Il camino scoppietta allegramente, in barba all’atmosfera
cupa che si è creata in Sala Comune. È circa
mezzanotte, ormai quasi tutti sono andati a dormire dato che domani
c’è lezione, e noi Grifondoro del settimo anno
– esclusi James e Lily per ovvie ragioni –, in
compagnia di Dora, Marlene ed Evelyn – rimasta ignorando le
proteste della sorella –, siamo raccolti intorno al fuoco,
pensierosi e tristi.
Dora ha appena finito di raccontare ciò che ha visto e la
rabbia, evidente all’inizio, è lentamente sfumata,
sostituita dalla malinconia. Credo che tutti ci stiamo facendo la
stessa domanda: “E adesso?”.
Dire ogni cosa a Lily è fuori discussione: se non ci
crederà, ci prenderà per pazzi, se invece la
convinceremo, si trasformerà in una copia della Mason e
staccherò a morsi la testa di James. Benché per
alcuni la seconda ipotesi sembri abbastanza allettante, si è
capito che molto probabilmente a realizzarsi sarebbe la prima.
«Perché l’ha fatto?» chiede
Sirius, abbandonato su un divano accanto a Mary. Al ritorno della loro
“scampagnata serale” ci avevano trovato ad
aspettarli con espressioni quasi più tristi di quelle che
abbiamo adesso. Aveva subito esclamato un «io non ho fatto
niente» ma poi aveva capito che il
“colpevole”, questa volta, era il suo fratello
acquisito.
«Perché è un idiota» risponde
Emmeline con ferocia. In parte la capisco. È arrabbiata
perché, d’ora in poi, sarà costretta ad
avere segreti con la sua migliore amica e a dover misurare le parole
ogni volta che sarà a portata d’orecchio,
costretta a vedere Lily all’oscuro di tutto. Certo,
è quello che accadrà un po’ a tutti
noi, ma per Emmeline, per il suo “stato” e per come
vanno le cose in quest’universo, la questione è un
po’ più complessa.
In parte, però, capisco anche James, e mi viene quasi
naturale difenderlo.
«No, perché è disperato»
ribatto. Ricordo con tristezza il giorno in cui ero fuggito dopo aver
scoperto che Dora era incinta, terrorizzato dall’idea di aver
trasmesso a mio figlio la maledizione. Quello era il giorno in cui ero
diventato veramente in debito con Harry.
Fortunatamente, sembra che per Dora sia acqua passata ma io me ne
vergogno ancora.
«Questo non esclude che sia un idiota» replica mia
moglie, secca. Okay, magari non è proprio acqua passata.
Arrossendo leggermente, guardo le fiamme, cercando di pensare a
qualcosa che non sia la mia colossale codardia, magari a qualcosa di
utile. Attirato da un leggero movimento, poi, alzo un po’ lo
sguardo e i miei occhi s’incontrano con quelli di Evelyn che,
come a disagio, cercava di trovare una posizione più comoda
con cui sedersi. Lei distoglie quasi subito lo sguardo, ma faccio in
tempo a vedere quello che sembra senso di colpa. Qualsiasi cosa sia,
non sembra volerne parlare, per cui non faccio domande.
«Quindi che facciamo?» chiede infine Peter. Mi
trattengo dallo staccargli la testa, come ogni volta che apre bocca.
«Andiamo a letto, immagino» dice Sirius, alzandosi.
«Ma non abbiamo ancora deciso nulla!» protesta
Emmeline alzandosi a sua volta.
«Già, e continueremo a non decidere
nulla» replica Sirius, riuscendo a rimanere calmo.
Dev’essere un grande sforzo, per lui così
impulsivo, non rispondere a tono. «Non stasera, perlomeno.
Prima dovremo parlare con James e Lily, cercando di capire tutti i
dettagli e poi
potremo decidere qualcosa!»
«Già» fa lei. «Facile parlare
con loro, quando uno t’ignora da una settimana e con
l’altra devi stare attenta a non dire troppo, altrimenti
finisce che ti prende per pazza».
«Ehi, ehi!» esclama subito Sirius. «Non
ho detto nulla riguardo al “facile”, ma non mi
sembra che abbiamo altre possibilità
e…».
«Oh, falla finita Sirius» sbotta Emmeline,
esasperata e arrabbiata allo stesso tempo, uscendo in fretta dal buco
del ritratto.
Sembra che Sirius stia per dire qualcosa, ma Mary gli poggia una mano
sulla spalla.
«Non te la prendere e lascia fare a me» dice solo,
prima di seguire l’amica fuori dalla Sala Comune.
Sirius si gira, lanciandoci un’occhiata stralunata.
Molti di noi fanno spallucce, compreso io, confusi quanto lui, ma
è Alice che ci dice, semplicemente, che Emmeline ha
recentemente avuto «un bel po’ di casini per le
mani», rifiutandosi di spiegarsi meglio.
«So che sembra assurdo, ma penso che Sirius abbia
ragione» dice Frank, per poi sbadigliare. «E credo
che sia inutile continuare così, finiremo solo per
addormentarci qui sotto».
Molti, nella scuola, pensano che Frank sia, come dire,
“inutile”, il Grifondoro del settimo anno che non
è riuscito a entrare nel gruppo dei Malandrini. Invece non
è affatto così. Frank ha una grande
abilità nei discorsi: ha una voce calma e gentile e, quando
parla, qualunque cosa dica ti senti immediatamente d’accordo
con lui. Ora che ne ha parlato, infatti, mi sembra di essere travolto
improvvisamente dal sonno, tanto che comincio a sbadigliare. Anche gli
altri non sono rimasti immuni dalla “magia” del
ragazzo e alcuni si stropicciano gli occhi.
Nessuno di noi aveva dubbi che sarebbe diventato un diplomatico o che,
perlomeno, avrebbe lavorato al Wizengamot o in un posto simile. Invece
era diventato Auror e, in effetti, anche uno dei più bravi.
Ormai la pensiamo tutti come lui e cominciamo a salutarci. Poso un
bacio sulle labbra di Dora, prima che lei esca insieme a Marlene ed
Evelyn, che insiste a voler accompagnare fino in Sala Comune. Io,
Sirius, Peter e Frank andiamo in Dormitorio con gli occhi che ci si
chiudono.
Quando apriamo la porta, ci gettiamo quasi subito sui letti e solo la
nostra – al momento poca – forza di
volontà ci permette di metterci il pigiama. Quando sento uno
strano rumore, anche se molto leggero, provenire dal letto di James,
però, mi blocco all’improvviso.
Alzo lo sguardo verso le tende del baldacchino, ancora chiuse, e poi
verso i miei amici. Solo Sirius incontra i miei occhi, e aggrotta le
sopracciglia, preoccupato.
Scuoto la testa, facendogli segno di non intervenire.
Sirius assume un’espressione fra lo sconvolto e
l’irritato.
«Diamogli tempo»
dico, senza emettere alcun suono. Sirius sembra irritarsi di
più e sta per ribattere. «Domani»
aggiungo. Le sue labbra diventano linee sottili ma, alla fine, annuisce
e riprende a cambiarsi, un po’ più violentemente
di prima.
Probabilmente l’istinto di Sirius era di andare a parlare con
James, di consolarlo e capirlo. Ma, per esperienza, so bene che tutto
ciò che vuole James al momento è stare da solo a
pensare. Ed io intendo accontentarlo, per quanto sia stato stupido il
suo gesto. Per parlare c’è tempo.
Mary aprì la porta dell’aula vuota e se la
richiuse alle spalle.
Era uno spazio piuttosto angusto, con i banchi e le sedie accatastate
un po’ ovunque. Tende scure e polverose impedivano alla
maggior parte della luce di entrare. La Luna entrava solo da una
finestra, illuminando un tavolo con due dita di polvere su cui, a gambe
incrociate, era seduta Emmeline, in mano una bottiglia di Whiskey
Incendiario.
«Dove l’hai presa quella?» chiese Mary,
avvicinandosi alla ragazza.
