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Autore: solarial    20/06/2008    1 recensioni
Gli bastava, per quanto potesse, restare così. Fino a quando l'ultimo petalo di quel delicato fiore non fosse caduto seguendo gli altri. Perché anche un fiore, per quanto bello sia, è destinato ad appassire, a perdere i suoi petali con lo scorrere del tempo; così, anche la sua dolce Amaranta sarebbe appassita un giorno, e nemmeno vivere in quel mondo l'avrebbe preservata per sempre.
[Seconda classificata all'X-Contest (Set#2 squadra Princy) indetto da Morty, Shanny e Princy]
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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flavor of life

Questa è la mia prima original ed è stata scritta per il contest di Morty, Shanny et Princy che prende il nome di “X-Contest”.

 

Flavor of flower

 

La storia che voglio raccontarvi non ha molte pretese. Non sarà un classico, e non sarà nemmeno banale - forse, non sta a me giudicare. E' una di quelle storie comuni a molti ma importante per pochi, ha il classico inizio del “c'era una volta”, con una sua trama, il susseguirsi di immagini e suoni, odori e sapori, ma... anche questa si concluderà con il “E vissero felici e contenti”?
Questo non lo so, perdonatemi, ma non voglio rovinarvi subito il finale; perciò, se volete scoprirlo non vi resta che accomodarvi, lasciare da parte tutto quello che state facendo e prestarmi attenzione.

C'era una volta una fanciulla, Principessa di un regno alimentato dai sogni, che viveva cibandosi delle illusioni di un mondo che ella stessa vedeva. Ogni giorno viveva sorretta tra la realtà e l'irrealtà, sostenuta da una linea immaginaria che le impediva di spezzare il filo che ogni sera la portava ad immergersi dentro le feste ed i balli, giochi, dove lei era la protagonista.

La fanciulla, incurante della temperatura bassa della stagione, sorrideva beata mentre, chiudendo gli occhi, si appoggiava al davanzale della sua finestra aspirando dolcemente il profumo della notte, lasciando che il vento le scompigliasse i lunghi e neri capelli.
Inclinò il capo, porgendo la guancia, distendendo ancora di più le labbra, non appena sentì il vento accarezzarle il viso. Rise.
Si allontanò dalla finestra, mimando con le labbra una melodia e, piroettando su se stessa, si avvicinò alla toletta; si sedette sul piccolo sgabello e, dopo aver preso dal ripiano una spazzola, cominciò a passarla delicatamente tra i capelli.
Mentre la mano si muoveva lentamente sulla sua chioma, non smise di contemplare la sua immagine allo specchio. Era molto giovane, la pelle delicata e diafana, pallida quasi fosse malata, contrastava con il nero dei suoi capelli e il ghiaccio dei suoi occhi.
Non era bellissima, non assomigliava a quelle bambole di porcellana che teneva sparse sul suo letto dalle lenzuola rosa, coperte di tulle e merletti, capelli boccolosi o sistemati in elaborate acconciature, labbra piene e rosse distese in sorrisi; lei aveva il viso spigoloso, le fosse sulle guance - a sottolineare la sua troppa magrezza -, labbra sottili, bassa, anonima.
Ma a lei non importava, lei stava bene così. Nella sua naturalezza, si differenziava da quelle bambole, risaltando nella sua immagine di totale normalità.

Si voltò verso la finestra attirata dal suono del vento che, soffiando dentro la stanza, riportava alle sue orecchie gli echi di quella melodia che prima lei stessa stava suonando con le sue labbra.
Si alzò velocemente, lasciando cadere a terra la spazzola, mentre, con il cuore che le batteva forte  per l'emozione, lasciò quella stanza, unico rifugio, vagando tra i corridoi della sua dimora, scalza.
Attraversò un lungo e silenzioso corridoio, lasciandosi pian piano alle spalle statue e quadri che, illuminati solo dalla debole luce di quelle candele, sembravano riservare un aspetto inquietante e spaventoso. Percorse lentamente la scalinata accarezzando con mano gentile il corrimano, sentendo sulla pelle il freddo di quel marmo.
Quando arrivò di fronte al grande portone si fermò per portare la mano, dove i bracciali tintinnarono al movimento del polso, all'orecchio, cercando di percepire da dove quel suono provenisse.
Spingendo con forza il grande portone, che si aprì con un rumore secco, si ritrovò a rabbrividire non appena i piedi scalzi toccarono il terreno gelido.

