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Autore: Aurore    27/02/2014    3 recensioni
Sequel di Midnight star.
Dopo gli eventi e le rivelazioni che hanno scosso il suo piccolo mondo, la vita di Renesmee è tornata alla normalità: è sempre più felice con Alex e insieme a Jacob ha ritrovato l'affetto e la complicità del loro legame. Ma all'orizzonte si addensano nuove nubi: quando spaventosi incubi iniziano a tormentare le sue notti, Renesmee si trova costretta a scegliere tra perdere ciò che ama di più e tentare di salvarlo, e ad affrontare eventi imprevedibili che potrebbero cambiare ogni cosa.
Tutto finisce, nulla resta uguale, e a volte il destino impone scelte e cambiamenti dai quali non si torna indietro.
Tratto dal capitolo 7:
Il suo sguardo era stata la prima cosa che mi aveva colpita, di lui, nel giorno lontano in cui ci eravamo conosciuti. [...] Lo stesso sguardo che mi aveva osservata con tanta attenzione per catturare quello che c'era in me di più profondo mentre mi disegnava. Nessuno mi aveva mai guardata così. In quel disegno c'era qualcosa di bellissimo, potente e tremendo al tempo stesso. Qualcosa di ineluttabile, che ormai non poteva essere fermato.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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C 5
Capitolo 5
Collide

I'm quite, you know
You make a first impression
I've found I'm scared to know
I'm always on your mind
Even the best fall down sometimes
Even the wrong words seem to rhyme
Out of the doubt that fills my mind
I somehow find you and I collide.
Collide, Howie Day¹



Certe cose hanno bisogno di tempo e di attesa; da certe cose non si può fuggire.
Kajsa Ingemarsson, Se potessi tornare indietro




Sto correndo.
La sensazione del vento e del sole caldo sul mio viso, tra i capelli, è meravigliosa. Inebriante.
Sempre più veloce, percorro un viale ricoperto di fresca erba verde e affiancato da due alte siepi che proseguono alla svolta del viale e sembrano continuare senza fine. Un labirinto. Siamo in un labirinto. Rido, felice, impaziente, eccitata dal gioco. Lui è subito dietro di me, posso sentire il tonfo leggero dei suoi passi e il respiro reso affannoso dalla corsa.
Volto appena la testa per guardarlo, i capelli che danzano sulle mie spalle, come per misurare la distanza che ci separa, divertendomi a stuzzicarlo. Alex accelera il passo, ma io sono più veloce. Svolto a destra, poi a sinistra, seguendo il misterioso percorso del labirinto. Non rallento neanche per un istante, decisa a fargli mangiare la polvere, e poi all'improvviso, dopo l'ultima svolta a destra, si apre davanti a me un piccolo spiazzo erboso circondato dalle stesse siepi alte e impenetrabili: il centro del labirinto. E nel centro dello spiazzo, di forma perfettamente circolare, una statua di pietra posta su un'alta base. Mi sembra che rappresenti una donna con un velo sottile che le ricopre il corpo, ma non ho il tempo di osservarla attentamente. Mi precipito dietro la base della statua, un blocco di pietra regolare alto quasi quanto me e largo il doppio, e mi nascondo, ridendo, nel timore che riesca a prendermi e che il divertimento finisca.
Ma lui sta al gioco. Arriva alla statua e si ferma di botto, poggia una mano sulla pietra liscia e levigata della statua, sbircia da un lato, cercandomi, ed io lo imito, sottraendomi al suo sguardo e alle sue mani. Lo sento ridere insieme a me e mi perdo in quel suono meraviglioso.
Poi, all'improvviso, mi viene un'idea. Il nostro gioco non deve finire. Non finirà. Dall'altra parte dello spiazzo rispetto al viale da cui siamo entrati il labirinto continua e altri sentieri affiancati da siepi imponenti si perdono in chissà quali direzioni, verso chissà quali angoli segreti... Voglio esplorarli tutti.
Scatto in quella direzione, sperando di coglierlo di sorpresa, ma Alex compare di colpo davanti a me, fulmineo, tende le braccia e mi afferra, impedendomi la fuga. Strillo tra le risate e cerco di divincolarmi, ma senza troppa convinzione. Quel nuovo gioco mi piace ancora di più. Alex mi stringe al suo corpo, guardandomi negli occhi, serio. Poggia un dito sulle mie labbra, spegnendo dolcemente la mia risata, poi si china a baciarmi.
È il paradiso. La sua bocca sulla mia scatena un piacere inimmaginabile. Ogni volta che le nostre labbra si toccano è come se fosse la prima.
Continuo ad avvertire quella stessa scarica elettrica che mi percorre le vene, come durante il nostro primo bacio, e che mi restituisce la vita. Ogni bacio è come una scoperta. Premo con forza la bocca sulla sua e mi sfugge una risata mentre mi abbandono contro il suo corpo caldo, appassionata, sicura, come mai prima d'ora. Mi sento così bene, leggera e appagata, che mi sembra di galleggiare su una nuvola.
E poi, all'improvviso, qualcosa cambia. Le sue braccia si irrigidiscono, le sue labbra diventano fredde. Spalanca gli occhi, fissi in un'espressione di terrore. Si stacca da me e il suo corpo, diventato assurdamente inerte, si accascia sull'erba verde brillante, il colore della primavera in trionfo. Cado insieme a lui, cercando di sorreggerlo, sconvolta. Vorrei chiamarlo, ma non riesco ad articolare le parole. Alex viene scosso da un sussulto mentre mi guarda con aria incredula, come se aspettasse da me una spiegazione su quello che gli sta succedendo. Stringo il suo viso gelido tra le mani, cercando disperatamente un modo per aiutarlo. Poi si immobilizza di colpo e si abbandona sulle mie ginocchia, gli occhi vitrei ancora fissi nei miei.
