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Autore: Coz    21/06/2008    0 recensioni
Regà, siamo sul raccordo. Vai a piazza Mazzini, Spino! Ve lo ricordate il cornettaro di via Barletta? - Dito, diceva, sporgendosi tutto contento verso il parabrezza.

Cinque diciannovenni e un Ducato bianco, vecchio come la vita. Alla conquista del Mondo.

"Può essere che un uomo sia aggressivo perché non è passato attraverso il pericolo, come me. Io posso permettermi di prendere le cose con calma perché sono passato attraverso il fuoco. Non è lontano dal fuoco che puoi trovare la calma, ma dentro ad esso."
Bob Marley
Genere: Generale, Romantico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo il cappuccino fumavamo Marijuana... Poi a ricreazione... Bim, vai con un'altra canna! - canticchiava il ragazzo che guidava, seguendo il filo della canzone intrappolata fra le maglie plastiche del Cd infilato nell'autoradio. Alessandro, per tutti Spino, per i capelli, che quand'erano corti come li aveva ora, erano tutti dritti, e sembravano tante spine. Era bassino, con i capelli mori. Eppure, se fossero stati lunghi, sarebbero stati belli e mossi. Occhi neri screziati di marrone, fissavano vigili la strada notturna. Salaria. Fissavano canzonatori quell'asfalto, come a sfidare la Provvidenza a mandagli contro qualsiasi dosso, o buco, e lui l'avrebbe sfidato e l'avrebbe vinto. Occhi segnati da un dolore lontano, forse, che si strozzava nell'imbocco del dimenticatoio.

A bella, ma che piove? - Urlava quello che sedeva accanto al conducente, sporto dal finestrino, col sorriso sulle labbra. E fissava una prostituta che camminava sul bordo della grande strada, con solo una maglietta di qualche taglia in più per il suo corpo formoso, e le copriva solo in parte le natiche nude. In mano, un'ombrello. Si, in effetti pioveva. Quello che inveiva contro la meretrice si chiamava Alessandro, come l'altro. Però tutti lo chiamavano Dito. Una contrazione della parola Dirt, il soprannome che s'era dato. Sporco. E per prenderlo in giro, non trovando un senso apparente in quell'appellativo, lo identificavano come un'appendice composta da tre falangi. La testa totalmente rasata, ma dalle tempie in sù i capelli erano lievemente più lunghi. Gli occhi castani molto scuri. Un naso con una gobba, aquilino, un pò come quello di Dante Alighieri. Con i denti bianchissimi. Un sorriso, che solo a vederlo, ti montava dentro un'allegria devastante.

Poi ce n'era una, seduta a terra, nel cassone del furgone, ambiente non separato dai sedili anteriori, come di solito invece è. Che stava squagliando un grammo d'Hashish sul ginocchio coperto dai Jeans. Diana, si chiamava. Conosciuta come Cricri, il verso dei grilli. Perchè quando rideva, aveva una risata così acuta dal poter essere, sebbene lontamente associata, al suono prodotto dai suddetti insetti. Aveva lunghi capelli mori, lisci di natura, vagamente ricci per colpa della piastra. Gli occhi verdi, ma di un verde pallido, tendente al giallo. E fissava, il tocco vegetale, marrone, che si faceva molle sotto la fiamma dell'accendino. Lo prese, sbriciolandolo sull'altra mano in cui era posato del tabacco.

Accanto a Cri, un altro adolescente fissava serafico fuori dal finestrino di Plexiglass. Un sorriso mesto gl'increspava le labbra, il sorriso che potrebbe avere Gesù fissando il mondo adesso. Si chiamava Lucien, e il suo nome l'aveva preso da suo nonno, che era francese. D'Avignone, per la precisione. Aveva i capelli non molto lunghi. Tutti scompigliati, impossibili da tenere in ordine. Di un castano che sembrava il grano maturo, e quando la luce gli colpiva il capo, quelli brillavano di strambi riflessi rossicci, e biondi. Qualche lentiggine sulle gote. E fissava quella distesa di palazzi malandati come se fossero una cosa davvero meravigliosa. Lo chiamavano il Falco. Perchè era un buon osservatore. Sapeva sempre come sarebbe andata a finire, perchè leggeva nella gente. Perchè cacciava solo quando aveva fame. Perchè se ne stava sul suo ramo. Guardando nel burrone. Alla ricerca, di altri rapaci.

