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Autore: thecitysmith    20/02/2014    3 recensioni
"In un mondo dove le città sono personficate, la Città di Parigi non si vede da secoli, allontanata dagli orrori della guerra e da tutto il peggio che l'umanità le ha sempre offerto di sé.
Enjolras sogna di incontrare Parigi, e di condurre la Città verso un domani migliore.
Quello che non sa é che adesso Parigi é un cinico ubriacone che si fa chiamare Grantaire."

| traduzione dell'omonima storia su ao3 di barricadeuse e piuma_rosaEbianca |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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All’inizio, Grantaire non aveva capito chi fosse. E come avrebbe potuto, quando i suoi sogni erano un vortice indistinto, a parte quel guizzo d’oro. Ma poi quello scintillio era diventato una fiamma consumante, che gli incendiava la mente, strappandolo dal sonno notte dopo notte.


Tutte le Città sognavano dell’oro. Era il segno che qualcosa stava per arrivare, qualcosa di terribile o di meraviglioso. L’oro poteva significare una grande ricchezza o prosperità, e Dio sapeva quanto ne avrebbe avuto bisogno in quel momento, ma poteva anche essere un avvertimento. Un sole, per scaldarlo o bruciarlo, se avesse volato troppo in alto. O peggio ancora: un lampo di fuoco, la distruzione.


Aveva cercato un sonno senza sogni, bevendo ancora e ancora, ma le visioni non potevano essere messe a tacere. Ogni notte bruciavano più luminose, finché, una notte di mezza estate, quella luce abbagliante si condensò in una figura. Dorata e alta e bellissima, e Grantaire ne rimase colpito fin nelle ossa. L’uomo di fronte a lui era meglio di qualsiasi moneta del Re, era il sole, un Apollo. Ma in tutti i suoi sogni, la figura gli dava le spalle. Grantaire cercava di farsi vedere, di farlo voltare a guardarlo, ma l’Apollo continuava a camminare, e Grantaire era condannato ad inseguirlo attraverso le infinite catacombe della sua mente.


Era andata avanti così per mesi. Inseguendo sogni che lo facevano svegliare esausto, e fantasie che lo lasciavano ansimante e frustrato nei suoi pantaloni logori. La sofferenza della Città era echeggiata dappertutto attorno a lui dal fetore dell’estate. Mosche ronzanti in grandi nuvole, mentre la città di Parigi soffocava nel caldo e affondava ancora di più nella povertà, e la sua personificazione si rifiutava di lasciare il suo letto, cercando solo l’abbraccio del sonno.


Fu in una notte coperta, quando i gridi dai bassifondi si erano fatti più bassi, che Grantaire inseguì Apollo fuori dai suoi sogni, nel mondo reale. Cadde dal letto, la sua bottiglia che si frantumava vicino a lui, e sentì la necessità arpionarlo, profonda, dentro al ventre. La caccia era ancora aperta. Si alzò, sentendosi tirare, e non poté fare altro che seguire quel bisogno, come un pesce senza speranza, preso all’amo.


Scivolò nelle ombre della notte, seguendo quella sensazione come un povero pazzo, finché non arrivò ad un piccolo café. Sarebbe stato uguale a tutti gli altri, non fosse stato per la luce che usciva dalle sue finestre, e il suono di voci rumorose e allegre. Aggiustandosi la camicia e con una strana ansia a pervaderlo, Grantaire salì i gradini ed entrò nella taverna.


E lì, in mezzo agli studenti, c’era il suo Apollo.


Enjolras.


Grantaire ordinò una bottiglia intera e si nascose sul fondo della sala. Per tutta quella settimana, ascoltò i loro discorsi e le loro belle idee per la Francia… e si disperò.


Erano rivoluzionari. Proprio quella, tra tutte le idee malsane. L’aveva già vista, insinuarsi nella mente dei giovani e portarli dritti nella tomba. Non aveva intenzione di restare a guardare mentre questi studenti si costruivano da soli la pira.

E lo disse anche. Ma quello fu un errore, visto che immediatamente tutti gli occhi della stanza erano rivolti a lui, e il suo Apollo si era fatto minaccioso. Quella notte giurò che non sarebbe mai più ritornato.

E si presentò di nuovo il giorno dopo, vittima degli occhi del loro capo, da quel blu, come il fiore della consolida. Era peggio di qualsiasi bottiglia avesse mai bevuto. Fu sorpreso di scoprire che lo riconoscevano, e che invece di buttarlo fuori lo accoglievano nei loro discorsi. Imparò i loro nomi, come se non li avesse saputi fin dal giorno in cui erano nati. Combeferre, Courfeyrac, Joly, Feuilly… uomini buoni, uomini onesti, uomini morti.

Le settimane diventarono mesi, e si scoprì di nuovo con degli amici. Ma i sogni non si fermarono, anzi, se possibile, divennero ancora peggio, e nonostante la possibilità di vederlo in abiti umani, e con un nome umano, Apollo, no, Enjolras, bruciava ancora più splendente di prima. E adesso… adesso era voltato a guardare Parigi, e i suoi occhi facevano male. Lo guardavano e aspettavano, domandando cose che Grantaire non avrebbe mai potuto dare.