No. No, non è possibile. Scuoto quel corpo senza vita, balbettando il suo nome a fior di labbra. Non può essere. Non può essere.
Chiudo gli occhi e urlo.




L'urlo di terrore mi seguì dall'incubo alla realtà. Ma non riuscivo a distinguere l'uno dall'altra. Stavo ancora sognando? Ero sveglia? Era tutto vero? Aprii gli occhi, chiedendomi se avrei rivisto lo spiazzo erboso circondato dalle siepi, la statua di pietra, il cielo azzurro, il sole scintillante, Alex accasciato a terra, e mi accorsi di essere nel mio letto, in camera mia. Le tende tirate, la luce chiara del mattino, la pila di libri sul comodino, i vestiti sparpagliati in giro: tutto era familiare, tranquillo, sicuro. Scattai a sedere nel letto, sudata, tremante, e gettai via le coperte.
«Renesmee!
».
La mamma piombò di colpo nella stanza, agitata e spaventata, i capelli scompigliati; probabilmente aveva corso. Alle sue spalle comparve papà che subito cercò il mio viso, ansioso.
«Tesoro, cos'è successo? Un altro incubo?», indagò Bella mentre sedeva sul letto, accanto a me.
La guardai, sforzandomi di concentrarmi. «È sempre lo stesso», farfugliai. Avevo il fiatone e riuscivo appena a parlare. «Non è mai uguale, ma è sempre la stessa cosa».
«Cioè Alex...».
La mamma lasciò la frase in sospeso, come se non osasse dire quelle parole ad alta voce, ed io non risposi, limitandomi a fissarla con gli occhi sgranati. Restammo in silenzio tutti e tre, ma dopo qualche secondo non ressi più. Mi alzai in fretta, uscii dalla stanza e mi rifugiai in bagno, lasciandoli lì. L'acqua fresca sul viso mi calmò un poco, ma il mio riflesso allo specchio diceva tutto: avevo i capelli in disordine, due orrende occhiaie e il viso bianco come cera. Si vedeva lontano un chilometro che non avevo dormito affatto bene. Mi osservai a lungo, le mani poggiate sulle guance bollenti, ancora scombussolata. Poi mi diressi lentamente in cucina, dove i miei stavano preparando la colazione in un'atmosfera tesa e cupa. Quando entrai, si voltarono verso di me con due identiche espressioni preoccupate. Sedetti al bancone da lavoro e mi presi la testa fra le mani. Ero così stanca che temevo potesse cadermi sul tavolo da un momento all'altro. Sentii due mani fredde e delicate accarezzarmi piano i capelli.
«Non preoccuparti, Renesmee», mormorò una voca dolce. Era la mamma. «È soltanto un sogno».
Feci un profondo respiro, riflettendo sulle sue parole. «Non è soltanto un sogno», protestai con voce rauca.
Un attimo di silenzio. «In che senso?», chiese lei, esitante.
«Nel senso che è qualcosa di più. Un brutto sogno non torna due notti su quattro per cinque settimane consecutive», risposi a denti stretti.
«A volte succede», osservò papà, con voce calma.
«Non è solo questo. È diverso da altri sogni, è molto... realistico e dettagliato. Mi sembra di essere davvero lì. E poi fatico a svegliarmi... Non ho mai avuto incubi così». Mi tremava la voce e me la presi con me stessa per non riuscire a controllarla, ma non ne avevo la forza.
«Renesmee», cominciò papà lentamente, mettendomi davanti una tazza di latte e una confezione di cereali, «di solito i sogni rappresentano paure o desideri. Io credo che questo incubo concretizzi i tuoi timori che possa accadere qualcosa ad Alex». Strinse le labbra e tacque per un istante. Al mio fianco, Bella si mosse nervosamente. «Ma non c'è motivo di temere questo».
Sollevai gli occhi e lo fissai di sotto in su. «Tu dici?».
«Sì», rispose, deciso. «Rifletti: quali pericoli potrebbe correre? Ormai sappiamo controllarci perfettamente, tutti quanti, tu molto meglio di noi. E i Volturi non sanno della sua esistenza e non lo sapranno mai».
Ovviamente conosceva ogni pensiero che avessi mai formulato al riguardo. «E se invece lo scoprissero?», insistei, la voce che tremava sempre di più.
«Ma come potrebbero?», intervenne la mamma, allontanandosi un po' per guardarmi in viso. «Sono troppo lontani per...».
«Avete dimenticato come hanno saputo di me?», sbottai.
Papà scosse il capo. «È diverso. Tu eri una potenziale infrazione della legge. Frequentare gli umani, se si riesce a nascondergli la nostra vera natura, non è un crimine».
A mia volta scossi la testa, ostinata. Gli occhi vitrei di Alex, accasciato senza vita tra le mie braccia, erano ancora troppo vivi nella mia memoria. «La potenziale infrazione della legge era solo una scusa, papà. Non volevano distruggere me, volevano annientare l'intera famiglia Cullen. E non ci risulta che Aro abbia cambiato i suoi progetti. Quanto credete che ci metterà a trovare un'altra scusa e a riprovarci? E se Alex fosse coinvolto?», li incalzai, sempre più agitata.
La mamma sospirò, incrociando le braccia. «Se ragioniamo così, allora ogni essere umano con cui entriamo in contatto sarà sempre in pericolo mortale, anche Charlie... o Jas...».
