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Autore: CleaCassandra    22/06/2008    6 recensioni
*Ci sono diverse cose di cui i miei genitori non sono a conoscenza.
Ad esempio, non sanno che quando avevo quattro, o forse erano cinque, anni ho picchiato il mio amichetto del parco giochi. In realtà non ricordo nemmeno che faccia avesse, o il suo nome…boh, forse Bruce, o Billy, Bob, non so…ricordo solo che c’era una B di mezzo.
Fu una scena quasi comica: ci pestammo, da bravi discoli, per il possesso di un’altalena, manco a dirlo la più bella, quella che non emetteva il minimo cigolìo, ma soprattutto l’unica del parchetto; e nessuno a dividerci. Eravamo solo io e lui, quella mattina.
Dopo i pianti e gli strepiti di circostanza, però, accadde che il bimbo farfugliò che non avremmo dovuto dire nulla della nostra scaramuccia ai rispettivi genitori. La promessa che ci scambiammo era così solenne che non me la sentii di venirle meno, e così mantenni la parola. A quanto pare anche lui, visto che nessuno venne a reclamare alla nostra porta che “quella furia di tua figlia ha mollato un cazzotto al mio bambino!”, o comunque qualcosa di simile. Diciamo che avevamo entrambi dei vantaggi da trarre: io non sarei dovuta andare a testa a bassa a chiedere scusa, e lui non sarebbe stato tacciato già così presto di essere una specie di checca. Ovviamente, queste cose, due bambini di quattro o cinque anni non le sfiorano nemmeno col pensiero.
Quanto ai lividi, che inevitabilmente mi ero procurata… “Sono caduta dallo scivolo”.
Caso archiviato.
Ma fosse solo questo, ciò di cui i miei sono all’oscuro.*
Leslie, le sue amiche e compagne di band, e un avvenimento totalmente surreale che sconvolgerà per sempre le loro vite.
attention please: non conosco gli Avenged Sevenfold (e come al solito aggiungo 'magari li conoscessi davvero' :°D), quindi quello che ho scritto non li rispecchia davvero, insomma sono un parto della mia mente alquanto malata, e non intendo offendere nessuno in alcun modo con le mie storie, ma sempre meglio specificare, non si sa mai u_ù
Genere: Comico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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dopo questo mi fermo un po', che devo scriverne altri (sapete com'è... :°D) sempre grazie per le recensioni, mi fanno piacerissimo *___*

Chapter 14 – Little sister

Okay, e questa è fatta, Leslie l'ho chiamata, ed è stato anche un affare relativamente veloce, direi, considerando che ho detto alla sua batterista dalla voce adorabile di avvisare anche le altre. Adesso mi sono tenuta lo scoglio, la parte veramente difficile del tutto.
Chi chiamo di loro?
Legittimamente, questa domanda mi martella il cranio. Dovrei scegliere, tra cinque opzioni plausibili, la meno peggio.
Matt, o Val? Volendo, sarebbe la scelta più semplice e diretta.
Affidabili entrambi, gentili ed estremamente disponibili.
Perfetto, no?
Appunto. Troppo perfetto, troppo semplice. Io AMO complicarmi la vita, per cui sono già in procinto di scorrere la mia lista di nominativi mentale, quando decido di colpo di provare a chiamarlo. Ebbene sì, amo anche contraddirmi a velocità impressionanti.
Telefono morto. Spento.
Val. Spento anche il suo. La mia immaginazione non corre molto lontana, e mi scappa un sorrisino malizioso, pensando a quando ero io, quella che poteva permettersi di spegnere il telefono per...beh, per. Certe cose non ci dovrebbe essere bisogno di spiegarle. Ma torno alla disperata ricerca della persona a cui telefonare.
Jimmy? Macché, quello se ne scorderebbe. Non sai mai come lo trovi, se sobrio, ubriaco, o semplicemente addormentato. Oppure...mio dio. Non oso nemmeno ricordarmi di tutte le volte che l'ho chiamato per lavoro, e...ecco, diciamo che lui, a differenza del suo cantante, il telefono lo scorda sempre acceso. Ammetto che non sia molto affidabile, perciò lo scarto senza troppi complimenti.
Brian? No.
Johnny? Potrebbe essere un'opzione.
Zacky? Anche meglio.
Mi decido a troncare le mille congetture che sto ergendo a difesa del mio cervello chiamando il primo che trovo nella rubrica del cellulare.
Zacky.
E va bene, ho barato. L'ho scorsa all'indietro.
