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Autore: _elanor_    21/06/2008    3 recensioni
La mia prima storia è dedicata a Lily, James, Severus, Sirius e Remus: delle loro vite ai tempi di Hogwarts. Questo è il primo capitolo, in cui vengono presentati i personaggi nell'arco della serata che precede la loro partenza per Hogwarts. Spero che vi piaccia quanto a me è piaciuto scriverla
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Remus Lupin, Severus Piton, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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La sorpresa di James

 

 

Le vacanze di Natale erano passate più velocemente di quanto si sperasse, e il cielo sopra Hogwarts era sempre più denso di soffici nubi grigie, che nascondevano ormai da mesi il pallido sole invernale. Di tanto in tanto fiocchi leggeri prendevano a scendere giù, fino a posarsi senza il minimo rumore sul già abbondante manto candido che ricopriva tutto ciò che era visibile.

Il rientro a scuola fu traumatico per la maggior parte degli alunni. Una violenta bufera di neve aveva rallentato di ore il viaggio in treno, permettendo ai giovani e stremati passeggeri di raggiungere il castello solo a mezzanotte passata.

James, per sua fortuna, era stato riportato a scuola dai suoi genitori, che avevano approfittato per visitare Hogsmead con il figlio. Con loro aveva trascorso la giornata in giro per il grazioso paesino, una delle più celebri città magiche della Gran Bretagna. Aveva trascinato i genitori in tutti i negozi, convincendoli a farsi comprare dolciumi di tutti i tipi a Mielandia e ogni sorta di cianfrusaglia da Zonco; fino a che al tramonto lo avevano accompagnato al castello di Hogwarts.

Il ragazzo, dopo un rapido saluto a mamma e papà, era schizzato su per le scale fino alla torre, nella sala comune dei Grifondoro. Nel rientrare in quella stanza circolare, dominata dalle tonalità calde dei colori della sua Casa, si era stupito nel constatare quanto gli fosse mancato quel luogo nelle poche settimane che aveva trascorso a Godric’s Hollow. Ogni cosa gli sembrava più bella di quando l’aveva lasciata: il grosso camino di pietra chiara in cui era costantemente acceso un allegro fuoco scoppiettante, i tavoli a cui si accomodava per svolgere i compiti in compagnia di Sirius, Remus e Peter, il tappeto che lui e Sirius avevano bruciacchiato il mese prima nel tentativo di provare un incantesimo, la cui bruciatura era ora nascosta da una poltrona.

Nella sala c’erano i pochi alunni che avevano passato le vacanze al castello. James li aveva salutati allegro, anche se non sapeva neanche uno dei loro nomi, ed era corso in camera, dove era già stato smaterializzato il suo baule, ancora più pesante e pieno che all’inizio dell’anno. Era la prima volta da tempo che quell’ambiente appariva ordinato, senza i vestiti, i libri e le scarpe dei quattro occupanti sparsi dappertutto. Si era buttato di schiena sul suo letto, rimbalzando sul soffice materasso, pregustando le facce che avrebbero fatto Sirius e gli altri nel vedere ciò che aveva portato con sé. Di sicuro, li avrebbe fatti rimanere a bocca aperta.

Ma quella sera non aveva potuto mostrare niente a nessuno dei tre compagni, i quali appena rientrati a mezzanotte passata, stanchi e stremati dal tormentato viaggio, si erano buttati nei letti senza quasi badare al ragazzino dai capelli scarmigliati che fremeva d’impazienza, e si erano addormentati nel giro di pochi minuti.

Ora il primo anno di Grifondoro, dopo una notte ristoratrice ed un’abbondante colazione, era seduto ai banchi dell’aula di Storia della Magia. Il fantasma del vecchio professor Ruf stava spiegando con la sua abituale cadenza lenta e monotona la prima rivolta dei folletti, provocando negli alunni copiosi sbadigli. Neanche Lily Evans, che sedeva al suo solito banco in prima fila, sembrava seguire la lezione, con la guancia appoggiata alla mano destra ed i grandi occhi verdi socchiusi in un’espressione assente. L’unico che pareva veramente interessato alla materia era Remus, la cui piuma sfrecciava svelta sulla pergamena senza perdersi una sola parola che usciva dalle labbra inconsistenti del soporifero professore.

James si voltò verso il ragazzo che occupava il banco alla sua destra. Era strano Sirius; il suo consueto buonumore quel giorno non c’era. Fissava il libro davanti a lui con occhi spenti, senza muovere un muscolo. Il suo volto, di solito sereno e rilassato, era totalmente inespressivo. Sembrava mille miglia lontano, immerso in cupi pensieri che l’amico non riusciva ad interpretare.

