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Autore: PeaceS    24/02/2014    9 recensioni
Da un Malfoy ci si deve aspettare tutto, anche che ti renda la vita un inferno per noia. Specie per noia. I Malfoy annoiati, di solito, erano più pericolosi di un Potter arrabbiato. Ma Lily avrebbe dovuto saperlo… le migliori storie iniziano alle tre di notte e in quel momento, la lancetta più piccola, si posò proprio sul tre.
[ ... ]
Perché, se Scorpius Malfoy decide di renderti la vita un inferno e tu te ne innamori perdutamente, mentre la tua migliore amica è nelle mani di un certo Zabini - famoso per essere un porco - e cerca di conquistare un Nott di tua conoscenza anche se - alla fin fine - quel certo Zabini non è molto felice, non puoi fare altro che chiederti perché la vita ha deciso di renderti le cose così difficili.
Insomma, tutto quello, però, avrebbe dovuto aspettarselo: era o non era una Potter?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo ventiduesimo –
Nox





Harry James Potter, circondato da una quarantina d'Auror – con i capelli che sembravano un incrocio tra il nido di rondini e i famosi capelli di Hermione Granger al primo anno di scuola – poggiò il mento sulle mani congiunte e i gomiti sulla tavolata di cedro al centro della Sala meeting del Ministero.
I suoi occhi smeraldini, che di solito brillavano di luce propria, ora erano fissi sul gruppo di ragazzini incatenati di fronte a lui: e sembrava così arrabbiato che – sua moglie Ginny – si chiese se non fosse il caso di incatenare anche lui. O avrebbe ucciso il suo primogenito e le adorate figlie dei suoi fratelli.
“Io mi chiedo... io mi chiedo cosa ho fatto di male nella mia vita per meritare tutto questo; prima mi ammazzano la famiglia, poi per sette anni devo combattere un psicopatico che si è messo in testa di dovermi uccidere per poter salire in vetta. E, proprio perché la sfiga ci vede benissimo – e con me ha anche un binocolo a luci infrarosse – vostra madre prima mi dichiara i suoi sentimenti e quando mi decido a ricambiarli lei mi friendzona alla grande.
Sono riuscito a sconfiggere Voldemort, ma mi muore il padrino, il suo migliore amico e anche metà delle persone che conoscevo... proprio perché eravamo pieni. Poi nascete voi e credo che questo sia stata la parte più disastrata della mia vita.
TU – e qui indicò James con lo sguardo spiritato – non hai fatto che causarmi guai da quando sei venuto al mondo! A due anni con una magia involontaria hai distrutto l'unico ricordo che avevo di Sirius, a sette mi hai rubato la bacchetta e hai distrutto casa nostra.
A dieci anni hai rivelato, proprio nel centro di Hyde Park all'ora di punta, ai Babbani la magia... e non sai quante persone ho dovuto obliviare per riportarti via dai psicologi che ti avevano affidato gli assistenti sociali.
A undici mi porti come ricordo metà cesso di Mirtilla Malcontenta, a dodici la Mcgranitt mi manda a chiamare perché eri nascosto nel bagno dei professori a spiare la tua docente di Difesa contro le Arti Oscure.
A tredici entrano i tuoi fratelli e quando tua sorella viene smistata a Serpeverde, quasi mi mandi a fuoco il dormitorio. Ecco, a proposito di tua sorella... non solo mi litiga con la famiglia per sette lunghi anni – facendo a botte con chiunque le capitasse sotto mano con i capelli rossi – ma ora sembra la versione stronza di Voldie, e questo non è abbastanza, no.
Perché se la fa' pure con Malfoy e il figlio pervertito di Zabini! E dulcius in fundo... tuo fratello è in coma.
Ora dimmi cosa ho fatto di male per meritarmi questo”
E quel discorso, dove Harry non aveva preso nemmeno una pausa, fece rizzare i capelli sulla nuca a tutti quanti; le due cugine si sentirono vagamente in colpa, mentre Frank continuava a piagnucolare come un bambino per essere stato legato ad una sedia – e dopo milioni di suppliche e scuse – imbavagliato con un calzino di Malfoy.
