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Autore: alenisreel    23/02/2014    3 recensioni
"Erano come l’edera, che attecchisce e striscia invadendo ogni spazio libero. Una pianta ornamentale ma allo stesso tempo una pianta infestante. Conquista ogni piccolo centimetro di spazio e soffoca la pianta. Inoltre, come ciliegina sulla torta, è velenosa.
Loro erano così. Occupavano la vita delle persone, inconsapevoli, infestandole e avvelenandole. Si arrampicavano su per l'anima delle prede mettendo radici ed assorbendo la loro linfa vitale.
Ma non per loro scelta."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
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Apprezzo qualsiasi parere. Mi fa piacere sapere se vi è piaciuta o meno, almeno mi faccio un'idea.
Grazie e scusate la parentesi, buona lettura

 


« Dimmi che è l’ultima, ti prego. Mi si stanno per svitare le braccia. Hai più valige di una donna, maledetto! » esclamò Xavier mentre caricava l’ennesima valigia nel bagagliaio della sua Jeep Commander con fare sconfitto.
« Troppo entusiasmo Xavier, troppo. In ogni caso sono solo tre – ribatté in tutta risposta il fratello uscendo con l’ultimo borsone in mano – ricordati che sarò di ritorno presto. »
« Appunto. Per questo tutte le tue valige sono illegali. – aggiunse Xavier lanciando il borsone sopra le valige – dovresti vergognarti. E mi devi un favore. »
Xavier pugnò la spalla del fratello in modo affettuoso e chiuse il bagagliaio con un boato forte e deciso per poi passarsi una mano sulla fronte in segno di stanchezza.
 

Xavier e Jordan erano nati a distanza di nove mesi l’uno dall’altro ma tutti li scambiavano per gemelli; stessa statura, stesso viso magro, stessi lineamenti e stesso naso. Erano però due universi completamente opposti quando si parlava di carattere ma entrambi due bellezze incontaminate. Tutto il quartiere li conosceva: i fratelli Graser.
Xavier era il più piccolo e questo gli aveva dato il diritto fin da subito di essere il più vispo ed irrequieto dei due fin da bambino, o per lo meno fino alla nascita di Sawyer, il fratello più giovane, qualche anno dopo.
Ora era cresciuto ed era diventato un uomo insieme ai suoi vent’anni. Ogni ragazza del quartiere aspirava a diventare la sua donna per via del suo fare trasandato ma inevitabilmente irresistibile. “Businessman trasandato” così l’aveva soprannominato sua sorella Annie.
Occhi scuri come la pece incorniciati da ciglia folte e scure sulle quali sporgeva come una tenda il perenne ciuffo incolto e spettinato colore del cioccolato che lo distingueva dagli altri fratelli. Labbra carnose e morbide, un accenno di barba lasciata crescere incurantemente.
Nonostante le previsioni avessero annunciato un parziale calo delle temperature in quel di Chicago, Xavier intrepido come sempre non esitò a sfidare il meteo vestendosi leggero. La T-shirt bianca con lo scollo a barca faceva intravedere le braccia ed il collo tatuati mettendo in risalto quella leggera abbronzatura che stava pian piano scomparendo.
 
« Avete già caricato tutto ragazzi? » chiese la madre dei ragazzi, Celine, scendendo i gradini antistanti all’ingresso della loro abitazione e raggiungendoli sul lastricato del marciapiede. Alla vista, per l’ennesima volta, dei tatuaggi di Xavier sospirò lanciandogli il canovaccio.
«Per cortesia… »
Celine aveva gettato la spugna con lui fin da subito, indomabile e ribelle. Ogni mese quella tela di pelle rientrava a casa con un disegno nuovo. Prima il veliero tatuato sul petto, poi le braccia sempre più colorate ed infine il collo.
Xavier le mise un braccio sulle spalle e le diede un bacio sulla guancia per poi esultare sorridendo con un « No. »
 
In tutto questo Jordan li guardava divertito mentre il fratello più giovane, appoggiato all’uscio della porta, sventolava il telefono in direzione del trio informando che c’era Annie all’altro capo della cornetta.
« Annie al telefono. Qualcuno vuole parlarle? Altrimenti le butto giù. » esclamò Sawyer più che certo di ricevere uno “Stronzo!” come ringraziamento dalla sorella al telefono.
« Annie! Adesso arrivo. – esclamò emozionata Celine – Mi raccomando ragazzi, andate piano. Jordan chiamaci appena arrivi ed fallo anche tutti gli altri giorni. » stampò un bacio sulla fronte dei due figli, sbilanciandosi in avanti a causa della loro statura un po’ troppo alta, e corse verso Sawyer per strappargli il telefono dalle mani e parlare con la figlia.
 