< Ehi, Black, ma che hai oggi? > chiese James sottovoce pendendosi verso il ragazzo.

Il moro si riscosse dai suoi meditabondi pensieri e si voltò verso l’amico. < Che? >

< Sembri pensieroso. È successo qualcosa? >

< No, no, tranquillo > rispose Sirius con poca enfasi, e tornò a contemplare il suo libro, che dopo metà anno scolastico sembrava ancora nuovo di zecca.

< Ehi, senti > lo richiamò di nuovo James, con le braccia incrociate sul banco e la testa inclinata verso di lui, < più tardi, dopo le lezioni, devo farti vedere una cosa >.

< Che cosa? > fece il ragazzo, incuriosito dal tono eccitato dell’amico. James sorrise nel vedere che le sue parole avevano acceso un barlume di interesse negli occhi chiari dell’amico.

< Non te lo dico > rispose. < È una sorpresa. Aspetta e vedrai >. Si sistemò più dritto sulla sedia, mentre lo sguardo dell’altro era ancora puntato su di lui.

La campanella suonò, mettendo fine a quell’ora di tortura. Tutti gli alunni scattarono in piedi, svelti a infilare libri e pergamene nelle borse, mentre il professore ancora parlava.

 

 

 

ef

 

 

 

Lily si sedette al tavolo apparecchiato della sua Casa, tra le due compagne, Pauline e Mary. Era ancora stanca per l’assurdo viaggio del giorno prima, malgrado la notte di sonno. E le lezioni del mattino erano passate con innaturale lentezza, specie quella di Storia della Magia. Con poca attenzione si versò nel piatto alcune cucchiaiate di purè di patate e qualche fetta di roastbeef. Alzò gli occhi e li puntò verso il tavolo più lontano, fissa su un ragazzino pallido.

< Lily? Ci sei? >. La sua attenzione venne richiamata dalla voce di Mary. < Che stai fissando? >

< Niente > rispose la ragazza, voltandosi verso l’amica dai capelli corvini. < Niente, ero soprappensiero. Che c’è? >

< Volevamo sapere come hai passato le vacanze di Natale > disse Pauline, stringendo un po’ la coda alta sulla nuca.

< Oh, bene. Ho ricevuto un gufo dai miei genitori. L’ho chiamato Pixie > rispose, tagliando con il coltello la carne sul suo piatto. < A voi invece? Com’è andata? > chiese infilandosi in bocca una grossa porzione di carne e purè.

< Io sono stata in Romania a trovare mio fratello maggiore > Raccontò Mary. < Lui vive lì con sua moglie. Si sono trasferiti per via del suo lavoro di ricercatore; sta facendo degli studi sulle origini dei vampiri>. Al sentire quelle parole, Lily rabbrividì leggermente. Sapeva già dell’esistenza di creature che fino a neanche un anno fa riteneva solo frutto della fantasia di alcuni scrittori, come i vampiri, i draghi o i lupi mannari; ma era sempre strano ed inquietante sentir parlare di certi argomenti e saperli veri. Ancora faticava a credere che tutto ciò stesse accadendo a lei, che non era solo un sogno straorinario quello di appartenere ad una comunità magica. Ed era certa che non si sarebbe mai abituata del tutto ad alcuni aspetti di quel nuovo mondo.

Lo sguardo di Lily tornò di nuovo al tavolo dei Serpeverde, su Severus che stava chiacchierando con i suoi compagni di classe. Sembrava tranquillo. Eppure lei non aveva smesso di pensare a lui nemmeno per un istante, dopo la notte di Natale in cui l’aveva trovato sconvolto al parco. Quello che il ragazzo le aveva raccontato l’aveva turbata, per molti motivi diversi.

Aveva assistito ad una parte dell’inferno in cui l’amico era cresciuto, e non poteva che provare pena per lui, e capire ancora di più i lati cupi e misteriosi del suo carattere. Riusciva a comprendere meglio quell’ombra scura che a volte scorgeva nei suoi occhi, che rivelavano una profonda amarezza, e che spesso la inquietavano. E riusciva a capire il perché di quel suo viso perennemente accigliato e serio.

Le lacrime che aveva visto scendere sul volto pallido del ragazzo, quel ragazzo che sembrava non potesse essere scalfito ormai da niente, l’avevano spinta ad abbracciarlo. Avrebbe voluto consolarlo, lenire il suo dolore. Ma non sapeva come, da dove cominciare. Era troppo difficile guarire una ferita profonda come la sua.

Dopo quella sera, Severus non aveva voluto riaffrontare l’argomento, fingendo che tutto andasse bene. Lily sapeva che non era così, ma non voleva urtarlo; perciò aveva finto anche lei che nulla fosse successo. Ma non riusciva a smettere di pensare a lui.