«Mamma, io non sto avendo incubi su Charlie o Jas, ma su di lui!».
«Ma un sogno non significa niente, Renesmee! Non vuol dire che Alex sia davvero in pericolo!».
«Non è solo un sogno!», ripetei, con tono leggermente isterico.
Lei mi fissava confusa, senza riuscire a capirmi. No, non capiva. Ed io ero esasperata. «E cos'è allora?».
«È una specie di avvertimento, secondo me. È come se il mio inconscio volesse dirmi qualcosa. Alice non riesce a vedere il futuro di Alex, ma questi sogni vogliono mettermi in guardia. Io ho sempre saputo che per lui era un rischio stare con me... forse adesso è davvero in pericolo. Ed io... non posso fare finta di nulla».
«Cosa vuoi fare, allora?», chiese la mamma, piano, la voce carica di tensione.
Per un attimo la guardai in silenzio, senza sapere cosa rispondere. Mi strinsi di nuovo la testa tra le mani, sospirando. Ero così stanca, come se non avessi chiuso occhio per tutta la notte, e non riuscivo a pensare con lucidità.
«Non lo so», sussurrai. «Non lo so».

Nella cucina scese il silenzio. Ero certa che i miei si stessero scambiando occhiate preoccupate, ma riuscivo a pensare solo ad Alex. Le immagini dell'incubo mi scorrevano davanti agli occhi chiusi, sotto le palpebre, stampate a fuoco nel cervello. Non me ne sarei mai liberata, lo sapevo. Cosa dovevo fare?
Che cosa faccio?
«Be', comunque», disse la mamma all'improvviso, «non è il caso di pensarci oggi, tesoro. Sarà una giornata impegnativa, cerca di concentrarti su quello che devi fare. Per il resto c'è tempo».
Come? Sollevai gli occhi e la fissai, aggrottando la fronte. Lei mi sorrideva, incoraggiante, ma chissà perchè quel sorriso mi fece venire un nodo allo stomaco.
«Oggi? Che succede oggi?».

Silenzio. Il suo sorriso vacillò. «Ehm... Il matrimonio», rispose, esitante. Poi, vedendo che non reagivo, proseguì. «Il matrimonio di Rachel e Paul. Jacob viene a prenderti tra poco».
Rimasi zitta per un attimo, assimilando l'informazione. Poi il significato di quello che diceva mi piombò addosso tutto di un colpo. Saltai sulla sedia. «Il matrimonio! Merda, il matrimonio!».
Corsi a razzo fuori dalla cucina, tornai in camera mia e per qualche confuso secondo non feci che saltellare di qua e di là, nel panico più totale. Era tardi, dannazione! Tardi, tardi, tardi! Rischiavo di perdermi il matrimonio? Rachel mi avrebbe uccisa! Dove avrebbe rimediato un'altra damigella a poche ore dalle nozze?
Ci volle un po', ma poi iniziai a calmarmi, facendo respiri lenti e profondi. Dovevo mantenere il controllo. Prima cosa da fare: una doccia.
Mi tuffai in bagno e muovendomi più o meno alla velocità della luce riuscii a recuperare il tempo perduto. Ogni altro pensiero era stato immediatamente sostituito dal programma della giornata e ripetevo di continuo tra me e me la lista delle cose da fare. Il matrimonio era alle due, ma io dovevo essere a casa Black alle nove e trenta per aiutare la sposa a prepararsi. Dopo la doccia, tornai come una furia nella mia stanza e avevo appena iniziato a vestirmi quando sentii il cellulare vibrare sulla scrivania. Meglio rispondere, poteva essere Rachel. O Jacob. Allungai il braccio mentre mi infilavo il reggiseno e afferrai il telefono.
«Pronto?», esclamai, senza fiato.
«Renesmee? Oddio, finalmente! Sto provando a chiamarti da ben dieci minuti, sai?».
«Jas?».
«Sì, sono io. Perchè questo tono sorpreso?».
«Pensavo fosse qualcun altro, scusami».
«E invece è la tua migliore amica. In teoria avresti dovuto chiamarmi tu, ieri, ma non l'hai fatto», disse con tono accusatore.
Sbuffai mentre frugavo tra i vestiti sparpagliati nell'armadio in cerca di un paio di jeans. «Hai ragione, ma lo sai che ho avuto un sacco di cose da fare in questi giorni».
«Be', hai l'occasione di farti perdonare, tranquilla. Devi assolutamente venire a casa mia, ho bisogno di parlarti».
«Adesso?».
«Prima possibile. È urgente». Fece una breve pausa. «Ho litigato di nuovo con Tom. Quello stupido se l'è presa perchè ieri sera non sono andata al cinema con lui, ma avevo una cena di famiglia! Tu sai com'è mia madre e lo sa anche lui! Non sono riuscita ad evitarla, ma Tom non capisce, non vuole capire e avresti dovuto sentire con che tono mi ha parlato...».
«Senti, Jas, non potremmo discuterne in un altro momento? Ho un po' da fare, adesso», sbottai, saltellando su un piede solo per infilarmi i jeans che avevo finalmente acciuffato sul fondo dell'armadio.
«Renesmee, lasciati dire che come amica del cuore ultimamente lasci molto a desiderare», mi informò con tono secco e altezzoso.
«Jas, oggi c'è il matrimonio! Non posso venire da te, mi dispiace!».
«Non potresti saltarlo... ?».
«Sono una delle damigelle! Non credi che qualcuno noterebbe la mia assenza?».
La sentii sospirare pesantemente. «E io come faccio?».