 Si mosse prima lentamente, con la mano premuta sul petto e l'altra lungo lo stomaco mimando un abbraccio, guardando il giardino, curato nei minimi dettagli, ricolmo di fiori di ogni specie, seguendo il sentiero che l'avrebbe portata in prossimità delle orchidee.
Anche a metri di distanza poteva bearsi del profumo dei suoi fiori preferiti. Aveva dato ordini precisi: voleva che quelle piante crescessero anche in quel luogo, solitario, perché voleva che il suo piccolo angolo di paradiso fosse speciale e ben disposto ad accoglierla.

Lungo la sua attraversata, lasciò che la mano calasse lungo il suo fianco e, con le dita tremanti, toccò lievemente quei fiori, tastando la delicatezza di quei petali di seta. Ne prese uno tra le mani annusandolo, facendo penetrare dentro la sua stessa anima quel profumo dolce.

Chiudendo per un attimo i suoi occhi, poté concentrarsi sul suono di quella melodia che tanto adorava. La festa era cominciata, poteva già sentire i brusii di quelle voci, le risate, calici che si innalzano in alto; gli ospiti erano arrivati e lei era pronta ad accogliere tutti a quel banchetto che la vedeva come unica protagonista, perché tutti erano per lei.
Un dolce calore le invase la pelle, ribollendole il sangue che si concentrò sulle guance, mentre con gli occhi lucidi cominciò a correre in direzione di quelle voci. Non poteva fare aspettare a lungo tutti, non voleva perdersi nemmeno un secondo di quella festa, non voleva perdersi lui.

Appena oltrepassò la soglia di quel cancello, si fermò un attimo per riprendere fiato e si rimproverò mentalmente. Una signorina per bene non dovrebbe correre così, non le si addice per nulla. Cercò di darsi un contegno, sistemandosi i capelli e lisciandosi le pieghe di quel vestito bianco.
Sospirò non appena la musica che aveva sentito si fermò: ora c'era silenzio, tutti si erano voltati verso la sua direzione.
Lei abbassò il capo imbarazzata, inchinandosi, portando le mani sul vestito allargandolo - mostrando le caviglie sottili e i piedi scalzi -; poi alzò lo sguardo in direzione di quei volti coperti da un alone scuro e dal quale non poteva scorgere i lineamenti, ma non ne aveva bisogno, sapeva chi si celava dietro ognuno di quei visi.

Sorrise quando qualcuno, avvicinatosi a lei, prese la sua mano e la baciò delicatamente, portandola al centro di quella sala addobbata a festa, dove le candele facevano danzare le loro fiamme, e tutti se ne stavano fermi ammirandola, guardandola come se fosse una regina.

Avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo,  poiché aveva gli occhi di tutti addosso, e non era la prima volta che accadeva, ma non era ancora abituata a tutte quelle attenzioni, a quelle ammirazioni; eppure non si sentiva fuori posto, si sentiva bene. Quello era il suo posto, e questo lo sapeva.

Quando la sua mano si alzò, l'orchestra ruppe il silenzio riprendendo a suonare e, mentre si riaprivano le danze, lei si aggirava tra la folla, che piroettava, osservando la malinconia di quei volti celati.
Non vedeva eppure sentiva, sapeva cosa i suoi ospiti stessero provando in ogni momento. Lo sentiva scorrere dentro le sue vene, lo avvertiva passando loro accanto, il brivido della tristezza calava prepotente dentro di lei, lasciando che quella sensazione di inquietudine venisse fuori, circondando l'aria, pressando gli animi.
Eppure non si notava, chiunque dall’esterno avesse osservato la scena, avrebbe detto che quello era solo un banchetto pieno di persone che si stavano godendo la festa; ma lei non era chiunque, lei non era come tutti gli altri, a lei era concesso il lusso di sapere, di capire...