Emmeline bevve un sorso, prima di chinarsi e, da sotto il tavolo,
estrarre una cassa di legno che poso accanto a lei con
facilità, nonostante sembrasse pesare parecchio.
«È da anni che i Corvonero nascondono qui le loro
riserve» disse. Prese una bottiglia da una cassa e la
lanciò a Mary, che la afferrò al volo, la
aprì e bevve a sua volta. Non immaginava che quei Corvi
tanto perfettini nascondessero certi tesori, ma dovette convenire che
anche loro dovevano pur svagarsi, di tanto in tanto.*
Rimasero per un po’ in silenzio, sorseggiando di tanto in
tanto l’alcolico.
«Allora, qual è il problema?» chiese
infine la bionda. Emmeline scrollò le spalle.
«Dai, parla».
«Oggi è l’anniversario» disse
la ragazza, a testa china. Mary annuì. Sinceramente, aveva
creduto che sarebbe stato più difficile farla parlare, ma
l’alcol probabilmente aveva aiutato. «Lo sai
com’è oggi. Tutti gli anni, è sempre
così. Non riesco a reggerlo. E adesso ci si è
messo anche James con questa storia della memoria, e Sirius che si
mette a difenderlo e…».
«Non è solo questo» disse Mary,
osservandola attentamente. Chiunque l’avesse conosciuta per
così tanto tempo l’avrebbe capito, ma Mary captava
anche i piccoli segnali del corpo dell’amica. Uno sguardo
sfuggente, occhi umidi, dita che tamburellano nervosamente sulla
bottiglia, poggiata sul bordo delle labbra, o sul tavolo. Per molti,
cose come queste non significano niente. Come pezzi di un puzzle che
vengono ignorati quasi da tutti, ma che i più attenti
capiscono come incastrare fra loro. E Mary era brava, con i puzzle.
«Cos’altro c’è?».
Emmeline la guardò, sgranando gli occhi, poi abbassandoli
velocemente. Sembrava molto triste e, anche se Mary non riusciva a
capire il perché, anche un po’ imbarazzata.
«Ultimamente» disse Emmeline, prendendo poi un
altro sorso. «Ultimamente ho incontrato spesso il fratello di
Sirius».
«Regulus?» chiese Mary, aggrottando le sopracciglia
con sospetto e abbassando la bottiglia. «Che vuole?»
«Non lo so» rispose Emmeline con
sincerità. «Ogni volta che mi si avvicina mi dice
qualche frase strana. Mi passa accanto e dice qualcosa, per poi
andarsene subito come se niente fosse. All’inizio la cosa
m’incuriosiva e m’infastidiva. Adesso la cosa sta
diventando molto inquietante».
«Cosa ti dice?» chiese la bionda, drizzando la
schiena e le orecchie. Regulus era oscuro come la famiglia come lo
aveva cresciuto ed evitava ogni contatto con i Grifondoro o con suo
fratello. La cosa le puzzava.
«Dipende. Prima erano frasi brevi, insulti… Poi ha
cominciato a dire cose molto più…
oscure».
«Emmeline» fece Mary, posando la bottiglia,
prendendo con delicatezza i polsi dell’amica e costringendola
a guardarla. «Per favore, dimmi esattamente cosa ti ha
detto».
Emmeline la guardò, un po’ sorpresa, ma poi
dovette capire che era importante, perché la assecondo. O
forse pensava solo che fosse pazza. O ubriaca. O entrambe le cose.
«Le prime volte in cui l’ho incrociato ha detto
cose come “Sanguesporco” o
“intrusa”. O anche “tic tac”.
Ecco, sì, “tic tac” l’ha
ripetuto un po’ di volte» riferì la
ragazza.
«Poi?»
«Adesso è passato a frasi come “il
serpente è libero”, “il fuoco sta
divampando”, “avremo la nostra
guerra”… E oggi ho ricevuto questo».
Emmeline spostò una mano tremante nella tasca e ne estrasse
un piccolo biglietto rettangolare, che diede all’amica.
«Non ho prove che sia di Regulus,
però…»
Mary lesse, il contenuto scritto in una calligrafia bella e ordinata, e
rabbrividì…
Quando il sangue degli intrusi la nera pietra bagna
Quando il sangue degli intrusi la nera pietra bagna
Quando il sangue degli intrusi la nera pietra bagna
Il sangue degli intrusi la nera pietra bagna
Tic tac
… quando capì che quella strana cantilena era un
messaggio a metà fra un avvertimento e una minaccia. Un
messaggio per Emmeline. Un messaggio per i Sanguesporco.
Eppure, per Mary c’era qualcosa di strano, che andava al di
là delle lettere scritte con inchiostro vermiglio.
«Non credo sia di Regulus» disse infine. Emmeline
alzò gli occhi, sorpresa. «Regulus, seppur un
bastardo, non è scemo. Non ha manie di protagonismo. Se
davvero volesse farti del male, non manderebbe di certo un biglietto
del genere. Qualcun altro deve averlo scritto».
«Non esserne così sicura» disse
Emmeline. «È una delle Serpi peggiori
e…»
«Emmeline, ne sono certa» replicò Mary.
«Regulus non scriverebbe una cosa del genere».
«Allora le bionde non sono così stupide come si
dice» esclamò una voce. Mary si girò
all’istante, con la bacchetta sguainata, mentre Emmeline
scendeva dal tavolo e si guardava intorno, preoccupata. Di chi avesse
parlato, non c’era traccia.
Poi, dall’ombra, emerse una figura. Era come se
l’oscurità fosse in realtà una specie
di strana nebbia, che allungava i suoi tentacoli contorti per formare
una figura umanoide prima abbozzata e poi completa. Regulus Black era
davanti a loro, con un ghigno che non faceva presagire nulla di buono.
«Da quanto tempo hai quest’aspetto?»
chiese Mary, cercando di mantenere la calma. Il ghigno del ragazzo si
allargò.
«Cinque giorni» rispose. «Non molto, a
dire il vero, ma Apophis ha trovato un modo per farmi entrare da poco.
E pensare che sarei dovuto arrivare poco prima di Natale, invece sono
già qui! Questo significa che posso divertirmi di
più! Ovviamente, voi mi farete compagnia».
Mary stava per ribattere ma le sembrò di vedere qualcosa con
la coda dell’occhio. Si girò lentamente, incerta
e, ora poteva benissimo ammetterlo, spaventata. Riuscì a
mala pena a vedere le ombre compattarsi in un essere, un essere dotato
di artigli, prima di venir colpita alla testa. Mary cadde a terra e,
prima di perdere i sensi, riuscì solo a sentire la voce
ilare del falso Regulus che ripeteva, come in una tetra cantilena,
“tic tac”.
So di star sognando. Ne sono certo. L’ultima cosa che ricordo
è di essermi messo sotto le coperte e, pensando a quanto
successo e pieno di preoccupazione per la luna piena ormai vicina, sono
sprofondato nel sonno.
Eppure sono qui. In piedi, sulle rive del lago di Hogwarts, di notte.
Indosso una leggera camicia bianca e un paio di jeans, eppure non sento
freddo; altra prova per la tesi del sogno. Mi guardo intorno con
attenzione e capisco che, seppur simile, non è la stessa
riva che conosco io: la spiaggia è troppo sabbiosa e grandi
massi di pietra nera escono dal terreno, il castello si vede nel mezzo
di una leggera nebbia, ma è troppo lontano rispetto alla sua
vera posizione, così come per la Foresta Proibita.
«Dove sono?» sussurro. So che è strano
parlare da soli ad alta voce, ma, se questa è la mia testa,
non credo che qualcuno mi farà problemi.
«Nel Mondo di Mezzo» risponde qualcuno. Mi giro di
scatto, portando una mano nella tasca della bacchetta e scoprendo con
sollievo che ce l’ho. Davanti a me, a pochi metri di
distanza, trovo James che mi osserva, in piedi. O meglio,
all’inizio credo sia James, ma capisco all’istante
di essere in presenza dell’Altro. Giacca e cravatta, niente
occhiali… manca solo un bel ghigno malefico. Invece la sua
espressione è molto seria.