“Senti, parlane con la fotocopia di nonna Molly quando s'incazza, non con me” sibilò James, alzando il mento orgoglioso e strafregandosene del discorso suicida-omicida che aveva appena fatto il padre.
Lo stesso che ebbe un tic nervoso all'occhio destro quando proferì quelle parole. Ora lo uccideva, Ginny ne era sicura.
Suo marito avrebbe ucciso il suo primogenito e sarebbe stato felicissimo di essere sbattuto ad Azkaban.
“Lily, tesoro, vuoi spiegarmi tu perché uno squadrone di noi è stato mandato ad Hogwarts senza motivo?” cinguettò Harry, melenso.
La ragazza alzò gli occhi neri su di lui – ancora privi di iride e sclera – facendo spallucce come se il fatto non la riguardasse e ritornando a giocare con una ciocca dei suoi capelli rossi, ritornati sorprendentemente normali.
“Non lo so' proprio. Domandalo alle tue nipotine” mormorò diffidente, accavallando le gambe e ignorandolo alla bella e meglio.
Era deciso: odiava anche lei, ma non poteva ucciderla; in quelle condizioni non sarebbe nemmeno arrivato a prendere la bacchetta che – molto probabilmente – si sarebbe ritrovato già otto metri sotto terra.
“Ce l'ha detto Silente” rispose Dominique, prima che Roxanne le abbaiasse di tenere la bocca chiusa.
Harry si chiuse il ponte del naso tra pollice e indice, inspirando molto lentamente: quelle due gli stavano nascondendo qualcosa. E anche suo figlio e Lily, ma sapeva che erano tutti ossi duri, quindi nessuno avrebbe confessato di sua spontanea volontà. Ma la cosa che lo faceva incazzare di più era Silente.
Merda, quello era morto da vent'anni e ancora causava guai! Avrebbe fatto a pezzi anche il suo ritratto, prima o poi.
“Bene, molto bene... a mali estremi estremi rimedi” disse il bambino sopravvissuto, agitando la bacchetta e imbavagliando le sue due nipoti, compreso James e Malfoy – giusto perché da quando stava attaccato a Lily come una cozza gli cominciava a stare sulle palle.
Draco lo fucilò con un occhiata, ma non si azzardò a fiatare: era troppo arrabbiato quella volta e l'unica cosa che voleva era litigare furiosamente e finire ad una scazzottata alla Babbana. Cosa che con Potter era capacissimo di fare da quando era un pupo.
“Paciock, confido nel tuo buon giudizio. O non solo verrai espulso da Hogwarts, ma per un po' verrai rinchiuso nella tua bella cameretta tappezzata di super eroi” sibilò Potter, avvicinandosi a Frank e guardandolo in modo eloquente.
Con un gesto secco gli strappò il calzino con cui lo avevano imbavagliato e questo tremò – cercando di non guardare il pieno attacco di convulsioni in cui sembrava coinvolta Rox. Lo stava minacciando con il solo movimento delle gambe e lui lo sapeva... ma tra decidere di prenderle da lei e non rivederla mai più, Frank preferiva avere qualche livido sparso per il corpo.
“Silente ci ha detto che Lily si è votata alla magia oscura per amore e quindi la sua trasformazione è andata al culmine quando qualcuno a lei caro è stato ferito o minacciato. In poche parole, ci ha riferito anche che solo l'amore la porterà allo stato originale” spiegò Frank, facendo arrossire James dalla rabbia e Ginny dalla vergogna.
Malfoy, ancora imbavagliato, si nascose dietro le spalle di Lily: lei non rischiava di essere mutilata nelle parti basse. Lui sì.
“In che senso, scusa?”
E se la quarantina d'Auror aveva capito – compresa sua moglie e Malfoy – Harry assunse un'aria ingenua e sorpresa, portando Ginny a schiaffeggiarsi la fronte e Draco a ridacchiare convulsamente. E, proprio come suo figlio, giusto perché non voleva morire proprio ora che era ritornato un uomo single, si nascose dietro le spalle di Ginny.