Si svegliò piangendo.

Lisbona era la Città più vecchia di tutta l’Europa Occidentale. Disperato, le inviò in tutta fretta una lettera, per sapere cosa potesse voler dire il suo sogno. Ma chiedere consigli a qualcuno contro cui hai combattuto in guerra non é sempre saggio.

(«Sei fatto per metà di catacombe, caro Parigi. Ha senso che tu ti senta vuoto, perché é quello che sei. I cimiteri sono spesso tormentati dalla vita che manca loro.»)

Quella notte, litigò con Enjolras la prima volta. Faccia a faccia, furiosi nel bel mezzo del café, su diritti e privilegi e la volontà del popolo. Fu esilarante; fu terrificante. Enjolras non aveva mai maggiore controllo sulle parole come quando le usava contro a quell’ubriacone.

Una piccola parte di Grantaire ne era quasi compiaciuta. L’altra, più semplice, notò semplicemente che era in questi momenti che Enjolras era più bello, la statua di marmo che era infiammata di rosso, illuminata da una luce che gli proveniva da dentro. Pieno di vergogna, giurò a sé stesso che se ne sarebbe andato nel momento stesso in cui il suo Apollo gliel’avrebbe detto, una semplice parola per mandarlo via per sempre.

Ma Enjolras non lo fece.

Grantaire ritornò a casa e ci trovò una lettera da Londra. Lisbona doveva averle detto di quella che aveva spedito a lei, le due Città erano sempre state vicine l’una all’altra. Grantaire occhieggiò attentamente la lettera, come se fosse una vipera. Londra aveva un modo tutto suo di usare parole poco gentili, e lui ne era spesso stato la vittima. Sperava che questa volta non avesse esagerato troppo col veleno.

(«Anch’io ho sognato di una figura, una volta. Dai capelli di fuoco, vestita di bianco. Era la mia Regina delle fate, la mia Gloriana, la mia Elizabeth.») La lettera gli scivolò via dalle dita paralizzate. («Dolce Parigi, non aver paura di chi amerai.»)

E cosa ne sai tu dell’amore? Avrebbe voluto urlare alla carta. Si guardò intorno furibondo, intrappolato in quel terribile rifiuto. Londra aveva una mente di metallo, di ingranaggi e numeri, non sapeva niente dell’amore, anche se tutti conoscevano la storia della Regina inglese che aveva sposato la sua Città. No. Doveva essere- era un inganno! Londra amava i suoi figli con la stessa passione di lui, e sarebbe stata felice di farlo a pezzi pur di dare loro quell’impero che volevano così tanto.

Ma no, aveva già vinto contro di lui. Era soddisfatta. Perché cercare di distruggerlo quando era già a terra? Oh, Dio. Era peggio di qualsiasi veleno. Non avrebbe potuto devastarlo in questo modo se non con la verità.

Grantaire si prese la testa tra le mani. Amore, dunque. Di tutte le cose, non proprio l’amore. Sarebbe stato disposto a prendere i suoi sogni come un avvertimento, magari di doversi lasciare alle spalle Enjolras e i Les Amis per la sua stessa sicurezza. Del resto, Parigi era molto di più che un gruppetto di ragazzi. Ma l’amore.

(Paride aveva amato Elena. La sua città era bruciata fin nelle fondamenta.)

L’amore finiva sempre male, per le Città. Il regno senza eredi di Elizabeth aveva precipitato Londra nelle guerre civili. Mosca era stata abbandonata, la sua Capitale portata via e data a San Pietroburgo da uno Zar senza cuore. E ora Parigi… Parigi sapeva che sarebbe successa la stessa cosa.

Aveva già amato, una volta.

Secoli prima, quando era stato fiero e giovane. I Borgogni erano marciati sopra al suo cuore, gli avevano preso la Cittadinanza, e lui aveva combattuto per recuperarla. Aveva vissuto nel fango e nella pioggia, e lì, in mezzo a quella miseria, un lampo d’oro.

Giovanna d’Arco gli aveva sorriso.

O Giovanni, come aveva pensato si chiamasse, all’epoca. Divennero compagni d’arme. Fu sul campo di battaglia che Parigi le aveva rivelato il suo segreto, mormorando come in un confessionale, e il suo amore per Giovanni si era trasformato in venerazione, mentre anche lei gli sussurrava un suo segreto.

Una donna. Una donna l’aveva raggiunto nel momento del bisogno e aveva cambiato le sorti della guerra contro l’Inghilterra. Era bastato uno sguardo dagli occhi azzurri, come la consolida, di lei, perché lui volasse al suo fianco, e con lui la Francia intera. Erano stati gli anni più gloriosi della sua vita. L’aveva amata, furiosamente, appassionatamente, pur non avendola mai toccata. Lei era al di sopra di quello, splendente come il sole, e lui era un umile Icaro, appena capace di guardarla in tutta la sua gloria.

E come il sole, lei era bruciata.

E come Icaro, lui era precipitato.

