nostra» rispose Maya Larr, inconsapevole dei suoi pensieri. «O mi sbaglio?»
L’uomo corrugò la fronte. «Vostro marito ha cambiato idea?»
«Sono padrona di casa tanto quanto lui, Maestro Jinn» replicò la donna, con fermezza. «Se io vi invito, siete il benvenuto».
Le labbra di Qui-Gon minacciarono di incurvarsi in un sorriso – lei gli piaceva. «Certamente».
Scambiò un’occhiata col locandiere, che aveva assistito in silenzio all’intera conversazione, quindi tornò a rivolgersi alla donna.
«Se volete attendere un istante, devo recuperare un paio di strumenti».
Il rilevatore di impronte digitali, ad esempio.
Maya Larr fece per annuire… e si bloccò, fissando qualcosa alle spalle dell’uomo.
Qui-Gon aggrottò la fronte e si girò. Tutto ciò che vide furono due iniziati che stavano uscendo dalla mensa con la Maestra Yula.
La donna stava mostrando loro degli oggetti: sfere argentee di circa dieci centimetri di diametro, utilizzate spesso negli allenamenti degli Iniziati.
Qui-Gon suppose che i bambini avrebbero dovuto cercare di fare appello alla Forza per sollevarle nonostante la presenza degli Ysalamiri.
Tornò a voltarsi verso la signora Larr, in tempo per vederle stringere le labbra in una smorfia insofferente.
«Vi aspetto fuori» dichiarò lei, prima che l’uomo potesse aprir bocca.
Quindi, dopo essersi congedata calorosamente dal proprietario della locanda, uscì in strada.
Qui-Gon la raggiunse pochi minuti più tardi, dopo aver recuperato tutto l’occorrente, ed entrambi si misero in cammino.
Tra sé e sé, l’uomo si disse che potersi spostare a piedi era uno dei pregi di Nihilo. Certo, volendo uno poteva camminare anche a Coruscant… Ma tra l’inquinamento e la confusione, non era mai piacevole.
Questo paese, invece… Era tranquillo e vi si respirava aria pulita.
Obi-Wan aveva ragione, pensò di sfuggita l’uomo. C’era davvero molto più spazio.
Le case, molto diverse dagli edifici torreggianti della capitale galattica, non erano molto alte, ma avevano uno, due, al massimo tre piani, ed erano costruite in mattoni e malta anziché in duracciaio.
Ogni tanto, attraverso di esse, si poteva intravedere la foresta che cresceva – ingorda e rigogliosa – attorno alla città.
Qui-Gon e Maya Larr, camminando fianco a fianco, passarono davanti a qualche prato o sotto le fronde verdeggianti di una pianta.
La donna intavolò una conversazione cortese, chiedendogli come procedeva il suo soggiorno e se si trovava bene alla locanda.
La casa dei Larr aveva un unico piano. Avanzando nell’ingresso, si raggiungeva un salotto accogliente, arredato da due divani posto l’uno di fronte all’altro, un tavolino tondo tra loro.
Su uno dei sofà, sedeva una donna anziana, con un caschetto di capelli bianchi. Era così rilassata che avrebbe potuto sembrare addormentata, non fosse stato per gli occhi aperti e attenti che si puntarono subito su Qui-Gon.
Maya Larr fece rapidamente le presentazioni: «Lei è mia madre. Madre, questo è il Maestro Qui-Gon Jinn».
La suocera di Larr si limitò a rivolgere al Jedi un cenno del capo. Non doveva essere una persona di molte parole.
Maya, dal canto suo, si rivolse a Qui-Gon. «Vi accompagno nello studio di mio marito».
L’uomo annuì. Sapeva, infatti, che il furto era avvenuto in quella stanza.
La donna lo guidò attraverso un breve corridoio, ed arrivarono ad una stanza abbastanza ampia, al centro della quale si trovava un grande tavolo da lavoro.
Lungo le pareti, invece, erano allineati diversi scaffali. La maggior parte dei ripiani era vuota, ma a giudicare dal deposito di polvere non lo era sempre stata.
«È qui che…?»
«Hanno rubato le opere di mio marito, sì». La signora Larr si guardò attorno per un momento, il capo ritto sul collo sottile. «So che c’è un po’ di sporco e disordine, ma abbiamo preferito non toccare nulla».
«Avete fatto bene» le assicurò Qui-Gon, facendo scorrere lo sguardo sui trucioli di legno che si trovavano sul piano del tavolo, e su alcune schegge che dovevano provenire da un materiale pietroso.
Certo, ricordò, Fja Larr era soprattutto uno scultore.