Potter poteva essere arrabbiato quanto voleva, ma la Weasley femmina era pur sempre la Weasley femmina. E tra marito e moglie – in un litigio – sarebbe sopravvissuta la moglie, questo lo sapevano anche i muri.
“Nel senso che solo l'amore avrebbe potuto portarla al suo stato originario... anche se beh, a quanto pare non è che abbia funzionato molto” ripeté Frank, cercando di essere più chiaro.
Harry aggrottò le sopracciglia, sbattendo le palpebre ripetutamente: ma di che parlava quello svitato di Paciock?
“Ma ci abbiamo già provato noi, non ha funzionato nulla! Che bisogno c'era di mandarci ad Hogwarts? Avremmo potuto valutare insieme la cosa e darvi un aiuto in più” sbuffò quello che era stato il salvatore del Mondo Magico.
Scorpius si guardò la punta delle scarpe e Draco si appuntò mentalmente di congratularsi con suo figlio una volta lontani da Potter.
“Ci ha fatto sesso.
Sesso, sesso, sesso, capisce? Ci ha fatto SESSO!” sbraitò Frank, perdendo la pazienza e urlando con quanto fiato avesse in gola.
Strinse le labbra quando si accorse di aver detto quelle parole. E le aveva dette dinnanzi al signor Potter, mentre queste si riferivano alla sua unica figlia femmina; condito dal fattore Malfoy.
Merlino, era morto. Morto e stramorto.
“Ah”
La sala meeting cadde nel più profondo silenzio: Harry Potter si bloccò a pochi metri da Frank Paciock, pallido come un lenzuolo e con gli occhi spalancati dall'incredulità, mentre tutti quanti tenevano la bocca chiusa giusto per non essere Avakadedravizzati dal bambino sopravvissuto.
“Fammi capire bene: io mi sono fatto Londra-Hogwarts in volo per fare in modo che mia figlia scopasse Malfoy?” sussurrò con un tono mortalmente basso, fissando con lo sguardo spiritato il quasi figlio morto di Neville Paciock.
Frank tremò.
“Oltre che il danno anche la beffa, hm?” sibilò incattivito, volgendo lentamente il capo alla sua destra.
Il collo scricchiolò, i capelli neri come l'inchiostro gli caddero sullo sguardo gelido e un sorriso da psicopatico si dipinse sulle sue labbra pallide e sottili.
“Draco”
Malfoy sbiancò dietro le spalle di Ginny e questa s'immobilizzò, giusto per impedire a suo marito il secondo omicidio della giornata.
“Draco, amico mio...” continuò con voce acre Harry, sbattendo le ciglia civettuolo e fissando l'erede di Lucius come Satana in persona. Quando al quinto anno era stato posseduto da Voldemort era un perfettamente normale confronto a ora.
“Non è colpa mia!” sbraitò Draco, sempre nascosto dietro le spalle della Weasley femmina.
Insomma, ma che centrava lui con le relazioni sessuali di suo figlio? Scorpius era libero di andare a letto con chi voleva, mica era così idiota da impedirgli qualcosa che poi – testardo com'era – avrebbe fatto lo stesso.
“Gli spermatozoi sono tuoi, stronzo e visto che non posso ammazzare quel coniglio di tuo figlio... ammazzerò te!” sbraitò Harry, quasi ululando come un lupo ferito.
Scorpius si rilassò: menomale, stando alle spalle di Lily si era salvato quella pellaccia da serpente che aveva. Comunque non era servito ad un cazzo, se proprio il signor Potter voleva saperlo.
L'unica cosa che era cambiata in Lily erano i capelli, ma il resto era rimasto lo stesso; gli occhi cupi, la bocca violacea e la pelle attraversata da venature bluastre. Non era cambiato assolutamente nulla, nemmeno il proposito di vendetta che nutriva verso Diamond.
Nemmeno la prospettiva di morire per far rinascere il nemico secolare di suo padre.
“La sposerei, se lei non fosse diventata tutt'uno con i suoi demoni interiori” bisbigliò Scorpius, attirando l'attenzione dei due uomini che stavano litigando.
