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Autore: laura_souffle_girl    26/02/2014    2 recensioni
[Whateley Academy]
Emily ha sempre voluto essere una ragazza, eppure è nata nel corpo di un maschio.
Ma quando sei una mutante con il potere di progettare macchine incredibili, nessuna sfida è impossibile! Eccetto, forse, affrontare un padre maschilista e transfobico. Per fortuna, l'anno scolastico sta per cominciare e a Whateley tantissime persone sono andate incontro a cambi di sesso...
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie '[Whateley academy] We could be heroes'
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Buon compleanno, Emily!

Una fanfiction sulla Whateley Academy
di Laura Souffle Girl

13 agosto 2011, Boston, USA. Da qualche parte in una officina.


"La cena è pronta!"

La frase rimbombò dall'interfono nella grande officina. Una figura smilza alzò gli occhi dal mucchio di circuiti che giaceva sul banco di lavoro davanti a lei rivelando il viso di un ragazzino dagli occhi castani e intelligenti.

Il ragazzo si alzò in piedi, si sgranchì e gettò dietro alle spalle i lunghi capelli castani legati in una coda.

Che peccato doversi fermare proprio adesso, pensò. Mancava davvero poco a completare la sua creazione.

Si lavò le mani e imboccò una porta, ritrovandosi in un corridoio col pavimento a parquet, poi proseguì oltre le scale alla sua destra ed oltre una fila di vecchie foto.

Il nonno in uniforme, in Vietnam. Papà a pesca col nonno. Papà e la mamma, a pesca col nonno. Papà, mamma, lei e sua sorella ad un picnic.

Lei. Già, perchè nonostante ogni evidenza, dall'accenno di barba al petto piatto, fino alla cosa che occupava lo spazio tra le sue gambe, indicasse la sua appartenenza al sesso maschile, Emily Charlene Stanford era una lei. O almeno, questo aveva saputo di essere per tutta la vita.

Era il suo uovo ad aver capito male, decidendo che avrebbe dovuto portarsi accettare un cromosoma Y al posto di un molto più appropriato X, condannandola a portare il nome di Edgar Charles.

Entrò nella sala da pranzo per trovare suo padre e le sue due sorelle già seduti al tavolo.

"Scusate il ritardo. Sapete come sono quando il lavoro mi prende."

Jane, sua sorella maggiore, scambiò uno sguardo d'intesa prima con lei e poi col padre.

"Si, ne sappiamo qualcosa. Capita anche a noi quando stiamo lavorando a qualcosa di grosso."

"Vero" disse suo padre. "Mi ricordo una volta, avrò avuto trent'anni. Avevo ricevuto questa grossa commessa dall'esercito. Sistemi di puntamento automatici per i carri armati, e all'epoca i computer giravano in DOS. Ho sputato sangue per tre mesi sul banco di lavoro..."

La sua sorellina Mary guardò tutti e tre con un'aria annoiata.

"Voi grandi parlate solo di macchine." affermò. "Io invece diventerò una biologa!"

"Chissà, piccola. Se manifesterai i tuoi poteri potresti davvero diventare un bio-devisor." disse Emily, accarezzandole i capelli.

"Non dare strane idee a tua sorella, Ed. Non voglio che si metta a giocare con i batteri. Sono... sporchi." commentò suo padre.

Come si poteva immaginare, la loro non era proprio una famiglia qualunque.

Tutto era cominciato con loro nonno paterno, Richard Stenford, il primo della famiglia ad aver manifestato poteri di mutante. Durante la guerra in Vietnam si era fatto una certa reputazione per la sua impressionante capacità di modificare e riparare veicoli ed elicotteri rapidamente ed efficientemente sul campo.

Al ritorno, l'esercito decise che era una risorsa troppo utile per essere sprecata e lo mise a lavorare su nuovi progetti di armamenti.

A breve, era così ricco da poter avviare la sua personale compagnia, che sotto la sapiente guida del padre di Emily, Edgar Stenford Senior, era fiorita fino a fatturare milioni di dollari.