A quel punto, tornò a girarsi verso la donna. Guardandola curiosamente, fece la domanda che gli premeva da qualche momento. «Vostro marito non è in casa, dunque?»
«È in cerca di ispirazione» replicò lei. «Voleva restare a farmi compagnia, ma gli ho detto che sarei rimasta con mia madre… e che per aiutarmi doveva comportarsi come sempre».
«Già» offrì allora Qui-Gon, in tono quieto, «mi ha detto che siete stata malata».
Maya Larr fece un sorriso tirato, e i suoi occhi si fecero più lucidi. «Sì» mormorò. «Sì, qualcosa del genere».
«Mi dispiace» disse il Jedi, semplicemente.
Lei si ricompose abbastanza in fretta, passandosi una mano sotto gli occhi. «Vi ringrazio». Trasse un respiro profondo. «È stato carino, da parte di Fja, cercare di rimandare le indagini per darmi un po’ di tranquillità… Ma immagino non sia affatto consigliabile, se vogliamo trovare chi lo ha derubato… e se non vogliamo che mio marito finisca tra i sospetti».
Mentre terminava la frase, si girò a rivolgere un’occhiata franca al Jedi, e quest’ultimo dovette sorridere.
«Immaginate bene».
La donna gli rivolse un cenno del capo. «Vi lascio al vostro lavoro, allora…»
«Un momento solo» la fermò Qui-Gon, staccando il rilevatore di impronte digitali dalla propria cintura.
Si trattava di un oggetto piatto, di forma rettangolare, dotato di schermo e abbastanza piccolo da stare comodamente nel palmo dell’uomo – anche se era probabile che la mano di Obi-Wan non ne avrebbe coperto l’intera superficie.
«Se il ladro ha lasciato delle impronte digitali, devo poterle distinguere dalle vostre» disse l’uomo, a mo’ di spiegazione.
Maya Larr lo guardò, e allungò in silenzio una mano.
Qui-Gon le sorrise brevemente, poi premette il pulsante accanto allo schermo. Un fascio di luce blu scaturì dal bordo dell’oggetto, andando a scannerizzare le dita della donna.
«E Fja?» domandò lei.
C’era qualcosa di speciale, nel modo in cui pronunciava il nome del marito: lo faceva suonare come un soffio di vento.
Qui-Gon decise di essere onesto. «Quando mi ha visitato, ieri, non ha fatto altro che toccare lo stipite della porta. Ho già le sue impronte».
La donna sbatté le palpebre, ma alla fine sorrise.
«Piuttosto, vostra madre?»
Maya Larr scosse la testa. «Mia madre non mette mai piede in questa stanza. Non ce lo mette nessuno, a dire il vero, a parte me e mio marito. Spesso qui si trovava delle sue opere incomplete, e Fja detesta che qualcuno le veda così».
Qui-Gon annuì con lentezza, ripensando a Fja Larr. Senza dubbio, sembrava rientrare nel suo personaggio.
«Persino il suo apprendista non lavorava qui, ma all’aperto».
«Aveva un apprendista?» non poté fare a meno di ripetere l’uomo. Gli era difficile immaginarlo nei panni di un insegnante.
«Un paio di anni fa» confermò Maya Larr, con un piccolo sorriso nostalgico. «Era un ragazzo riservato. Imparato ciò che gli interessava, si è trasferito su un altro pianeta».
«Capisco» mormorò Qui-Gon. Un apprendista che se ne andava. Questo era decisamente qualcosa con cui poteva simpatizzare.
Per un istante, Maya Larr sembrò sul punto di aggiungere qualcosa sull’argomento, ma poi parve cambiare idea. «Avete bisogno di altro o…?»
«No, vi ringrazio. Direi che siamo a posto».
Lei ricambiò il suo sguardo. «Siamo a posto» confermò, per poi uscire dalla stanza e lasciarlo alle sue indagini.

L’uomo si sforzava di apparire disinvolto, mentre camminava lungo le strade del paese.
In realtà, si sentiva teso ed apprensivo, e non perdeva d’occhio la fila ordinata di Iniziati che stava tornando verso la locanda di Jon Tar.
Li aveva visti uscire, quella mattina. Si erano recati nella foresta, ed erano tornati circa sette ore più tardi.
Ognuno dei ragazzini teneva nelle mani una sfera argentea. Erano così composti e obbedienti da sembrare cuccioli ammaestrati.
L’uomo spostò l’attenzione sui due bambini che chiudevano la fila: erano entrambi di razza umana, ma le loro somiglianze finivano qui. Il primo, infatti, era robusto e scuro di capelli, mentre il secondo era piuttosto gracile, e la sua zazzera virava decisamente al rossiccio.
