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Autore: ChiaraBaroons    20/02/2014    3 recensioni
Maya, fotografa emergente, non ne vuole più sapere del mondo a cui, suo padre, ha sempre cercato di incatenarla: il nuoto. Le piacerebbe viaggiare, vedere il mondo, e invece, per uno scherzo del destino, dopo la laurea si ritrova costretta a convivere con quell'ambiente che poco sopporta, solo per ottenere un lavoro degno di essere chiamato tale.
Ed è qui che spunta fuori Travis, nuova stella del nuoto italiano, bello da far male, ma con un ego talmente grande capace di far concorrenza a quello di Sua Maestà, la Regina Elisabetta II; ed è proprio lui il soggetto che Maya dovrà immortalare per ottenere quel fantomatico lavoro, ma non tutto risulterà semplice quanto sembra. Non sarebbe divertente, almeno per noi lettori.
Due caratteri predominati messi a confronto, due prime donne che, purtroppo oppure per fortuna, non riusciranno a restare nella stessa stanza a causa del loro orgoglio, troppo grande per rendere le cose semplici sin dall'inizio.
Sono solamente esseri umani e, complicarsi la vita nel peggior modo possibile, sembra proprio la loro linea guida.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Maya




*****




Una laurea. Bene e adesso?!

Continuai a farmi quella domanda per tutti i tre mesi che passarono dopo la mia laurea, ma non successe niente: un’opportunità, una proposta di lavoro. Niente.

Tre mesi passati a portare curriculum ovunque, a girovagare ovunque sentendomi una stupida, ma nessuno sembrava essere interessato ad una neo-laureata con quasi il massimo dei voti e con alcune raccomandazioni dei più importanti professori della mia università.

Niente. Fino a quel giorno.

Di certo, appena cominciata la ricerca di un lavoro, non avrei mai immaginato che sarei finita a fare servizi fotografici per una rivista sportiva, anche se una tra le più importanti.

Almeno non ancora.

La redazione si era dimostrata interessata ai miei scatti e alle mie capacità, ma non ne pareva del tutto convinta, così mi chiesero alcune fotografie “nuove” e su un argomento che trattavano loro.

Per fortuna c’era papà.

Scusate la maleducazione, io sono Maya.

Nome particolare, direte. Si, lo so anche fin troppo bene e preferisco non dare spiegazioni: l’ho fatto fin troppe volte.

Tornando a mio padre, lui è un ex nuotatore professionista che, in gioventù, ha vinto molte competizioni, tra cui due campionati italiani ed uno europeo. Poi si è ritirò dopo che mia madre ci abbandonò per farsi un’altra vita.

Lui, una volta mi disse che si era stancata della sua notorietà e che preferiva una vita tranquilla, ma a me non pensò minimamente.

Meglio così: mio padre è stato meraviglioso in questi anni e non ho mai sentito la mancanza di una figura femminile nella mia vita.

Avevo papà e mi bastava.

Alcuni anni fa decise di prendere in affitto un palazzetto sportivo, che poi diventò suo, e ci aprì una scuola, così cominciò a dare lezioni di nuoto a dilettanti, ma con il tempo anche a professionisti.

Posso, con orgoglio, vantarmi di aver avuto un padre allenatore di alcuni dei nuotatori più promettenti a livello nazionale, per un certo periodo.

Quando raccontai a mio padre, Claudio, di questo tipo di fotografie, ne fu entusiasta e mi disse che sarei dovuta andare alla sua piscina per fare delle prove.

Niente di più semplice, mi dissi.

E ne ero fermamente convinta, fino a quando conobbi gli “allievi” di mio padre: un ammasso di ormoni maschili, privi del benché minimo briciolo d’intelligenza. In una parola: uomini.

Non mi dilungherò oltre su discorsi sessisti, tanto a cosa servirebbe?

Accettai la proposta di mio padre.

Il nuoto lo avevo sempre lasciato a lui: me la cavo molto bene, ma avevo sempre declinato ogni proposta di mio padre di prepararmi a competizioni agonistiche; quindi quando entrai nel palazzetto per cominciare a fotografare in giro, per me fu la quarta o quinta volta che misi piede lì dentro.

Non mi sentivo particolarmente agitata: ero la figlia dell’allenatore, quindi non avevo nessun motivo per esserlo; ma avevo la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto. Fantastico!

Quando mi ritrovai nel palazzetto, andai subito alla ricerca di mio padre.

Il giorno prima mi aveva proposto di fotografare un suo nuotatore in particolare e, da come me lo aveva descritto, doveva essere particolarmente bravo, quindi particolarmente egocentrico.

Arrivai alla piscina principale e intravidi mio padre mentre parlava con un ragazzo con la sua stessa tuta da allenatore. Diedi un’occhiata in giro e notai che le vasche straripavano di atleti: mio padre era molto richiesto.

Rimasi un attimo ferma dov’ero, proprio davanti alla porta, a cercare di indovinare il prediletto di papà che aveva scelto come mio soggetto, ma non sapevo tra chi scegliere, se tra un ragazzo moro, minimo un metro e novanta, oppure un altro che sembrava più giovane di tutti gli altri.

Poi mi resi conto che, probabilmente, restavo lì per perdere il più tempo possibile: la mia voglia di scattare fotografie a individui completamente sconosciuti, quel giorno, era sottoterra.