«Questo è un luogo situato fra i vari Universi, un
punto che impedisce ai mondi di entrare in contatto» spiega,
pacifico. In un paio di passi è accanto a me. Penso di
essere in pericolo ma non mi sembra che l’Altro abbia cattive
intenzioni. Guarda il lago, aggrottando le sopracciglia. «Il
suo aspetto varia a seconda di chi ci si trova all’interno.
Di solito, quando sono solo, diventa un labirinto di pietra infinito,
chiuso nell’oscurità. Con noi due insieme, invece,
l’oscurità rimane, ma il Mondo diventa
più ampio e triste, piuttosto che chiuso e
minaccioso». Sorride leggermente, come ricordando qualcosa.
«Invece, basta che anche James sia presente per rendere tutto
di un bianco accecante. Quel ragazzo è una forza».
«Pensavo odiassi James» replico, mentre la mia
mente cerca di elaborare la cosa. Il fatto che ci stia riuscendo mi
rende quasi più spaventato di quanto non lo fossi
nell’ignoranza. Devo averne passate parecchie, per riuscire a
capire anche queste cose.
L’Altro fa spallucce.
«Non posso odiare ciò che mi dà
potenza» spiega. «Se lui non esistesse, lo stesso
varrebbe per me. Ovviamente è valido anche il
contrario». Poi si gira verso di me e prende un tono
cospiratorio. «Però non dirgli che te
l’ho detto, potrebbe montarsi la testa!».
Sinceramente non ho capito un accidente di quello che ha detto,
però annuisco lo stesso, cercando di assecondare il matto.
Lui ridacchia, come se capisse cosa penso.
«E comunque chiamami John» dice. «John
Smith».
Inarco un sopracciglio.
«Okay, John» dico. «Immagino che
però tu non mi abbia portato qui per farmi incontrare
Pocahontas, giusto?».
Lui non sembra capire. Giusto, stesso cervello di James, stessa
conoscenza da Purosangue. Comunque decide di ignorare la cosa e andare
avanti.
«Ti ho portato qui perché voglio
aiutarvi» dice, guardandomi negli occhi. Le iridi nocciola
hanno una strana luce. «C’è in corso un
piano, un piano per uccidervi tutti. Lo stesso piano che mi ha creato e
che ora ha trovato un altro modo per generare la Guerra».
Faccio un passo indietro, stordito.
«Di che stai parlando?» chiedo.
«Vi siete chiesti perché la Mason è
qui, giusto? Perché si comporta in questo modo,
perché mi ha generato dall’oscurità di
James. Fa tutto parte di un piano, un piano fra lei e un'altra persona
che si fa chiamare Apophis, come il Serpente del Caos della mitologia
egizia» spiega. «Questo piano è molto
articolato e in corso da secoli. La Mason ci lavora da quasi tutta la
vita, da quando…»
«Da quando è tornata» concludo, come
folgorato. In effetti, l’idea mi era ronzata in testa, ma non
ero mai stato completamente sicuro. Ora, invece, John sembra suggerire
proprio questo.
Annuisce.
«Non mi hai chiesto cosa accadrebbe se i Mondi di Mezzo non
esistessero» dice. Non capisco il nesso, ma cerco di seguire
il suo discorso. «Gli Universi si toccherebbero e ci sarebbe
un passaggio fra questi. Potresti pensare che non è poi una
cosa tremenda, poter viaggiare in tutti gli Universi, ma sbaglieresti
di molto: gli Universi, prima o poi, tenderanno a sovrapporsi, a
cercare di sopprimere l’altro perché
l’esistenza di due versioni degli stessi eventi è
qualcosa di inconcepibile, che va contro il naturale ordine delle cose.
Tuttavia, ci sono momenti in cui i Mondi di Mezzo spariscono e, per un
breve periodo, tutti gli Universi si toccano. Questi momenti si
chiamano Punti Fissi, momenti che devono obbligatoriamente accadere nel
tempo, identici in ogni Universo. Certo, ovviamente esistono le
differenze: per esempio, in una guerra potrebbero esserci venti soldati
in un Universo e diciannove in un altro; queste piccole differenze
fanno sì che gli Universi non si fondano completamente.
Passato il Punto Fisso, gli Universi tornano a separarsi completamente.
Tuttavia, talvolta può accadere che qualcuno, di solito
persone che hanno perso la vita in questi Punti, rimangano intrappolati
nei Mondi di Mezzo che, non potendo contenere le loro entità
– puramente umane –, spediscono queste persone in
universi diversi da quello di origine – per evitare
paradossi. Di solito, se una persona è stata già
trasferita da un Universo all’altro, le persone dopo di lui
tendono a seguire la “scia” lasciata».
«Frena, frena, frena!» esclamo, disorientato e
sopraffatto dalle notizie. «Lasciami elaborare. Allora, Noi
– io, Silente, Dora e anche la Mason a quanto pare
– siamo qui perché siamo morti in uno di questi
Punti Fissi».
John annuisce.
«La Battaglia di Hogwarts e gli avvenimenti della Seconda
Guerra Magica sono Punti Fissi» conferma. «E ti
ricordi quando è morta la Mason?»
Ci penso, cercando di ricordare. Poi mi viene in mente.
La professoressa Sarah Mason, vampira e pazza assassina part-time, era
morta in duello contro Silente il 17 luglio 1980, durante la
cosiddetta..
«Durante la Strage di Edimburgo**» rispondo. Il
duello era stato violentissimo e si era svolto nel bel mezzo della
città. Silente aveva ovviamente cercato di proteggere i
cittadini, ma la Mason non risparmiava colpi. Trecentonovantaquattro
civili morti. La Mason distrutta dall’esplosione di una
piccola fabbrica tessile in cui Silente, in un gesto disperato al
limite dell’immorale, l’aveva rinchiusa con
centinaia di incantesimi di difesa e protezione; era stato
l’Ardemonio a mettere fine all’esistenza della
vampira. Silente, quel giorno, aveva dimostrato a tutti la sua potenza
e quanto poteva essere spietato contro i veri malvagi.
L’evento, tuttavia, sembrava dare troppo potere al mago,
così il Ministero aveva deciso di insabbiare tutto; solo in
pochi seppero cos’era successo. E i membri
dell’Ordine della Fenice – nuova e vecchia
– erano fra questi.
John annuisce.
«Un altro Punto Fisso» conferma.
Questo mi fa sorgere spontanea un’idea. Se i Punti Fissi
devono accadere obbligatoriamente in tutti gli Universi,
allora…
«Moriremo» dico. Credo che in questo caso dovrei
essere spaventato, ma mi sento soprattutto… deluso. Deluso,
sì. Perché credevo di poter avere una nuova vita.
Effettivamente, tutti questi problemi che sono sorti in poche settimane
dovevano farmi intuire qualcosa.
«Come scusa?» chiede lui, confuso. Non so
perché ma mi sento improvvisamente arrabbiato con lui.
«Moriremo» ripeto, stringendo una mano intorno a
una bacchetta. «Se i Punti Fissi devono avvenire in ogni
mondo, allora vorrà dire che la Mason morirà di
nuovo nel 1980, Silente nel 1997 ed io e Dora nel 1998».
John fa un piccolo ghigno.
«Qui sta il bello dei viaggi fra gli Universi: voi. Voi che
avete viaggiato siete fra gli esseri più potenti
del… Be’, dell’Universo» dice.
«È questo quello che vuole la Mason, eliminarvi
tutti, scatenando una guerra. La Guerra dei Narratori!».
«I Narratori?»
«È così che chiama le persone che hanno
viaggiato, persone che conoscono la propria Storia e che possono
riscriverla».
«Frena! Hai detto che i Punti Fissi devono accadere in modo
uguale in tutti gli Universi!».
John storce la bocca.
