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Autore: KillerKing    25/02/2014    4 recensioni
Ravenna, 1944. Di fronte al mausoleo di Dante Alighieri, due uomini sfidano il coprifuoco nazista pur di nascondere qualcosa. Qualcosa che non deve finire nelle mani sbagliate. Ma per quanto tempo le spire del tempo possono tenere celato un segreto?
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ravenna, sabato 24 giugno 2006, ore 02:00 del mattino.
 
Fabiana Torrisi accostò la Smart in un parcheggio a circa trecento metri dalla Basilica di San Francesco e spense il motore. L'acquazzone che per tutto il giorno aveva flagellato la città sembrava non voler diminuire minimamente d'intensità, e la pioggia picchiava sul parabrezza dell'auto quasi con la forza di una grandinata.
- Giulio, credo sia più prudente lasciare l'auto ad una certa distanza dalla tomba. - disse la donna all'uomo che sedeva sul sedile del passeggero alla sua destra – Con questo tempaccio non credo che ci sia nessuno in giro, ma non si sa mai. -
- Mi sembra sensato. - le rispose l'altro sorridendo – La prudenza non è mai troppa! Vuoi aspettare che spiova prima di muoverci? -
Fabiana rispose a sua volta con un sorriso.
- Credo sarebbe inutile, sono quasi ventiquattr'ore che va avanti così. Ci copriamo con l'ombrello e andiamo, la strada non è molta. -
- Sicura? Non vorrei che ti prendessi un malanno proprio alla vigilia di giorni così importanti per te. -
- Sicura. - rispose ancora la donna con una vena di eccitazione nella voce – Anzi, visto che ancora non so come hai fatto a convincermi a fare questa pazzia, diamoci una mossa prima che cambi idea! -
Il sorriso si spense sul viso di Giulio, che si fece improvvisamente serio.
- Fabiana, se vuoi rinunciare siamo ancora in tempo. Forse sarebbe meglio rimettere in moto la macchina e tornarcene a casa tua. - il sorriso riapparve, ma velato da una leggera mestizia – Sono certo che troveremmo modi più che piacevoli per trascorrere il resto della notte. -
- Beh? Proprio ora ci stai ripensando? - replicò lei inasprendo la voce – Per due settimane mi hai dato il tormento fino allo sfinimento per questa cosa ed ora ti fai prendere dalla paura? -
- Ma no! Non ci ho ripensato! - rispose ancora Giulio, sulla difensiva – Ma il rischio maggiore lo corri tu, ci potresti rimettere la carriera... E questo non me lo perdonerei mai... -
Tornando ad addolcire il viso, Fabiana si protese a posare un lieve bacio sulle labbra dell'uomo.
- Stai tranquillo, caro. Se faremo le cose per bene e velocemente non accadrà niente. E anche se ci dovesse vedere qualcuno, io sono pur sempre la responsabile delegata del progetto. Dirò che sono qui per un controllo e che tu sei un mio assistente. E comunque considera che, a conti fatti, non abbiamo cattive intenzioni. Questa è l'unica sera in cui posso esaudire il tuo desiderio e non ci voglio rinunciare. -
- Grazie, Fabiana. Mi concedi un privilegio inestimabile. -
E così dicendo, stavolta fu Giulio ad attrarre a sé la donna ed a scambiare con lei un bacio lungo, avido e appassionato.
- Comunque ora te lo posso dire... - riprese Fabiana quando si staccarono – Questa tuta sportiva che ti sei messo non ti dona. Ti stanno decisamente meglio gli abiti eleganti che indossi di solito. -
- Oh, chiedo scusa, non immaginavo che per fare il predatore di tombe la giacca e la cravatta fossero il dress code più indicato... -
- Ma quale dress code e quali predatori! - rise lei – E comunque sai qual è la cosa che ti sta meglio addosso? -
- No. Quale? -
- Io. -
- Dottoressa Torrisi lei vuol farmi arrossire! -
- Egregio Castellani, lei non è certo il tipo che si turba per queste cose. Andiamo, forza! -
I due scesero dall’auto e si strinsero l’uno all’altra per camminare sotto un solo ombrello. Mentre a passi svelti si avvicinavano alla Basilica, Fabiana non poté fare a meno di chiedere di nuovo a sé stessa con quale coraggio avesse accettato di fare ciò che Giulio le aveva chiesto.
Forse lo aveva fatto perché si era innamorata. E dopo tanto tempo. A trentacinque anni suonati, dopo una gioventù spesa (e forse, in un certo senso, sacrificata) a studiare, a crearsi una posizione professionale sicura, aveva forse trovato un uomo in grado di farle dare finalmente ascolto al cuore, invece che al cervello.