Perso in mezzo alle valige, alle sacche e agli zaini, dormiva tutto storto un altro ancora. Con la testa posata su un sacco a pelo. Si chiamava Cedric, ed era il fratello del Falco. Lo chiamavano il Gufo. Perchè era sempre prodigo di consigli, perchè era saggio, perchè se ne stava calmo e pacato, qualsiasi cosa succedesse. Raccontava un sacco di storie e aneddoti. Gli piacevano i discorsi complicati. Era robusto, alto, con al posto delle mani due vanghe, tutto il contrario del consanguineo. E aveva gli stessi capelli di Lucien, solo più lunghi. Legati in una coda. Russava, a bocca schiusa, russava sbragato. Tranquillo. E non si sarebbe svegliato per nessuna ragione.

Eccoli, cinque ragazzi in fuga. Cinque ragazzi in fuga da qualcosa, cinque ragazzi forse non in fuga forse, alla ricerca di qualcosa troppo grande, per essere trovato dentro un ufficio.

Ohhh, a Gù, ricchiappate! Daje, svejate quer ciccione. Cri, la mina è pronta? - Tutte insieme, quelle parole, come una raffica di mitraglietta. Era Dito, che s'era girato, come se solo adesso si fosse accorto della presenza dei compagni di viaggio. - Dai Cri, movite!

Dito, statte zitto n'attimo. Mi distrai. - Rispondeva la ragazza, che dopo aver girato la mista di tabacco e Hashish dentro la cartina, ne leccava il bordino colloso.

Cazzo, che busta! Ce mancava er marchio dell'Upim e potevamo anna a fa shopping. - Inveiva Spino, guardando l'operato della ragazza dallo specchietto retrovisore. E intanto il Falco se la rideva. - Cazzo te frega, basta che se fuma. - Ci metteva la sua, quel ragazzo alto circa uno e settantadue, magro come la morte. Come si dice a Roma. Un cazzo e du barattoli. Totalmente differente dal colosso adagiato lì dietro, quello che dormiva.

I'm not doing anything wrong, so let me smoke my joint, and go to work! - Canticchiava Cri, ad alta voce, andando contro la canzone che girava. Come per sovrastare le critiche, ridacchiando fra sè e sè. Mentre si cacciava il filtro fra le labbra. E cominciava a tirare, accendendola. Con quel Bic rosso, così ordinario.
L'odore subito si spanse nell'aria immobile del furgone. Eccoli qua. Cinque diciannovenni allo sbando.

Pronti a morire.
Tanto quanto pronti a vivere.


Cri, te busso. - Disse il Gufo, inaspettatamente, con la voce impastata dal sonno, o semplicemente perchè aveva la faccia pressata contro il sacco a pelo. Magari s'era appena svegliato, forse fingeva di dormire.
Ciccione bastardo, tu non stavi dormendo? - Ancora una volta, Dito s'era girato, fissando truce il compagno più grosso.
Nessuna risposta, allorchè il Falco mentre Cri si voltava per passare lo spinello al Gufo, intercettò la mina vagante, cacciandosi fra le labbra il filtro.
Daiiii. - Cri si ribellava a quella presa di posizione, mentre tutto sereno e incurante del fallo il Falco inspirava tranquillo, con sommo disappunto del fratello, che si limitava ad osservare pacato la scena.

Quello che vuoi te lo prendi, eh? Che fijo de na mignotta. - Sogghignava Spino, evitando per un pelo un cartello stradale che indicava lavori in corso. E il vecchio Fiat Ducato ondeggiava come una barchetta in preda alla corrente più forte, scuotendo i passeggeri.

Regolare. - Rispondeva il Falco, buttando un'altra boccata, espirando con le narici fumo denso. Fissando la sommità della canna che ardeva
Se non me la passi ti ammazzo. - Sibilava, il Gufo. E sembrò bastare solo quello, perchè il fratello allungasse il braccio, così che l'altro rapace immaginario prendesse la sigaretta d'Hashish.

Regà, siamo sul raccordo. Vai a piazza Mazzini, Spino! Ve lo ricordate il cornettaro di via Barletta? - Dito, diceva, sporgendosi tutto contento verso il parabrezza.

Bentornati a casa.
O forse.
Benvenuti.
  
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