Ma una piccola fortuna ed un'azienda ben avviata non furono l'unica eredità del nonno. Ogni suo discendente, infatti, si era dimostrato essere un mutante ed aveva manifestato poteri di devisor, gadgeteer o entrambe le cose. La ripetizione nella famiglia era talmente precisa da aver attirato persino l'attenzione di eminenti accademici che si erano preoccupati di sviscerarne la genetica nei minimi dettagli.

Emily si sedette e tutti iniziarono a servirsi dell'ottimo pollo arrosto cucinato da Tracy, l'anziana domestica che si occupava della casa da quando la madre di Emily, Grace, era mancata in un tragico incidente d'auto anni prima.

Passò un certo tempo prima che il silenzio si rompesse nuovamente.

"Oggi ho presentato la tua iscrizione alla Whateley" disse suo padre. "Vedrai che ti troverai benissimo, hanno delle officine fornite quasi quanto le nostre."

Emily sorrise. "Sicuramente! Non vedo l'ora di iniziare." rispose.

Era vero, soprattutto perchè come sua sorella Jane le aveva raccontato, Whateley, una esclusiva scuola privata per mutanti nel New Hampshire, era piena di studenti trans. Si trattava soprattutto di Exemplars che, manifestando i loro poteri, si erano improvvisamente ritrovati in un corpo completamente diverso. A pensarci, Emily si sentiva triste per loro. Sapeva fin troppo bene cosa significasse trovarsi intrappolata in una forma che non ti rappresenta.

Jane, a 18 anni, frequentava la Whateley da ormai tre anni. Come lei, era una devisor, ma univa ad essi un tratto da gadgeteer. La differenza poteva non sembrare chiara a un profano, dato che entrambi i tratti rendevano un mutante un ingegnere eccezionale, ma era in realtà abissale ed era ben riassunta nel vecchio detto: "Un gadgeteer può andare all'ufficio brevetti, un devisor può andare ovunque tranne all'ufficio brevetti!".

Mentre il potere di un devisor era di ottenere da una macchina un effetto teoricamente impossibile, un gadgeteer possedeva la soprannaturale capacità di capire come progettare un oggetto con una specifica funzione.

Se il gadgeteer era uno scienziato, il devisor era un artista che, ispirato, creava qualcosa che solo lui sapeva far funzionare.

Jane era abbastanza fortunata da non solo possedere entrambe le capacità, ma saper distinguere quali delle sue creazioni erano devise e quali gadget.

In particolare, da quando andava a Whateley si era specializzata nell'informatica. Non c'era persona migliore per progettare un programma, e per migliorare le sue capacità faceva da consulente informatico non solo per il padre ma anche per il governo, craccando ripetutamente le loro reti più sicure per poi correggere i difetti nella sicurezza.

A Whateley apparentemente andava di moda avere un qualche tipo di nome in codice, in stile supereroe, e Jane aveva scelto Byte. Molto appropriato. Una volta le aveva raccontato di aver imparato molto di quel che sapeva sui computer da una ragazza più grande che frequentava a suola, una certa Paige. A quanto pareva, era un genio dei computer ma la cosa doveva rimanere segreta.

"A proposito, Ed" disse suo padre. "Domani per il tuo compleanno faremo una festa per cena. Tracy mi ha detto di passare a dirle che torta vorresti che ti preparasse. Quindici anni... mi sembra che tu sia nato ieri!"

"Me ne ricorderò. A proposito, avrei bisogno di altro platino per lavorare al mio esoscheletro da combattimento. I contatti di rame rallentano troppo la velocità di reazione."

Il padre guardò Emily con soddisfazione.

"Sei proprio il figlio di tuo padre! Te ne farò avere dell'altro."

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Jane bussò nervosamente alla porta. "Entra pure" rispose Emily.

La ragazza aprì la porta entrando nella stanza.

Il luogo era in disordine perlomeno quanto la mente della proprietaria. Pile di vestiti erano gettati sul pavimento accanto ad una libreria piena di manga e di libri. Poster di vari anime mecha adornavano le pareti, e una locandina di Iron Man autografata da Robert Downey Jr. era incorniciata sopra una scrivania.