Lily non si mosse di un millimetro e lui socchiuse gli occhi grigi, poggiando una mano aperta sulla sua schiena scarna: poteva sentire la spina dorsale spingere per bucare la pelle e le ossa dello sterno quasi spezzarsi per il peso eccessivo di quella staticità improvvisa.
“Che cosa hai detto?” mormorò Draco a bassa voce, fissandolo mezzo sconvolto.
Scorpius sorrise – veramente questa volta – e appoggiò la fronte sul capo di Lily. Diavolo, l'avrebbe sposata anche in quel momento se la paura di perderla non fosse stata così forte da fargli mancare il fiato.
“Mi sembra di conoscerla da sempre, in ogni modo possibile.
Io so com'è quando si sveglia la mattina e non ha nemmeno la forza di aprire bocca, se non per sbadigliare; io so che non le piace il caffè, ma quando proprio non riesce a svegliarsi ne ingurgita a quintali.
So che è gelosa, ma so anche che preferisce mangiarsi le nocche piuttosto di dirmi che lei deve essere l'unica su cui deve posarsi il mio sguardo.
Io so quello che riesce a farla sorridere e il suo profumo, i suoi passi e il suo modo di camminare.
E adoro i suoi difetti come i suoi pregi. E adoro il suo modo d'arrabbiarsi come il suo modo di ridere.
Adoro la sua testardaggine come la sua dolcezza. Amo il suo lato acido come i suoi baci improvvisi.
Quindi ditemi quello che volete... ammazzatemi se volete, ma io cercherò di proteggerla anche quando non vorrà. Ma io – una volta finita questa storia – la sposerò lo stesso” disse Scorpius, determinato, lasciandoli senza parole.
Draco sorrise, scuotendo il capo: quanto poteva essere orgoglioso di suo figlio? Lui, che con le sue scelte non stava facendo altro che accrescere l'orgoglio di quel padre sbagliato.
Suo figlio stava scegliendo e lo stava facendo nel mondo giusto; a diciassette anni si stava rivelando l'uomo che lui stesso non aveva mai avuto il coraggio d'essere. E continuò a sorridere, perché Draco Malfoy non poteva chiedere di meglio.
Non poteva chiedere un figlio migliore.
“Se c'è Potter io non vengo” cinguettò Draco tutto melenso, beccandosi un dito medio dal suo nemico di sempre.
“Figuriamoci se ci sei tu” rispose Harry a tono.
E la cosa era appurata: quei due non sarebbero cambiati mai.

 
***

Aveva le ginocchia scarne portate al petto e la guancia sinistra poggiata sulle gambe: le braccia esili si abbracciavano e gli occhi azzurri fissavano il soffitto, inespressivi.
Aveva due occhiaie bluastre che gli solcavano il volto e gli smagrivano le guance già scavate, mentre la bocca era violacea e stretta in una linea sottile.
Una sigaretta bruciava inesorabile tra le sue dita – la cenere qualche attimo prima gli aveva scottato la mano – ma lui continuava a restare immobile, come avvolto da un coma profondo.
Alice si chiuse la porta principale del bagno alle spalle, ignorando il proprio riflesso alla sua sinistra: era così furiosa che non vedeva altro se non la persona rannicchiata sul pavimento.
“L'hai fatto di nuovo” bisbigliò con voce roca, stringendo i pugni così forte da sentire le unghia graffiargli i palmi, ma continuando lo stesso a spingere.
Il dolore la teneva sveglia, viva, arrabbiata. E lei doveva essere furiosa, non impietosita dallo stato di Scamandro.
Lysander nemmeno la guardò, limitandosi a sorridere per la propria debolezza. A sorridere perché era la seconda volta che lei lo trovava in quelle condizioni e si arrabbiava così tanto da tremare come una bambina.
“L'hai fatto di nuovo!” urlò Alice, infilandosi le mani nei capelli come una disperata.
Lui si portò una mano sul viso e finalmente la guardò in faccia – mordendosi le nocche con rabbia; sembravano così vuoti quegl'occhi... ora sembravano non avere alcun significato. Erano semplicemente due pozzi inarrestabili che cercavano una via d'uscita in un modo che non portava da nessuna parte.