«Verrò domani, te lo prometto», esclamai, senza fiato per la fretta e l'agitazione. Infilai le scarpe da ginnastica senza allacciarle e mi raddrizzai, cercando contemporaneamente di sistemarmi i capelli in disordine. Poi iniziai a raccogliere tra le braccia mucchi di oggetti sparsi in giro per lanciarli nella borsa. Spazzola, piastra per capelli, phon, due paia di calze, rossetto, profumo...
«Ma io voglio la mia migliore amica, adesso. Ho raccontato tutto a Gatto, ma non è la stessa cosa», protestò, imbronciata.
Jas aveva l'abitudine di intrattenere lunghe conversazioni con il suo Gatto, un grasso persiano rossiccio fuori di testa quanto la sua proprietaria e così chiamato in onore del gatto di Colazione da Tiffany, uno dei film preferiti di Jas. Gli confidava tutto, dal numero dei baci scambiati con Tom durante l'ultimo appuntamento al problema delle doppie punte.
«Okay, senti, visto che io non posso venire da te, che ne dici di venire tu da me?», chiesi, seguendo un pensiero nato in quel preciso istante.
«Perchè dovrei venire a casa tua se tu non ci sei?».
Alzai gli occhi al cielo. «No, vieni al matrimonio! Ti va?».
Tacque un istante. «Al matrimonio? Ma non conosco per niente gli sposi, non sono stata invitata... non voglio imbucarmi, non è di classe».
«Tranquilla, Rachel è praticamente una di famiglia, per me. Le chiederò se le va bene che tu venga, ma è scontato che dirà di sì. Allora?».
Jas rifletteva. «Uhm... Potrei mettermi quel vestito che ho appena comprato... E se dici che alla sposa non dispiacerà... Okay, vengo», esclamò, decisamente più allegra.
Le spiegai brevemente dove si sarebbe svolto il ricevimento, perchè era decisa a non venire in chiesa, e disse che l'avrebbe accompagnata l'autista di suo padre, che al momento non aveva nulla da fare; il signor Williams, infatti, era nel giardino di casa a provare le sue nuove mazze da golf e ci sarebbe rimasto per un bel po'. Riuscii a salutarla e a chiudere la telefonata appena un minuto prima che Jacob suonasse il clacson della sua auto, in strada. Bella piombò in camera mentre con una certa fatica chiudevo la cerniera della borsa piena da scoppiare.
«È arrivato», annunciò.
«Sì, me ne sono accorta», sbottai. Misi la borsa in spalla e marciai verso la porta.
«Non stai dimenticando qualcosa?».
Seguii con gli occhi la direzione indicata dal suo dito e vidi il copriabito bianco, appeso alla porta della cabina armadio, contenente il mio abito da damigella. Ops. Non avrei fatto granchè senza quello.
«Dannazione», protestai a mezza bocca.
Corsi a recuperarlo, ma prima che potessi schizzare fuori la mamma mi acciuffò per baciarmi sulla guancia. «Ciao, buona fortuna!», esclamò, allegra.
Nell'ingresso papà mi stava tenendo aperta la porta di casa. Mentre passavo, mi baciò sulla testa. «Divertiti, Raggio di sole. E non pensare a niente».
«Ci proverò», borbottai, non troppo convinta.
Due secondi dopo saltavo nella Golf rossa di Jacob, un po' trafelata, ma in perfetto orario. Lui mi guardò e il suo ampio sorriso, il sorriso jacobico, come lo chiamava la mamma, si congelò.
«Che cos'hai?».
«Niente. Ho dormito male, tutto qui».
Aggrottò la fronte. «Di nuovo quell'incubo?», indagò mentre metteva in moto.
Esitai un attimo, poi annuii. «Sì. Però... non voglio parlarne, non adesso. Ci sono cose più urgenti a cui pensare».
A casa Black, dove giungemmo dieci minuti dopo, la confusione regnava sovrana. Rachel era in piena crisi isterica perchè il cielo nuvoloso non prometteva niente di buono e si trovava in compagnia di uno strano gruppetto tutto al femminile che non poteva esserle di grande aiuto: Rebecca, che pur con tutta la sua buona volontà non sapeva nulla di preparativi per un matrimonio dal momento che il suo era stato una vera e propria fuga d'amore, come mi aveva raccontato; Leah, che ospitava a casa sua Rebecca e Solomon, era lì soltanto per riguardo a Jacob e perchè costretta da Seth e si era portata dietro il suo solito, immancabile buon umore; Summer, compagna di università e amica di Rachel, ancora in preda alla sbornia dell'addio al nubilato della sera prima. Avevamo organizzato solo una piccola riunione di ragazze a casa Clearwater, ma Summer era una festaiola scatenata e aveva trasformato la nostra serata tranquilla in un party a base di fiumi di alcol. Già da sobria si era dimostrata un tipetto piuttosto vivace, ma dopo la bevuta della sera prima era notevolmente peggiorata, e a giudicare dagli sguardi assassini che le lanciava Leah forse avrei dovuto preoccuparmi di tenerla al sicuro o saremmo rimasti senza una damigella.
Rebecca mi accolse con un grosso sospiro di sollievo. Fisicamente era quasi identica alla sorella, ma a differenza di Rachel portava i capelli corti, alle spalle, e aveva lineamenti un po' più spigolosi. Ancora non la conoscevo bene, ma sembrava più estroversa di Rachel. Mi informò che da oltre mezz'ora era alle prese con l'acconciatura della sposa, ma senza grandi risultati, così iniziai subito ad aiutarla.