Laureata a pieni voti con una tesi sui poeti italiani dal medioevo al rinascimento (su Dante Alighieri in special modo, il suo preferito dai tempi del liceo), si era fatta strada con le unghie e con i denti attraverso quella giungla irta di insidie che era l’ambiente dell’Alma Mater Studiorum, l’Università di Bologna. E, alla fine, era divenuta prima assistente dell’illustre Professor Altieri, titolare della cattedra di Letteratura Italiana, e candidata numero uno a succedergli nel momento in cui sarebbe andato in pensione. Nel frattempo, i due saggi sull’Alighieri che aveva pubblicato nel 2002 e nel 2005 l’avevano incoronata come una delle “Dantiste” più apprezzate d’Italia, fra le menti della sua generazione.
Ma, naturalmente, tutto questo aveva avuto un prezzo: niente marito, e men che meno figli. La carriera lavorativa non le aveva lasciato spazio per altro. Certo, erano state tutte scelte sue, ma a volte si sentiva come se le mancasse qualcosa. Ben proporzionata, magra e con lunghi capelli mossi di un castano tendente al rosso, magari non avrebbe mai vinto Miss Italia ma era comunque una bella donna, e la sua vasta cultura la rendeva un’interlocutrice brillante, che aveva ammaliato negli anni più di un uomo. Ma ogni storia sentimentale seria che aveva intrecciato era alla fine miseramente naufragata, inghiottita dal gorgo spietato dei suoi impegni.
Poi, del tutto inaspettatamente, Giulio Castellani era apparso nella sua vita.
Si erano conosciuti tre mesi prima, a metà marzo, nell'aula consiliare del Municipio di Ravenna, subito dopo la conferenza stampa indetta dal Comune e dall'Alma Mater per annunciare ai cittadini e alla stampa un progetto di restauro della tomba di Dante. I lavori sarebbero partiti il ventisei giugno ed a lei, nata proprio a Ravenna e grande promotrice dell'iniziativa, era stata affidata la direzione delle operazioni non prettamente “edilizie” del progetto.
Alla vigilia della ristrutturazione, che orientativamente sarebbe durata circa quattro mesi, le due urne contenenti le ossa del poeta sarebbero state tolte dal sarcofago interno alla tomba in cui erano rinchiuse e portate a Roma, dove sarebbero state custodite nei magazzini dei Musei Vaticani per tutta la durata dei lavori.
Nemmeno nel caveau di una banca i resti avrebbero potuto essere più al sicuro, e l'opinione pubblica di Ravenna, da sempre gelosa delle spoglie dell'Alighieri, aveva reagito in modo entusiastico alla notizia.
Era stato durante il piccolo brunch offerto dopo la conferenza stampa che Giulio le si era avvicinato. Dopo essersi presentato, le aveva stretto la mano facendole i complimenti per i suoi due saggi, che aveva letto e trovato eccellenti. Le aveva detto poi di essere un grandissimo appassionato di Dante, che lo riteneva un autore tutt'ora mai eguagliato nel corso dei secoli, e che la notizia del restauro della sua tomba lo aveva riempito di gioia.
Inizialmente, però, lei lo aveva trattato con garbata sufficienza, giudicandolo frettolosamente come uno di quegli pseudo-intellettuali che si sentivano autorizzati a pontificare sul Sommo Poeta solo perché magari si erano letti qualche canto dell'Inferno della Divina Commedia (che anche lei, in ogni caso, giudicava comunque la parte più affascinante dell'opera). Ma a mano a mano che la conversazione procedeva si era dovuta ricredere: il suo cortese ammiratore si era rivelato un profondo conoscitore dell'Opera Omnia del poeta fiorentino. Dal “Convivio” al “De Vulgari Eloquentia”, dalla “Vita Nova” alle “Rime”, il Castellani le si era mostrato come un lettore appassionato ed un critico attento, seppur amatoriale.
Minuto dopo minuto, aveva cominciato a subire il fascino di quell'uomo: di circa quarant'anni decisamente ben portati, era alto, slanciato, vestito in modo elegante (ma con un pizzico di informalità che non lo rendeva snob) e in mezzo ai folti capelli neri portava senza apparente imbarazzo qualche striatura di grigio che dava un tocco di maturità ai suoi lineamenti ancora giovani.
Ad un certo punto, sorridendo interiormente, si era ritrovata a pensare che per l'adattamento cinematografico de “Il Codice Da Vinci”, che sarebbe stato distribuito di lì ad un paio di mesi, Giulio Castellani sarebbe stato assai più credibile di Tom Hanks, nel ruolo del fascinoso professore di Harvard Robert Langdon (anche se, in ambito accademico, non avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura di essere una fan di Dan Brown).