«Sì, be’, “uguale”
è un concetto piuttosto relativo in questa
realtà. La Strage di Edimburgo ci sarà,
così come la Seconda Guerra Magica, che in questo caso
immagino sarà la Prima, ma le cose potrebbero andare in modo
piuttosto diverso… Nel senso che potrebbero morire altre
persone piuttosto che alcune. Le vite, per l’Universo, sono
tutte uguali, una vale l’altra. Questa volta, per esempio,
potrebbe andarsene un Mangiamorte, al posto tuo, oppure potresti non
partecipare affatto ed essere sostituito da qualcun altro».
Okay, sono piuttosto confuso, ma cerco di venirci a capo.
La Guerra contro Voldemort ci sarà. Il combattimento con la
Mason anche. Tuttavia, le cose potrebbero cambiare.
Io potrei non morire. La stessa cosa per Dora. Ma qualcuno prenderebbe
di sicuro il nostro posto; buono o cattivo, questo non ci è
dato saperlo.
La Mason potrebbe non morire. E Silente potrebbe prendere il suo posto.
E di quelle trecentonovantaquattro vittime innocenti… Chi
saranno questa volta? Le stesse persone del nostro Universo? O altre?
Dato che la Mason sta creando tutto questo scompiglio, ci saranno altre
persone a combattere? La Strage di Edimburgo si trasformerà
nella Guerra dei Narratori?
Narratori…
Io, Dora, Silente e la Mason. È questo che siamo. Anomalie
nella natura, esseri che non dovrebbero esistere. Persone che conoscono
il loro futuro e che possono modificarlo a loro piacimento.
Ma perché noi?
Prima che riesca a chiederlo, John mi risponde. Credo proprio che mi
legga nel pensiero.
«Non so di preciso perché vengano scelte certe
persone per viaggiare, credo ci siano delle determinate condizioni che
nemmeno la Mason ha ancora compreso» spiega. Poi, ancora una
volta prima che riesca ad aprire bocca, continua: «Tuttavia,
la differenza temporale fra un Universo e l’altro, invece,
è facile da spiegare: dipende dal contatto fra gli Universi
durante i Punti Fissi. Più gli Universi sono uniti, minore
sarà la differenza di tempo fra la partenza e
l’arrivo di un viaggiatore. Siete stati fortunati: il
contatto durante la Seconda Guerra era piuttosto ampio, così
siete tornati indietro solo di una ventina d’anni. Se fosse
stato più stretto, avreste potuto attraversare anche mezzo
secolo e… Be’, non so cosa succeda in questo
caso».
Rabbrividisco.
Quindi è questa la spiegazione di tutto? Siamo morti e
risorti… per puro culo? Mi sembra quasi
incredibile… Ciò mi fa venire in mente qualcosa
che mi sarei dovuto chiedere molto prima.
«Perché dovrei fidarmi di te?» chiedo,
indietreggiando di mezzo passo. «Sei la parte malvagia di
James, giusto? Perché dovresti voler aiutarci?».
John sbuffa in modo esasperato.
«Allora, vedrò di spiegarlo in termini
semplici!». Sarebbe la prima volta. «Io sono il
piano A: estrarre la parte malvagia di James e…
Be’, onestamente, non conosco tutto il piano, ma so che
comprende anche questo. Tuttavia, hanno iniziato questo
piano B, in cui vogliono scatenare questa Guerra dei Narratori, fra voi
e… altra gente che ha trovato in quest’Universo,
non ho idea di chi siano. Adesso, però, sembra che il piano
B stia diventando quello A. Ergo: niente party per John!
Comprendi?».
In effetti, la spiegazione non fa una grinza.
Da quanto ho capito, quindi, dovremo affrontare battaglie contro dei
Narratori sconosciuti perché la Mason ha ordinato il nostro
sterminio. Se falliamo… Be’, sappiamo tutti come
finisce. Se vinciamo, i cattivi torneranno al piano A e ci dovremo
scontrare con John. Non so perché, ma credo che
dovrò rimandare le vacanze che avevo mentalmente programmato
per me e Dora.
«Tu come sai tutto questo?» chiedo infine. John si
batte l’indice sulla tempia.
«Ho una specie di contatto telepatico con la vecchia
stronza» dice. Poi batte le mani. «Ora, direi che
la conferenza è finita e ti ho detto tutto, quindi ti
rimando nel tuo mondo dolce e carino con l’augurio di fare il
culo a vampiri e a esseri d’ombra».
«A esseri di
che?» chiedo, sconvolto. Lui fa un sorriso a
trentadue denti.
«Vedi di non morire troppo presto, okay?» fa John,
per poi mollarmi un pugno in piena faccia.
Mi risveglio nel mio letto. È mattina e il sole filtra tra
le tende. Ho dormito a lungo, credo, ma mi sento stanchissimo lo
stesso. Credo che, per la prima volta in assoluto, Remus Lupin
salterà le lezioni per motivi non-a causa di forze maggiori.
L’unica cosa che riesco a fare è allargare le
braccia, chiudere gli occhi e mormorare: «Sei uno stronzo,
John».
Inaspettatamente, mi arriva una voce.
«Completamente d’accordo» dice James. Lo
localizzo dopo qualche istante: è sdraiato a terra, con la
faccia spiaccicata sul pavimento, con Sirius seduto sulla sua schiena.
Mi guardo intorno: Peter e Frank non ci sono.
«Idem» fa Sirius, con una smorfia amara. Ho come
l’impressione di non essere stato l’unico ad aver
sognato tizi in giacca e cravatta.
Mary dovette battere più volte le palpebre prima di riuscire
a vedere bene. Provò ad alzarsi a sedere ma i capogiri le
fecero capire che non era una buona idea, quindi si limitò a
guardarsi intorno da supina.
Come aveva potuto capire anche dal duro pavimento, il luogo in cui si
trovava era completamente fatto di pietra. Una grotta. Probabilmente
sottoterra. Non appena ebbe formulato l’ultimo pensiero, a
Mary cominciarono a fischiare leggermente le orecchie e le si
accelerò il respiro. Dovette chiudere gli occhi per un
po’, concentrando i propri pensieri su
qualcos’altro, per rilassarsi.
Tentando nuovamente la sorte, provò a puntellarsi sui gomiti
per alzare leggermente la propria visuale. Fortunatamente, malgrado
l’aggiunta della claustrofobia, riuscì ad alzarsi
un po’. Si trovava sotto un fascio di luce che proveniva da
un buco sul soffitto, luce che sembrava venire direttamente
dall’esterno. La cosa la rasserenò un
po’, ma la sua parte realista prese il sopravvento: la luce
era quella di mezzogiorno e, nonostante fosse svenuta, sapeva benissimo
di non aver dormito tutto quel tempo. Probabilmente, era solo magia,
anche se lo scopo non le era ancora chiaro.
Dopo un paio di minuti, e molta fatica, Mary riuscì
finalmente ad alzarsi in piedi, sebbene fosse ancora piuttosto
barcollante. Nonostante il cono di luce le nascondesse gran parte della
visuale, rendendo tutto molto più buio
all’esterno, riuscì a intuire che la grotta la
circondava in una specie di semisfera, con un unico tunnel che
sprofondava nell’oscurità completa. Infine, un
leggero movimento percepito con la coda dell’occhio la
attirò. Era stato una specie di riflesso, qualcosa che si
muoveva e brillava leggermente per la luce, un liquido probabilmente.
Il solo pensiero di acqua le fece pizzicare la gola di una sete che
prima non credeva di avere, spingendola a dirigersi senza esitare verso
quella pozza che aveva notato per puro caso, in quel buio. Non appena
ebbe immerso la mano, però, si ritirò
all’istante sotto la luce, e non solo perché
quella non era acqua ma un liquido denso e nero che puzzava tremendamente,
ma anche per il freddo che l’aveva attaccata non appena era
uscita nell’oscurità. Era, per lei, come se fosse
stata pizzicata contemporaneamente e da tutte le direzioni da minuscoli
insetti. E, considerato lo stato dei suoi vestiti, forse non era
proprio un’idiozia.