Nervosamente, l’uomo si chiese come avvicinarli. Gli era giunta voce che un Maestro Jedi era stato inviato ad indagare sul furto, e immaginava che convincere un bambino a parlarne sarebbe stato più semplice che persuadere un adulto.
Ma come porre loro delle domande senza insospettire i loro accompagnatori?
La risposta gli si presentò poco dopo, quando la sfera sfuggì dalle mani del ragazzino dai capelli rossicci e – complice la lieve pendenza della strada – gli rotolò incontro.
L’uomo notò che entrambi i piccoletti ne parvero sbalorditi. Si guardarono con tanto d’occhi, come se non gli fosse mai capitato di lasciar cadere qualcosa.
Approfittando del loro stupore, lui si lanciò in avanti, chinandosi a recuperare la sfera prima che potesse farlo uno dei due, quindi si ritrasse contro il cancelletto di una casa.
I Maestri non si accorsero di nulla, continuando a condurre la fila degli Iniziati.
I bambini in fondo si erano fermati del tutto e lo fissarono. Dopo un istante, quello dai capelli rossicci si staccò dal gruppo, venendogli incontro.
“Molto bene” pensò l’uomo, deglutendo a vuoto.
«Vi ringrazio» esordì il bambino quando gli giunse di fronte – era davvero minuto.
«Non è niente» rispose l’uomo, rigirandosi la sfera tra le mani sudate. Non la restituì al suo proprietario, però. Non subito. «Tu sei un Jedi, vero?»
«Un Iniziato» puntualizzò il bambino, senza guardarlo in faccia.
«Oh, be’, ma immagino tu sappia comunque molte cose». L’uomo cercò di ammorbidire il proprio tono nervoso, di renderlo amichevole. «Ad esempio… Ho sentito che un Jedi sta indagando sul furto avvenuto da queste parti… Per curiosità, tu sai chi è?»
Sino a quel momento, il bimbo aveva alternato un’occhiata alla sfera e al suo gruppo che si allontanava, ma quella domanda parve attirare la sua attenzione.
Il suo sguardo si focalizzò sul viso dell’uomo. Con un certo interesse.
Ci fu un momento di silenzio… Poi il bambino scrollò le spalle.
«Mi dispiace, signore, non lo conosco» asserì, in tono serio ed educato. «Non sono sicuro che un Jedi sia stato incaricato di indagare su un semplice furto».
L’uomo cercò di non darlo a vedere, ma dentro di sé si sentì immensamente sollevato.
«Grazie mille, ragazzino» disse, cedendogli la sfera e arrendendosi quasi all’impulso di scompigliargli i capelli.
Il bambino prese l’oggetto quasi con cautela, quasi facendo attenzione a dove lo toccava… Forse pensava avesse le mani sporche, o una qualche malattia? Chi lo sapeva cosa insegnavano in quel Tempio a Coruscant…
A quel punto, l’uomo si ritrasse e fece per andarsene. Appena in tempo: uno dei Maestri, infatti, una donna dai capelli scuri, parve accorgersi di qualcosa e si girò, individuando subito il bambino rimasto indietro.
Persino a quella distanza, fu evidente che i suoi occhi dardeggiarono verso l’uomo, e lui si girò per non farsi vedere in faccia.
«Kenobi!»
L’Iniziato si girò verso di lei. «Arrivo, Maestra Yula!» esclamò, per poi mettersi a correre verso di lei.
L’uomo, da parte sua, iniziò ad allontanarsi a grandi passi, ed ebbe l’impressione che un gran peso gli fosse stato sollevato dal petto.
Finalmente una buona notizia…

Nel frattempo, alla locanda, Qui-Gon si trovava nella propria stanza.
Era seduto alla scrivania, i gomiti poggiati sul tavolo e le mani alzate a massaggiare le proprie tempie.
Durante le indagini di quel mattino, aveva trovato due serie di impronte che non corrispondevano né a quelle di Fja Larr né a quelle di sua moglie.
A rigor di logica, dovevano essere quelle dei ladri.
Purtroppo, le sue ricerche non erano andate molto più lontano: una volta tornato alla locanda, aveva subito inviato le impronte al laboratorio del Tempio Jedi.
I risultati gli avevano confermato che i ladri erano due Umani, ma non aveva potuto scoprire la loro identità, poiché le impronte non erano registrate nel database.
Era probabile che fosse per quello che i rapinatori non si erano premurati di ripulire la scena: contavano sul fatto che, non avendo precedenti penali, non sarebbero stati rintracciabili.
Un bussare incerto fece sì che Qui-Gon si riscuotesse dai suoi pensieri.