Lysander abbassò il capo e affondò i denti con ancora più forza nella mano destra, mentre con la sinistra si tirò una ciocca di capelli con violenza; era dimagrito ancora e oramai non si teneva più in piedi.
“Guardami” soffiò Alice, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi e alzando orgogliosamente il mento.
Lysander scoppiò a ridere, lasciando scivolare la mano martoriata sul pavimento gelido – ma continuando a nascondersi dietro quel braccio scheletrico.
“Se non vuoi smettere, lo dirò a tuo fratello” sibilò incattivita, avanzando con la bocca serrata in una linea sottile. Sembrava trattenersi dallo sboccare veleno e investirlo in pieno.
Lui si stava facendo male da solo e lei voleva ferirlo ancora di più... ma per la prima volta in vita sua, con Lysander Scamandro, si stava trattenendo. Non voleva ucciderlo più – era stanca di combattere.
“Smettila!” urlò Lysander, alzandosi e affannando con il petto.
Era così magro che la schiena sembrava potersi spezzare da un momento all'altro e ora la guardava con la solita furia che li aveva portati a graffiarsi e odiarsi ogni giorno di più. Ma ora lo sguardo non era ricambiato, perché Alice aveva intenzione di smettere.
Di smettere di uccidersi e ucciderlo.
“Lo dirò a tuo fratello e, Lysander, potrai nasconderti agli occhi di tutti... ma anche i muri hanno le orecchie e io lo verrò a sapere comunque.
Ho avuto a che fare con i tossici per tutta la mia vita” sussurrò Alice, mentre Lys sogghignava in un modo che non gli apparteneva e rovesciava il capo all'indietro.
“Già... come sta tuo padre?” ridacchiò, facendola indietreggiare per il dolore assurdo che le aveva causato con quelle parole.
Sentì il cuore incrinarsi nello stesso istante in cui lui posò lo sguardo su di lei – godendo nel vederla affannare con il petto.
“Spero che questa merda ti porti via tutto e ti sotterri così tanto da toglierti anche la dignità” mormorò Alice, guardandolo disgustato.
Lysander continuò a sorridere e lei gli diede le spalle, sentendo le viscere attorcigliarsi in un modo così prepotente da portarle la nausea: questa volta avevano toccato il fondo e se Scamandro aveva la convinzione che sarebbe tornata da lui come niente fosse... beh, si era sbagliato.
Non voleva nemmeno respirare la sua stessa aria!
“Ci sotterreremo insieme, Paciock” soffiò alle sue spalle.
Ma Alice lo ignorò: afferrò la maniglia della porta principale del bagno di Mirtilla e proprio mentre si affrettava ad uscire e lasciarsi tutto alle spalle – persino lui, soprattutto lui – Lysander l'afferrò per un polso e la tirò nuovamente all'interno.
La abbracciò di spalle e posò il mento sulla sua spalla, stringendo il suo seno sinistro tra le dita della mano che prima si era morso fino a portarla a sanguinare e sentì perfettamente il cuore battere velocemente.
Aspirò il suo profumo e socchiuse ancora una volta gli occhi, stringendola fino ad imprimersela contro. Fino a sentire la sua vita più sicura – fino a sentire quel filo su cui era sospeso più spesso, sicuro.
Come faceva a dirle che nonostante la ferisse nello stesso momento in cui aprisse bocca lei era l'unica che riuscisse a farlo sentire vivo? Come faceva a dirle che la sua vita era diventata una routine che lo uccideva e non riusciva più a vivere come prima?
Si sentiva così spento.
“Non te ne andare” le disse all'orecchio, con una voce che la portò a trattenere l'ennesimo singhiozzo causato dalla sua stupidità.
Merlino, era uno stupido!
“Lasciami, Lysander” annaspò Alice, sentendo gli occhi inumidirsi sempre di più.
Ma lui questa volta non l'ascoltò: la strinse con ancora più forza e singhiozzò anche lui – spezzandole il cuore in mille pezzi.
