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Autore: TheRebelInk    20/02/2014    1 recensioni
-Fermati! – urlai correndogli incontro – No! Fermo! Non lo fare! Aspetta!
Tremava come una foglia. – Lasciami in pace!
-No! Scendi per favore! Non sai quello che stai facendo!
- TU non sai quello che stai facendo! – e si alzò in piedi. Ero nel panico, disperata. Non sapevo come fermarlo e lui sembrava sempre più deciso.
- Come ti chiami? – gli chiesi.
Lui esitò poi, tra le lacrime, rispose:- Ettore.
Due vite.
Le stesse scelte.
La storia di come ognuno di noi può rialzarsi anche nei momenti più difficili.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo 9
 
La mattina dopo ritornai a scuola e mi alzai un po’ prima per poter andare a piedi. Avevo molto su cui riflettere, soprattutto su come, la sera prima, avevo affrontato i miei. Mia madre aveva iniziato a piangere e si era chiusa in camera. Mio padre, invece, mi aveva detto che avevano sospettato che anche io mi volessi suicidare. Solo non erano riusciti a crederci. Poi eravamo andati tutti a dormire ma io ne ero certa, anche mio padre stava piangendo. A me restava solo quel vuoto oscuro e profondo nel petto. Quell’immenso buco nero che risucchiava tutte le lacrime che avrei voluto versare per aver rovinato la mia famiglia.
Non mi interessava di avere le occhiaie, di essere senza trucco e di aver lasciato liberi quei capelli lisci e chiari che assomigliavano agli spaghetti, né di indossare una maglietta larga e grigia con un boccino d’oro al centro e la scritta “Mi apro alla chiusura” che lasciava intravedere le lentiggini sulle spalle.
Varcai il cancello della scuola e abbassai lo sguardo. Il vuoto mi aveva resa solo più fredda e non mi permetteva di piangere, ma avrei voluto sotterrarmi. Tutti mi lanciavano occhiate spaventate e piene di preoccupazione, come se pensassero che mi sarei uccisa da un momento all’altro, proprio in mezzo ai corridoi.
Entrai in classe. Il mio banco era stato liberato da tutti i post-it colorati. Dopo il suono della campanella le lezioni proseguirono come sempre. Qualcuno mi chiese come mi sentissi ed io liquidai tutti con cenni e sorrisi. In realtà mi sentivo estranea, quasi fuori posto, ed era come ritornare tra i vivi. Verso mezzogiorno, però, entrò la preside.
- Elisabetta, - esordì cercando di sembrare dolce e comprensiva – potresti seguirmi un momento, per favore?
Mi alzai facendo stridere la sedia sulle piastrelle, mentre i miei compagni iniziavano a mormorare tra loro. La preside mi guidò in un ufficio che non conoscevo e in cui c’era anche un’altra persona. Non avevo mai visto quella donna: aveva uno chignon alto da cui sfuggivano ciocche di capelli biondi tinti e indossava un paio di normali jeans, tacchi alti e una leggera camicetta a fiori.
- Sono la dottoressa Paola D’Angelo – disse sorridendo. Io mi avvicinai sospettosa e le strinsi la mano senza alcun cenno di simpatia. – Sarò la tua psicologa per i prossimi mesi.
Silenzio.
Feci scorrere lo sguardo, confusa, tra le due donne che mi stavano sorridendo falsamente.
– Ho parlato con i tuoi genitori e abbiamo deciso che la presenza di un’esperta potrebbe aiutarti a superare questo brutto momento – spiegò la preside.
Silenzio.
Non volevo una psicologa. Non avevo proprio bisogno di una psicologa.
Come lo sapevo? Non avevo alcuna intenzione di ritentare il suicidio! E poi, pensandoci bene, si trattava solo di una stupida delusione amorosa. Insomma… avevo tutta la vita davanti! No, no e poi no!
L’unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento era qualcuno che mi capisse e che mi avrebbe trattata per quella che ero: una ragazzina rimasta abbagliata da Christian e cieca a tutto ciò che la circondava. Mi serviva qualcuno capace di riportarmi in carreggiata.
Guardai l’orologio sulla parete di fondo. Le lezioni sarebbero finite in non più di mezz’ora.
Uscii senza salutare e iniziai a camminare verso l’ospedale.
 
  
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