Quella iniziale chiacchierata si era inevitabilmente conclusa con la promessa di un aperitivo insieme il pomeriggio dopo.
E in quel secondo incontro, la scintilla scoccata durante il primo aveva acceso una fiammella che sarebbe presto divampata in un incendio.
Uno spritz dopo l'altro, avevano dapprima ricominciato a parlare di Dante, finendo poi ben presto alle loro vite personali. E così aveva scoperto che lui era sposato, ma incastrato in un matrimonio sterile ed infelice dal quale non poteva però fuggire, dato il suo ruolo di dirigente nell'azienda tessile di proprietà del suocero, a Ferrara.
Nell’apprendere quella notizia, Fabiana aveva pensato che la cosa più intelligente che avrebbe potuto fare sarebbe stata aspettare la conclusione di quell’aperitivo, salutarsi e poi non vedersi più. Andarsi ad invischiare in un rapporto con un uomo dal matrimonio blindato era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Eppure, ad ogni parola, ad ogni sguardo scambiato con lui, aveva sentito qualcosa agitarlesi dentro. Qualcosa che coinvolgeva in egual misura cervello, cuore, stomaco e basso ventre. Soprattutto il basso ventre.
Erano finiti a letto insieme quella stessa sera, a casa di lei.
E così era cominciata la loro relazione. Una relazione scandita da momenti rubati e a volte da lunghi incontri di un giorno o due, quando Giulio fingeva una trasferta lavorativa per venire a stare da lei. Una relazione che traeva la sua forza tanto dall'attrazione fisica e sessuale quanto da un'intesa mentale che Fabiana aveva battezzato come la loro “Affinità Elettiva”.
Giulio le aveva chiesto di rispettare un'unica condizione, e cioè, data la sua particolare situazione, di non parlare di lui ad anima viva, nemmeno ai familiari ed agli amici più intimi. E lei lo aveva accontentato senza nessun problema, soprattutto perché era la cosa migliore non solo per lui, ma anche per lei stessa.
Infatti, in occasione dei lavori di restauro della tomba, per la prima volta nella storia l'antica chiave che apriva le serrature del cenotafio di Dante sarebbe uscita dal convento annesso alla Basilica di San Francesco. Per tradizione quella chiave era sempre stata custodita gelosamente da uno dei francescani del chiostro e, per evitare che qualcuno se ne appropriasse indebitamente, si manteneva il riserbo su quale frate fosse. Ma i tempi in cui le ossa dell'Alighieri erano oggetto di contesa da più parti erano ormai passati, ed i religiosi avevano di buon grado concesso quell'eccezione (e la cospicua donazione del Comune al convento era stata un ottimo incentivo a tale disponibilità).
E la scelta per la persona che, a ridosso dell'inizio dei lavori, avrebbe preso in affidamento la chiave era ricaduta proprio su di lei, che avrebbe rappresentato con la sua persona sia la città che l'Università.
Quindi, essendo implicata anche un’istituzione cattolica, se si fosse venuto a sapere che la responsabile del progetto era coinvolta in una relazione con un uomo sposato, il danno d'immagine sarebbe stato terribile, forse fatale. E all'interno dell'Alma Mater c'era più di un collega invidioso che non aspettava altro che vederla trascinata in uno scandalo.
Era stato proprio quando aveva confidato a Giulio che le avrebbero affidato l’antica chiave, che lui le aveva fatto una richiesta a dir poco pazzesca: penetrare di nascosto nella tomba di Dante prima dell’inizio dei restauri e scoperchiare il sarcofago. Voleva poter vedere con i suoi occhi le vestigia del poeta che aveva ammirato al di sopra di ogni altro, prima che fossero portate a Roma.
In quel momento erano a letto abbracciati, dopo aver fatto l’amore. Ma al suono di quelle parole Fabiana si era alzata di scatto a sedere guardando il suo amante con un’espressione a dir poco basita. Per qualche secondo aveva pensato che Giulio stesse scherzando, ma si era dovuta ricredere presto. Faceva maledettamente sul serio.
Il suo rifiuto era stato subitaneo, netto e categorico. Fare una cosa del genere era assolutamente impensabile. Lui aveva distolto lo sguardo, deluso, e le aveva detto di aver capito.