Non aveva fatto caso al proprio abbigliamento, dato che aveva ben altro
a cui pensare, ed era sicura di avere addosso gli abiti della sera
precedente. Invece, la morbida felpa che indossava era sparita nel
nulla e maglietta e jeans erano coperti di strappi; alcuni, anche
considerando i graffi che aveva sulla pelle, erano probabilmente
provocati dallo sfregamento sulla roccia – segno che qualcuno
doveva averla portata lì facendola strisciare a terra
– ma altri sembravano proprio provocati da piccoli morsi.
«Fico» mormorò la ragazza, con ironia,
cercando di smorzare la tensione. «Sottoterra, al buio, con
il petrolio al posto dell’acqua, con minuscoli piranha
nell’aria e (si esaminò le tasche dei
jeans)… perfetto, anche senza bacchetta! Come potrebbe
andare peggio?».
La risposta le arrivò tramite un urlo di dolore che le fece
gelare il sangue nelle vene. Sapeva benissimo di chi era la voce, ma
soppresse l’istinto di urlare il suo nome, nella vana
speranza di essersi sbagliata. Qualcuno le aveva rapite per uno scopo
ben preciso e ora stava facendo del male a Emmeline per un qualche
malato motivo. Non era stupida, aveva capito che il far credere al
rapitore di essere ancora svenuta avrebbe aumentato abbastanza le
probabilità di sopravvivenza. Così si
limitò a mordersi la lingua e a ficcarsi le unghie nei palmi
fino a farli sanguinare, mentre il lamento di Emmeline continuava a
echeggiare nei tunnel. Sperava che quell’orrendo suono si
fermasse, ma qualcuno sembrava non essere d’accordo e
l’urlo le entrò nella testa e le
avvelenò la mente.
Lacrime amare cominciarono a sgorgare dai suoi occhi mentre cadeva in
ginocchio e si premeva le mani sulle orecchie, cercando di attenuare
l’urlo.
Poi sentì le pareti della grotta vibrare.
Evelyn era fortunatamente ancora a colazione quando l’FPS si
attivò. Effettivamente, sarebbe stato difficile spiegare
quel suono, una specie di stridio ovattato ripetuto più e
più volte, durante la lezione. Certo, non che questo
alleggerisse la situazione, ma almeno era un punto a suo favore.
Sotto lo sguardo incuriosito del ragazzo che aveva davanti, Evelyn
frugò con violenza nella borsa per poi estrarre una piccola
lastra rettangolare, dai bordi smussati. Poteva sembrare uno
specchietto, ma la superficie argentata non rifletteva nulla, anzi,
c’era un piccolo puntino rosso e intermittente proprio al
centro. Evelyn aggrottò le sopracciglia, preoccupata, e
premette con il dito sul puntino, interrompendo il suono che, nel
frattempo, aveva fatto girare alcune teste fra i Corvonero e gli
studenti di passaggio.
Dallo specchietto si sprigionarono come delle finestrelle
semi-trasparenti dai bordi blu. Una mostrava una piccola sezione di
quella che era evidentemente una parte di una mappa di Hogwarts
(copiata illecitamente da quella dei Malandrini) con un punto rosso su
quella che la ragazza sapeva essere un’aula in disuso in cui
la sua Casa nascondeva il Whiskey Incendiario. Un’altra
ancora mostrava il volto di due ragazze, una bionda e una mora, con la
scritta in rosso ALERT. La terza e ultima fluttuava accanto alla
seconda e mostrava una certa quantità di dati che nessuno,
tranne Eve ovviamente, avrebbe potuto capire. O forse no?
«E così due Grifondoro sono sparite nel
nulla?» chiese il ragazzo, sbirciando da sopra lo
specchietto. Eve spalancò gli occhi, premette di nuovo
sull’aggeggio e fece scomparire le finestrelle. Il ragazzo la
osservò da dietro gli occhiali squadrati con sguardo curioso
e preoccupato allo stesso tempo.
«E tu che ne sai?» fece Eve, sbalordita. Aveva
perso un sacco di tempo per elaborare quel sistema che, tuttavia, anche
a lei risultava ancora leggermente criptico. Come faceva qualcuno che
non aveva mai visto l’FPS saperlo decifrare così
in fretta?
«C’era scritto lì» disse con
semplicità il Corvonero, facendo scendere di molto
l’autostima della ragazza. «Soggetti scomparsi
dalla mappa senza essere passati per passaggi conosciuti, tracce di
Magia Oscura in tutta la stanza… Insomma, più
chiaro di così si muore».
Sì, pensò Evelyn, effettivamente
sull’FPS era scritto questo… ma in FPS-ese! Era
tutto nascosto sotto una sequenza di numeri, percentuali e paroloni che
non sapeva neanche lei come si fossero inseriti nel programma!
«Serve una mano?» chiese il ragazzo, gentilmente.
Evelyn sgranò gli occhi.
«Scusa, David, ma qui è meglio che tu…
ne stia fuori, okay? Senza offesa» rispose lei. Non che
dubitasse della bontà del ragazzo, erano amici dal primo
giorno di scuola e ora conosceva più lui che sua sorella, ma
preferiva non mettere nessun altro a conoscenza della storia
viaggiatori-del-tempo-risorti-in-un’altra-dimensione, e
accettare il suo aiuto avrebbe poi richiesto in seguito una dovuta dose
di spiegazioni inopportune.
«D’accordo, nessun problema» fece David,
alzando le mani come a difendersi. Evelyn colse però uno
scintillio nei suoi occhi che le fece capire che per lui non era finita
lì. Prima che potesse dire qualcosa, però,
luì intervenne: «Certo, però, sei
proprio cattiva a lasciarmi andare a lezione con la McGranitt da
solo…».
«Oh, be’, sei un Crouch***, sopravvivrai»
ribatté Eve, piuttosto fredda. Aveva capito che delle
ragazze erano scomparse e lui si diceva che era cattiva ad andarsene?
Ma chi era il ragazzo che aveva conosciuto per cinque anni?
«… Come stavo dicendo, sei proprio cattiva a
lasciarmi da solo a lezione, ma immagino che, essendoti sentita male,
non avresti potuto fare altro che rimanere a letto» concluse
il ragazzo, inarcando le sopracciglia con fare allusivo.
Era quello, si disse, era quello il ragazzo che aveva conosciuto per
cinque anni.
«Scusa David!» esclamò Evelyn,
costernata.
«Sei perdonata, ma non farlo mai più!»
ribatté il giovane Crouch, sogghignando. «Ora vai
e salva vite, mia giovane Padawan!».
Evelyn ridacchiò. Adorava quel ragazzo. Seppur Purosangue,
non aveva battuto ciglio quando lo aveva costretto a vedere il primo
episodio di Star Wars,
uscito proprio quell’anno.
«Ai suoi ordini, Maestro»
disse Eve, alzandosi in piedi e afferrando la propria borsa. Quella
parola fece storcere la bocca al ragazzo.
«“Maestro”?» chiese,
più a se stesso che a lei. «Nah, non mi piace
proprio. Odio insegnare!».
Evelyn sbuffò, divertita.
«Ah, giusto, tu vuoi diventare Guaritore e curare la gente,
giusto?» chiese lei, ironica. «Come vuoi che ti
chiami allora? Dottore?».
«Dottore?» fece lui, come assaggiandone il suono.
«Sì, mi piace!»
«Okay, allora a dopo, Dottore, e vedi di pararmi il culo come
si deve oppure sono morta» replicò la ragazza,
ridacchiando. David fece una smorfia volontariamente esagerata.
«Suvvia, Evelyn, non essere volgare!» la
rimproverò scherzosamente, per poi diventare serio.
«Adesso però va’ e salva
tutti… Anche perché dopo voglio i
dettagli».
Evelyn sorrise dolcemente.
«Contaci, Crouch» rispose, determinata, per poi
incamminarsi verso la porta d’ingresso della Sala Grande
ripromettendosi che, una volta finita quella storia, avrebbe mostrato
il Laboratorio a quel genio di dottore.