Prese a danzare anche lei tra le coppie, seppur da sola, sorridendo a tutti, inchinandosi, lasciandosi trasportare da quelle note che scivolavano dentro di lei, percorrendola, scuotendola, sfiorandola lentamente come se fosse la mano di qualcuno a toccarla. Allora lei si abbandonava, si lasciava accarezzare, sentendo il dolce tepore di quelle corde che le pizzicavano l'anima, sfiorando quelle note tramite il battito di quel cuore che, impazzito, volteggiava al ritmo di quella musica.

Poi arrivò.
Chiuse gli occhi mentre la dolce  fragranza di orchidee la attraversava dolcemente. Senza smettere di danzare, seguì la scia che l'avrebbe indirizzata a colui che portava quel profumo.

Percorse con gli occhi il profilo di quella persona, dai piedi, calzati da eleganti scarpe, al corpo coperto di abiti pregiati, al viso che, nascosto dietro quel velo nero, mostrava il sorriso che tanto aveva atteso. Arrossì furiosamente accorgendosi che gli occhi della figura sembravano volerla spogliare tanto erano ipnotici, eppure non riusciva a distogliere lo sguardo, tanto ammaliante era. Il cuore batteva galoppando dentro di lei come una furia, le gambe cominciarono a tremare, il profumo continuava a stordirla, la testa prese a girare, non riuscì a mantenere l'equilibrio a lungo e sarebbe caduta se due braccia forti e gentili non l'avessero imprigionata in una morsa.

Quando sentì calare come la seta la mano a sfiorarle il volto, aprì gli occhi di scatto, mentre le dita presero ad accarezzarle dolcemente il profilo di quel viso fino a posarsi su quelle labbra sottili, a tastare la loro morbidezza.
Un brivido la percosse con forza facendola tremare, mentre, con gli occhi lucidi e vitrei, si perdeva dentro quello sguardo.
Avrebbe voluto allontanarsi e ci sarebbe riuscita se, non appena aveva provato a scostarsi, la mano libera di quella persona non fosse passata dietro il fianco sottile e l'avesse incatenata al suo torace.
Le mani sul petto, le gambe che tremavano, gli occhi che brillavano, il cuore che tentava di esplodere, la musica che continuava imperterrita ad accompagnare la danza di coloro che ignari di tutto continuavano a ballare seguendo le note di quel walzer, lui che la teneva in una morsa senza scampo, quel viso che si avvicinava sempre di più, fino a sentire il fiato freddo sul collo; rabbrividì.
- Amaranta, lasciate che vi accompagni anche questa notte. -
Percepì per un attimo quelle labbra fredde sfiorarle il lobo per poi trovarsi a volteggiare tra le sue braccia e sentirsi leggera, leggiadra come una farfalla sorretta da quelle mani che fungevano da ali scortandola verso quel volo.

I piedi scalzi che toccavano il freddo manto dell'erba che seguivano i movimenti di quella danza, il vento leggero che scuoteva le chiome, il calore che sprigionava il corpo del suo accompagnatore e si propagava in lei fino a farle ribollire il sangue nelle vene ed il cuore che pulsava impazzito. E sentiva gli sguardi di tutti che, interrompendo la loro danza, si erano fermati a circondarli per guardarli con ammirazione.

E poi... poi all'improvviso sentì come se tutto quello che la circondava stesse via via svanendo; non più musica, non più bisbiglii, non più applausi o risate, niente persone, niente di niente. Sentiva solo la sensazione di libertà e la presenza di quel corpo che sembrava volersi fondere con lei.