Negli incontri successivi l’argomento non era stato più toccato, ma nonostante Giulio si sforzasse di essere quello di sempre, Fabiana lo aveva capito che ci era rimasto molto male. Quell’atteggiamento le faceva rabbia perché era sin troppo simile ad un capriccio infantile, ma ben presto era stata lei stessa a metterlo in condizione di tornare alla carica. Gli aveva infatti proposto di presenziare all’apertura ufficiale del sarcofago, insieme alle autorità cittadine. Lui l’aveva ringraziata, ma aveva declinato con garbo l’offerta. Quello che lui avrebbe voluto, parole sue, era un momento di “intimità e contemplazione” con i resti mortali di una delle menti più elevate della storia italiana, non una pomposa cerimonia infarcita di persone che di Dante Alighieri conoscevano poco più che il nome.
Ma, da quel momento, le sue richieste si erano fatte sempre più insistenti. D’improvviso, nei momenti più impensabili, riprendeva il discorso e intuiva, glie lo si leggeva negli occhi, che ogni rifiuto ricevuto diveniva sempre più debole. Come un pugile esperto alle prese con un novellino, l’aveva lavorata con abilità ai fianchi, mettendola all’angolo, facendola uscire, e riportandocela quando voleva. Il tutto farcito da attenzioni, carinerie e da una passione a letto sempre più travolgente.
Giocava con lei come il gatto col topo, lo aveva capito, ma quel mascalzone, chissà come, l’aveva alla fine convinta, solleticando quella parte di lei che subiva il fascino del proibito.
Ed ora erano arrivati davanti alla porta della tomba, stretti sotto quell’unico ombrello che la pioggia battente continuava a martellare.
Come previsto, pensò Fabiana guardandosi intorno, non c’era in giro nessuno. Quindici, venti minuti al massimo e tutto sarebbe finito. Era eccitata da morire anche lei, non poteva nasconderselo.
Continuando a ripetersi che in fondo non stavano facendo nulla di male, la donna aprì la borsetta e prese la chiave che apriva la porta. La schiusero quel tanto che bastava per passare ed entrarono nel mausoleo.
Dopo aver richiuso il battente, sempre dalla borsetta Fabiana prese una torcia elettrica ed illuminò il piccolo ambiente, puntando la luce verso il sarcofago bianco ed il bassorilievo del Dante pensoso che lo sovrastava.
- Ci eri già stato qui? - chiese la donna mentre portava il fascio luminoso verso l'epitaffio in latino del sarcofago.
- Due volte. Ma mai con l'emozione che sto provando adesso. - rispose Giulio, che poi riprese guardando l'antica scritta - "I diritti della monarchia, i cieli e le acque di Flegetonte visitando cantai finché volsero i miei destini mortali. Poiché però la mia anima andò ospite in luoghi migliori, ed ancor più beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sto racchiuso, io, Dante, esule dalla patria terra, cui generò Firenze, madre di poco amore".
- Ottima traduzione, bravo. - si complimentò Fabiana - Mi sono sempre chiesta quale sia stato il più grande rimpianto di Dante, se il non avere Beatrice Portinari per sé o il non essere più potuto tornare a Firenze dopo l'esilio. -
- O magari qualcos'altro... - borbottò il suo compagno a mezza bocca.
- Come hai detto? Non ho capito. -
- Oh, nulla! Non ti preoccupare. -
Fabiana spostò di nuovo il fascio di luce, illuminando in progressione tutte le mura della tomba.
- Un restauro è davvero necessario. Vedi? Ci sono grosse macchie di muffa sul soffitto ed i marmi si stanno opacizzando, anche quelli del sarcofago. -
- Sì, hai ragione. Ma adesso prendi la chiave, dai! -
- Non stai più nella pelle, eh? – lo punzecchiò ammiccando la donna – Beh, in effetti nemmeno io! -
E così dicendo tornò a frugare nella sua borsa, estraendone subito dopo un astuccio simile a quelli utilizzati per conservare le penne stilografiche di valore, ma più grande. Passò quindi la torcia elettrica a Giulio ed aprì la custodia, tirando fuori da essa una grossa chiave di metallo.
- Ci siamo! – annunciò Fabiana mostrando al compagno la chiave – Fammi luce sulle serrature. -
Giulio obbedì illuminando il primo dei sei chiavistelli che sigillavano il sarcofago, Fabiana inserì la chiave, e la chiusura si sbloccò senza il minimo cigolio.
- Le tengono perfettamente funzionanti… – disse all’uomo mentre passava alla seconda – Ma persino io non so da quanto tempo il sarcofago non venga aperto. Decenni, forse secoli. -
Non ricevette risposta ma non ci fece caso, presa da quello che stava facendo, e così, una dopo l’altra, le serrature furono tutte sganciate.