“Non andartene” singhiozzò ancora lui, scuotendo le spalle per i singulti violento che lo colsero improvvisamente.
“Vacci da solo all'inferno, Tom!” e Lysander fece appena in tempo a chiudersi in uno dei cunicoli insieme ad Alice prima che una furia aprisse la porta del bagno.
“Mi dici che ti prende?” domandò il ragazzo, sorpreso – seguendola come un cucciolo bastonato.
Rose lo fissò con rabbia e Alice fucilò Lysander con uno sguardo, visto che con la scusa di essere chiusi nel bagno le stava palpando il fondo schiena.
“Dimmelo tu!” sbraitò la ragazza, riavviandosi i riccioli ribelli con un gesto secco. Non sortì l'effetto desiderato perché le dita rimasero impigliate a metà.
Tom sospirò, coprendosi gli occhi con una mano.
“Non lo so, Rose. Se non me lo dici non posso saperlo” mormorò, guardandola quasi disperato.
Insomma, che aveva fatto di male? Da quando avevano deciso di provarci l'aveva trattata come una principessa e ci era andato con i piedi di piombo a differenza di Joe.
“Sei triste” bisbigliò la Weasley, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi e inghiottendo a vuoto.
Era triste e molto probabilmente lei conosceva anche il perché. E le faceva male tutto quello.
Da quando Lily era stata attaccata, loro erano dovuti ritornare alla loro realtà scolastica; avevano dovuto riprendere gli studi, le lezioni...e lui davvero si era comportato bene con lei.
Le prendeva la mano per i corridoi e l'aiutava con i compiti, la baciava la mattina quando s'incontravano a colazione e le portava i libri da una lezione all'altra. Ma Rose sentiva che c'era qualcosa che non andava.
Rose lo sentiva lontano, inafferrabile come fumo e aveva paura; per Rose era tutto così nuovo e sospettare che Tom pensasse alla situazione di Joe le spezzava il cuore.
Si sentiva così inferiore. Così piccola messa in confronto e aveva il cuore a pezzi.
“Non sono triste” si accigliò Tom, sbattendo ripetutamente le ciglia – sorpreso.
Rose alzò gli occhi verso il soffitto incrostato e sorrise, amara. Lo era e si notava così tanto che sembrava portare con sé una nuvola tossica; erano giorni che Tom aveva la testa da tutt'altra parte e si guardava attorno come se si aspettasse di veder comparire qualcuno al suo fianco da un momento all'altro.
“Hai ragione, non sei triste.
Sei a pezzi” sussurrò Rose, asciugandosi una lacrima che era scivolata fuori dal suo controllo con velocità – dando quasi l'impressione a Tom che non si fosse mai mossa.
Fece un passo avanti, ma lei indietreggiò insicura, senza nemmeno guardarlo in faccia: si mordeva le labbra con forza e il petto si alzava e abbassava ad una velocità impressionante.
“Rosie...” bisbigliò, quasi confuso da quello scoppio improvviso.
Lei scosse il capo e tirò su con il naso.
“Sei triste da quando Joe è in coma” disse finalmente, continuando ad evitare i suoi occhi blu.
Tom rilasciò un sospiro brusco – sgranando gli occhi, allibito; davvero lei credeva che fosse triste per Joe? Che si sentisse a pezzi per lei?
“Merlino...” soffiò, scompigliandosi i capelli con entrambe le mani e socchiudendo le palpebre.
Quanto rendeva cieco l'amore? Sviava e illudeva, mostrava cose non vere e spezzava i cuori ancora prima di avere sicurezze.
E Tom a volte lo odiava.
“Io non sono triste per Joe, Caposcuola” le disse, ignorando il fantasma di Mirtilla – che si era appena materializzato alle loro spalle.
Rose lo guardò sarcastica e lui sorrise, tendendo il braccio nella sua direzione: flesse le dita verso di lei in una muta richiesta.
“Certo, mi dispiace che sia capitato proprio a lei, ma il mio pensiero principale credo che sia proprio Dalton” borbottò burbero, grattandosi con l'altra mano il capo – quasi imbarazzato dalla situazione che si era venuta a creare.
