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Continuai
a farmi quella domanda per tutti i tre mesi che passarono dopo la mia
laurea,
ma non successe niente: un’opportunità, una
proposta di lavoro. Niente.
Tre mesi
passati a portare curriculum ovunque, a girovagare ovunque
sentendomi una stupida, ma nessuno sembrava essere
interessato ad una neo-laureata con quasi il massimo dei voti e con
alcune
raccomandazioni dei più importanti professori della mia
università.
Niente.
Fino a quel giorno.
Di
certo, appena cominciata la ricerca di un lavoro, non avrei mai
immaginato che
sarei finita a fare servizi fotografici per una rivista sportiva, anche
se una
tra le più importanti.
Almeno
non ancora.
La
redazione si era dimostrata interessata ai miei scatti e alle mie
capacità, ma non
ne pareva del tutto convinta, così mi chiesero alcune
fotografie “nuove” e su
un argomento che trattavano loro.
Per
fortuna c’era papà.
Scusate
la maleducazione, io sono Maya.
Nome
particolare, direte. Si, lo so anche fin troppo bene e preferisco non
dare
spiegazioni: l’ho fatto fin troppe volte.
Tornando
a mio padre, lui è un ex nuotatore professionista che, in
gioventù, ha vinto molte
competizioni, tra cui due campionati italiani ed uno europeo. Poi si
è ritirò
dopo che mia madre ci abbandonò per farsi un’altra
vita.
Lui, una
volta mi disse che si era stancata della sua notorietà e che
preferiva una vita
tranquilla, ma a me non pensò minimamente.
Meglio
così: mio padre è stato meraviglioso in questi
anni e non ho mai sentito la
mancanza di una figura femminile nella mia vita.
Avevo
papà e mi bastava.
Alcuni
anni fa decise di prendere in affitto un palazzetto sportivo, che poi
diventò suo,
e ci aprì una scuola, così cominciò a
dare lezioni di nuoto a dilettanti, ma
con il tempo anche a professionisti.
Posso,
con orgoglio, vantarmi di aver avuto un padre allenatore di alcuni dei
nuotatori più promettenti a livello nazionale, per un certo
periodo.
Quando
raccontai a mio padre, Claudio, di questo tipo di fotografie, ne fu
entusiasta
e mi disse che sarei dovuta andare alla sua piscina per fare delle
prove.
Niente
di più semplice, mi dissi.
E ne ero
fermamente convinta, fino a quando conobbi gli
“allievi” di mio padre: un
ammasso di ormoni maschili, privi del benché minimo briciolo
d’intelligenza. In
una parola: uomini.
Non mi
dilungherò oltre su discorsi sessisti, tanto a cosa
servirebbe?
Accettai
la proposta di mio padre.
Il nuoto
lo avevo sempre lasciato a lui: me la cavo molto bene, ma avevo sempre
declinato ogni proposta di mio padre di prepararmi a competizioni
agonistiche;
quindi quando entrai nel palazzetto per cominciare a fotografare in
giro, per
me fu la quarta o quinta volta che misi piede lì dentro.
Non mi
sentivo particolarmente agitata: ero la figlia
dell’allenatore, quindi non
avevo nessun motivo per esserlo; ma avevo la sensazione che qualcosa
sarebbe
andato storto. Fantastico!
Quando
mi ritrovai nel palazzetto, andai subito alla ricerca di mio padre.
Il
giorno prima mi aveva proposto di fotografare un suo nuotatore in
particolare
e, da come me lo aveva descritto, doveva essere particolarmente bravo,
quindi
particolarmente egocentrico.
Arrivai
alla piscina principale e intravidi mio padre mentre parlava con un
ragazzo con
la sua stessa tuta da allenatore. Diedi un’occhiata in giro e
notai che le
vasche straripavano di atleti: mio padre era molto richiesto.
Rimasi
un attimo ferma dov’ero, proprio davanti alla porta, a
cercare di indovinare il
prediletto di papà che aveva scelto come mio soggetto, ma
non sapevo tra chi
scegliere, se tra un ragazzo moro, minimo un metro e novanta, oppure un
altro
che sembrava più giovane di tutti gli altri.
Poi mi
resi conto che, probabilmente, restavo lì per perdere il
più tempo possibile:
la mia voglia di scattare fotografie a individui completamente
sconosciuti,
quel giorno, era sottoterra.
Appena
mio padre mi propose la sua idea, non potei fare a meno di pensare a
quanto la
sua passione fosse presente nella mia vita: avevo la fotografia, che
era una
cosa soltanto mia, ma in quel momento mi trovavo costretta ad unire le
due
cose.
Da
quando avevo cominciato l’università, mi ero
distaccata molto da mio padre e
forse, in questo modo, sperava di poter recuperare il tempo perduto.
Non potevo
biasimarlo, ma desideravo essere indipendente e tornare in quel
palazzetto mi
faceva sentire come se fossi tornata alle catene di quando ero bambina
e di quando
mio padre si dimostrava fin troppo apprensivo, quasi soffocante.