"Il migliore, e più carino, devisor del mondo" l'aveva definito una volta Emily.

Jane trovò la suddetta proprietaria sdraiata a letto, intenta a guardare il soffitto.

"Sei sicura di volerlo fare?" mormorò, passando a utilizzare il femminile.

"Lo sai come mi sento. Non posso continuare a vivere in questo corpo. Ogni volta che mi guardo allo specchio è una tortura. Ogni volta che ti guardo, è una tortura." rispose Emily.

Jane annuì, e si sedette vicino alla sorella iniziando ad accarezzarle teneramente la fronte.

"Lo sai, l'ho sempre pensato che tu non fossi come gli altri bambini. C'era qualcosa in te... un peso. Come se dovessi portare un fardello enorme di continuo. E quando mi hai parlato... mi hai detto di te... ho capito cos'era."

Emily annuì, ma non mosse lo sguardo.

"Ho paura, Jane. Cosa dirà papà? Lui è così... inquadrato. Sarebbe già indignato se sapesse che mi piacciono gli uomini. Ma scoprire che voglio essere una donna..."

"Se ne farà una ragione. Non può fare nulla per cambiare quello che sei. Non puoi smettere di essere una ragazza più di quanto tu possa smettere di essere un mutante..."

"E se trovasse il modo di farmi tornare indietro?" chiese preoccupata

"Non ci conterei troppo. I suoi progetti sono ottimi per far esplodere le cose, non ha mai lavorato per modificarle."

Emily si alzò a sedere con le lacrime agli occhi, poi abbracciò la sorella stretta stretta.

"Ora dormi" mormorò Jane. "Domani è un giorno speciale."

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Emily inserì il chip di platino nel suo slot, finendo di assemblare i pezzi del suo capolavoro. La cosa che le stava di fronte sembrava una semplice tuta a pezzo unico, in un materiale nero ed elastico. I numerosi cavi e circuiti che la ricoprivano, collegandosi a batterie e sistemi di controllo sulla cintura, la facevano somigliare ad un costume di scena di un film di fantascienza di serie B.

Tuttavia, il suo aspetto nascondeva mesi di lavoro meticoloso, ore di sonno sacrificate ad un bene maggiore per nascondere il suo progetto al padre, e una base teorica che avrebbe fatto girare la testa a chiunque. Ma d'altronde, era un devise: la teoria alla base del suo funzionamento era chiara solo alla sua creatrice.

Era quasi un anno che lavorava al suo progetto segreto, di nascosto da tutti tranne che da Jane, utilizzando come copertura il suo progetto di un esoscheletro da battaglia o, come preferiva chiamarlo, Piattaforma da Combattimento Mobile, "MCP".

Oh certo, costruire un robottone armato fino ai denti le dava un certo piacere. Ma quel progetto poteva aspettare.

Diede un'occhiata all'orologio a parete: 6.40 PM. Tempo di andare in scena.

Salì in camera, bussando alla porta di Jane nel processo, poi si spogliò osservando disgustata l'immagine che lo specchio le restituiva. Se tutto andava come previsto non avrebbe più visto quell'orrore e, pensò con un brivido, nemmeno se le cose fossero andate storte. Non importava. Meglio morire nel tentativo, che vivere da uomo.

Sua sorella entrò proprio mentre finiva di indossare la tuta, poi la abbracciò forte.

"Sei pronta?" chiese

Emily controllò tutti gli strumenti. "Al massimo delle mie possibilità"

"Vuoi davvero farlo così? Non sarà un po'... vistoso?" chiese Jane.

Emily si infilò i pantaloni larghi e una felpa col cappuccio sopra la tuta.

"Fare le cose con stile! Questo mi ha insegnato Tony." disse con un sorriso. "Non ve lo insegnano, nella vostra scuola da supereroi?"

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E' il momento, pensò Emily a fine cena.

Tutti avevano appena finito di darle vari pacchetti regalo, e Tracy depositò un cheesecake alle fragole con una candelina accesa davanti al suo viso.

"Forza, esprimi un desiderio!" disse Mary.