< Ehi > la richiamò Pauline. < Mi spieghi che ha di tanto interessante il tavolo dei Serpeverde? >

< Eh? >

< È da quando siamo arrivate a pranzo che lo fissi > spiegò Mary.

< Ah, no niente. Scusate >.

Riprese a mangiare il purè a grosse forchettate. E cercò di concentrarsi sulla conversazione con le compagne, che stavano ora discutendo delle lezioni di Erbologia e Difesa Contro le Arti Oscure che le aspettava per quel pomeriggio.

Di fronte a loro tre, i quattro compagni dello stesso anno sembravano confabulare qualcosa.

< Ma dacci almeno un indizio! > sentì Sirius sussurrare a James.

< Non se ne parla > gli rispose l’altro con la bocca piena di piselli e pollo, offrendo a tutti una panoramica dell’interno del suo cavo orale. < Aspetta fino a stasera e lo vedrai >.

< Per la miseria, Potter! Non puoi far morire di curiosità una persona per tutto questo tempo! > ribadì Sirius a voce più alta.

< Sirius ha ragione > intervenne Remus. < Almeno dicci… >

< Insomma, piantatela! > scattò il moro con gli occhiali, sollevandosi più diritto per sovrastare gli altri tre. < Tanto è inutile! Voi ieri sera non avete voluto ascoltarmi, e ora vi tenete la curiosità fino a stasera > concluse, senza ammettere repliche, ficcandosi in bocca un altro grosso boccone dal suo piatto stracolmo.

< Che gran testa di …. > fece Sirius, voltandosi verso il suo piatto quasi intatto, rassegnato.

James alzò lo sguardo e incrociò quello di Lily, che istantaneamente lo distolse. Se possibile, ora gli stava ancora più antipatico di prima.

 

 

 

Severus si alzò dal suo tavolo nella Sala Grande con i compagni, infilandosi in spalla la pesante borsa stipata di libri. La prossima lezione sarebbe stata Incantesimi, con il primo anno di Tassorosso. Si diresse verso l’aula, chiacchierando con gli altri.

< Insomma, tra due settimane c’è la grande sfida: Serpeverde contro Grifondoro > fece Evan Rosier, che non faceva altro che parlare di Quidditch. < Li faremo neri! >

< Non lo so, il loro portiere è parecchio bravo > intervenne Steven Mulciber.

< Si, ma Lucius Malfoy è il miglior cercatore che si possa avere > continuò Waelon Avery, sempre più eccitato. < La volta scorsa, contro i Tassorosso, ha trovato il boccino dopo soli dieci minuti di partita. E avevamo già cento punti avanti a loro! >

< Mah, speriamo bene > fece Steven. < Certo che se perdiamo contro quegli spacconi dei leoni è meglio che ci impicchiamo >.

< Tu che ne pensi, Severus? > chiese Evan.

< Mah, non mi piace molto il Quidditch, mi dispiace > rispose il ragazzo.

< Diamine, Severus! Come fa a non piacerti il Quidditch! > fece Waelon. < Io il prossimo anno voglio fare i provini per entrare in squadra. Speriamo che mi prendano >

Continuò a percorrere gli ormai familiari corridoi ascoltando la conversazione di Quidditch degli altri due. Per sua fortuna era di nuovo ad Hogwarts, con i suoi compagni di Casa. Le vacanze di Natale erano finite, e probabilmente lui era l’unico in tutta la scuola a gioirne.

Dopo la notte di Natale le cose erano diventate strane a casa sua. Il padre, dopo essersi ripreso, evitava il figlio in tutti i modi, e passava fuori casa ancora più tempo di prima. Sua madre, invece, lo trattava come sempre. Ma appariva più tranquilla, e lo guardava con occhi a metà tra l’inorgoglito e l’incredulo. Era ovvio che non si sarebbe mai aspettata da lui un comportamento di quel genere. Le ansie che Severus aveva provato nei confronti della donna, quella sera, erano sparite nel momento in cui aveva rimesso piede in casa, e l’aveva accolto con un sorriso dolce e caloroso.

Naturalmente, nessuno dei tre aveva accennato nemmeno vagamente all’accaduto, come sempre accadeva in quella casa.

Comunque, una cosa positiva c’era stata. L’uomo non aveva più toccato con un dito sua madre da quella sera, né alzato la voce. Era dimesso e silenziosi come un topolino quando lui era nei paraggi. E Severus era fiero del suo operato. Aveva capito che con la magia, mostrando al padre quanto potesse essere superiore a lui, si era conquistato il suo rispetto.