- Giulio, poggia la torcia a terra e dammi una mano a spostare in avanti il coperchio del sarcofago. -
Sempre restando in silenzio, l’uomo si mise su uno dei lati corti del cenotafio ed afferrò la copertura, mentre Fabiana faceva lo stesso dalla parte opposta. Contarono fino a tre e poi spinsero, facendo avanzare il coperchio fino alla metà del sarcofago.
Il buio al suo interno non permetteva di vedere nulla, così la donna raccolse la torcia e la puntò dentro la cassa marmorea.
Nel momento in cui la luce spazzò via le tenebre, Fabiana quasi sentì le gambe mancare.
- Oh mio Dio! Che significa tutto questo?!? -
Giulio si sporse a sua volta a guardare e, quando vide, i suoi occhi si ridussero a due fessure: dentro al sarcofago, giaceva un bauletto di legno rinforzato in ferro.
- Che cos’è quell’affare?!? – strepitò ancora Fabiana, agitata – Dove sono le urne che contengono le ossa di Dante?!? -
- Calmati. – le disse Giulio con un insolito tono freddo – Continua a farmi luce, provo a tirarlo fuori. -
L’uomo allungò le braccia dentro il cenotafio ed afferrò il bauletto prendendolo per due maniglie poste sui lati più piccoli. Non si rivelò eccessivamente pesante, così riuscì senza problemi a sollevarlo e poi poggiarlo sul pavimento, chinandosi vicino ad esso. Fatto questo, da una tasca dei pantaloni della tuta prese una confezione trasparente, chiusa da una cerniera di plastica. L’aprì e ne estrasse un paio di guanti di lattice, simili a quelli indossati solitamente dai medici.
- Cosa ci devi fare con quelli? – gli chiese Fabiana disorientata mentre se li infilava alle mani, ma lui di nuovo non le rispose.
Tastando il bauletto, Giulio trovò subito il fermo che lo teneva chiuso e lo sganciò, andando a sollevare poi il coperchio. Dentro, adagiate contro il rivestimento di velluto rosso che imbottiva l’interno, c’erano due urne di terracotta. Con estrema delicatezza, ne prese una e la poggiò sul pavimento accanto al bauletto.
- Sono queste le urne? -
Fabiana la illuminò con la torcia e annuì, in parte rincuorata.
- Sì… Corrisponde alla descrizione che mi era stata fornita. Scoperchiala, per favore. Dobbiamo controllare che ci siano le ossa. -
Giulio fece quanto richiesto, e la donna guardò dentro l’urna. Dentro, chiaramente visibili con la luce elettrica, c’erano un teschio ed alcune ossa umane riconoscibili come vertebre e costole. Alcune intere, altre spezzate.
Senza che Fabiana lo chiedesse, Giulio prese anche la seconda urna e l’aprì. All’interno trovarono una coppia di femori rotti e le restanti ossa di gambe, piedi, mani e braccia.
- Direi che è tutto a posto. – affermò l’uomo, sempre con dipinta in volto quell’espressione quasi glaciale che Fabiana non gli aveva mai visto.
- Tutto a posto un corno! – rispose lei – Non sapevo nulla di quel bauletto! E questo significa che la tomba, chissà quando, era già stata aperta in segreto da qualcuno! Ora saranno necessari tutta una serie di controlli! Quelle ossa potrebbero essere di chiunque! Bisognerà fare una datazione al Carbonio 14 per vedere se questi resti siano almeno coevi al periodo in cui Dante è morto! -
- Non avverrà nulla di tutto questo. – replicò a sua volta Giulio, mentre apriva la zip della giacca della tuta con la mano destra, e ce la metteva dentro.
Fabiana si paralizzò, improvvisamente terrorizzata: la voce, l’espressione, tutto quello che aveva sempre caratterizzato Giulio ai suoi occhi si era come improvvisamente trasformato. E mentre il dito gelido della paura le percorreva la schiena, fu certa che dalla giacca il suo amante avrebbe estratto un’arma.
Ciò che comparve nella sua mano, invece, fu una busta di carta marroncina, molto simile a quelle per tenere il pane. La parte superiore era arrotolata su sé stessa, ma sul fondo era piuttosto gonfia. Giulio glie la tese mentre si rialzava e lei, meccanicamente, la prese.
- Aprila. – le intimò l’uomo e lei, frastornata come se avesse il cervello avvolto da una fitta coltre di nebbia, obbedì.
Dentro c’erano cinque grosse mazzette di banconote, tenute insieme da un nastro cartaceo.
La confusione nella testa della donna aumentava di secondo in secondo.