La mano di Emily si spostò al comando di accensione, alla cintura.

"Io desidero... essere una ragazza!" esclamò

soffiò sulla candela e premette il pulsante.

La scena fu confusa. Emily gridò di dolore mentre la strumentazione della tuta aggrediva le sue carni come un animale affamato. Poteva sentire odore di bruciato mentre i circuiti sovraccarichi della sua creazione fondevano.

Poi, come era iniziato, tutto finì, ed Emily si trovò in piedi nella sola tuta, i vestiti laceri, con tutti i presenti che la guardavano a bocca aperta.

"Ha funzionato?" chiese. La sua voce da contralto le diede immediatamente la risposta.

Restarono così, a fissarla, per qualche minuto. Suo padre era visibilmente confuso. Tracy era spaventata. Jane, nonostante conoscesse il piano, era stupita.

"Eddy ha le tettine come Jane!" constatò Mary dall'alto dei suoi sette anni.

Edgar Charles Stanford Senior reagì con un po' più di veemenza.

"Cosa significa questo... questo... è uno scherzo?" gridò

Emily lo guardò dritto negli occhi, con tutto l'orgoglio che proveniva dal sapere che la sua invenzione aveva funzionato.

"Sono una ragazza, papà. Lo sono sempre stata. Ho solo corretto uno sbaglio della natura."

"Cosa diavolo ti viene in mente?" rispose lui sbattendo le mani sul tavolo. "Non ho cresciuto un frocetto del cavolo!"

"No," replicò Emily. "hai cresciuto una transessuale. Diamo il loro nome alle cose."

Edgar scattò in piedi e si avvicinò ad ampi passi ad Emily, sollevando la mano con un chiaro intento.

Tranquillamente, Jane si alzò in piedi e si frappose tra il padre e la sorella.

L'uomo si fermò, la rabbia di nuovo sotto controllo. "Sei anche tu dalla sua parte?" Il suo sguardo era glaciale.

"Non mi aspettavo che approvassi certe cose. Mi deludi. Credevo fossi una ragazza con del senno."

"So di mia sorella da anni, papà. Lei non è un ragazzo." rispose la ragazza.

Ci fu un attimo di tensione, poi Edgar scrollò le spalle.

"Bah. Follia!" disse. "Edgar, in camera tua. Subito. Ti dirò io quando potrai uscire. Jane, anche tu. E domani, Ed, andiamo dritti dal medico a capire che cosa sta succedendo. Ci manca solo che tu abbia la Diedrick."

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Nonostante la punizione, quella fu per Emily la più bella sera della sua vita.

Chiusa in camera sua, si spogliò dei resti della tuta con negli occhi la luce di chi apre un pacco regalo. Buon compleanno, Emily, pensò.

Si aggiustò i capelli scompigliati dietro la schiena e si diede una buona occhiata allo specchio.

La ragazza aveva gli stessi occhi castani di prima, solo che brillavano di qualcosa che mancava da molto tempo.

I capelli lunghi incorniciavano un volto che, pur familiare, era diventato delicato e grazioso. Dove un tempo il suo petto era stato piatto, con un accenno di peli, adesso crescevano due piccoli ma evidenti seni. E proseguendo verso il basso, il suo profilo si stringeva alla vita per poi allargarsi nuovamente alle anche. Le sue gambe erano la parte che era cambiata di meno, ma si armonizzavano alla perfezione col resto del suo corpo.

E poi, ovviamente, c'era la parte più importante. La peluria sparsa che, tra le sue gambe, nascondeva l'ingresso del suo nuovo sesso.

Restò a guardarsi nello specchio,  affascinata, molto a lungo. Spese del tempo ad accarezzare ogni centimetro del suo nuovo corpo. Ed ogni volta che con le mani sfiorava i suoi seni, le sue natiche, il suo addome, aveva la sensazione di trovare un'amica che aveva conosciuto per molto, molto tempo.

Con le lacrime agli occhi per la gioia, scavò in fondo all'armadio per tirare fuori una camicia da notte azzurra che le aveva regalato Jane. Era grande per le sue nuove spalle, ma non importava. Era una donna sul serio, adesso.