Poi, quasi senza rendersene conto, si ritrovò a non essere più stretta tra quelle braccia. E se prima aveva avuto la sensazione di trovarsi a volare felice e serena, adesso sentiva come se stesse crollando verso un baratro fitto senza che potesse impedire la caduta. Sentì freddo.
Abbassò lo sguardo appoggiando la mano sul petto, cercando di percepire il battito del suo cuore: perché non lo udiva? Anche il cuore percepiva quella sensazione strana?
Perché, quando lui l'aveva allontanata da sé, si era sentita come se all'improvviso avesse perso una parte importante di se stessa. Era come se qualcuno le avesse strappato dal petto la voglia di vivere, come se il vuoto si fosse insinuato in lei senza lasciarle scampo, ed era così forte quella sensazione che avvertì come se le fossero venuti meno le fondamenta che reggevano il suo corpo: avrebbe potuto crollare facilmente, perché non c'erano più quelle braccia a sostenerla, né il calore di quel corpo ad accompagnarla, né le sue mani a reggerla come ali verso quel volo che tanto aveva amato.

Non voleva, non voleva perdere quelle emozioni, non voleva che tutto si completasse, non così... non ancora. Non voleva che lui la lasciasse. Doveva fermarlo. Strinse le mani in pugni, sentendosi così stupida, chiuse gli occhi strizzandoli così forte da avvertire i muscoli del viso tesi e contratti e quel rossore che le imporporava le gote, perché, per quanto voleva che lui rimanesse, si vergognava a chiederlo.

Alzò la testa di scatto quando avvertì che la mano gentile calava lenta sulla sua spalla, percorrendo il braccio, pian piano, fermandosi sul gomito e scivolare verso la sua per intrecciare le dita.
Non poté fare a meno di sorridere, perdendosi dentro il calore del suo corpo che stava riprendendo vita mentre il sangue ricominciava a fluire dentro le vene e il cuore pulsava come impazzito sotto lo sguardo vitreo di quell'uomo che tanto la scuoteva dentro come nessuno osava farlo.

Si ritrovò a camminare, mano nella mano, senza riuscire a smettere di osservarlo, arrossendo quando lui la guardava intensamente, e non poteva far altro che ridere della sua stessa timidezza.
Poi quasi senza rendersene conto, lasciò la sua mano per correre verso una fontana e girarci attorno, osservando quella bellissima costruzione in pietra dalla forma circolare dove al centro partiva lo schizzo d'acqua che ricadeva in tanti piccoli archi colorati come arcobaleni, illuminati dalle luci colorate che si estendevano sul bordo della fontana. Si sedette sul bordo, allungando il braccio e toccando la superficie bagnata rabbrividendo. Poi si voltò verso di lui, sorridendo furbamente prima di lanciare un po' d'acqua nella sua direzione e ridere della sua espressione sorpresa.
- Siete tutto bagnato! -

Lui si sedette vicino a lei e le accarezzò il viso senza timidezza o timore, prima di posarle tra i capelli una delle bellissime orchidee rosa e annusarne il profumo, per poi posare un bacio lieve sulla gota arrossata.
- Principessa... - le sfiorò il naso con il proprio e lei poté sentire sulle proprie labbra il respiro freddo; sentì il cuore fermarsi - ... voi siete come questa orchidea rosa: pura come il vostro sguardo, candida come la vostra pelle, innocente come i vostri occhi, delicata come la vostra risata, profumata come solo questo fiore è. -
Quelle parole scivolarono dentro di lei come il miele, scaldandole il cuore nel profondo, e sentì di doverlo fare. Chiudendo gli occhi, si sporse verso il suo viso, allungando una mano fino a toccargli la guancia, in un gesto timido, per avvicinare le sue labbra a quelle della persona che tanto amava.
Fu un tocco leggero, semplice e delicato. Un gesto dettato dall'istinto ma che suggellava qualcosa di forte, di bramato e desiderato. Un bacio dal sapore della passione, del desiderio e del tormento, immortalato dalla presenza delle luci di quella fontana che illuminava il volto di colei che riflettendosi sulla superficie dell'acqua rimandava l'immagine di una fanciulla protesa, con le labbra schiuse a baciare qualcuno, quel qualcuno al quale non era concesso specchiarsi, perché non poteva riflettersi, né vedersi. Non più.