« Qui si scioglie il mitico trio Graser quindi, vero? » sentenziò Sawyer, una volta raggiunti i fratelli davanti alla Jeep, incrociando le braccia in segno di protesta.
Jordan e Xavier si scambiarono uno sguardo complice ed annuirono.
« Posso riutilizzare la tua stanza allora? » chiese speranzoso il più giovane, ricevendo in risposto un clamoroso “NO.” che spense i suoi entusiasmi per la partenza del fratello.
 
« Il mitico trio si ritira dalle scene! – aggiunse Xavier ironicamente stringendosi nelle spalle – Andiamo J o rischi di perdere quel volo. » concluse aprendo lo sportello dell’auto, pronto per portare il fratello all’aeroporto.
« Seattle arrivo! » esultò Jordan dopo aver abbracciato Sawyer.
 
✻ ✻ ✻
 
« Quanto tempo ti resta ancora? – chiese Xavier guardando l’orologio che portava al polso e confrontando l’ora con quella presente sul tabellone dei voli – C’è tempo per un caffè? »
 
« Penso proprio di si, andiamo. »
 
Dopo essersi seduti ad un tavolo con i loro caffè bollenti, fra i due fratelli calò un silenzio tombale. Non erano mai stati separati per così tanto tempo l’uno dall’altro. Ogni vacanza era stata fatta assieme, ogni disavventura ed ogni percorso scolastico. Loro e gli amici: Max e JC. Questa volta era diverso, J stava partendo per il college. Aveva deciso di iscriversi alla Seattle University per studiare Giurisprudenza.
« Dai – esclamò Jordan interrompendo il loro silenzio – non sto partendo per la guerra. »
« Quando è previsto il rientro? » chiese Xavier già impaziente
« Devo ancora partire Flip. In ogni caso per il Superbowl sarò a casa, promesso – Flip era il soprannome che Jordan aveva dato a Xavier per via dei suoi numerosi tricks con la tavola da skateboard. Tricks che gli costarono più fratture e contusioni – E per il Ringraziamento. E comunque accetto visite sai. » suggerì Jordan. Suggerimento che Xavier accettò con un sorriso.
 
 
 
« Ora è meglio che mi avvii zuccone. Ti chiamo appena atterro a Seattle, ok? » disse J prendendo il borsone ed avviandosi verso il metal detector.
Xavier rispose con un semplice cenno di assenso del capo. Attese che il fratello venisse risucchiato dalla folla di gente oltre i controlli per poi avviarsi alla macchina per rientrare.
Raggiunse la sua Jeep e rientrò sfrecciando sull’autostrada a ritmo di un martellante Tinie Tempah alla radio mentre una leggera pioggia iniziava a picchiettare sul parabrezza.
 