- Perché mi stai dando questi soldi? -
- Sono quarantamila euro. – rispose l’altro, asettico – Divisi in tagli da cento e da duecento. Una cifra che ritengo adeguata per il tuo disturbo. Sono soldi “puliti” ed i numeri di serie delle banconote non sono sequenziali. Non ti consiglierei però di depositarli sul tuo conto tutti insieme. Per non destare sospetti, è meglio farlo in più soluzioni. -
La bocca di Fabiana cominciò a tremare, e la sua voce uscì stridula ed incrinata.
- Ma di cosa cazzo stai parlando?!? -
Giulio continuò come se nemmeno l’avesse sentita.
- Le ossa che abbiamo davanti sono quelle originali dell’Alighieri, puoi stare tranquilla. Ecco cosa succederà ora: rimetteremo le urne a posto e tu sigillerai nuovamente il sarcofago. Io mi prenderò questo bauletto, usciremo dal mausoleo e non ci vedremo mai più. Tu lunedì ti presenterai qui come previsto, presiederai all’inaugurazione dei lavori e infine al trasferimento delle ossa a Roma.
Sarà come se tutto quello che abbiamo fatto stanotte non sia mai avvenuto e tu potrai continuare a vivere tranquillamente la tua vita. -
Fabiana non riusciva a credere alle proprie orecchie. Quelle parole suonavano assurde alla sua mente, ma, nonostante questo, cominciò a sentirsi come se un'enorme voragine si stesse aprendo sotto i suoi piedi.
- Giulio, ma sei impazzito? Perché ti stai comportando... -
- Non mi chiamo Giulio Castellani. - la interruppe lui – E, a questo punto, voglio sperare che tu sia abbastanza intelligente da non chiedermi quale sia il mio vero nome. C'è una guerra in corso, Fabiana. Una guerra silenziosa, di cui i libri di storia non parlano, ma che va avanti da secoli in ogni parte del mondo. Una guerra che ha visto cadere centinaia di uomini di entrambe le fazioni che la combattono e il cui esito potrebbe essere influenzato da questo bauletto. -
Finalmente qualcosa si sbloccò nella testa di Fabiana. E l'incredulità iniziò a far posto all'ira e allo sdegno.
- Tu... Tu sapevi che questo bauletto era chiuso nel sarcofago con le urne... E mi hai usata per arrivare a metterci le mani sopra... -
- Esatto. Come avrai capito, io faccio parte di una di quelle due fazioni. Ed ognuna di esse ha una sua rete di spie ed informatori. Il solo problema era rappresentato dall'impossibilità di aprire la tomba con discrezione. Al di fuori del convento di San Francesco nessuno sa quale frate abbia in custodia la chiave, e anche se fossi riuscito a scoprirlo, nessuno mi assicurava che sarei riuscito a corromperlo. Forse mi sarei ritrovato a dover usare la forza.
Poi, sei mesi fa, sono venuto a sapere che la tomba sarebbe stata restaurata.-
- Ed hai colto al volo l’occasione quando ti ho detto che la chiave sarebbe passata a me... -
- No. Abbiamo uomini sia al comune di Ravenna che all'Alma Mater. Quando mi sono avvicinato a te la prima volta, ero già al corrente del fatto che ti sarebbe stata affidata la chiave. In pratica lo sapevo ancora prima che lo sapessi tu. Me ne hai parlato di tua sponte, ma se non lo avessi fatto avrei trovato io il modo per toccare l’argomento. Ora fai ciò che è meglio per te, accetta quel denaro e mettiamo fine a tutto. Ti ho già raccontato sin troppo. -
La rabbia di Fabiana esplose all'improvviso, come un vulcano rimasto troppo a lungo sopito. Mentre lacrime bollenti di collera scendevano a rigarle le guance, si scagliò contro l'uomo per il quale aveva creduto di contare qualcosa fino ad un minuto prima, tentando di tempestargli il petto ed il viso di pugni e schiaffi.
- Bastardo! Miserabile figlio di Puttana! Mi hai ingannata! Ti sei preso gioco di me! -
L'altro incassò stoicamente i primi colpi per farla sfogare, ma poi fu lesto a bloccarle le braccia afferrandole i polsi con le mani.
- Tutto questo non serve a niente, Fabiana, né a cambiare le cose. Non voglio essere costretto a farti del male, quindi fai quello che ti dico! -
- Non osare più pronunciare il mio nome, maledetto! - gli gridò lei in risposta – Io chiamo la polizia! -
- No! - ringhiò lui stringendo la presa – Non lo farai! -
Da quel momento tutto accadde con una velocità che nessuno dei due avrebbe potuto controllare.