Eravamo un po' in ritardo sulla tabella di marcia, ma se ci fossimo date una mossa potevamo farcela. Eravamo praticamente solo io e Rebecca ad aiutare la sposa a prepararsi, perchè le altre due non erano di alcun aiuto: Leah se ne stava seduta in poltrona con aria scocciata, limitandosi a passarci la spazzola o il phon di tanto in tanto, e Summer gironzolava per la stanza ballando, canticchiando e sorseggiando bicchieri di gin avanzato dalla festa. Rachel era così agitata e presa da mille preoccupazioni che quando le comunicai di aver invitato la mia amica Jas al ricevimento fece di sì con la testa senza neppure ascoltarmi.
Nel frattempo sentivamo la porta di casa aprirsi e chiudersi in continuazione e il telefono squillare ogni cinque minuti. Con noi c'era solo Jacob, che probabilmente era alle prese con un intenso via vai. Billy, molto saggiamente, si era defilato fin dalla prima mattina. Charlie era passato a prenderlo per portarlo a casa sua, da dove poi sarebbero andati tutti insieme alla cerimonia.
Verso mezzogiorno sentimmo bussare alla porta della stanza e Jacob infilò dentro la testa. «Ehilà, ragazze. Come andiamo?».
«Be'... Rachel ha ancora la testa attaccata al corpo, per cui direi bene», risposi con una scrollata di spalle. Le altre ridacchiarono.
«Ottimo», esclamò Jacob, sorridendo. «Immagino che abbiate fame, vi ho portato rifornimenti», disse e allungò un vassoio carico di tramezzini.

«Grazie, fratellino», disse Rachel, seduta davanti allo specchio.
Summer corse verso di lui e prese il vassoio. «Io sto morendo di fame», rispose con un sorriso smagliante. «Grazie mille, Jacob».
Lui la fissò per un attimo. «Di nulla. A dopo». Mi cercò con lo sguardo, mi fece l'occhiolino ed io ricambiai con una linguaccia, poi uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Stavo per tornare a concentrarmi sullo smalto di Rachel, quando mi accorsi che Summer mi fissava, ma prima che potessi intercettare il suo sguardo si era voltata. Poggiò il vassoio sul letto, sedette con eleganza, prese un sandwich e gli diede un morso.
«Allora, Rach», cominciò, «quanti anni ha esattamente tuo fratello?».
«Ventuno. Ne compie ventidue il prossimo quattordici gennaio».
Summer fece una risatina maliziosa. «Perfetto. Volevo solo accertarmi che fosse maggiorenne... Anche se dimostra ben più di ventun'anni».
«Come mai tutto questo interesse?», chiese Rebecca, impegnata a stendere lo smalto sulle unghie della mano sinistra di sua sorella, mentre io mi occupavo della destra.
«C'è bisogno di chiederlo? È un figo da paura!».
Cosa? Sollevai la testa di scatto e la guardai. Che cavolo stava dicendo? Un figo da paura? Jacob? Il mio Jacob?
«Sapete se è impegnato in qualche modo? Si vede con qualcuna?», proseguì Summer, ostentando la massima disinvoltura.
«E perchè la cosa dovrebbe interessarti?», sbottai.
Solo un attimo dopo mi resi conto di averlo detto davvero. Ma era troppo tardi. Lei mi fissò con aria divertita. «Hai ragione, piccola. Tanto non fa differenza, giusto?», e scoppiò a ridere.
Dio, la sua risata era insopportabile! Non ci avevo fatto caso, prima. Distolsi lo sguardo da lei, infastidita, e mi accorsi che le altre mi stavano osservando: Rebecca con aria perplessa, Rachel sembrava interessata e Leah... aveva uno strano sorrisino sardonico sulle labbra. Sentii le guance scaldarsi immediatamente.
«Attenta, Renesmee», disse Rebecca.
Abbassai gli occhi e vidi che tenevo sospeso in aria il pennellino dello smalto e il colore stava per sgocciolare sul pavimento. «Accidenti!», sbottai e subito infilai il pennellino nella boccetta. Appena in tempo.
Dopo pranzo tutto cominciò a succedere molto in fretta. Leah ci lasciò per andare a vestirsi a casa sua e restammo in quattro, anche se Summer non contava, non essendo di alcuna utilità. Sistemati i capelli e il trucco di Rachel, la aiutammo ad entrare nel vestito da sposa, ad infilarsi le scarpe e la giarrettiera azzurro chiaro per il lancio tradizionale, poi la lasciammo impalata al centro della stanza e andammo a vestirci.
Io, Rebecca e Summer avremmo indossato abiti dello stesso colore, grigio argento, ma dal taglio diverso. Il mio era corto, a vita alta, con sandali in tinta. Stirai un po' i capelli con la piastra per rendere i boccoli più morbidi e poi li legai dietro la testa in una semplice mezza coda. Non ebbi il tempo di osservarmi con attenzione, ma quando Rachel si mise davanti allo specchio a figura intera per controllare come Rebecca le appuntava il velo mentre io le stavo accanto reggendo la montagna di tulle bianco dello strascico, potei studiare a lungo il mio riflesso e ne rimasi stupita. Mi sembrò di cogliere dei cambiamenti: il mio corpo era più sottile in alcuni punti e più morbido in altri, dove erano apparse delle curve che ricordavo appena accennate all'inizio dell'estate e che ora sembravano ben più evidenti. I fianchi disegnavano due archi armoniosi, le gambe erano slanciate, molto più di quanto mi sembrasse sull'Isola Esme, il viso era leggermente dimagrito e gli zigomi sporgevano un po' di più. Soltanto gli occhi erano sempre gli stessi, troppo grandi per i miei gusti, come quando ero bambina. Chissà perchè quei cambiamenti mi colpivano tutto a un tratto? Forse perchè non erano stati rapidi come in passato, ma molto più graduali, e guardandomi ogni giorno allo specchio non li avevo colti.