Quella sera, prima di dormire, ringraziò Dio di avercela fatta. Poi si addormentò con l'espressione di una bambina.

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Non aveva la Diedrick. Considerando che la Sindrome di Diedrick determinava deliri, paranoia, megalomania, perdita di controllo dei propri poteri ed esplosioni d'ira pericolose per sè e gli altri, Edgard Stenford Sr. avrebbe dovuto sentirsi molto più sollevato di quel che dimostrò quando il medico, serio, confermò invece la presenza di una disforia di genere. Condizione comunemente nota come transessualismo.

O, come la definì Edgar, "essere una femminuccia rottinculo".

Durante il viaggio di ritorno, suo padre non aprì bocca. Le poche volte che la guardò, i suoi occhi erano pieni di disprezzo.

Emily fece del suo meglio per controllarsi e mostrarsi forte, ma appena entrata in camera sua gli occhi le si riempirono di lacrime.

Perchè suo padre doveva farle questo? Aveva già due figlie, perchè non poteva averne una terza? Cosa avevano loro, che a lei mancava?

Qualcuno bussò alla porta. Era Jane.

"Ciao Emily. Come stai?" chiese. Portava al braccio un sacchetto, e in mano un piatto con sopra una fetta della sua torta di compleanno, che non aveva potuto mangiare.

"Insomma." rispose lei.

"Ti ho portato la torta. Con tutto quel che è successo non ho potuto farti gli auguri come si deve. E poi ho alcune cose per te..."

Posò la torta sulla scrivania e il sacchetto per terra, poi ne estrasse qualcosa.

Gli occhi di Emily si riempirono di stupore.

"Tieni, provalo." disse Jane, porgendo alla sorella un vestito di seta bianca.

"E' il tuo vestito... quello della tua festa di compleanno!"

"Esattamente. Lo so che ti piace un sacco. Mettilo, dai. Siamo più o meno della stessa misura adesso. Ah, ti ho portato un po' di altri vestiti."

Jane estrasse dal sacchetto molti dei suoi indumenti, cose che non metteva più, insieme a dell'intimo da donna.

"Ma... Papà?" chiese Emily preoccupata

"E' a lavorare in officina. Se saltasse in aria la casa, non lo noterebbe."

Emily si tolse i vestiti da uomo che aveva addosso, indossando mutandine e reggiseno bianchi. Non era la prima volta che metteva intimo da donna, ma questa volta notò con felicità che tutto scivolava sulle sue curve senza forzature. Solo, si accorse con una punta di fastidio di non riempire del tutto il reggiseno.

Poi mise addosso il vestito, assaporando la sensazione della seta che scorreva sulla sua pelle morbida.

"Come sto?" chiese alla sorella, facendo una piroetta.

Jane la guardava con l'orgoglio che solo una sorella maggiore poteva mostrare.

"Sei splendida. E sei raggiante." le disse. "Sai, non credo che quel vestito mi sia mai stato così bene!"

Continuarono così per un'eternità, provando i vestiti, ridendo e abbracciandosi. Come due sorelle.

"Auguri sorellina" disse alla fine Jane. "Ora è il momento dei regali!"

"Cosa? Ma pensavo che..."

"Quelli sono cose che non metto più, quindi non contano. A parte il vestito. Quello lo rivoglio indietro! Anche se te lo potrei prestare..." continuò lei ridacchiando.

Poi estrasse un pacco regalo dal sacchetto. Era una sfera del diametro di sette o otto centimetri di diametro, incartata come se fosse un'enorme caramella.

Emily lo aprì rivelando una sfera di metallo cromato. La riconobbe all'istante.

"HAL!" esclamò. "Non mi dire che l'hai fatto funzionare!"

HAL era un piccolo robot da compagnia che aveva costruito nei mesi scorsi, per passare il tempo quando aveva bisogno di staccare dai progetti più importanti. Sfortunatamente, programmarlo si era dimostrato oltre le sue capacità.