Si guardarono negli occhi a lungo, leggendo ognuno dentro l'altro tutte quelle parole che non venivano fuori, ma non ce n'era bisogno: gli occhi sono lo specchio dell'anima e sapevano perfettamente cosa volessero comunicare. Le parole non servono quando la sincerità di uno sguardo parla per esse.

Ripresero a camminare. Mano nella mano, percorsero le vie solitarie di quei sentieri, silenziosi, ognuno rinchiuso nella propria sfera di pensieri, forse per timore di spezzare quella strana complicità tacita.
Ma in fondo al cuore, lui sapeva che il momento più brutto era infine arrivato, per questo non voleva rovinarlo, voleva viverlo fino alla fine. Strinse forte la piccola mano della sua amata, sentendola fremere e sussultare.
Si chiese se era giusto così, se fosse un bene per lei vivere in quel modo. Sorrise amaramente tra sé e sé: conosceva la risposta, l'aveva sempre saputa.
Avrebbe voluto tanto spezzare quel filo che lo teneva ancorato a lei, ma non poteva. Non valeva. E nemmeno lei lo voleva. Non l'avrebbe mai permesso. Lei, così testarda, adorabile, dolce, cocciuta.

Ma, per quanto felice fosse accanto all'unica creatura che avrebbe amato sempre, il dolore di vederla giorno dopo giorno condannata a quella esistenza, gli impediva di respirare, di vivere.
Si sentiva un vigliacco, un approfittatore, era egoista e lo sapeva. Perché condannarla era l'unico modo per viverla, per godere della sua presenza. A lui andava bene, anche se questo significava relegarla dentro quel mondo fatto di illusioni. Era Amaranta l'artefice di tutto, e lui non le avrebbe mai fatto del male, non più di quanto già gliene avesse inferto. Non l'avrebbe mai abbandonata. Mai. Gli bastava, per quanto potesse, restare così. Fino a quando l'ultimo petalo di quel delicato fiore non fosse caduto seguendo gli altri. Perché anche un fiore, per quanto bello sia, è destinato ad appassire, a perdere i suoi petali con lo scorrere del tempo; così, anche la sua dolce Amaranta sarebbe appassita un giorno, e nemmeno vivere in quel mondo l'avrebbe preservata per sempre.
Lo scorrere del tempo segna la vita di ogni essere umano e l'orologio della sua vita si muoveva sempre, scandendo i minuti, le ore, i secondi, gli anni, che l'avrebbero divisa da lui.
Avrebbe continuato la sua esistenza, fino allo scadere del suo tempo, fino a quando le lancette non si sarebbero fermate definitivamente. Allora avrebbero potuto rivedersi, per vivere davvero l'esistenza che gli era stata tolta troppo presto. La notte ella fermava il tempo, ma era solo un'illusione - perché il tempo non può essere fermato -, come lo era lui in quel momento.

Sospirò fermandosi, e lei fece lo stesso.

- C'è... c'è qualcosa che vi turba? - aveva chiesto timidamente. Non capiva perché, ma sentiva nell'aria qualcosa di pesante. Non si respirava più la tenerezza o la spensieratezza, c'era malinconia, c'era dolore, c'era...
– No… - sussurrò debolmente spalancando gli occhi, ritrovandosi stretta in un abbraccio struggente. Le mani che prima erano state lasciate libere a penzolare si mossero per andare ad intrecciarsi dietro la schiena di lui e stringersi in una morsa forte, quasi a non volerlo lasciare andare. - No! - Sussurrò ancora, le mani a stringersi sempre di più, e non le importava se quella stretta le avrebbe mozzato il fiato, avrebbe anche smesso di respirare se questo significava restare così per l'eternità.
Lui le baciò la fronte accarezzandole i capelli.
- Tornerò, Principessa. Lo sapete. Lo farò sempre. -
- Restate con me! -
- Il nostro tempo è scaduto, lo sapete. -
- Perché non volete portarmi con voi? -
- Perché non è ancora il momento. -
Lei lo fissò negli occhi.
- E quando? Quando sarà? - la voce le tremava. Ma non ricevette nessuna risposta. Come sempre d'altronde.