Ma non ebbi molto tempo per pensarci. Appena il velo fu assicurato in cima all'acconciatura di Rachel, udimmo bussare alla porta di casa.
«Sono già arrivati!», squittì Rachel, un'espressione di autentico terrore sul bel viso delicatamente truccato.
«Vado a controllare», dissi.
Lasciai la stanza matrimoniale e avevo fatto solo qualche passo nel corridoio quando dall'ingresso spuntò Jacob. Indossava già il suo smoking e sembrava si fosse tirato a lucido dalla testa ai piedi. Era così diverso dal solito Jacob che restai a bocca aperta. Lui incrociò il mio sguardo e mi sorrise, un sorriso ampio, caldo, bellissimo. Poi abbassò gli occhi sul mio abito, o almeno così mi parve, e lentamente assunse un'aria molto seria.
«Renesmee», disse dopo un attimo di silenzio, «sei... fantastica». Mi guardò di nuovo dritto negli occhi e inspiegabilmente mi sembrò di vacillare, come se avessi le vertigini o qualcuno mi avesse fatto uno sgambetto.
«Anche tu», balbettai. «Cioè, voglio dire... sei davvero... elegante».
Non smetteva di fissarmi con quella strana espressione grave e intensa ed io mi sentivo sempre più a disagio. Provavo la fortissima tentazione di correre a nascondermi da qualche parte e sottrarmi ai suoi occhi scuri. Jacob venne lentamente verso di me, mi prese per mano ed io sentii un tuffo al cuore. Mi fece girare piano su me stessa, come su una pista da ballo, per osservarmi da ogni angolazione, poi sorrise, anche se la gravità non era sparita dal suo sguardo. Accennai appena un piccolo sorriso, ancora imbarazzata, e in quel momento si udì un click. Ci voltammo: Seth, fotografo ufficiale del matrimonio, era apparso sulla porta e aveva scattato una foto.
«E con questa si comincia», esclamò, allegro. «Siete pronti? Dov'è la sposa?».
Puntando il pollice dietro di me indicai la stanza di Billy e lui entrò, probabilmente per immortalare Rachel prima che uscissimo di casa. Rimasti soli, io e Jake ci fissammo in silenzio per un istante.
«Charlie, Sue e Billy sono arrivati», disse all'improvviso.
«Oh, bene. Vado a salutarli», mormorai.
Lasciai il corridoio, che a un tratto mi sembrava più stretto del solito, uscii sulla soglia di casa e vidi Jared, che avrebbe fatto da autista, spingere la sedia a rotelle di Billy verso casa insieme a Sue. Charlie era proprio dietro di loro.
«Ciao!».
«Ehi, Nessie!», esclamò Billy. «Stai benissimo, tesoro». Sembrava soddisfatto, chissà perchè.
«Grazie», bofonchiai, tenendo gli occhi ben fissi a terra.
Sue mi venne incontro e mi strinse in un breve, affettuoso abbraccio. «Questo vestito è incantevole, Renesmee. Ti sta una favola».
Alle sue spalle, Charlie mi guardava stravolto. «Chi sei tu e che ne hai fatto della mia bambina?», sbottò.
Sorrisi. «Tranquillo, è sempre qui. È solo vestita meglio del solito. Anche tu non sei niente male, sai?», dissi, scoccando un'occhiata maliziosa al suo bel completo grigio scuro che faceva pandant con l'abito di sua moglie.
Le sue guance si colorarono un po'. Ecco perchè ero così incapace di accettare i complimenti con nonchalance: DNA Swan.
«Ti ringrazio, tesoro, ma... sono solo una vecchia e sgangherata poltrona con una tappezzeria nuova».
Quel paragone mi fece ridere. «E allora? Le vecchie poltrone sono le più comode, lo sanno tutti».
Lui alzò le spalle. «Comunque è stata Sue a sceglierlo», precisò, mentre si stirava con la mano il bavero della giacca in un gesto imbarazzato, riuscendo soltanto a stropicciarlo ancora di più.
«Nessie! Ehi, Nessie!», chiamò Seth da dentro casa. «Vieni qui! È inutile che cerchi di nasconderti, sei una damigella e non puoi sfuggire al fotografo!».
Alzai gli occhi al cielo. «Devo andare».
«Sì, anch'io. È quasi ora», rispose Charlie controllando il suo orologio da polso. Sue sarebbe venuta in chiesa con noi e avrebbe aiutato Billy ad accompagnare Rachel all'altare spingendo la sua sedia a rotelle. Il nonno si chinò per baciarmi sulla guancia e fece un passo verso la macchina, ma poi ci ripensò e tornò indietro, osservandomi accigliato. «Questo vestito è troppo corto. E troppo scollato», brontolò. «Non sarebbe meglio coprirlo con un cappotto o qualcosa del genere?».
«Non credo che Rachel ne sarebbe molto felice», risposi, trattenendo a stento una risata. La faccia di Charlie era impagabile.
«Uhm, tu dici? Sì, forse hai ragione, però... Insomma, potresti prendere freddo e...».
«Renesmee Carlie Cullen! Vieni subito qui!», gridò ancora Seth e stavolta senza traccia di ironia.
«A dopo», bisbigliò Charlie e corse alla macchina.