"Per Byte, programmare un robottino è uno scherzo" rispose Jane, gonfiando il petto, grottescamente seria.

Presse un bottone sulla sfera che immediatamente si animò. Estese un gran numero di appendici da degli sportelli che si aprirono sulla sua superficie, e le usò per scansionare l'ambiente circostante.

"HAL questa è la tua padrona Emily" comandò Jane. "Comportati con lei come faresti con la programmatrice alfa Jane."

Il robot puntò tutte le appendici verso Emily, si fermò mentre una serie di luci lampeggiavano sui sensori. Poi ritrasse tutte le appendici e, con un ronzio acuto, rotolò ai suoi piedi.

"Credo che voglia che tu lo accarezzi" disse Jane.

Emily scoppiò in una risata cristallina, mentre accarezzava HAL come fosse un gatto.

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Il periodo che seguì fu per Emily un turbine di emozioni.


Era, certamente, molto felice di avere finalmente un corpo adatto alla sua mente. Tuttavia suo padre le aveva imposto di non uscire dalla propria camera se non per mangiare e andare in bagno, le aveva tagliato l’accesso a internet e sequestrato il cellulare ed anche HAL. In pratica i suoi contatti con l’esterno erano stati ridotti alle ramanzine del padre e alle visite che Jane le faceva di nascosto.

Un giorno, Jane portò con se anche Mary. La bambina entrò nella stanza guardando Emily con gli occhi spalancati, poi si avvicinò timidamente e si fermò accanto alla sorella seduta al computer. La scrutò con meraviglia.

“Jane dice che adesso devo chiamarti Emily, anche se papà non vuole. E’ vero che ora sei una femmina come me?” le chiese

Emily la abbracciò, la sollevò e la mise a sedere sulle sue ginocchia.

“Lo sono sempre stata. Solo che prima non si vedeva. Il mio corpo era sbagliato.”

“Ma come è possibile? O sei maschio o sei femmina giusto?” chiese ingenuamente Mary.

“Vedi, Mary” rispose la sorella sorridente. “Non è così semplice. A volte un maschio nasce nel corpo di una femmina, e una femmina nel corpo di un maschio. E’ una cosa rara, ma quando succede è molto triste per chi la vive. Tu saresti felice di avere il corpo di un maschio?”

Mary ci pensò un secondo. “Eww. No! I maschi sono così… brutti! Si mettono le dita nel naso e sono sempre sporchi.”

Emily e Jane risero. “Ecco, nemmeno io volevo avere il corpo di un maschio. E visto che potevo correggerlo… L’ho fatto.”

Mary guardò la sorella negli occhi per un momento, poi con tutta l’innocenza di una bambina chiese:

“Giocherai con me con le bambole adesso?”

“Ogni volta che vuoi!” rispose Emily, baciandole la fronte.

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Nel mentre, Edgar spendeva ore in officina nel tentativo di trovare il modo di farla tornare un maschio. Come previsto da Jane, l’impresa gli risultava molto difficile, soprattutto quando hacker misteriosi si infilavano ripetutamente nel suo computer per cancellare i progetti. Aveva un sospetto molto preciso sul chi fosse la responsabile, ma nessuna prova.

Jane aveva continuato a lavorarlo sui fianchi, raccontandogli le esperienze con Emily e tentando di convincerlo che non era poi così male avere una terza figlia. Nemmeno far notare che un paio di sue compagne di scuola un tempo erano state maschi era servito a qualcosa, però. Quello che dava così fastidio a suo padre non era la trasformazione in sé, in fondo qualcosa di abbastanza comune tra i mutanti, quanto il sapere che Emily aveva rinunciato volontariamente alla propria virilità. Era qualcosa di molto maschilista, in effetti.

Alla lunga, la lotta si trasformò in uno stallo. Edgar non era in grado di costruire una macchina per far tornare Emily un uomo, né poteva convincerla a costruirne una. Inoltre, tutti i medici che aveva consultato si erano fermamente rifiutati di sottoporre la figlia a qualunque trattamento senza il suo consenso.
Visto che non era pensabile che Emily continuasse a vivere come una reclusa, e nel tentativo di evitare troppa attenzione, Emily ed Edgar trovarono un compromesso con l’aiuto di Jane: la spiegazione ufficiale per il suo improvviso cambio di sesso sarebbe stata un incidente di laboratorio, ed Emily avrebbe frequentato uno psicanalista che la aiutasse.