Fabiana alzò di colpo una gamba e gli assestò una ginocchiata ai genitali. L'uomo, emettendo un gemito soffocato, la lasciò andare e si accasciò sul pavimento tenendosi con le mani la parte offesa. A quel punto la donna non perse nemmeno un istante: lasciò cadere la busta coi soldi e si lanciò verso la porta del mausoleo, spalancandola e uscendo fuori di corsa.
Non appena ebbe guadagnato l'esterno la pioggia la investì con la stessa veemenza di quando erano arrivati, anche se lei quasi non se ne accorse. Ma l'acciottolato era viscido a causa dell'acqua e la fece scivolare.
Cadde picchiando il mento a terra e la botta le fece esplodere davanti agli occhi una miriade di puntini colorati, grandi come punte di spillo ma altrettanto penetranti e dolorosi. Trovò comunque la forza di rialzarsi e, ancora mezza intontita, cominciò a frugare nella borsa per prendere il cellulare.
Lo trovò e lo tirò fuori, ma prima che riuscisse a comporre il 113 se lo sentì strappare di mano. L'uomo che aveva conosciuto come Giulio Castellani si era ripreso e quei pochi secondi in cui era stata riversa al suolo gli erano stati sufficienti per raggiungerla.
Il telefono finì per terra e la colluttazione fra i due riprese. Disperata, sentendo che il suo aggressore era troppo più forte di lei, Fabiana cominciò a chiamare aiuto gridando con quanto fiato aveva in corpo. Riuscì a farlo solo due volte, prima che l'uomo le spingesse con violenza la mano aperta contro il centro del seno.
Uno scatto metallico, un piccolo rumore sordo, e la donna smise di urlare.
Con gli occhi sbarrati, fissò per un momento lo sguardo in quello dell'uomo di cui si era innamorata, mentre la sua bocca si apriva e si chiudeva ma senza più emettere nessun suono.
Poi le gambe le cedettero e si accasciò inerte.
Mentre la lama celata rientrava nella manica della tuta, lui l'accompagnò dolcemente verso il basso e, tenendola fra le braccia, cominciò ad accarezzarle lievemente il viso.
- Non sarebbe dovuta andare così... - le disse con una voce che forse si stava impastando di pianto – Non avrei voluto che finisse in questo modo... Perché non hai voluto darmi retta? Nonostante tutto avevo cominciato a tenerci a te... Mi dispiace... Mi dispiace, Fabiana... -
Ma lei non diede nessun segno di averlo sentito o compreso. Continuò ad ansimare mentre il petto le sussultava prima velocemente, poi sempre più lentamente.
Fino al momento in cui, in pochi attimi, si arrestò del tutto e rimase immobile.
Con un'ultima carezza sul volto, l'uomo le chiuse gli occhi e prese in braccio il suo corpo. Mentre il suo cervello vagliava freneticamente le varie ipotesi sul come comportarsi dato il risvolto inaspettato degli eventi, a passo svelto rientrò nel mausoleo. Quando fu dentro ed il suo sguardo si posò sul sarcofago ancora aperto, seppe cosa fare.
Il più delicatamente possibile, adagiò il cadavere di Fabiana nel cenotafio, piegandole le gambe di modo che assumesse una posizione simile a quella fetale. Poi le mise le due urne con le ossa in grembo e, recuperata l'antica chiave, rispinse a posto il coperchio e lo sigillò nuovamente, chiudendo le sei serrature una dopo l'altra.
Riprese la busta coi soldi rimettendola sotto la giacca insieme alla chiave, raccolse la borsa, nella quale mise la torcia elettrica, e recuperò contemporaneamente le chiavi della Smart.
Si fermò un momento, ed interiormente chiese ancora perdono a Fabiana. Era stato sincero quando le aveva detto che avrebbe voluto un epilogo diverso. Ma la posta in gioco era davvero troppo alta per lui. Più importante anche di una vita umana.
Si volse ed uscì fuori con la borsa a tracolla ed il bauletto vuoto sotto il braccio, chiuse a chiave la porta del mausoleo ed andò a raccogliere il telefono cellulare che era ancora a terra. Sull'acciottolato non c'erano tracce di sangue. Se c'erano state, la pioggia le aveva già lavate via.
Spento il telefonino e tolta la batteria, tornò di corsa all'automobile, mise il bauletto e la borsa nel piccolo bagagliaio e partì. Le strade erano deserte ma la pioggia continuava imperterrita a venire giù a secchiate, quindi impiegò comunque una ventina di minuti per arrivare a casa di Fabiana, che dalla Basilica distava poco più di cinque chilometri. Parcheggiò sotto al palazzo dov'era l'appartamento e trasferì il bauletto nel bagagliaio della macchina che aveva preso a noleggio con documenti falsi, quindi salì in casa.