Appena mio padre mi propose la sua idea, non potei fare a meno di pensare a quanto la sua passione fosse presente nella mia vita: avevo la fotografia, che era una cosa soltanto mia, ma in quel momento mi trovavo costretta ad unire le due cose.

Da quando avevo cominciato l’università, mi ero distaccata molto da mio padre e forse, in questo modo, sperava di poter recuperare il tempo perduto. Non potevo biasimarlo, ma desideravo essere indipendente e tornare in quel palazzetto mi faceva sentire come se fossi tornata alle catene di quando ero bambina e di quando mio padre si dimostrava fin troppo apprensivo, quasi soffocante.

Odio sentirmi soffocata!

Alla fine accettai perché avevo bisogno di un lavoro e, quella, era la mia unica possibilità per provarci.

Presi un lungo respiro, intenzionata ad andare verso mio padre, quando qualcuno mi travolse entrando dalla porta.

Aiuto!

Ma che…. Una voce maschile.

Non riuscii a restare in equilibrio e finii stesa a terra. Fortunatamente salvai in tempo la mia macchina fotografica.

“La prossima volta, magari, eviterai di stare impalata davanti alla porta!”. Sempre quella voce maschile. Iniziava a diventare irritante.

“Magari tu, in un’altra vita, potrai imparare le buone maniere!”, dissi alzandomi. Da sola. Poi mi voltai verso l’assalitore. Però…

Terribilmente più alto di me, sicuramente un atleta di mio padre, capelli castano chiaro e occhi color nocciola, sicuramente più dolci di quel suo caratteraccio.

Il mio sguardo rimase impassibile, mentre sul viso del ragazzo aleggiava un sorriso divertito.

L’irritazione stava aumentando.

“Stai cominciando un gioco che potrai soltanto perdere”.

“Invece di essere così criptico, metti in moto il cervello e almeno chiedimi scusa!”, dissi stizzita.

Incrociai le braccia al petto, in attesa.

Sentii le guance diventare più calde e mi resi conto poco dopo che sicuramente mi stavo rendendo ridicola, ma non mi azzardai a muovere un dito.

“Mi dispiace, ma proprio non posso, sono già in ritardo a causa della tua goffaggine!”, mi disse lui con un sorriso ancora più divertito sul viso. Poi se ne andò.

“Cafone!”, ringhiai a denti stretti, ma lui era già troppo lontano per potermi sentire.

Realizzai in quel momento che la mia brutta sensazione di poco prima si era appena realizzata.

Perfetto!

Era ufficiale: la giornata era partita malissimo e non poteva far altro che peggiorare, lo sapevo già!

L’ego di quel ragazzo doveva arrivare sicuramente alle stelle.

Provai in tutti i modi a mandar via il nervosismo respirando a fondo. Dovevo andare da mio padre e non volevo presentarmi da lui con i nervi a fior di pelle. Mi dissi che non valeva la pena innervosirsi per un soggetto simile, però, cavolo! avevo le mani che mi prudevano.

Sono sempre stata una ragazza tranquilla, ma ostentazioni di strafottenza come quella continuano ancora oggi a mandarmi in bestia.

Mi avviai verso Carlo, mio padre, ancora intento a parlare con l’altro allenatore.

Gli toccai una spalla. “Papà, sono qui”.

Lui si voltò sorridente, con le rughe che si infittivano vicino agli occhi, benevolo.

“Ciao piccola! Dammi due minuti e sono da te”.

Si voltò ancora e continuò a parlare con il suo collega che, per essere un allenatore, sembrava molto giovane.

Mi guardai un attimo in giro, per passare il tempo, e solo in quel momento notai che tutti gli atleti dovevano essere molto giovani: il più “vecchio” avrà avuto venticinque anni.

Notai anche che tutti si stavano impegnando al massimo: si fermava uno e cominciava un altro.

Mio padre doveva aver di sicuro costituito un dispotico regime mentale, dove tutti dovevano impegnarsi al mille per cento, anche se si trattava di un semplice allenamento, ne ero certa.

Una porta sbatté. Mi voltai verso il punto da cui proveniva il rumore e vidi Mr. Egocentrico fare la sua entrata trionfale dagli spogliatoi, con un sorriso trionfante.

Tutti lo salutarono e lo guardarono come se fosse un dio. Oh no… l’ennesima Diva!

Rivolsi lo sguardo altrove alla parte opposta del palazzetto, rifiutandomi di assistere a quello spettacolo da baraccone.

Continuai a tergiversare per quelli che mi sembravano attimi interminabili e a guardare in giro per le piscine, spazientita. Volevo solamente tornare a casa.

Dopo poco mio padre mi chiamò e quando mi voltai vidi al suo fianco quello che doveva essere il famigerato atleta.

“Oh no!”.

*
Ciao a tutti!
Spero che questo prologo sia piaciuto, sono molto legata a questa storia: è da parecchio che ci sto dietro!
E vi prego... Fatemi sapere cosa ne pensate, come ho iniziato, cosa vi piace e cosa no. Tutto!

Comunque... Vorrei ringraziare chi mi ha convinto a pubblicare questa storia, chi ha sempre sostenuto me ed il mio modo di scrivere (la mia persona <3) e vorrei ringraziare anche chi mi ha dato una mano a definire gli ultimi piccoli particolari prima di pubblicare questo primo capitolo!
Grazie di tutto!
Detto questo, vi saluto! Cercherò di aggiornare presto!
Alla prossima, gente :)

  
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