Seth aveva preso molto sul serio il suo incarico, come appurai più tardi. Troppo sul serio. Ci costrinse a posare per una quantità spropositata di fotografie e l'unica entusiasta della cosa era Summer, che cercava sempre di mettersi davanti e accanto a Jacob, tra sciocche risatine e ammiccamenti. Capivo che fosse un po' sbronza, ma iniziava a stufarmi. A un certo punto perfino Rachel non ne poteva più e quando Jake dichiarò che era il momento di andare, perchè dieci minuti di ritardo potevano anche essere eleganti, ma quaranta diventavano insostenibili, ci seguì e continuò a scattare foto anche mentre aiutavamo la sposa a salire sull'auto guidata da Jared. Jacob salì accanto a lui, mentre io, Summer e Rebecca ci stringevamo sui sedili posteriori. Nell'auto di Sue, che ci avrebbe seguiti, montarono Seth e Billy e finalmente partimmo.
Il tragitto verso la piccola chiesa di La Push durava solo una decina di minuti e ben presto apparvero le prime auto parcheggiate ai lati della strada. Non erano molte, ma sapevo che la maggior parte degli invitati aveva raggiunto la chiesa a piedi. Iniziai a sentirmi un po' agitata. Chissà quanta gente c'era lì dentro... La famiglia di Jake era molto conosciuta e stimata a La Push... La chiesa doveva essere piena zeppa. L'unica più tesa di me era Rachel, che aveva gli occhi sbarrati come se si stesse dirigendo al patibolo e non all'altare.
«Oh, accidenti!», protestò mentre scendeva dalla macchina, trattenendo con una mano il velo gonfiato e scompigliato dal vento. «Datemi una sistemata prima di entrare o sembrerò una strega appena scesa dalla scopa!».
Seth rise così forte che dovette smettere di scattare foto per qualche secondo. Io e Rebecca giravamo intorno a Rachel per rassettare il vestito e il velo e nel frattempo Summer se ne stava appoggiata alla macchina in una posa sensuale e lanciava sguardi languidi all'indirizzo di Jacob.
«Lo smoking ti sta una favola, sai?», disse, sbattendo le ciglia senza dubbio ben più del necessario.
Lui rimase impassibile. «Ti ringrazio», rispose senza guardarla.
«Okay, possiamo andare. Siamo pronte», intervenne Rebecca.
Ci avviammo all'ingresso della chiesa.
«Nessie, tutto bene? Cos'è quella faccia? Non vorrai rovinarmi le foto», brontolò Seth osservandomi di sbieco.
«Tutto bene», tagliai corto.
Sentivo i muscoli facciali irriggiditi e cercai di distenderli in un sorriso smagliante, ma a giudicare dalla faccia di Seth, che scuoteva la testa con aria preoccupata, senza grandi risultati. Tutta colpa di Summer e dei suoi commenti fuori luogo. Mi dava sui nervi il modo in cui si disinteressava completamente di Rachel e del matrimonio perchè troppo impegnata a fare gli occhi dolci a Jake. Soltanto una persona buona e gentile come Rachel avrebbe potuto sopportare quel comportamento senza dare di matto.
Entrammo nella piccola anticamera della chiesa dove trovammo ad accoglierci la moglie del pastore, la signora Young, che si occupava di gestire gli aspetti pratici della cerimonia e subito iniziò a parlare con Rachel. Tutto ciò che ci separava dagli invitati era una grande porta bianca a due battenti, chiusa, con due composizioni di fiori ai lati. Si udiva un certo brusio e qualcuno che strimpellava al pianoforte per riscaldarsi le dita. Io sarei stata la prima ad entrare e guardando quella porta chiusa davanti a me ebbi la sensazione che potesse cadermi addosso da un momento all'altro.
Jacob, Seth e Jared ci lasciarono per andare ad occupare i loro posti all'interno, poi, a un segno della signora Young, il musicista iniziò a suonare una musica lenta e dolce che non conoscevo.  
«Sorridete!», suggerì la signora Young, poi spalancò la porta e si allontanò di un passo.
Davanti a me comparve la sala della cerimonia, decorata da composizioni di fiori bianchi e strapiena di gente. Sembrava che tutta La Push fosse stipata lì dentro. Un mare di teste si voltò verso di noi per vedere meglio. Strinsi con più forza il mio bouchet come se fosse stato un appiglio e presi un bel respiro profondo. Quando riconobbi la mia battuta d'entrata, feci un passo avanti, un gesto semplicissimo che mi costò un certo sforzo, e iniziai a camminare lentamente sulla passerella tra gli invitati.
Tenevo gli occhi bassi, un po' inquieta all'idea di guardarmi in giro e scorgere un migliaio di persone che mi fissavano, attenta a non andare nè troppo piano nè troppo veloce e a mantenere l'equilibrio sui tacchi. Solo di tanto in tanto azzardavo un'occhiata davanti a me, così rapida che tutto sembrava un alone confuso di facce, luce e colori. Gli ultimi metri furono i più facili da percorrere e quando raggiunsi il pastore, Paul e Sam, il testimone dello sposo, tirai un piccolo sospiro di sollievo.
Presi posto e mi voltai appena in tempo per vedere Summer che si avviava lungo la passatoia, incespicando un po'. Tutti trattennero rumorosamente il fiato, qualcuno ridacchiò, ma grazie al cielo Summer si riprese subito e proseguì con la disinvoltura di una stella del cinema.
«Mi sa che non era il giorno adatto per sbronzarsi», le bisbigliai sotto voce, seccata, appena mi ebbe raggiunta.
Lei fece spallucce, perfettamente tranquilla. Cercò Jacob tra quelli seduti in prima fila e gli sorrise, ammiccando. Lui non se ne accorse, o almeno così mi parve.