O forse quello non era rispetto nei suoi confronti, ma solo terrore. Ma non cambiava le cose. Restava il fatto che dopo il suo folle e sventato gesto ora l’uomo non lo bistrattava, né lui né tantomeno sua madre. E la cosa era più che sufficiente. Andava bene così, che lo facesse per rispetto o per paura non importava granché; ciò che contava era il risultato.

Raggiunsero l’aula, dove la classe di Tassorosso aveva già occupato i posti abituali nella parte desta della stanza. Si sedette al suo solito banco in prima fila, accanto a Evan, estraendo dalla borsa pergamena, calamaio, piuma e libro e disponendoli ordinatamente sul tavolo.

gli chiese il compagno mentre aspettavano che il piccolo professor Vitius cominciasse la lezione.

< Si, certo > rispose Severus, con sguardo inorgoglito. < Mi è venuto lungo30 cm. >

< Cavolo… Senti… non è che dopo me lo passi, che io non l’ho fatto, così prendo spunto dal tuo? Se domani non lo consegno, Lumacorno mi toglierà altri cinque punti >

Come sempre. Severus era abituato a quello. Era il prezzo che doveva pagare per essere un ragazzo diligente, che al contrario dei compagni svolgeva sempre impeccabilmente tutti i compiti. Ogni volta qualcuno di loro gli chiedeva una mano per un tema, o un incantesimo, o una pozione. Ma tutto sommato non gli dispiaceva poi tanto, era un modo come un altro per essere accettato dagli altri.

< Uff.. e va bene, ma non lo copiare da cima a fondo come al tuo solito. L’altra volta lo stavi per consegnare col mio nome… >.

 

 

 

ef

 

 

 

La sala comune di Grifondoro alle otto e mezzo di sera era gremita di ragazzi. Alcuni erano intenti a svolgere i loro compiti per il giorno dopo. Altri si godevano un meritato riposo spaparacchiati sulle comode poltrone. C’era chi si scaldava accanto al caminetto, chi si scambiava effusioni appoggiato ad una finestra, chi ripassava degli schemi di gioco per l’imminente partita contro Serpeverde. Due ragazzini del secondo anno si sfidavano agli scacchi dei maghi. Altri due del quarto si sbaciucchiavano avvinghiati in una poltrona un po’ in penombra.

Remus era seduto ad uno dei tavoli della sala, accanto a Lily. Capitava non di rado che i due svolgessero i compiti insieme; spesso dopo cena, prima di andare a dormire, quando non si poteva uscire dalla sala comune a causa del coprifuoco.

In quel momento stavano controllando il tema sull’uso della coda di salamandra che il professor Lumacorno aveva assegnato per le vacanze, confrontandolo per scovare eventuali errori.

< Lily, sei un genio! Hai scritto un sacco di cose che io non sapevo! > le disse Remus, quasi stupito dall’acume e le conoscenze della ragazza.

< Grazie, ma devo ammettere che non è tutto merito mio. Severus mi ha aiutato durante le vacanze. Lui è davvero bravo a Pozioni. Sa un sacco di cose sull’argomento >.

< Si, me ne sono accorto. È un portento, quello lì >. La ragazza gli rivolse un sorriso solare.

Lily era l’amica migliore che si potesse desiderare. Era arguta, simpatica, piacevole. Sempre disposta ad aiutare, ed estremamente protettiva verso le persone a cui teneva. In sua compagnia passava sempre ore piacevoli e spensierate.

La ragazza sollevò i grandi occhi ed il suo sorriso contagioso si spense velocemente. Remus si voltò e vide Sirius che si avvicinava a loro col suo passo fluido ed elegante. < Ehi, Rem > cominciò il ragazzo quando lo raggiunse, poggiando le mani sul tavolo. < Dai, vieni,  James vuol finalmente farci vedere quella cosa >.

< Veramente, ora ho un po’ da fare con Lily >.

< Dai che a Evans non dispiace se vieni con noi. Tanto c’è sempre il suo amichetto Mocciosus che può tenerle compagnia, no? >. Sirius scoccò un occhiolino alla ragazza, che lo guardò stizzita e senza degnarlo di una parola distolse lo sguardo.

< Tranquillo, Remus. Vai pure, tanto abbiamo finito con i compiti > fece la ragazza poggiandogli una mano sulla spalla.

Remus raccolse i suoi libri, salutò l’amica che ricambiò con un sorriso e si avviò insieme a Sirius verso il dormitorio dei ragazzi.

< Come sono andate le tue vacanze? > chiese il moro mentre salivano le scale a chiocciola.

< Ah, bene grazie. Mamma ha cucinato per un reggimento >.