 Lui la fissò dolcemente baciandole le mani un'ultima volta prima di svanire.

Si trovò a scivolare sul terreno freddo, affondando le mani sul manto verde, aggrappandosi con forza a quei fili d'erba, troppo fragili per resistere a quella forza, troppo deboli per sostenere il suo vuoto.
E l'alba di un nuovo giorno cominciava ad affacciarsi lasciandosi alle spalle le tenebre della notte.
Non pianse. Non urlò. Lentamente alzò gli occhi mentre i deboli raggi del sole illuminavano quel posto. Voltò la testa a destra e poi a sinistra, passando a setaccio ogni bara contenente i corpi senza vita di quel cimitero che ella stessa aveva fatto costruire. Ognuno era tornato da dove era venuto, la festa era terminata. Tutto tornava alla normalità. Per ogni tomba un fiore, per ogni tomba una foto.

Poi, con la mano tremante, sfilò dai capelli quel fiore portandolo al naso e annusandolo, ripensando alle parole che giorno dopo giorno le permettevano di sorridere. Lo posò sul freddo marmo di quella lapide che le stava di fronte. La osservò in silenzio.

Con gli occhi seguì il contorno di quella foto. Le dita tremanti si accostarono sul freddo vetro; rabbrividì al contatto ma non si allontanò. Prese ad accarezzare lentamente il profilo di quel viso magro, bello da mozzare il fiato, le labbra carnose ed invitanti; il cuore le batté forte in petto quando le dita seguirono il contorno di quegli occhi verdi.
Li aveva amati sin dal primo momento in cui si era ritrovata ad annegarci dentro, e mai avrebbe smesso di cercarli, mai avrebbe smesso di tremare di fronte allo sguardo di colui che aveva amato e che avrebbe amato in eterno. Ogni volta che quelle dita si protendevano verso di lei e lui le prendeva la mano, ogni volta che sentiva le sue labbra sulle proprie, ogni volta che danzavano, che lui la guardava, che le sorrideva, avrebbe riscoperto l'emozione della prima volta, sempre, in eterno, perché non c'era la possibilità di abituarsi, no, non finché lei reggeva con il suo cuore, alimentandolo con il sangue, l'emozione di quell'amore che cresceva e si fortificava nel suo profondo. Perché l'amore è come un fuoco, bisogna alimentarlo per tenerlo acceso*. Lei l'avrebbe alimentato tramite la fiamma della sua passione, sempre.
E se anche la morte li aveva divisi, maledetta, essa non poteva fare nulla contro un sentimento come quello, perché lei aveva scelto di vivere la vita sorretta tra l'irrealtà e la realtà. Una vita che le permetteva di restare dentro quel mondo che ella stessa si era creata, dove la morte non ha effetto, dove la morte si anima, dove tutto prende forma. Perché lei era la Principessa di quel regno, perché lei ne era la custode e protagonista e solo così avrebbe rivisto l'amato. Finché la morte non fosse venuta a prendere anche lei. Solo così avrebbe vissuto felice. La notte alimentava le sue speranze, il giorno gliele sottraeva. E come ogni giorno, baciò la foto. Sorrise alzandosi in piedi.
- A stanotte, amore mio! - Sussurrò tornandosene da dove era venuta, per crollare nella monotonia della vita, della quotidianità, per venire risucchiata dalla routine, dai doveri, dalla realtà di una vita che non le apparteneva, perché lei viveva per la notte, viveva per viverla, viveva perché la notte sconfiggeva il dolore della perdita, perché la notte alimentava la morte. Perché se il giorno portava con sé al sorgere del sole il dolore, la notte poteva solo curarlo.