Mentre Evelyn se ne andava di corsa ad avvertire gli altri –
non senza sentirsi un po’ in colpa per aver indugiato
così a lungo in compagnia del ragazzo –, David
prese da una tasca interna della divisa una specie di bottone d'ottone
dorato, decorato da un lato con centri concentrici sempre
più piccoli che terminavano in una minuscola sfera nera. Il
ragazzo passò il dito sul bottone e, dopo un istante, la
sfera al centro sussultò lievemente per poi illuminarsi di
una tenue luce dorata. David osservò la luce per qualche
secondo, prima di rimettere via il bottone e di alzarsi, con una chiara
idea in mente e la certezza che non sarebbe stato di certo lui a
spiegare alla McGranitt perché due studenti mancavano a una
sua lezione. Certo, sarebbero stati nei guai, però gli ci
volevano proprio, un po’ di problemi.
Si alzò e si mosse sulla scia dell’amica, pronto e
deciso ad agire.
Uscendo dalla Sala Grande, e dirigendosi verso i giardini di Hogwarts, fu sicuro di vedere Peter Minus che, solo soletto, camminava di soppiatto
verso i Sotterranei. La cosa gli fece digrignare i denti e assumere
un’espressione disgustata ma decise che aveva cose molto
più urgenti a cui pensare.
Istinto.
Ecco cosa aveva Sirius. Remus era intelligente, James coraggioso e
altruista, Peter… Onestamente, non sapeva bene
cos'era Peter, ma perlomeno era un’ottima spia.
Lui, invece, aveva un grande istinto.
Era per questo che, quando aveva incontrato il gemello malvagio di
James in sogno – con tanto di giacca e cravatta in perfetto
stile “sono meglio di te” – aveva come
sentito un campanello d’allarme nella testa. Campanello che
aveva poco saggiamente deciso d’ignorare.
D'altronde, lo faceva praticamente tutti i giorni. Andare
contro il suo istinto era il suo hobby.
«Ehi, sacco di pulci!» aveva esclamato il gemello
malvagio del suo migliore amico.
«Fottiti» aveva candidamente risposto lui, con un
gran sorriso sulle labbra. Il ragazzo era scoppiato a ridere e Sirius
aveva provato l’improvviso impulso di spaccargli la faccia.
Dopotutto quel bastardo era attualmente la causa di parecchi problemi.
E così era cominciata una fantastica chiacchierata sul Mondo
di Mezzo (che con quei due dentro prendeva la forma di
un’infinita prateria desolata, immersa nel buio della notte e
con un’unica costellazione a illuminarla: Orione), sulle
parti malvagie delle persone, su complotti vari di vampiri con un tizio
megalomane che si faceva chiamare come un dio antico, concludendo poi con un paio di avvertimenti che, seppe poi, John Smith non aveva dato agli altri due.
«Ho quasi finito, solo un paio di cosette» aveva infatti
detto. «Intanto…» si schiarì
la gola e prese a usare un tono molto più serio e quasi
solenne (cosa che fece ridere Sirius, considerando che la voce era
quella di James). «Uno dei Narratori è attivo, ha
un piano che coinvolge le persone a te più vicine. Presto,
Sirius, dovrai combattere e, molto probabilmente, sarai da solo. Ma
fidati, troverai un modo per uscirne al meglio».
Okay. Doveva seriamente ammettere che quelle parole lo avevano
piuttosto turbato. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che
sfottere John, anche perché questo sembrava quasi apprezzare
gli insulti, ma adesso non riusciva a scherzare.
«E, infine, fidati di te stesso. So che hai capito che
c’è qualcosa che non va e so anche che ancora non
riesci a capire cosa. Ci arriverai e, quando succederà, non
perdere la speranza».
Questo, invece, gli aveva fatto sorgere dubbi
sull’orientamento di quel tizio. Forse era completamente
l’opposto di James.
Alla fine, si era congedato come aveva fatto con gli altri due: con un
cazzotto in faccia che Sirius si ripromise di restituire al mittente.
E poi, mentre si risvegliava, se n’era uscito con
quell’altra frase… com’era? Era qualcosa
del tipo: «Ah, sì, quasi dimenticavo: tieni
d’occhio tuo fratello».
Che immane e palese idiozia. “Tenere d’occhio suo
fratello”? Lo faceva sempre! O, almeno, cercava di farlo
sempre, dato che ultimamente gli stava dando parecchio filo da torcere.
Si voltò verso James. Era ovvio che l’avrebbe
tenuto d’occhio.
Il suo istinto si risvegliò un’altra volta,
sussurrandogli che, forse, stava sbagliando qualcosa. Lo
ignorò e tornò a guardarsi intorno.
Erano circa le otto di mattina e, a quell’ora, di solito
c’era la gara per il bagno fra lui e James per
l’enorme ritardo che, secondo Lunastorta, stavano facendo.
Invece adesso Peter e Frank non c’erano (Paciock era con
Alice, probabilmente, ma Coda? Che fine aveva fatto?) e lui, James e
Remus erano seduti immobili sui loro letti. Sirius vide che Remus
osservava con attenzione Ramoso, che era a capo chino.
James era già sveglio quando Sirius si era svegliato, di
soprassalto e con un sonoro sussulto. Anzi, a dirla tutta era
già quasi fuori dal Dormitorio. Era in piedi, infatti, con
la divisa indosso e le scarpe in mano, cercando di uscire dalla stanza
facendo meno rumore possibile. I due si erano guardati negli occhi per
qualche secondo, James sorpreso e spaventato e Sirius sconvolto e
confuso. Poi erano scattati.
James aveva cominciato a correre verso la porta, ora incurante del
rumore, e Sirius si era trasformato di scatto, saltando in forma di
cane nero addosso all’amico e atterrandolo. Poi era tornato
umano.
«Spiacente fratellino, ma oggi non mi scappi» aveva
detto, ghignando. James l’aveva fulminato con lo sguardo, per
quanto gli permettesse l’avere la faccia spiaccicata contro
la moquette rossa del Dormitorio (molto anni ’70).
«E cosa mi costringe a ubbidire?» chiese James,
anche se non aveva evidentemente alcuna intenzione di scappare.
«Perché sono più grande di
te» rispose Sirius. James sbuffò.
«Solo di un anno! Da come ne parli tu sembri essere il
fratello di Silente» replicò.
«No, certo che no! Non ho mai avuto rapporti inopportuni con
le capre, io!» esclamò Sirius. James lo
guardò, esterrefatto. Sirius sospirò: che
fratello ignorante che gli era capitato!
Poi Remus si era svegliato, trovandoli così.
Adesso si guardavano a turno, aspettando che qualcuno parlasse per
primo.
Sirius, intanto, cominciava a sentire uno strano pizzicore alla nuca.
Benché non sapesse di cosa si trattava, lo rendeva nervoso.
«Allora» fece Sirius, nel tentativo di spezzare
quel silenzio imbarazzante. «Incantesimo di Memoria,
eh?».
Remus lo fulminò con lo sguardo.
«È il modo migliore che ho trovato»
borbottò James. Sirius, annuì, fingendo di aver
capito.
«Già, il modo migliore… per fare una
cazzata e giocarti l’ultimo mese con lei»
replicò. James aggrottò le sopracciglia e si
ficcò le unghie nei palmi, con le nocche che diventavano
bianche. Remus si sdraiò sul letto, capendo che ormai il
danno era fatto e tirandosene fuori.
Sirius voleva far incazzare James, voleva far cominciare una rissa e
voleva che suo fratello si liberasse.
James s’incazzò.
«Per proteggerla» ringhiò. Sirius
inarcò le sopracciglia con fare scettico. Remus
trasfigurò una scatola vuota di Cioccorane in una pallina e
cominciò a palleggiare contro il muro.
«Ceeeerto… “proteggerla”!
Quale modo migliore di mettere al sicuro una persona se non facendole
dimenticare che è in pericolo?» replicò
Sirius, sarcastico. Remus si mise a palleggiare più
rumorosamente.