Sirius si bloccò sulle scale. < Scusa, ma tua madre non era in ospedale? >

Remus raggelò, fermandosi anche lui qualche gradino avanti al moro. Aveva appena fatto una gaffe tremenda. < Ah, be’… è che… l’hanno dimessa per le feste > arrancò mangiandosi le parole, senza guardare l’amico in faccia. < Stava meglio, e così… le hanno permesso di festeggiare in casa con noi >.

Sirius non disse una parola. Remus sentiva i suoi occhi di ghiaccio puntati sulla schiena; lo stava fissando con tale intensità che credeva gli avrebbe perforato una spalla. < Ma… >

< Dai andiamo, James ci aspetta > disse prima che l’altro potesse finire la frase, e riprese a salire le scale precedendolo.

Cavolo. Come aveva potuto fare un errore come quello? Doveva stare attento. Doveva stare più attento. Rischiava di far saltare tutta la copertura che Silente gli aveva assicurato. Rischiava di essere cacciato dalla scuola. Rischiava la sua istruzione, il suo futuro. E, cosa ancora peggiore, rischiava di perdere gli unici amici che avesse mai avuto. Nessuno avrebbe più voluto essere amico suo se avesse scoperto chi realmente fosse.

E per nulla, nulla al mondo voleva tornare a fare la solitaria e insipida vita che aveva condotto per tutta la sua infanzia. Prima, credeva di poter vivere benissimo anche in quella maniera. Ma adesso, che sapeva cosa volesse dire avere degli amici, persone con cui parlare, scherzare, che si confidavano con lui, che lo facevano sentire importante, non sarebbe mai riuscito a farne a meno.

Non si voltò neanche per un secondo. Temeva troppo lo sguardo di Sirius, perché in quegli occhi dai riflessi di ghiaccio aveva letto già altre volte dubbi ed esitazioni. Se li avesse incontrati in quel momento era certo che avrebbe dato conferma a quei pensieri che frullavano nell’amico.

Aprì la porta del dormitorio ed entrò nella calda stanza circolare. Peter era seduto sul suo letto, a gambe incrociate, mentre James era al centro della camera, vestito in jeans e maglietta, con i capelli umidi di una recente doccia.

 

 

 

< Era ora! Ma quanto ci avete messo? > fece un impaziente James vedendo entrare Remus e Sirius.

Sirius aveva una faccia, se possibile, ancora più strana di quella mattina. E anche il volto di Remus lo colpì: la sua espressione era stranamente imbarazzata.

< Scusaci, James > spiegò Remus. < Stavo facendo i compiti con Lily >.

< Ah, i due secchioni all’opera. Carini > lo punzecchiò divertito il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli bagnati. < Be’, non importa. Devo assolutamente farvelo vedere. Non ce la faccio più! Se sto zitto ancora per un altro minuto esplodo! > disse, precipitandosi verso il suo baule.

< Ma mi spieghi cos’è questa cosa tanto interessante che devi farci vedere a tutti i costi? > chiese Sirius, sedendosi sul letto accanto a Peter.

< Abbi pazienza, giovane Black >. James aprì il pesante baule e cominciò a lanciarne fuori maglioni, jeans, magliette, calzini e libri che ricadevano sul pavimento, rigettando di nuovo la stanza nel suo disordine abituale.

< James, ma che… > cominciò Peter.

< Zitto, Pete > lo interruppe James. < Ma dove l’ho ficcato >. Grufolava nella cassa che ormai era quasi vuota. < Eccolo! > gridò ad un tratto. Si voltò verso gli altri con le braccia ancora infilate fino alle ascelle nel pesante baule marrone. < Signori miei, ecco a voi il mantello che rende invisibili! > disse estraendo un grosso drappo di stoffa leggera che fece volteggiare nell’aria, fino a farselo ricadere sulle spalle.

Orgoglioso del suo piccolo spettacolo, rimase a fissare i suoi amici, che ora avevano gli occhi sgranati e la bocca spalancata proprio come aveva predetto. Sirius addirittura si era alzato di scatto dal letto. E lo credeva bene che avessero avuto quella reazione: il mantello che si era appena messo sulle spalle aveva l’insolito potere di rendere invisibile chi lo indossava. Si osservò compiaciuto i piedi, e come ben sapeva non li vide. Dal collo in giù il suo corpo era nascosto agli occhi di tutti, compresi i suoi.

< Ma che diavolo…! > riuscì a pronunciare Sirius, gli occhi sempre più sgranati fissi sul nulla sotto la testa scarmigliata di James, avvicinandosi all’amico.

< Una figata, eh? > annuì James mentre faceva un giro su se stesso.