Era il turno di Rebecca, bellissima nel suo abito lungo e senza spalline, e constatai con stupore che era imbarazzata quasi quanto me. Raggiunse l'altare e mi rivolse un gran sorriso mentre prendeva posizione accanto a Summer. La musica si interruppe e ci fu qualche secondo di silenzio. Poi cominciò la tradizionale marcia nuziale, tutti si alzarono in piedi, rivolti verso la porta, e Rachel fece il suo ingresso trionfale. Avanzava con passo sicuro, saldamente ancorata al braccio di suo padre. Billy aveva gli occhi lucidi e Sue, alle loro spalle, minacciava di imitarlo da un momento all'altro. Ammirai incantata la bellezza della sposa, che sembrava splendere di luce propria. Tutta l'agitazione era sparita dal suo volto e guardava Paul dritto negli occhi, così tranquilla, felice e sicura da lasciare senza fiato. Per un attimo mi sembrò sbagliato osservarla, come se stessi spiando un momento privato.
Lasciai vagare lo sguardo sugli invitati, per distrarmi. Charlie mi guardava commosso dalla seconda fila, Seth immortalava ogni passo della sposa, al suo fianco Leah aveva l'espressione più dolce e serena che le avessi mai visto, Emily ricambiò il mio sguardo e accennò un saluto da lontano. Poi vidi Jacob e mi accorsi, sopresa, che in quel momento cruciale, mentre Rachel prendeva la mano di Paul ed entrambi si giravano verso l'altare, non stava guardando sua sorella. Guardava me, con un sorriso tenue sulle labbra. D'istinto gli sorrisi anch'io. Era incredibilmente affascinante, quel giorno. Be', Jake era sempre stato un bel ragazzo, ma adesso c'era qualcosa di speciale, in lui, qualcosa di diverso. Forse era lo smoking, o l'occasione particolare, o il fatto che si fosse dato finalmente una sistemata... Di solito non badava mai a quello che si metteva addosso...
«Dio, Rebecca, tuo fratello è uno schianto», sussurrò Summer a voce bassa, perchè solo noi due potessimo udirla.
Rebecca sbuffò. «Senti, potresti cercare di contenerti almeno in questo momento, per favore? Grazie», sibilò, sforzandosi a sua volta di non alzare la voce.
Lanciai a Summer un'occhiata assassina, sebbene lei facesse finta di nulla, e provai la fortissima tentazione di saltarle addosso e picchiarla ripetutamente sulla testa con il mio bouchet fino a farle chiudere quella boccaccia. La cosa mi stupì. Non ero mai stata una persona violenta, proprio no. Ma quella lì non la sopportavo, lei e i suoi apprezzamenti su Jacob, il mio Jacob!
Ma come si permette?, sbottai tra me e me, furibonda, mentre le ultime note della marcia nuziale si dissolvevano nell'aria e il pastore dava inizio alla cerimonia.
In quel preciso istante, davanti a un centinaio di persone e nel bel mezzo di un matrimonio, eccola lì. Una consapevolezza sconvolgente che mi investì con la violenza di un treno lanciato a tutta velocità. Mi lasciò a bocca aperta.
Ero gelosa. Ero gelosa di Jacob Black.







Note.
1. Qui la canzone.








Spazio autrice.
Eccomi qui! Innanzitutto vi chiedo scusa per il lieve slittamento della pubblicazione! Purtroppo ieri ho avuto qualche problema tecnico con Efp e poichè ero anche molto stanca a causa dello studio non sono riuscita a risolvere la cosa... A un certo punto mi sono arresa e ho pensato Va be', se ne parla domani. Ho scritto un post al riguardo su Facebook, spero che lo abbiate visto e non vi siate preoccupate xd.
Allora, la storia va avanti. Un passo alla volta si sta costruendo un nuovo scenario che vi apparirà pienamente comprensibile tra qualche altro capitolo. Ma sono sicura che abbiate già i vostri sospetti xd. Fatemi sapere quali sono!
Spero che il matrimonio di Rachel vi sia piaciuto ^^. Forse ricorderete che se ne parla per la prima volta nel capitolo sei di Midnight star, e devo dire che ero impaziente di pubblicare questo capitolo. Per quanto riguarda la cerimonia, ho deciso di ambientarla in una chiesa dopo essermi documentata un po' su Wikipedia. Ho scoperto che la maggior parte dei nativi d'America fanno parte della Chiesa nativa americana, che unisce elementi del cristianesimo con elementi propri della spiritualità dei nativi. Quindi immagino una cerimonia un po' "esotica", magari, rispetto a quelle cristiane tradizionali, ma una chiesa mi sembrava comunque il posto migliore dove ambientarla. Vi assicuro che è un aspetto sul quale ho riflettuto tantissimo, perchè ero molto incerta xd.
Spero anche che abbiate apprezzato il riferimento a Colazione da Tiffany! È uno dei miei film preferiti e non so come mai ma ho sempre immaginato la mia Jas come una grande fan di questo film, della splendida Audrey, dell'età d'oro di Hollywood... Ce la vedo, e voi?
Infine, qualche parola su Collide di Howie Day <3. Amo moltissimo questa canzone, soprattutto perchè viene considerata un po' la canzone "ufficiale" di una coppia appartenente ad un altro fandom, una coppia che io adoro. Dedicare questa canzone a Renesmee e a Jacob e a questo capitolo in particolare ha un significato molto profondo per me. Spero che approviate la mia scelta.
Okay, è tutto! Grazie di aver letto fin qui e mi raccomando, vorrei conoscere i vostri pareri. Al prossimo capitolo!
   
   
 
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