Odio
sentirmi soffocata!
Alla
fine accettai perché avevo bisogno di un lavoro e, quella,
era la mia unica
possibilità per provarci.
Presi un
lungo respiro, intenzionata ad andare verso mio padre, quando qualcuno
mi
travolse entrando dalla porta.
Aiuto!
“Ma
che…”. Una
voce maschile.
Non
riuscii a restare in equilibrio e finii stesa a terra. Fortunatamente
salvai in
tempo la mia macchina fotografica.
“La
prossima volta, magari,
eviterai di stare impalata davanti alla porta!”. Sempre quella voce maschile.
Iniziava a diventare irritante.
“Magari
tu, in un’altra vita,
potrai imparare le buone maniere!”, dissi alzandomi. Da sola. Poi mi
voltai verso
l’assalitore. Però…
Terribilmente
più alto di me, sicuramente un atleta di mio padre, capelli
castano chiaro e
occhi color nocciola, sicuramente più dolci di quel suo
caratteraccio.
Il mio
sguardo rimase impassibile, mentre sul viso del ragazzo aleggiava un
sorriso
divertito.
L’irritazione
stava aumentando.
“Stai
cominciando un gioco che
potrai soltanto perdere”.
“Invece
di essere così criptico,
metti in moto il cervello e almeno chiedimi scusa!”, dissi stizzita.
Incrociai
le braccia al petto, in attesa.
Sentii
le guance diventare più calde e mi resi conto poco dopo che
sicuramente mi
stavo rendendo ridicola, ma non mi azzardai a muovere un dito.
“Mi
dispiace, ma proprio non
posso, sono già in ritardo a causa della tua
goffaggine!”, mi disse lui con un sorriso
ancora
più divertito sul viso. Poi se ne andò.
“Cafone!”, ringhiai a denti stretti, ma lui
era già troppo lontano per potermi sentire.
Realizzai
in quel momento che la mia brutta sensazione di poco prima si era
appena
realizzata.
Perfetto!
Era
ufficiale: la giornata era partita malissimo e non poteva far altro che
peggiorare, lo sapevo già!
L’ego di
quel ragazzo doveva arrivare sicuramente alle stelle.
Provai
in tutti i modi a mandar via il nervosismo respirando a fondo. Dovevo
andare da
mio padre e non volevo presentarmi da lui con i nervi a fior di pelle.
Mi dissi
che non valeva la pena innervosirsi per un soggetto simile,
però, cavolo! avevo le
mani che mi prudevano.
Sono
sempre stata una ragazza tranquilla, ma ostentazioni di strafottenza
come
quella continuano ancora oggi a mandarmi in bestia.
Mi
avviai verso Carlo, mio padre, ancora intento a parlare con
l’altro allenatore.
Gli
toccai una spalla. “Papà,
sono qui”.
Lui si
voltò sorridente, con le rughe che si infittivano vicino
agli occhi, benevolo.
“Ciao
piccola! Dammi due minuti e
sono da te”.
Si voltò
ancora e continuò a parlare con il suo collega che, per
essere un allenatore,
sembrava molto giovane.
Mi
guardai un attimo in giro, per passare il tempo, e solo in quel momento
notai
che tutti gli atleti dovevano essere molto giovani: il più
“vecchio” avrà avuto
venticinque anni.
Notai
anche che tutti si stavano impegnando al massimo: si fermava uno e
cominciava
un altro.
Mio
padre doveva aver di sicuro costituito un dispotico regime mentale,
dove tutti
dovevano impegnarsi al mille per cento, anche se si trattava di un
semplice
allenamento, ne ero certa.
Una
porta sbatté. Mi voltai verso il punto da cui proveniva il
rumore e vidi Mr.
Egocentrico fare la sua entrata trionfale dagli spogliatoi, con un
sorriso
trionfante.
Tutti lo
salutarono e lo guardarono come se fosse un dio. Oh
no… l’ennesima Diva!
Rivolsi
lo sguardo altrove alla parte opposta del palazzetto, rifiutandomi di
assistere
a quello spettacolo da baraccone.
Continuai
a tergiversare per quelli che mi sembravano attimi interminabili e a
guardare
in giro per le piscine, spazientita. Volevo solamente tornare a casa.
Dopo
poco mio padre mi chiamò e quando mi voltai vidi al suo
fianco quello che
doveva essere il famigerato atleta.
“Oh no!”.
Spero che questo prologo sia piaciuto, sono molto legata a questa storia: è da parecchio che ci sto dietro!
E vi prego... Fatemi sapere cosa ne pensate, come ho iniziato, cosa vi piace e cosa no. Tutto!
Comunque... Vorrei ringraziare chi mi ha convinto a pubblicare questa storia, chi ha sempre sostenuto me ed il mio modo di scrivere (la mia persona <3) e vorrei ringraziare anche chi mi ha dato una mano a definire gli ultimi piccoli particolari prima di pubblicare questo primo capitolo!
Grazie di tutto!
Detto questo, vi saluto! Cercherò di aggiornare presto!
Alla prossima, gente :)