Capirà perché abbia espresso in tal senso la mia preferenza. In fondo, era da lui che andavo a sfogarmi, quando qualcosa non andava.
Oh! Squilla.
Uno...
Due...
Tre...
Quat...
"Pronto?"
"Ehi, Zacky! Sono...sono Angie"
"Biscottino! Da quanto tempo!"
Quel nomignolo. Mi faceva sorridere ogni volta che lo sentivo. È ridicolo, in sé, somigliante a quegli orribili vezzeggiativi che i mariti di una certa età, innamorati, rivolgono alle proprie compagne di una vita. Sì, insomma, sembravamo una coppia di vecchi, e invece eravamo solo amici cretini. Però mi strappava sempre un sorriso divertito, come in questo momento, in cui concentro la forza delle mie dita nello stringere il telefono e mi scopro compiaciuta nel sentirmi chiamare a questo modo dopo tanto tempo.
“Mah, saranno poi due settimane...” puntualizzo, udendolo poi ridacchiare.
“Già, è vero, mi stavo dimenticando di quella festa...”
“Perché vai a troppi party come quello, ecco perché!” lo rimbecco, in un botta e risposta denso e serratissimo.
“Hai ragione, mamma Angie...” borbotta, fingendosi contrariato.
“Ahhh” sbuffo “anche tu come mia sorella...e comunque certo, ho sempre ragione, io!” ribatto, allegra.
"...ti sento parecchio di buonumore, o è solo una mia impressione?" chiede, interrompendo il gioco a cui ci stavamo prestando, complici.
"No, non ti sbagli" ammetto, riprendendomi dal breve attimo di ilarità "mi fa piacere risentirti...Tu come stai?"
“Al solito. Le registrazioni sono finite, mancano le rifiniture e poi ci siamo!" esclama, gioioso. Mi sento quasi in dovere di chiedergli qualcosa di più, ma se lo faccio è perché mi interessa davvero, e sentirlo così entusiasta di quello che sta facendo mi colma di soddisfazione.
"Beh, allora...immagino avrete molto tempo da perdere, adesso..." azzardo, poi.
“Non so...oddio, per esempio in questo momento sono sul divano a non fare nulla...”
“Sei il solito...”
“Perché, tu dove saresti, donna super-impegnata? Non fare la furba, lo so che sei in panciolle da qualche parte!”
“Azz'...beccata!”
“Davvero? Quindi sei a casa?”
“E perché non dovrei esserci?!” chiedo, stupita.
“Ma che ne so, sei sempre a sparare cazzate...” brontola, mentre lo sento trafficare. Chissà cosa starà facendo.
Ma non era svaccato sul divano?
“Ehi! Occhio che potrei offend...” ma non faccio in tempo a finire la frase che un tonfo sordo mi tronca le parole in bocca.
Che cazzo ha combinato?
Sto per chiederglielo quando sento sibilare un rabbiosissimo “ICHABOD! MALEDETTO!”
“Ehm...tutto a posto?”
“Ti dispiace se ti richiamo tra un po'? Devo andare a vedere che ha combinato quel piccolo vandalo...”
“V...va bene...ti richiamo tra mezz'ora?”
“No, tranquilla, ti richiamo io! A dopo!” e riaggancia.
Uff, nemmeno ho fatto in tempo a dirgli della cena.
Vabbè, intanto provo a chiamare Johnny.
*
“Scusa, piccolo” mormora, affettuoso, accarezzando sul capo il batuffolo nero accanto a lui.
D'altronde, se gli ha attribuito colpe inesistenti, è stato solo per non destare sospetti, e c'è riuscito benissimo.
Forse.
“Ahah, che bella sorpresa le farò...” si dice, girando la chiave nel quadro e mettendo in moto il suo fuoristrada.
*
Detesto, anzi ODIO organizzare queste cose. C'è sempre qualcuno che, in qualche modo, mette i bastoni tra le ruote, anche inconsapevolmente, e nella fattispecie questo qualcuno ha forma molteplice e altrettanti nomi, per il semplice motivo che hanno lasciato tutti i telefoni chissà dove.
Johnny.
Jimmy. Sì, ho provato a chiamare anche lui.
Anche Matt, che ovviamente l'ha ancora spento.
E Zacky, che avrebbe dovuto richiamare, tant'è che mi sono portata persino il cordless in bagno. Certo, cazzo...ma quanto gli ci vuole a redarguire un cane e riparare alle sue malefatte? È passata più di mezz'ora da quando mi ha quasi attaccato il telefono in faccia!