✻ ✻ ✻
 
« Il biglietto prego? Grazie mille. Le auguro un buon viaggio » J ringraziò con un cenno del capo la ragazza e si avviò con il borsone in spalla verso il suo posto in aereo, rigorosamente vicino al finestrino.
Dopo essere scivolato nel suo posto e dopo aver impostato il telefono in modalità aereo era pronto a passare le successive ore in pace con se stesso, dondolandosi tra la musica nel suo iPod e il libro dei test di Giurisprudenza.
« Scusa, è libero questo posto? – chiese una ragazza dai lunghi capelli color borgogna e dagli occhi color del mare cristallino – Il posto che mi era stato assegnato è, a quanto pare, non più disponibile. La signora non si scolla. »
J esitò nel rispondere, perso a osservare quella ragazza davanti a lui con i capelli ancora arruffati a causa della corsa per non perdere il volo. Si passò la mano tra i ciuffi sanguinei per allontanarli dal viso con le dita magre e guardò accigliata J.
« Ehi? C’è qualcuno lì dentro? »
« Oh si. È libero. » rispose J cercando di ricomporsi e nel tentativo di sembrare disinteressato.
La ragazza rispose con un frettoloso e impegnato grazie mentre cercava di posizionare il suo bagaglio a mano nell’apposito spazio.
J si perse a guardarla di nuovo, di nascosto. Il paio di leggins neri felpati che aveva addosso facevano risaltare le sue gambe slanciate ed estremamente magre.  Vista la sua esile struttura, Jordan si sentì in dovere di aiutarla. Si alzò dal sedile un po’ impacciato e le si avvicinò per darle una mano
« Lascia che ti dia una mano, con quei polsi magri magri rischi di farti male. »
« Davvero ti stai preoccupando per i miei polsi magri magri? – rispose la giovane perplessa da quella demenziale preoccupazione – è così che attacchi bottone con le ragazze? »
J non poté che farsi scappare un sorriso e, con ancora le mani appoggiate sul bagaglio all’interno del cassone, si girò verso di lei notando che la giovane era visibilmente arrossita.
 
« Tra poco decolliamo. Vi conviene sedervi ragazzi. » disse l’hostess rivolgendosi ai due ragazzi che, presi alla provvista si affrettarono a sedersi scontrandosi in modo impacciato l’uno contro l’altra.
« Anche tu in direzione Seattle? » chiese la ragazza quasi senza fiato dopo essersi sistemata al suo posto.
« Si. Anche tu? »
« Già – rispose sorridendo – torno a casa. »
« Ah. Studi fuori città? » chiese J un po’ curioso e nella speranza che non fosse il suo primo e ultimo incontro con quella bellissima creatura che, nel frattempo, si era persa a frugare nel suo zaino un qualcosa di indefinito.
« Oh no – rispose ridendo continuando a frugare nello zaino – non lascerei mai Seattle. Ero in viaggio con il mio ragazzo. »
 
La conversazione venne troncata da quella frase e J decise che era il caso di ringraziare ed andarsene. Andarsene a cagare. Nella sua testa si era già fatto mille progetti ma sarebbero rimaste fantasie. Jordan era indeciso se chiedere dove fosse il fidanzato ma, per paura di suonare invadente, lasciò perdere.
Concluse la conversazione con un delicato “Oh bene” alla quale la ragazza rispose sorridendogli.
 

Durante l’intero volo J badò raramente alla rossa, studiò per tutto il viaggio e ogni tanto si perdeva a guardare fuori dal finestrino canticchiando fra sé e sé qualche strofa dei RHCP o The Script. Al momento dell’atterraggio la ragazza schizzò fuori dall’aereo senza un minimo cenno d’interesse, J fece appena in tempo a vedere i suoi capelli lisci colore del sangue svolazzare nell’aria. Rassegnato, si prese tutto il tempo necessario per scendere, risistemò il suo borsone, con calma si fermò per far passare alcune persone nei corridoi dell’aereo e poi scese verso il tunnel di connessione.
Perse altro tempo nel tragitto verso il ritiro bagagli per scrivere un messaggio a Xavier avvisandolo che era finalmente atterrato e si sarebbe portato verso il suo nuovo appartamento il prima possibile.
Ed eccola, al ritiro bagagli. Fissava il nastro trasportatore in cerca della sua valigia mentre accanto a lei si ergeva statuario quello che doveva essere il suo ragazzo. Fisico piazzato da giocatore di football, spalle larghe e capello scuro.
Lei che addita la valigia e lui che la va a prelevare immediatamente. Un bacio affettuoso, un intreccio di mani e poi via verso l’uscita.
Improvvisamente la giovane si arrestò per cercare nella sua borsa qualcosa ed è lì che nel guardarsi attorno incrociò lo sguardo di J, che non smise di fissarla nemmeno per un istante nella speranza di ricevere un qualche segnale, un saluto che non arrivò. Forse un sorriso enigmatico ma fece fatica a capire quale fosse il suo significato.
Il ragazzo che la afferra dolcemente per un braccio come per guidarla verso l’uscita e un addio silenzioso fra i loro sguardi.
 