L’uomo aggrottò la fronte, lasciando cadere le proprie mani e girandosi verso la porta, quindi si alzò in piedi e si diresse ad aprire.
Non si sentì molto sorpreso, quando si trovò davanti Obi-Wan Kenobi.
Il bambino aveva i capelli arruffati come di consueto, e sollevò immediatamente su di lui gli occhi grigio-azzurri.
Qui-Gon notò che reggeva la sfera di allenamento. Per qualche motivo, lo faceva tenendo le mani infilate dentro le maniche, in modo che la sua superficie venisse a contatto solo con la stoffa.
«Obi-Wan» lo salutò, gentilmente. «Va tutto bene?»
Forse, pensò, e fu un pensiero che gli piacque, il bambino voleva chiedergli un consiglio su come gestire la Forza su Nihilo.
Le parole di Obi-Wan, però, lo colsero di sorpresa.
«Credo di aver incontrato uno dei ladri» proruppe l’Iniziato, guardandolo.
Qui-Gon sbatté le palpebre, interdetto. «Come?»
Il suo aperto sconcerto parve innervosire il bambino. Quest’ultimo passò il proprio peso da una gamba all’altra, quindi si affrettò a spiegare: «Mentre tornavamo qui alla locanda, mi ha fermato un uomo, e… ecco, si comportava in modo strano. Mi ha chiesto se sapevo qualcosa sul Jedi che era stato mandato ad indagare sul furto».
Qui-Gon lo fissò, ancora sorpreso, poi si fece da parte. «Vieni dentro».
Obi-Wan si infilò nella stanza senza farsi pregare, continuando a tenere saldamente la sfera tra due lembi delle proprie maniche, e la porta si chiuse dietro di lui con un sibilo.
«Quest’uomo…» esordì Qui-Gon, poi si bloccò.
Non sapeva bene come continuare. Da una parte, l’esperienza gli diceva che era probabile che Obi-Wan avesse incontrato un semplice ficcanaso. Dall’altra, la sua sensibilità lo spingeva a non sottovalutare l’istinto di quest’Iniziato.
«Saresti in grado di descrivermelo?»
A quella domanda, il bambino si rilassò visibilmente, e Qui-Gon intuì che aveva temuto di non venir preso sul serio.
«Ho le sue impronte digitali» annunciò Obi-Wan, alzando la sfera in modo che l’uomo la guardasse. «Mi era caduta, e lui l’ha raccolta».
Per un istante, Qui-Gon rimase senza parole. Era pronto a sentire una descrizione minuziosa e dettagliata, ma questo… questo andava anche oltre le sue aspettative.
«Sono stato attento a non toccarla dove l’ha presa lui» aggiunse Obi-Wan, come sempre reso ansioso dal suo silenzio.
Ormai, più che sorpreso, Qui-Gon si sentiva… colpito. Certo, agli Iniziati veniva insegnato molto presto come gestire un’indagine, ma Obi-Wan sembrava possedere una scrupolosità tutta sua.
Il bambino lo guardò con l’aria di sentirsi decisamente sulle spine… E i lineamenti di Qui-Gon si ammorbidirono in un sorriso.
«Eccellente» approvò lui, allargando il braccio in un gesto di invito. «Vieni, controlliamo subito».
L’espressione di Obi-Wan si ruppe in un sorriso colmo di sollievo.
Quando l’uomo andò a recuperare il rilevatore di impronte dalla scrivania, il bambino gli trotterellò dietro.
«Alzala un poco» istruì Qui-Gon.
L’Iniziato obbedì senza fiatare, e l’uomo scannerizzò l’oggetto.
Ci fu un ronzio mentre il rilevatore elaborava i nuovi dati… Qui-Gon lo soppesò nella propria mano, mentre Obi-Wan si mordicchiava il labbro… Poi alcuni simboli comparvero sullo schermo, confermando che quelle impronte erano già state esaminate.
Corrispondevano a quelle che Qui-Gon aveva rilevato nello studio di Fja Larr.
«Allora, Maestro Jinn?» si lasciò sfuggire Obi-Wan, ansiosamente.
L’uomo abbassò lo sguardo su di lui. «Obi-Wan Kenobi» gli disse, un sorriso che minacciava di incurvargli le labbra, «hai trovato uno degli uomini che sto cercando».



















Note:
E finalmente aggiorno questa storia!
Mi dispiace infinitamente per la lunga attesa, ma queste ultime settimane sono state davvero infernali…
Temo che questo capitolo non sia il massimo… Spero solo di sbagliarmi.
Per il prossimo aggiornamento, appuntamento a martedì 4 marzo!
  
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