Secondo me lo sta facendo arrosto. Non c'è altra spiegazione.
La deve aver fatta parecchio grave, allora. Povera palla di pelo. Vabbè, torno a fare le parole crociate mentre...rifletto.
Diciannove verticale...capitale del...
AAAAH! SQUILLA!
Non darei una bella immagine di me, se qualcuno mi vedesse adesso, mentre salto sulla tazza e afferro la cornetta sullo scaffale di fronte, vado per premere il tasto verde, e...
Ahm.
Non era il telefono. E per inciso sta continuando a suonare.
Realizzo in una manciata di secondi che si tratta del citofono e, mentre mi chiedo chi possa essere, latro a gola spianata un “ARRIVO!”, come se la persona alla porta possa sentirmi. Finisco di espletare certe mie formalità (eh, mica pretenderete di sapere anche queste...), tiro la catena e mi precipito fuori ad aprire.
“Ma non eri stravaccata sul divano?”
Un musetto nero mi scruta curioso, mentre dietro un paio di occhi a metà tra l'azzurro e il verde mi fissano allegri.
“Non avevo mica specificato dove mi trovassi a poltrire...” rispondo, visibilmente stupita. Lui continua a sorridere, e alla fine fa prorompere anche me in una risata piena.
“Piaciuta la sorpresa?” chiede poi, abbracciandomi ed entrando con Ichabod. Annuisco, felice, facendo poi un po' di feste al piccolino, che scodinzola, contagiato dal clima di euforia creatosi intorno a lui.
"Ho dovuto dare la colpa a lui di quel fracasso, in realtà avevo sbattuto la porta di casa, uscendo..."
"Aaaah, infame!!! Come osi scaricare le tue colpe su questo povero amorino, eh? Sei proprio senza cuore!" rispondo, continuando a coccolare Ichabod.
Ci sediamo sul famigerato divano, mentre chiedo se vuole qualcosa da bere.
“Non vorrei sembrare il solito sfacciato...”
“Lo sei.”
“Okay...dunque, partendo da questo presupposto, hai una birretta fresca?”
“Può darsi” rispondo, andando in cucina. Torno dopo qualche secondo, tenendo una lattina in mano.
“Mi dispiace, solo Coca-Cola...”
“Oh” sospira. Sembra quasi dispiaciuto. Fa per prendere la lattina quando gli intimo: “Fermo lì! Credevi davvero che IO non avessi birra in casa?”
Ride, sollevato, mentre gli porgo la sua adorata Budweiser.
“Fiuuu, pensavo ti fossi ammalata di qualche morbo strano!”
“Ma chi vuoi che mi ammazzi?!” rispondo, serissima.
“Giusto!” continua a ridacchiare “a proposito, c'era un motivo particolare per cui mi hai chiamato?”
“E anche se non ci fosse?”
“Meglio, no? Vorrebbe dire che avevi una gran voglia di sentirmi, biscottino!”
“Beh, certo che ne avevo! Comunque, effettivamente avrei dovuto chiederti una cosa...”
“Spara!”
“Ecco...tu e i tuoi allegri compari avete da fare domani sera?”
Si prende il mento tra le dita, pensieroso. Fissa un punto imprecisato della stanza cercando di fare mente locale, poi emette il suo verdetto.
“Credo proprio che saremo liberi come aquile!”
“Direi più come cinque piccole moschine, vola basso, Zachary...”
“Uffa, 'ntipatica!” sbuffa “comunque sì, poi chiedo meglio anche agli altri...perché? Che intenzioni hai?”
“Uccidervi con ferocia e farvi diventare l'attrazione principale della mia prossima cena...sulla griglia del barbecue, ovviamente...no, scherzo, ehi! Non fare quella faccia! Volevo invitarvi a cena domani sera, ci sarà anche mia sorella con la band, così le conoscerete meglio, in attesa di sentirle suonare...”
“E tu come lo sai?”
“Beh, me l'ha detto Leslie! Dovevi sentire com'era entusiasta!”
“É molto simpatica tua sorella! Solo che è un po' strana...”
“E quindi?”
“E quindi ci saremo.”
“Aha! Questo, volevo sentirti dire! Depennate ogni possibile impegno che avrete domani, perché vi voglio al completo! Anzi, sai che? Portatevi anche le fidanzate, che è da tanto che non le vedo!”
Tace. Si fissa con insistenza la punta delle scarpe. Quando è in difficoltà lo fa sempre, il che mi fa, per un attimo, rendere conto che devo aver detto qualcosa di sbagliato.