 
– Jordan G. –
Così diceva il cartello che teneva in mano il ragazzo all’uscita dell’aeroporto. Una felpa pesante con fantasia etnica ed alamari leggermente storpiata dai muscoli costretti sotto il tessuto. Capello biondo cenere arruffato intrecciati ad un paio di RayBan dolcemente appoggiati alla nuca, occhi verdi smeraldo. Sventolava il cartello in tutte le direzioni in cerca del nuovo arrivato.
Jordan agitò un braccio in aria per catturare la sua attenzione mentre gli si avvicinava.
 
✻ ✻ ✻
« Abbiamo una tabella per le pulizie settimanali, ma è davvero una cagata – disse Mitchell indicando un foglio attaccato alla parete con del nastro adesivo – la seguiamo raramente. Siamo maschi »
Era lui il ragazzo che gentilmente si era prodigato per ritirare il "pacco Jordan" dall'aeroporto, Mitchell sarebbe stato il suo nuovo coinquilino insieme ad altri due ragazzi: Derek e Roy. L’appartamento occupava gli ultimi due piani di una palazzina ed era ancora mezzo spoglio ma ben illuminato. L’ingresso si proiettava direttamente nel salotto, decorato con mobili di seconda mano rigorosamente bianchi, una tv a muro e l’immancabile X-Box.
L’intera parete sulla sinistra dell’ingresso era un’ampia finestra ad arco divisa in più sezioni, dalla quale si vedeva l’intero parco del quartiere. Subito accanto alla finestra si diramavano i banconi della cucina.
Sulla destra dell’appartamento vi era un piccolo bagno ed un breve corridoio.
 
« Le camere sono al secondo piano. È un appartamento discreto, ci viviamo bene e per un prezzo stracciato » aggiunse Mitchell emozionato salendo le scale per mostrargli la sua nuova stanza. Le scale portavano ad un soppalco che si affacciava sul salotto con una ringhiera robusta che percorreva quasi l’intero perimetro della casa. Le camere avevano sbocco diretto sul soppalco, due singole ed una doppia.
 
« Ti becchi la singola più grande, sappilo. » concluse aprendo la porta della camera.
Un tavolo bianco era stato sistemato provvisoriamente a ridosso della parete con la finestra mentre nell’angolo sinistro c’era un letto nero.
« Il bagno è in comune – disse il ragazzo indicando la porta appena fuori dalla stanza – mentre per i vestiti possiamo andare a prendere qualcosa prossimamente. Se ne avrai disperato bisogno. »
Spoglia, quasi vuota, ma tutta per lui. La sua vita a Seattle era ufficialmente iniziata.
 
« Il mercoledì solitamente è serata football, il giovedì ci intrufoliamo a qualche festa non troppo scatenata mentre il weekend io e Derek rientriamo spesso a casa – disse Mitchell con espressione dispiaciuta – Se hai dubbi, non farti problemi a chiedere. A meno che tu non sia muto, non hai ancora fiatato. » aggiunse perplesso.
« Oh no – rispose Jordan – solo non so cosa dire. Sono emozionato ed allo stesso tempo spaesato. » concluse, appoggiando il borsone sul letto e guardandosi intorno.
Mitchell lo rassicurò con una forte pacca sulle spalle.
« Benvenuto in famiglia. »




Ed eccomi qui con il vero e proprio primo capitolo.
So che ho pubblicato solo ieri il prologo ma non era abbastanza sostanzioso e mi sentivo in dovere di darvi qualche informazione in più. Dopotutto non potevo nemmeno partire sparandovi il primo capitolo così dal nulla. Concedetemelo.
Volevo ringraziarvi per aver dato una possibilità a questa storia, davvero. Già il fatto che spendiate parte del vostro tempo per leggere è un onore per me.
Sono ben accetti anche consigli e critiche, sia chiaro. Se qualcosa non vi convince ben venga, fatevi avanti e ditemelo.
Non abbiate paura ad esprimere un qualsiasi giudizio perchè la cosa può solo che aiutarmi a migliorare.
(Ecco magari non insulti diciamo hehe)

Ps: un grazie particolare a Francesca che sopporta i miei deliri su Whatsapp quando ho il blocco e non so come superarlo. Ti voglio bene.

Vi saluto dedicandovi "Let This Go – Stan SB"
Ancora grazie, ci vediamo al capitolo tre.
Ciao fiorellini.

 
  
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