E così si conclude la nostra storia. La Principessa aveva deciso di vivere la sua vita, in attesa della morte, sorretta tra la realtà e l'irrealtà: tutto per poter stare con lui, con colui che amava. Che buffo l'amore, non è vero? Nemmeno la morte riesce a scalfirlo. Tanto forte quanto fragile. Ma non sono qui per parlare d'amore, non sono la persona adatta, ahimé! Tornando a noi.
Potete giudicare questo, un lieto fine?
E vissero tutti felici e contenti?
Non sta a me, come detto altrove, stabilirlo. Ma a voi.

 

Fine

 

Note:

-Intanto grazie alle meravigliose Morty, Shanny et Princy per aver indetto questo meraviglioso contest! Senza di voi non sarei riuscita a provare ad uscire un po' dai miei schemi ordinari per dilettarmi in quella che è la mia prima Original *__*.
Ringrazio la Zia e la sua minuziosa recensione. Grazie di tutto e sicuramente farò tesoro di tutte le indicazioni! Sono sempre arrivata seconda quindi mi sta benissimo *__* *Lulù che balla felice*

-Ringrazio ovviamente la dolcissima Naco che, come sempre, mi beta.

-*)Quella frase non so a chi appartenga, ma ovviamente io metto una specie di Credits indicando che non è mia, anche perché mi ricordo di averla sentita da qualcuno ma non so da chi o se in qualche libro.

-Il titolo è fonte di ispirazione dalla canzone di Hikaru Utada, “Flavor of Life” che non c'entra nulla con la fic ma mi piaceva il titolo ed io ho sostituito Life con Flower!(sono un disastro con i titoli *blink*)

Prompt usati:

Personaggio: Principessa
Beh si nota dal momento in cui la mia protagonista è la principessa di questo mondo fatto di illusioni e di sogni che le permette di vivere ancora l'amore verso una persona che non ha mai dimenticato e mai lo farà.
Inoltre il personaggio verrà indicato dallo stesso uomo chiamandola per l'appunto Principessa.

Citazione: “C’era una volta […] E vissero felici e contenti.”
Qui ho voluto giocare come se fossi io all'inizio a raccontare questa storia, con il classico inizio stile favole che procede ovviamente con l'intreccio, e si conclude, come è iniziata, quasi come se volessi che fossero gli altri a giudicare la fine e non io!
Lo so, sono contorta XD

Colore: rosa
Il rosa: oh, iniziamo dal rosa delle lenzuola, per sottolineare il contrasto tra la bellezza di quelle bambole e lei che sembra così anonima.
Troviamo ancora il rosa nelle orchidee, fiori tanto amati proprio perché l'uomo che ama la caratterizza proprio ad una di esse. Orchidee che lei stessa ha fatto crescere in un luogo solitario e triste, come un cimitero, proprio perché sia il profumo che i colori potessero, nel contrasto, presentare quel luogo come il posto che l'avrebbe accolta ogni sera, il luogo che la caratterizza e che la fa stare bene in presenza, se pur morti, di coloro che ama, in special modo di LuiXD

Immagine:  QUI
L'immagine. Ho voluto fare mia l'immagine ed interpretarla in base a quello che mi comunicava. Diciamo un'interpretazione piuttosto personale.
Nel mio testo la bambina rappresenta ovviamente Amaranta (che non è piccola), sospesa tra la realtà, che vive nel suo quotidiano, e l'irrealtà che crea la notte, in modo che il mondo fatto di illusioni possa venire fuori per poterle regalare il tesoro più prezioso: lui. Perché la notte è la testimone di questo mondo fantasioso, che la rende felice ed euforica, tanto è vero che si vede come la protagonista di questi balli, di queste feste. La notte le permette di restare con la persona che ama e che amerà sempre. La notte cura il dolore che invece crea il giorno.
L'orologio simboleggia ovviamente lo scorrere del tempo, perché anche se lei stessa si è creata questa realtà alternativa, è solo illusione, quindi nulla impedisce al tempo di continuare a fare il suo corso.

Saluti.

Solarial.

   
 
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