L’amore finiva male, per le Città. Anche nelle storie senza troppi colpi di scena, le Città erano costrette a guardare i loro amanti invecchiare e morire senza di loro. Ma lui non poteva non amare. Era un uomo, così come era una Città. Aveva un cuore, e una mente, e un’anima. Non era fatto di pietra.

E quindi amava.

Amava Enjolras. Era così ovvio, adesso. I suoi sogni improvvisamente chiari, sogni di uscire da una gabbia, di essere libero. Lo vedi, Enjolras, ho ascoltato. Sogni di stare in piedi, orgoglioso al fianco di Enjolras, mano nella mano, sorridendo-

(«Lo permetti?»)

Il suo Apollo avrebbe avuto la sua leggenda, un giorno, Grantaire non aveva dubbi. Ma non sarebbe stata una storia intrecciata alla sua. Non poteva soffrire di nuovo in quel modo. Se ne sarebbe andato l’indomani, allontanandosi il più possibile. Probabilmente non sarebbe mancato a nessuno.

Che Enjolras avesse pure la sua rivoluzione. Che il suo amore per Parigi eclissasse qualsiasi altra cosa. Che splendesse così luminoso da prendere fuoco spontaneamente. Che diventasse pure un martire per una Città che non avrebbe mai conosciuto.

Grantaire non aveva mai chiesto a nessuno di morire per lui.

All’improvviso, il dolore serpeggiò sui suoi polsi. Grantaire si ritrovò senza fiato. In lontananza, delle persone gridavano, e il fumo si alzava nel cielo, assieme al rosso che si faceva strada sulle sue braccia.

 

Parigi stava bruciando.

 

 

 


 

Note delle traduttrici

Il motivo per cui abbiamo deciso di portare questa storia su EFP é semplice: Paris Burning é un capolavoro che va al di là della semplice fanfiction, é un worldbuilding spettacolare che tutti dovrebbero leggere, anche al di là del fandom di Les Misérables. Entrambe l'abbiamo letta, ci abbiamo pianto lacrime amare, l'abbiamo adorata, e abbiamo deciso di provare a tradurla. Non eguaglieremo mai lo stile dell'autrice, della nostra R (si firma così davvero e afferma che sia solo una fortunata coincidenza), e anzi, se potete, andate anche a leggere l'originale. Noi qui abbiamo il nostro piccolo tentativo 

Ora, ci sarebbero delle note da fare su questo capitolo, che ci teniamo a spiegare: la prima é quando Grantaire "rimane colpito fin nelle ossa" da Apollo. É un'osservazione stupida, ma sappiate che nell'originale é "struck to the bone". Ossia quello che canta Marius in "Red & Black". Così, giusto perché adoriamo quando nelle fanfiction vengono inseriti versi delle canzoni (weird, we are so weird).
 Poi, Londra e Lisbona. Premettendo che ovviamente questa storia sarà piena di slash e femslash, nel mondo di thecitysmith le due città sono spostate. Il concetto é complesso e di sicuro l'autrice lo spiega meglio, ma diciamo solo che si sono avvicinate ai tempi delle prime espansioni coloniali nel Nuovo Mondo e sono letteralmente sposate, anche se nel corso della loro lunga vita hanno avuto altri amanti, perché le Città amano chi é amato dalla loro gente. Cosa che ci porta al punto successivo: la storia di Londra con Elisabetta I. Che é bellissima e boh, feels. Anche Grantaire ha amato Giovanna d'Arco, e anche lì, feels. Se volete chiedere qualche chiarimento in più su questa cosa, non esitate.
Infine, ci tenevo a parlare della Cittadinanza. L'inglese é una fantastica lingua perché ha una facilità nel formare parole dalla quale l'italiano é lontano anni luce. L'autrice usa due concetti, la Capitalhood, e la Cityhood. Per Capitalhood si intende l'essere la Capitale, un processo difficile per le Città. La Cityhood é l'essere una Città, ossia avere una personificazione, avere il diritto di essere chiamata, appunto, città e Città. Per Capitalhood probabilmente terremo Capitale, con la maiuscola. Per Cityhood abbiamo pensato a Cittadinanza con la maiuscola, a sottolineare meglio che la parola ha un significato un po' diverso dal suo solito. Bene, scusate il papiro. 

Per questo capitolo, la traduzione é di barricadeuse e il betaggio di piuma_rosaEbianca. Abbiamo deciso di alternarci un po', per dividerci il lavoro. Per qualsiasi domanda, o annotazione, anche tecnica, non esitate a chiederci.

Abbiamo deciso di pubblicare un capitolo a settimana: ci siamo già portate avanti per non avere problemi o ritardi, quindi possiamo dire con sicurezza che d'ora in poi il giovedì sarà il giorno di Paris Burning. E quindi il giorno dei feels. Ci rivediamo il 27 febbraio.

Ringraziamo chi ha commentato e messo Paris Burning tra preferiti e seguiti: continuate a crescere e ad avvicinarvi anche all'originale, cosa di cui siamo contentissime (e anche dopo aver letto quel capolavoro riuscite ancora a farci dei complimenti, siete meravigliosi)

The Cities are still burning,
al prossimo capitolo,
b + c.

  
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