Rose non accettò la mano, ma si sentì, ancora una volta, una stupida.
Quando si trattava di questioni amorose, sembrava che fosse un genio a sbagliare; aveva quasi messo da parte il fattore amici. Quasi aveva dimenticato di Scorpius e Dalton, che potevano considerarsi l'unica famiglia di Thomas.
Morgana, quanto era stupida!
“Sono così abituato ad averli attorno da quando sono praticamente nato che ora mi sento solo.
Mi manca la stupidità di Dalton e persino lo sbraitare di Scorpius la mattina; mi mancano i loro litigi, gli insulti... e tutte le abitudini che abbiamo avuto durante questi anni.
Mi dispiace averti dato l'impressione di stare male per un'altra” continuò Tom, senza mai abbassare il braccio.
La guardava in attesa e voleva davvero toccarla – per sentirla ancora lì accanto a lui. Voleva davvero toccarla per constatare che fosse ancora sua, perché certe volte – se ne rendeva conto lui stesso – era proprio stupido; doveva parlarne con Rose, confessarle che stava male per quella situazione e Tom sapeva che lo avrebbe abbracciato com'era solito fare lei, senza vergogna.
Rose lo avrebbe consolato e gli avrebbe detto che per ora ci sarebbe stata lei a sopperire l'assenza dei suoi migliori amici, anche se non era la stessa cosa.
“Rose” la chiamò, mentre sentiva il cuore aumentare di battito e quasi strappargli il respiro.
No, non poteva andare via per una stupidaggine del genere. Non poteva lasciarlo per non averle confessato quella sciocchezza, quella stupida debolezza.
“Tu lo sai... tu sai che tengo a te.
Sai che sei diventata parte di me” sussurrò Tom, quasi ansimando.
Qual'era la sua paura? Credeva davvero che potesse lasciarla per Joe?
Voleva bene a Joe, questo lo sapevano anche i muri. Ci era stato male quando aveva saputo che lei – nonostante tutto – avrebbe scelto Dalton, ma Tom sapeva combattere per una persona tanto quando sapeva di dover lasciar perdere.
E ora Rose lo fissava con gli occhi umidi.
“Io so che... io lo so che sono stupido, a volte. So che meriterei tante di quelle sberle da farmi perdere il senno, ma sono sicuro, Rosie.
Sono sicuro di me quando ti dico che da quando ci sei tu – con me – le cose sono più belle. Sono sicuro di me quando ti dico che da quando ci sei tu, con me, le mie giornate sono più piene.
Mi piace quando ci chiudiamo in biblioteca e facciamo tutto tranne che studiare; mi piace quando a pranzo – nonostante sei di Grifondoro – ti siedi accanto a me e cominci a sbuffare e a raccontarmi tutta la tua giornata.
Mi piace perché prendi iniziativa, perché sei sicura su ogni cosa, tranne quando si tratta di me.
Mi piaci perché mi hai dato il primo bacio e io so che non sarà l'ultimo.
Mi piaci perché a costo di darmi la buonanotte cammini di notte per i corridoi, sfruttando il tuo posto da Caposcuola – quando non l'hai mai fatto per nessuno.
E fai tutto per me, come non ha mai fatto nessun'altra” disse, sicuro come non lo era mai stato.
Rose lo fissò incerta e lui le sorrise, incoraggiante.
“Mi dispiace aver dubitato di te” miagolò con vocetta affettata, attorcigliandosi le mani sudate e fissandolo con gli occhioni spalancati.
Tom sorrise e indicò con il mento il braccio che ancora le tendeva: lei si aggrappò alle sue mani e lui se la strattonò contro, abbracciandola di slancio.
“La mia bellissima e testarda Caposcuola...” soffiò al suo orecchio, mentre Rose allacciava le braccia al suo collo e affondava il viso nella sua spalla.
“...Io sceglierei sempre e solo te, Tom.
Sempre” mormorò Rose, strappandogli un sorriso a piene labbra.
Oh, lo sapeva eccome. Non c'era sicurezza più bella e non provava quella sensazione da secoli: lui sapeva che lei lo avrebbe scelto sempre e comunque ed era bellissimo.