«Mi credi davvero così stupido?» chiese
James, sbalordito. Sirius rimase impassibile e Ramoso
sbuffò. «Ho modificato solo i ricordi
che… che ci riguardavano».
Sirius lo osservò, sorpreso, cercando di capire se dicesse
la verità. In effetti, quell’opzione non era
venuta fuori la sera prima. Be’, era anche vero che
c’era una buona ragione…
«Scusa se m’intrometto» Remus
bloccò la palla e guardò James, parlando con un
po’ di esitazione. «Ma l’ultima volta che
hai fatto un Incantesimo di Memoria così specifico... Non
è andata tanto bene».
«A dir poco!» rincarò Sirius, giusto per
irritare un po’ di più James, che si
limitò a incrociare le braccia. Felpato lo vide aggrottare
le sopracciglia per un istante e rilassarle subito dopo. Che il suo
migliore amico, nonché fratello acquisito nonché
Malandrino (ecc.), stesse impazzendo? Non che fosse così
strano, ma almeno voleva assicurarsene.
«Alla fine non è successo niente di grave. Voglio
dire, Johanna ha recuperato tutta la memoria. Quello che ci ha rimesso
sono io: tre costole rotte e una commozione cerebrale»
replicò James, offeso.
«Già, peccato che lei per due mesi non ricordava
più neanche il suo nome» commentò
Remus, riprendendo a giocare con la pallina.
«Dettagli, Lunastorta, dettagli». Bisogna dire che,
effettivamente, quando James rivelò di aver modificato solo
i ricordi più “privati”
l’atmosfera si alleggerì notevolmente. Una cosa in
meno di cui preoccuparsi: misurare le parole con Lily. Certo,
ovviamente Sirius pensava ancora che fosse stata una pessima idea, ma
rendeva le cose più semplici.
«Quando gliela farai tornare?» chiese Felpato.
«La memoria, intendo».
«Forse… quando tutto sarà
finito» rispose James, con un po’ di esitazione. Lo
vide poi scrollare la testa e fare una smorfia, come se non volesse
ascoltare qualcosa. Okay… forse, pensò Sirius,
stava davvero impazzendo.
«Intendi con la Mason e il suo capo morti insieme agli altri
due tizi oscuri e malevoli venuti da chissà dove e John
sparito per sempre?» chiese Sirius. James annuì.
«Una passeggiata».
Il pizzicore alla nuca s’intensificò, tanto da
spingerlo a guardarsi alle spalle. La parete del muro era immobile.
Forse non era solo James a essere pazzo.
«Credo i due Narratori “oscuri e
malevoli” vengano dal mio Universo»
commentò Remus, facendo roteare in aria la palla con la
bacchetta. «John ha detto che quando una persona viaggia fra
gli Universi, se altri si trovano nella stessa situazione, tendono a
seguirla».
«Quindi dobbiamo aspettarci altre visite
indesiderate?» chiese James. Remus aggrottò le
sopracciglia, pensieroso.
«Dato che Tom Riddle non ha ricominciato ad ammazzare gente a
caso, immagino che possiamo stare tranquilli, in quel senso».
«No, scusatemi!» sbottò Sirius,
interrompendoli. I due lo guardarono, allibiti. «Abbiamo
già passato il discorso su Lily?».
«Se non stessi con Mary, direi che sei innamorato di me,
Black». Lily aveva spalancato la porta della stanza ed era
entrata come se niente fosse, portando un libro-mattone sotto braccio.
Sirius pensò che, probabilmente, a forza di portarsi
appresso certa roba la Evans sarebbe diventata più forte dei
Battitori della loro squadra. Dietro di lei entrò Tonks,
strascicando i piedi per la stanchezza e gettandosi sul letto di Remus.
«E per te sono Evans, ricordalo».
«Come mai ancora qui, Evans? Le lezioni sono cominciate ben
venti minuti fa» fece James, assumendo un sorrisetto
strafottente dal suo repertorio. Era da circa un anno che Sirius non
gliene vedeva usare uno. No, per lui il discorso “sei un
idiota ad averle cancellato la memoria” non era assolutamente
finito. «Voglio dire, Dora è naturale che ogni
tanto salti qualche lezione, è nella sua natura
(«Vaffanculo, Potter, con tutto l’affetto del
mondo»)… anche a te, cara! Ma tu sei una sorpresa
continua!».
«È un modo stupido e complicato per chiedermi cosa
ci faccio qui?» chiese Lily, inarcando un sopracciglio.
Sirius sentiva che una Maledizione Senza Perdono era in arrivo.
«No. È un modo stupido e complicato per dirti che
non m’importa» rispose James, alzandosi e
dirigendosi verso il bagno. Nessuno lo fermò ma Sirius vide
il suo sguardo cambiare subito dopo essere passato accanto alla
ragazza. Black non aveva mai visto tanto dolore negli occhi del ragazzo.
«Oh, be’, allora dopo lo aggiornerete
voi» fece Lily, noncurante, sedendosi a gambe incrociate sul
letto di Peter, allontanando poi un calzino con aria disgustata.
«Quindi… perché siete qui?»
chiese Sirius. Voleva parlare con James il più presto
possibile.
«Perché sono un genio» disse Lily,
mentre Tonks, contemporaneamente, mugugnava un:
«Perché mi ci ha trascinato lei».
«Oh, vergogna Lily! Non si trascina una ragazza ingenua e
indifesa in una camera maschile! La gente potrebbe pensare
male» commentò Remus. Tonks, distesa accanto a
lui, gli mollò un calcio al fianco, facendolo cadere dal
letto. «Spero che questo non sia un presagio per la nostra
futura vita matrimoniale».
«Futura e passata, Rem, futura e passata»
ricordò Tonks, probabilmente la frase più
intelligente che potesse dire con mezzo cervello ancora addormentato. I capelli che aveva in
quel momento, grigio polvere, contribuivano a darle un’aria
stanca.
Adorava sua cugina, sul serio, ma sapeva che la mattina era un
po’ lenta.
«Scusate, possiamo tornare alla mia
genialità?» fece Lily. Remus e Sirius la
guardarono, sospettosi.
«Non è che James si è suicidato mentre
era in bagno e il suo spirito ora vive dentro di te?» chiese
Sirius. Tonks ridacchiò.
«No» rispose, sistemandosi meglio sul letto, senza
notare che Remus si era appostato lì accanto, pronto a un
agguato. «È solo che quando non dorme diventa
isterica ed egocentrica».
«Non sono egocentrica!» protestò lei.
«Però ammetti di essere isterica!».
«Non sono né isterica né
egocentrica!».
«Ovviamente. Continua a ripetertelo e forse –
AH!». Remus le era saltato sopra e aveva cominciato a farle
il solletico. Dopo nemmeno cinque secondi, le parti si erano invertite
e Tonks soffocava Remus con un cuscino.
Sirius sospirò. Non era mai stato la persona più
matura in una stanza ma in quel caso temeva proprio che il ruolo fosse
ricaduto su di lui. Tonks aveva avuto un brutto effetto su Remus.
«Dai, parlami della tua genialità» disse
infine a Lily, che lo guardò, sorpresa.
«Be’, tanto poi dovrei ripeterlo a James, quindi
tanto vale che lo faccia anche con loro due».
Lily annuì, stranita ma con una leggera smorfia di
soddisfazione.
«Allora, tanto per cominciare, sappi che stanotte ho avuto
un’ispirazione improvvisa e ho deciso di
andare…»
«In Biblioteca».
«E tu che ne sai?». Sirius fece un cenno verso il
libro e Lily arrossì leggermente. Forse Tonks non era
l’unica persona lenta la mattina. «Okay, come non
detto. Comunque, sono andata a cercare libri di genealogia
magica…».
«No, frena!» la interruppe Sirius, allibito.
«Tu ti sei alzata nel cuore della notte, per andare in
Biblioteca a cercare libri di genealogia magica?».
«Esatto».
«Sei pazza».