< Ma dove l’hai preso? > chiese Peter, con i piccoli occhi scuri sgranati.

< L’ho trovato in soffitta qualche giorno prima di Natale, mentre cercavo i regali che mi hanno fatto i miei > spiegò James. < Credo che fosse di mio padre… non lo so. Comunque l’ho preso e l’ho infilato subito nel baule >.

< Di che è fatto? > chiese Remus, anche lui avvicinandosi al ragazzo, e allungando una mano per afferrare la leggera stoffa che lo ricopriva, facendosela passare tra le dite che scomparvero anche loro.

< Non ne ho idea. Forse è un tessuto particolare, o è incantato… >

< James… > intervenne Sirius, gli occhi sempre sgranati. < Ti rendi conto di ciò che si può fare con un mantello che rende invisibili? >

James annuì, compiaciuto dell’immediata reazione dell’amico. Come sempre, le loro menti erano sintonizzate sulla stessa lunghezza d’onda.

< Si può uscire di notte, dopo il coprifuoco! > cominciò Sirius.

< Si può andare in giro per il castello e nelle zone proibite senza che nessuno dica niente > lo alimentò James, fissandolo con i suoi occhi scuri, dietro le spesse lenti.

< Si può far dispetto a chiunque! > continuò l’altro.

< Si può entrare indisturbati nel dormitorio delle ragazze! >

< No, quello non si può fare > intervenne Remus.

< E come mai, scusa? > chiese James seccato. Remus, con la sua solita diligenza, cercava sempre di frenare lui e Sirius dal compiere azioni troppo esagerate. < Perché è immorale? O contro le regole? >

< No > rispose tranquillo Remus, mentre continuava a tastare il mantello. < Perché le scale del dormitorio femminile sono stregate in modo che i ragazzi non ci accedano>.

< E tu come lo sai? > chiese stupito Sirius. < C’hai provato, maiale? >

< Macché! L’ho letto su Storia di Hogwarts >.

< Sarà. Comunque, stasera lo proviamo subito > concluse l’argomento James, togliendosi di dosso il mantello e poggiandolo sul letto.

< Che vuoi dire? > chiese Peter, con un’espressione che non era chiaro fosse di panico o di curiosità.

< Che, dopo mezzanotte, > spiegò all’amico, < quando tutti sono a nanna, ce ne andiamo a fare un giretto per il castello >.

Remus si irrigidì. < Dai, James, non scherzare. È rischioso >.

< Ma perché, scusa? Ci ficchiamo tutti e quattro sotto il mantello. Non ci scoprirà nessuno >.

< Io ci sto >. Il braccio di Sirius scattò in aria. James gli allungò la mano, che il moro colpì con il cinque.

< Anche io > disse Peter. Sirius gli passò un bracco attorno alle spalle, strattonandolo leggermente. Poi si voltò verso Remus, in attesa della sua risposta. Anche James fece la stessa cosa.

< No ragazzi, dai… > fece Remus, che aveva tre paia di occhi puntati addosso.

< Rem, o sei con noi o contro di noi > lo ammonì Sirius.

James si mise in ginocchio, con le mani congiunte in segno di preghiera. < E dai, Remussuccio! > supplicò all’amico lattiginoso con uno sguardo da cucciolo bastonato, che risultava sempre infallibile coi suoi genitori. < Daiiiiii! >

Remus sospirò abbassando le palpebre sugli occhi nocciola. < E va bene > sbuffò, e le braccia degli altri tre furono istantaneamente al suo collo.

 

 

 

ef

 

 

 

A mezzanotte e un quarto la sala comune di Grifondoro era completamente deserta. I le sedie e le poltrone erano state lasciate scostate dalle loro posizioni abituali dai ragazzi che li occupavano qualche ora prima. C’erano ancora libri e pergamene sparpagliati sopra ai tavoli. Dell’allegro fuoco scoppiettante rimanevano solo poche braci che brillavano tra le ceneri, e tutte le lampade e le candele erano spente. Il buio nascondeva le tonalità calde delle pareti e degli arredi. L’unica forma di vita nella stanza era un grosso gatto bianco pesantemente addormentato su una poltrona.

La porta del dormitorio maschile si aprì e apparvero quattro ragazzi del primo anno di Grifondoro. Non indossavano la solita uniforme, ma jeans e maglioncini comodi, con ai piedi scarpe da ginnastica. Peter era il solo a calzare un paio di ingombranti babbucce a forma di orsacchiotto. James era in testa agli altri, con il mantello su una spalla che gli cancellava metà busto.

< Mi raccomando ragazzi > disse sottovoce Remus, mentre attraversavano la sala in direzione del foro sul muro. < Cerchiamo di non fare rumore >.