Ed era meraviglioso.
“Anche io” rispose, mentre Alice mimava di ficcarsi due dita in gola a quella dichiarazione.
Lysander – alle sue spalle – le baciò il collo.
“Non toccarmi, porco” sibilò Alice a bassa voce, cercando di scrollarselo di dosso e non farsi sentire, nello stesso momento, da quei due lì fuori.
Lysander sogghignò – abbracciandola così stretta da farle mancare il fiato.
Ora Alice lo sentiva: il cuore cercava di schizzarle fuori dal petto e non era normale dopo quello che le aveva detto. Lysander le aveva ricordato quello che aveva passato con suo padre.
Lysander le aveva ricordato le notti passate in bianco, le urla, i pianti di sua madre e le botte. Il caro Neville... il dolce Neville – il suo amato padre, che di giorno era il papà migliore al mondo, ma di notte cadeva di nuovo in quel vortice che l'aveva divorato subito dopo la seconda guerra magica.
Ecco perché Alice era così dura. Ecco perché era così protettiva verso quello stupido di suo fratello: da piccoli era lei che lo proteggeva. Era lei che lo abbracciava e gli cantava la ninnananna, per sovrastare le urla dei suoi genitori.
Frank era così debole e piangeva così tanto quando sua madre rinfacciava a suo padre che non era in grado di prendersi cura della sua famiglia; e Neville si rannicchiava in un angolo e si copriva le orecchie come un bambino – fino a stancarsi e urlare a sua volta.
Fino ad uscire di casa e andare alla ricerca di quella droga. Alice conosceva bene il suo nome: memoriae. Si assumeva in endovena e – per ventiquattro ore – chi ne era assuefatto si spegneva completamente, come avvolto da una specie di coma. Sembrava che portasse a galla i ricordi più belli di una persona ed era una droga magica, in esperimento, ma molto pericolosa: bruciava i neuroni ad una velocità incredibile e portava, dopo anni, ad uno stato d'Alzheimer avanzato.
“Smettila con quella merda, Lysander” bisbigliò Alice, ricordando suo padre e i suoi cambi di umori improvvisi, la sua irritabilità – la difficoltà nell'esprimersi, nel parlare – e la parte più brutta. La parte che aveva ucciso sia lei che suo fratello.
Lui ricordava i suoi piccoli bambini, quei pargoletti che avevano preso il nome dei suoi genitori... ma non ricordava di quei due ragazzi – così grandi, ora così meravigliosamente responsabili.
“Non ce la faccio” rispose Lysander a bassa voce, affondando il naso nei suoi capelli e socchiudendo gli occhi, dispiaciuto.
Alice si girò in quell'abbraccio e lo guardò determinata – ritta come una regina; Lys si chiedeva come il cappello avesse fatto a smistarla a Tassorosso: lei era coraggiosa come un Grifondoro, leale e sprezzante alle regole.
Lei era cattiva, ambiziosa e solitaria come un Serpeverde, intelligente come una Corvonero... ma Alice aveva costanza e pazienza e la sua testa dura non veniva scalfita da niente.
Per quel motivo era Tassorosso, perché ora le sue dita erano sulle sue guancia e lo stavano accarezzando con dolcezza. Nonostante fosse stato cattivo con lei. Nonostante avesse preso il suo cuore e l'aveva ferita.
“Dimmi che vuoi e io ti aiuterò” mormorò Alice, stringendo le dita tra i suoi capelli e causandogli quel poco di male che lo tenne sveglio.
Che lo tenne vivo tra le sue braccia.
“Dimmi che vuoi smettere e giuro che aiutarti sarà la mia priorità”
Lysander la guardò: smettere significava averla vicina. Significava capire se lei aveva davvero intenzione di stargli accanto o no.
Smettere significava farle capire che non aveva mai dimenticato quella notte dove avevano fatto l'amore. Farle capire che voleva ripetere quell'esperienza altre mille volte.
“Voglio smettere”
E Lysander si meritò un sorriso che gli illuminò il cuore e anche l'anima.
   
 
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