Poi rialza lo sguardo. Contro ogni mia previsione, sta sorridendo.
“E perché, se per caso venissi da solo non mi apriresti la porta?” domanda, scherzoso. Ma sento nella sua voce un tono diverso da prima, diverso dal solito Zacky che sono abituata a conoscere.
Decido di provare a tirarlo su di morale, ovviamente a modo mio.
“Ovviamente no, ti lascerei al freddo e al gelo...” affermo, millantando una presunta patina di serietà.
“Biscottino...”
“Seh?”
“Tendo a rimarcare due concetti fondamentali: primo, in California non esistono freddo e gelo, secondo, men che meno alla fine di settembre.”
“Potrei comunque non farti entrare”
“Eh, il problema allora persiste...dovrò cercarmi qualche accompagnatrice, cose del genere...” borbotta, grattandosi la testa.
“No, ti lascio entrare” sospiro, cingendogli le spalle col mio braccio.
“Ehi, sei ingrassato!” esclamo poi, stupita.
“Ma che razza di stronza sei diventata in questi mesi?!” sbotta, gli occhi sgranati. Solo a vederli così grandi e vicini mi ridimensiono nella mia presunta cattiveria.
“Scherzavo...” mormoro, abbassando lo sguardo e staccandomi di netto da lui.
“Hm. Piuttosto, hai sentito nessuno degli altri?” mi chiede poi, rabbonitosi.
“No, altrimenti non ti avrei chiesto di avvisare anche loro...”
“Matt?”
“Uff, ma non ti fidi, eh? Aveva il telefono spento, e anche Val.”
“Jimmy?”
“Acceso e dimenticato chissà dove” e, a questa mia affermazione, lo vedo ghignare di gusto, ricomporsi e chiedere ancora: “Johnny?”
“Boh, anche lui non ha risposto”
“Brian?”
“Boh”
Un silenzio, anche piuttosto imbarazzante, cade nella stanza.
“...nel senso che non l'hai chiamato?”
Titubo, nel rispondere. Ne conosco perfettamente il motivo.
“Esatto.”
“Perché?” chiede, prendendomi la mano tra le sue. Sono incredibilmente calde e accoglienti. Una vera e propria macchina della verità.
“Non sono ancora pronta”
Già. Non riesco ad affrontare il problema, per ora. Ma fa parte della band, sarebbe brutto non invitarlo. E, sostanzialmente, anche maleducato.
“Non sei pronta a chiamarlo, ma a vedertelo girare per casa sì?”
“Può darsi...beh, voglio dire, non ho bisogno di dirgli necessariamente qualcosa, non saremmo soltanto noi due...”
Silenzio. Ancora.
“Mah, sei strana forte...” asserisce, scuotendo la testa.
“Eh, lo so...” sospiro. In qualche funambolico modo riesco a dirottare la conversazione altrove, e Zacky capisce, sta al gioco e partecipa attivamente, facendomi trascorrere così il pomeriggio in una tranquillità quasi nostalgica. Cazzo, non lo vedevo, né sentivo, da quasi un anno. Mi chiedo come abbiamo fatto a scordarci l'uno dell'altra.
Forse eravamo affogati dai rispettivi impegni di lavoro, ma almeno siamo soddisfatti di quello che facciamo, e forse così la nostra distanza è stata meno dura da affrontare.
Sì, sono sicura che sia per questo.
“Io, però...ecco, dovrei andare, adesso..." borbotta a un certo punto, quasi tra sé, alzandosi dal divano.
"...oh...capisco..." mormoro, un poco delusa. Il tempo è scorso più che velocemente, oggi.
Perché questo succede solo per le cose piacevoli? Quando accade qualcosa di triste, brutto o semplicemente noioso, il tempo pare quasi fermarsi e mettere ragnatele.
Non è giusto.
"Ci vediamo domani, okay? A...alle...a che ore, scusa?”
“Otto e mezzo”
Mi schiocca un sonoro bacio sulla guancia, e si dirige verso la porta. La aprirebbe anche, se non lo fermassi.
“Ahm...aspetta!”
“Sì?” mi chiede, voltandosi. Anche Ichabod, che gli è trotterellato dietro, mi fissa, come in attesa di una risposta a questa reazione improvvisa.
“Capitale del Massachussetts?”
“Boston?!”
“Aspetta, che guardo...diciannove verticale...sì, c'entra!” e la scrivo, frettolosa, nel cruciverba, mentre lui scuote la testa, mormorando che sono la solita, ed esce dalla porta.
  
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