Una nuova stretta al cuore lo prese quando posò gli occhi sul letto che avevano condiviso tante volte, ma fu solo un attimo fugace di rimpianto. Posò la borsa e le chiavi della Smart dove lei era solita lasciarle e tornò alla sua auto. Mise in moto e diede gas.
Mentre guidava su strade che stavano cominciando a sembrare fiumi, fece il punto della situazione. Uccidere Fabiana era stato un imprevisto, ma dalla sua aveva il fattore tempo: il sabato stava appena iniziando, ed aveva di fronte anche la domenica. Lunedì sarebbe scoppiato un discreto putiferio quando la Dottoressa Torrisi non si sarebbe presentata alla cerimonia, e l’avrebbero sicuramente cercata sia al telefono che a casa. Ma si sarebbe arrivati almeno a martedì sera prima che fosse data per scomparsa. E se le autorità avessero preteso di iniziare i lavori comunque, pur non avendo la chiave per aprire il sarcofago, sarebbero passati almeno altri due giorni prima di ottenere le autorizzazioni necessarie per procedere ad un’apertura forzata delle serrature. Senza contare il caos che sarebbe scoppiato una volta trovato il corpo di Fabiana. Quindi aveva almeno sei o sette giorni per fare quello che doveva e poi sparire. Praticamente il triplo del tempo di cui aveva bisogno. E data la proverbiale macchinosità della burocrazia italiana, sette giorni era addirittura una previsione pessimistica.
Nel giro di mezz'ora, quando ormai si erano fatte quasi le quattro del mattino, era nella camera del motel vicino all'autostrada dove aveva preso alloggio. Un posto squallido e non proprio pulitissimo, ma che aveva il vantaggio di essere gestito da un tizio più interessato al profitto che a fare domande.
Ancora con i guanti di lattice addosso, cominciò ad esaminare il bauletto. Sembrava in tutto e per tutto un normale contenitore di legno rinforzato in ferro, utile per metterci dentro quasi qualsiasi genere di oggetto. Lo aprì, già sapendo dove andare a guardare. E lo vide subito, nella parte cava del coperchio. Un piccolo simbolo intagliato. Un simbolo inconfondibile. Quello della confraternita degli Assassini.
Esultando mentalmente, riprese la sua ispezione con rinnovato slancio: i suoi sforzi stavano per dare i loro frutti, e quello era, senza più alcun dubbio, il bauletto che, prima di morire, Marcello Sarti aveva affidato a frate Antonino Galvati nel 1944.
Passò ad esaminare l'interno imbottito e foderato di velluto rosso, poi guardò di nuovo l'esterno e quasi subito si accorse che, data l'altezza del bauletto, la parte dentro avrebbe dovuto essere più profonda di quanto appariva. A quel punto capì di aver trovato la soluzione, e sorrise. Prese un coltellino svizzero dalla tasca dei pantaloni ed affondò la punta lungo tutto il perimetro del fondo. Quando ebbe finito, fece leva con la lama e spinse verso l'alto. La base si alzò subito, rivelando un doppiofondo ed il tesoro che celava. Il Sarti doveva essere stato proprio disperato, pensò, se non era riuscito a trovare un espediente migliore per proteggere ciò che per più di sessant'anni era stato dato per perduto: due fogli di pergamena rinchiusi fra lastrine di vetro per assicurarne la conservazione, due fogli di pergamena risalenti al quattordicesimo secolo, vergati da cima a fondo da una scrittura fitta e ordinata.
Due fogli di pergamena scritti di suo pugno dall’Assassino Dante Alighieri.
 
 
Nota dell'Autore: Salve a tutti amiche ed amici, ben ritrovati, e grazie un milione per aver letto la seconda parte di quest'umile storiella. Confesso subito le mie colpe ammettendo di essere un gran bugiardo. Nello scorso capitolo avevo dichiarato che la seconda parte avrebbe concluso la storia, invece sono arrivato a scriverne anche una terza. E' praticamente finita, devo solo limarla qua e là. La pubblicherò quindi in tempi brevi, direi una settimana.
Qui non ho particolari segnalazioni da fare, se non che la tomba di Dante è stata davvero sottoposta a restauri fra il 2006 e il 2007.
Vi saluto e vi ringrazio ancora, sperando di avervi lasciato col fiato sospeso. Chi ha rimesso il bauletto nel sarcofago? Chi è veramente Giulio Castellani? Come faceva a sapere che il bauletto non era più nella buca sotto la siepe? E cosa c'è scritto sui fogli di pergamena?
Domande a cui la terza parte darà risposta.
Fino ad allora, buona vita a tutti quanti! ^____^

 
 
 
  
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