< Tranquillo, Rem > rispose James, arrampicandosi nel passaggio, < non ci scoprirà nessuno >.

Quando tutti e quattro furono nel corridoio deserto, davanti al quadro in cui la Signora Grassa russava sonoramente, James fece cenno agli altri di avvicinarsi a lui, e calò sopra di loro il mantello. In quella posizione scomoda e impacciata, presero a camminare lungo il corridoio, diretti verso la Sala Grande.

< Mi spieghi come mai hai messo queste cavolo di babbucce, Pete? > chiese sottovoce Sirius, che con i piedi continuava a inciampare nelle ingombranti calzature dell’amico, rallentando la passeggiata notturna dell’intera combriccola.

< Scusa > rispose rattristato Peter. < sono la prima cosa che ho trovato >.

< Se invece di addormentarti come un ghiro fossi rimasto sveglio, come abbiamo fatto noi tre, non sarebbe successo > aggiunse sempre con un filo do voce James. < Ci hai fatto perdere un sacco di tempo >.

< Si, lo so… ma non l’ho fatto mica apposta >.

I quattro continuarono a percorrere i corridoi bui, stretti sotto il mantello, a passi lenti. Le cose si complicarono leggermente quando dovettero scendere le scale; per evitare che il mantello si spostasse e scoprisse qualche parte dei loro corpi dovettero muoversi simultaneamente, scendendo lentamente un gradino alla volta. Questo richiese tutta la loro coordinazione e pazienza. Ci misero cinque minuti per riuscire a scendere una sola rampa.

A metà di un corridoio del primo piano si imbatterono in Gazza, il custode, che girovagava per il castello alla ricerca di disertori da punire, suo passatempo prediletto. L’uomo camminava verso di loro, reggendo alta davanti a sé una lanterna.

Sirius, vedendolo, sghignazzò sotto i baffi, e cominciò a fare gesti osceni verso l’uomo, che continuava a guardare attraverso di loro. James ridacchiava, come anche Peter. Remus invece era agitato per la presenza del custode; era fermo immobile, senza quasi respirare, fisso a osservare ogni minimo movimento di Gazza.

Gazza gli passò accanto, del tutto ignaro della presenza dei quattro, e procedette verso la parte di corridoio che non aveva ancora ispezionato. Quando fu a qualche metro di distanza da loro i piedi di Sirius, che ancora si stava divertendo a schernire la schiena dell’uomo, inciamparono di nuovo nelle babbucce di Peter, facendolo scivolare a terra. Il ragazzo, involontariamente, emise un gemito e la sua gamba sgusciò fuori dal mantello, mentre gli altri tre si accucciavano per aiutarlo a rialzarsi. Il custode, la cui attenzione era stata richiamata dal gemito di Sirius, si girò repentinamente, e il moro fece appena in tempo a riavvicinare la gamba al corpo, nascondendola di nuovo sotto il mantello.

< Chi c’è? > chiese l’uomo, con la sua voce gracchiante.

I quattro ragazzi rimasero immobili, trattenendo il respiro, con il sudore freddo che prendeva ad imperlargli le fronte, mentre Gazza muoveva alcuni passi verso di loro.

< Vieni fuori! > gracchiò ancora il custode. I suoi piedi si fermarono a un centimetro dal mantello. Ancora un passo e sarebbe inciampato sulle gambe di Sirius. L’uomo troneggiava sugli invisibili ragazzi accucciati a terra. Il moro, seduto con le gambe raggomitolate al petto e la schiena appoggiata ai tre amici, poteva vedere con i suoi occhi celesti la lanterna del custode pendere sopra di lui e il suo collo molle vibrare leggermente.

Gazza rimase immobile per alcuni secondi, che parvero secoli, spostando la lanterna a destra e a sinistra, in modo da illuminare ogni parte del corridoio. Gli occhi pallidi ridotti a due fessure minuscole scrutavano ogni angolo. Finché non abbassò leggermente la lampada, con un’espressione dubbiosa dipinta sul viso smunto.

< Per tutti i folletti, devo essere proprio stanco… > fece il guardiano, prima di voltarsi e riprendere la sua ronda da dove l’aveva lasciata.

I ragazzi, sotto il mantello, rimasero immobili finché non videro l’uomo scomparire giù per le scale che portavano all’ingresso. Solo allora lanciarono profondi sospiri di sollievo, rilassando i muscoli e afflosciandosi sul pavimento.

< Ragazzi, c’è mancato un pelo… > fece James, passandosi una mano sulla fronte.

< C-credevo che mi prendesse u-un infarto! > gracchiò la vocina malferma di Peter, che si teneva una mano sul petto e ansimava.