«Grazie, Black. Dicevo: ho cercato fra i libri e ho trovato
questo». Lily aprì il libro a una pagina segnata e
lo sporse verso Sirius. Mostrava un enorme albero genealogico che si
estendeva su entrambe le pagine, ricordando dolorosamente
l’arazzo dei Black. In cima, una ricca e decorata scritta in
oro dichiarava “Nobile Discendenza della Purissima Casata dei
Gaunt” e, subito sotto, “XV secolo”.
Lily indicò il punto in cui il nome di Isabelle Gaunt si
univa a quello di Joshua Mason, per poi scendere sul nome di…
«Oh, bene. Adesso sappiamo che la nostra vampirastra
preferita è una Gaunt» commentò
apaticamente il ragazzo. Lily sorrise, soddisfatta. Intanto Tonks
cercava di uccidere Remus con una specie di orsacchiotto peluche
(Sirius non voleva chiedersi da dove fosse apparso, quel coso).
«Ehm, senza offesa, ma non sono sicuro di riuscirne a
vedere… l’utilità, ecco».
Lily sbuffò.
«Sapere è potere, Black, te l’hanno mai
detto?» fece lei, stizzita.
«Sì, me lo dice sempre Remus quando cerca di farmi
studiare» ribatté Sirius, deciso.
«Inutile dire che non ho mai aperto un libro di scuola in
vita mia».
Lily gli mollò uno scappellotto.
«Ahi! E questo per cos’era?»
protestò il ragazzo, passandosi una mano sulla nuca.
«Perché mi irriti, Black» disse lei con
semplicità. «Tornando a colei che ti ricordo
è il nostro principale nemico: il cognome mi ricordava
qualcosa quindi ho chiesto a Dora e, a quanto pare, la Mason
è imparentata con Tom Riddle!».
«Oh, bene, quindi è probabile che sia potente
almeno quanto colui che è diventato il più
potente Mago Oscuro di tutti i tempi. Fantastico».
«E non è tutto! Da quanto ho scoperto da questo
libro» e così dicendo girò una trentina
di pagine insieme. «La famiglia Gaunt discende direttamente
da, udite udite, Salazar Serpeverde!».
«Oh, bene, potente, Purosangue e pure pazza. Potrebbe andare
meglio?» fece Sirius, ironico, passandosi una mano fra i
capelli. «E adesso torniamo alla domanda di prima: questo
come ci aiuta?».
«Ancora non lo so» ammise Lily, arrossendo
leggermente e chiudendo di scatto il libro. «Ma lo
scoprirò».
«Di’ la verità: ti sentivi depressa e
avevi bisogno di distrarti con qualcosa».
«Fottiti, Black».
E, sul tono di queste eleganti parole provenienti da
un’altrettanto elegante Grifondoro, due gufi entrarono
contemporaneamente dalla finestra. Solo più tardi Sirius si
rese conto che nessuno l’aveva aperta.
I gufi (di una specie che i ragazzi non avevano mai visto: dalle lisce
piume nere come quelle dei corvi e con gli occhi cremisi) fecero un
paio di giri al centro della stanza mentre gli studenti li osservavano,
pietrificati, per poi lasciare due grandi lettere sul grembo di Sirius
e Lily. I gufi volarono via e i due Grifondoro aprirono le buste,
confusi, mentre il pizzicore alla nuca di Sirius
s’intensificava, provocandogli un’orribile
sensazione.
All’interno c’era un semplice biglietto e una
bacchetta, e ciò spiegava le dimensioni della busta.
I due biglietti erano esattamente uguali: rettangoli di pergamena
anonimi.
Sopra c’era scritta una sola parola:
“Presa”.
Lily e Sirius si guardarono, confusi, mentre Remus e Tonks osservavano
i foglietti da sopra le loro spalle. Il lupo mannaro aveva estratto la
bacchetta e cominciato a mormorare alcuni Incantesimi di Analisi****
sul foglio.
Poi osservarono le bacchette. Erano particolari e, per loro, molto
conosciute. Sirius sentì una strana vicinanza a
quell’arma e la esaminò meglio: poco sopra
l’impugnatura, una leggerissima incisione mostrava la lettera
“S”. E allora capì tutto di quella
bacchetta: legno di cedro, cuore di crine d’unicorno, dieci
pollici e tre quarti, rigida. La conosceva a memoria, proprio come la
propria. La bacchetta che aveva poggiato sul comodino e che aveva,
nello stesso esatto punto, l’incisione della lettera
“M”. Si ricordava quanto gli era sembrato stupido,
al momento, accettare la proposta di Mary, ma ora credeva di non aver
mai fatto una decisione migliore.
Poi un suono sordo risuonò per la stanza, un suono che
sembrava provenire dai pezzetti di pergamena.
TOC.
Il messaggio sui biglietti cambiò:
“48:00:00”. Lo guardarono per un secondo, non
capendo, il giusto lasso di tempo per far mutare di nuovo la scritta:
“47:59:59”.
Un conto alla rovescia.
“Prese”.
Due bacchette.
Evelyn spalancò la porta del Dormitorio proprio mentre
Sirius arrivava a capire.
«Mary ed Emmeline sono sparite!».
*Giusto per essere chiari: nessuna voglia di offendere i Corvonero.
Questo è semplicemente lo stereotipo che si è
venuto a creare durante gli anni, come il fatto che noi Tassorosso
siamo solo un gruppo di inutili idioti, che viene ripreso dalla mente
di una delle Grifondoro più… vivaci, diciamo.
Spero abbiate capito cosa intendo.
**Tutto frutto della mia mente malata, tranquilli, non vi siete persi
momenti importanti nella storia dell’umanità.
***Bartemius David Crouch (Barty Crouch Jr.). Sono certo che il
perché del secondo nome sia chiaro alla maggior parte di voi
(non ho resistito).
****Categoria inventata da me. Ne fanno parte tutti gli Incantesimi
che, appunto, analizzano gli oggetti. Un esempio è
l’Incantesimo Aparecium,
che rivela le scritte che sono state nascoste con la magia.
Sala Comune di Tassoverde (ora piena di ragnatele)
Seeeeera...
Okay, potete cominciare con la valanga d'insulti (primo fra tutti: "sera" 'n par de *bip*) . Me li merito tutti. Per il ritardo, per aver pubblicato una nuova storia allungando i tempi per questa (se vi interessa: History is us), per... be', un po' per tutto, decidete voi quali motivi usare.
Ammetto che il capitolo era pronto all'incirca a fine gennaio, tuttavia non mi convinceva per niente e quindi ho deciso di chiedere consiglio a una mia amica (quindi parte della colpa va anche a lei, eh!). Non mi convince ancora, ma almeno è stato "approvato"...
Nel capitolo avete quindi avuto una prima e sommaria spiegazione del viaggio fra gli Universi e l'accenno alla Guerra dei Narratori. Ergo: si entra nella vera trama. E poi ci sono Lily e James, con cui non si è risolto nulla, e Mary ed Emmeline, i cui problemi sono appena iniziati.
Questo, all'inizio, doveva far parte di un unico capitolo chiamato Shadows che in seguito ho deciso di dividere in tre parti: When, Where e Who. Credo che con Who si concluderà la Prima Parte della FanFiction, ma non ne sono sicuro, dovrò vedere.
Poi... che altro? Ah, già, il nome. Personalmente, ho ritenuto che Hufflerin_Tassoverde (e in particolare "_Tassoverde") fosse piuttosto.... Infantile? Be', non è proprio l'aggettivo giusto ma ci si avvicina. Quindi, d'ora in poi, sarò solo hufflerin, puro e semplice.
E... penso sia ora di passare ai ringraziamenti! Ringraziamenti che vanno a coloro che, nonostante i tre mesi (e più) di assenza mi sono rimasti accanto e non hanno tolto la storia dalle preferite, dalle ricordate o dalle seguite. Grazie, grazie davvero!
Credo di aver concluso (o forse ho solo sonno e non sono sicuro di quanto ho scritto). In caso vogliate chiarimenti, non esitate a contattarmi.
Grazie (e scusa) ancora. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
A presto,
hufflerin