Emily era perfettamente soddisfatta dell’accordo, considerando che le importava per ora di un solo obiettivo: prendere tempo fino all’inizio dell’anno scolastico, quando si sarebbe trasferita a Whateley e lontano dalle lamentele di suo padre.

Le sedute di psicoterapia furono difficili, all’inizio. Emily non aveva mai avuto amici stretti e l’idea di confidarsi con un estraneo la turbava. Il dottor Hampley, tuttavia, non era soltanto un esperto psichiatra. Era anche un Exemplar e si era trasformato da femmina a maschio quando i suoi poteri si erano manifestati, da giovane. La cosa fece da filo conduttore nella loro relazione, ed Emily riuscì finalmente a rompere il ghiaccio.

Gli raccontò di come da piccola invidiasse le sue compagne di scuola e la sorella maggiore. Di come aveva tentato di unirsi a lei nei suoi giochi. E della delusione che aveva sofferto quando i primi peli di barba le comparirono sul volto e la sua voce iniziò a incupirsi. Gli parlò delle sue paure e dei suoi fantasmi.

Il medicò aiutò la ragazza e suo padre a ridurre la loro aggressività reciproca, e nonostante la delusione Edgar divenne meno insistente con la figlia, sebbene continuavano ad esservi momenti di burrasca, come quando Emily ebbe la sua prima mestruazione a fine Agosto.

L’estate volgeva ormai al termine, ed era quasi il momento di partire per Whateley…

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Era un sabato pomeriggio, ed Emily era sdraiata in giardino su una sedia pieghevole, godendosi un romanzo rosa e il tiepido sole dei primi di Settembre. Il giorno seguente lei e Jane sarebbero partite per il New Hampshire, e il lunedì sarebbero iniziate le lezioni. Non vedeva l’ora di sbarazzarsi della presenza del padre, fino alla pausa natalizia. E poi, pensò, Jane non faceva altro che parlare di queste enormi officine sotterranee…

Una sagoma si frappose tra lei e il sole.

“Jane! Togliti, mi stai facendo ombra!” si lamentò.

“Volevo proporti una cosa, ma visto che sei così occupata…” rispose lei con un ghigno.

Emily si alzò in piedi. “Cosa?”

“E’ una sorpresa! Andiamo, su!”

Dieci minuti dopo le tre sorelle Stanford sedevano nella decapottabile di Jane mentre la ragazza guidava verso il centro città, in rotta verso un pomeriggio di shopping.

"Come hai convinto papà a lasciarci andare?" chiese Emily a Jane, i capelli che sventolavano nell'aria.

"Gli ho detto che dovevi comprarti qualcosa per la scuola. Mi ha dato la carta di credito, e ha detto di non volerne sapere nulla. Credo che in fondo in fondo, si stia affezionando ad Emily"

Provarono vestiti, chiacchierarono di ragazzi e mangiarono un gelato. Mary era così delice di avere la possibilità di fare "cose da grandi". Emily si trovò persino ad arrossire quando notò che il cameriere della gelateria, un ragazzo sui diciassette anni, lanciava frequenti occhiate furtive alle sue gambe.

Alla fine, andarono tutte insieme a vedere un film al cinema prima di tornare a casa. Un pomeriggio felice, come tre sorelle qualunque.

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"Avete preso tutto?" chiese Edgar, sistemando il cappello sulla fronte.

Emily e Jane lo guardarono e annuirono, poi a turno abbracciarono prima Mary e poi il padre.
Edgar ebbe un momento di esitazione al momento di abbracciare Emily, ma alla fine si lasciò andare.

Le ragazze salirono sul treno con le valigie, salutando i familiari con la mano.

Un nuovo anno stava per iniziare. E tutto, pensò Emily, sarebbe stato perfetto.
  
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