< Cazzo, è stato fortissimo! > intervenne Sirius, allungando le gambe sul pavimento e appoggiandosi più pesantemente ai tre ragazzi che gli stavano dietro.

< Fortissimo? Ma sei scemo? > proruppe Remus, regolando subito il volume della voce. < Ci stava per scoprire! >

< Ma non l’ha fatto > precisò il moro, voltandosi a guardare la faccia sconvolta e pallida del ragazzo con un sorrisetto beffardo.

Gli altri tre lo fissarono. Remus boccheggiò, nel tentativo di dire qualcosa, ma l’agitazione e lo stupore gli impedirono di trovare le parole giuste da controbattere all’amico, che ancora sorrideva di quel suo ghigno dispettoso e sprezzante.

< Tu sei pazzo, amico mio > gli disse James, rialzandosi insieme agli altri, e risistemando meglio il mantello su di loro. < Dai, torniamo in camera. Direi che per questa sera può bastare >.

< Si, be’ > aggiunse un seccatissimo Remus, < sappiate che io ho chiuso con questa storia! >.

 

 


Bene, ecco a voi il sesto capitolo. Spevo vi sia piaciuto almeno un pochino... Non sono del tutto convinta che sia abbastanza chiaro e scorrevole...

Ne approfitto per scusarmi con tutti quelli che mi leggono su due errori madornali che ho fatto nel capitolo precedente e che mi ha fatto notare la mia cara JDS: 1. Il padre di Severus non si chiama Theodor, bensì Tobias. 2. Il marchio nero è in realtà sul braccio sinistro, non quello destro. Sono stata proprio superficiale, spero che mi perdonerete...

Ma passiamo a cose serie. Grazie mille per le recensioni che mi avete lasciato! Sono stata felicissima di leggerne così tante, non me lo sarei mai aspettata.

Micia_Loves_Draco: La tua è stata la prima recensione, e mi hai proprio commossa. Non posso credere che hai trovato il mio capitolo addirittura meraviglioso. Davverso grazie. L'idea di un capitolo solo per  Sev e Sirius mi è venuta dal fatto che gli altri personaggi hanno famiglie che li amano, e mi sono chiesta come sarebbe passare una festa come il Natale in una famiglia in cui non c'è armonia. Per il termine, tranquilla: direi che stronzo è il più adatto per il padre di Severus, e per la famiglia di Sirius. E sono felice che ti sia piaciuto così tanto l'abbraccio tra Lily e Sev. Spero di leggere di nuovo il tuo nome tra le recensioni in futuro, e che continuerai a seguire la mia storia.

jomarch: Grazie mille. Si in effetti è proprio come dici tu, l'apparenza prima di ogni altra cosa nella nobile e antica famiglia Black. Mi piace molto il tuo punto di vista sull'idea che ha Sirius prima delle scuole, e devo ammettere che hai proprio ragione. Mi spiace che non apprezzi molto Severus, che è uno dei miei personaggi preferiti; ma sono felice che ti sia piaciuta la parte dedicata a lui. Spero che lo apprezzerai un poco di più ora. Aspetto di sapere che ne penserai dei capitoli futuri. e grazie ancora per la bella recensione.

felpa_fan: sono felice che il capitolo ti sia piaciuto. Be', si, direi che è stato meglio così per Sirius, dopotutto... Continua a seguire la fic e a farmi sapere che ne pensi; mi fa davvero piacere. Bacio!

Aires_fly: grazie! é una gioia leggere nuovi nomi tra i commenti. E mi fa davvero piacere che ti sia piaciuta la mia piccola opera. Comunque, credo di avere anche io un debole per i drammi... Ed è una gioia che ti abbia fatto amare un po' il piccolo Sev. Spero che recensirai ancora, o che almeno continuerai a seguirmi.

JDS: mi stavo quasi preoccupando. Credevo che non avresti recensito, e ormai mi sono affezionata ai tuoi commenti e consigli (credo che non ne potrei fare a meno!). E, cavolo hai proprio ragione, sia sul padre di Sev che sul marchio... Scusa ancora,  e grazie per avermelo fatto notare. Spero che mi dirai che ne pensi di quest'ultimo capitolo. Ciao!

germana: Ciao. Grazie, sono felice che ti piaccia. Mi raccomando continua a seguirmi! Ciao ciao

Un grazie anche a quelli che leggono soltanto; spero che contiunerete a farlo. E spero che mi facciate sapere che ne pensate di questo ultimo capitolo. Credetemi, è una gioia leggere le vostre opinioni, a prescindere che siano positive o negative! Cercherò di aggiornare il prima possibile.

Un abbraccio a tutti.

M.

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