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Autore: _Fedra_    27/02/2014    3 recensioni
Parigi, settembre 2013.
Durante una festa a tema, una ragazza dai lunghi capelli biondi abbigliata in maniera incredibilmente realistica fa la sua comparsa tra gli invitati. Sembra molto confusa e spaventata, come se non avesse la minima idea di dove si trovi.
Solo Rosalie Lamorlière, appena arrivata da Francoforte, riuscirà a capire che la giovane in realtà è molto più vecchia di quanto vuole far credere, forse addirittura di un paio di secoli.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bernard Chatelet, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 4
                 






 
Da dieci anni, il venerdì pomeriggio era il momento che Rosalie attendeva con più impazienza.
Da quando suo padre se n’era andato di casa, lasciando una disperata Yolande in lacrime con due figlie piccole e un amante scomparso pochi giorni dopo essere stato sorpreso con lei dietro il sipario calato, il giudice aveva accordato che le piccole sorelle Lamorlière potessero vedere il genitore solo per il finesettimana.
Al contrario di Charlotte, che era molto attaccata alla madre, Rosalie era rimasta affezionata a suo padre Gustav.
Era stato lui a portarla per la prima volta in palestra per provare la scherma, era sempre lui che la accompagnava alle gare la domenica e che l’aiutava a fare i compiti, visto che Yolande era sempre assente per via delle prove fino a tarda sera o delle tournee in giro per l’Europa.
Ora che si erano trasferite a Parigi, Rosalie avrebbe dovuto perdere anche quell’ultimo rifugio che le era rimasto a Francoforte.
Per fortuna, c’era Internet.
Lei e Gustav si davano appuntamento davanti allo schermo ogni giovedì alle cinque, per poter parlare finalmente da soli, fingendo per un attimo di non avere chilometri e chilometri a separarli.
Certo, parlarsi tramite Skype non sarebbe mai stato paragonabile a prendere il gelato insieme o stare seduti per ore e ore sulla veranda di casa a raccontarsi ciò che era accaduto negli ultimi giorni, confidandosi e scherzando assieme, finalmente liberi di parlare senza la continua intromissione della voce lagnosa di Yolande a ogni sillaba.
Tuttavia, quella era l’unica alternativa per mantenersi in contatto, nonostante la distanza.
Anche quel pomeriggio, Rosalie si mise davanti allo schermo del portatile con dieci minuti di anticipo, in attesa della chiamata.
Si premette forte le cuffie sulla testa bionda per evitare di sentire la voce di Justin Bieber che strillava dalla camera da letto.
Stava chattando su Facebook con Lucile, quando la tanto attesa chiamata arrivò.
Con il cuore in gola, Rosalie si precipitò a riaprire la finestra di Skype.
Dall’altra parte l’attendeva un uomo sulla cinquantina con i capelli ormai brizzolati e un folto paio di baffoni castani.
“Ciao, papà”.
“Rosalie”, Gustav Lamorlière le lanciò un sorriso sornione con i suoi luminosi occhi blu, gli stessi della figlia. “Come va, bambina mia?”.
“Insomma. Qui stiamo molto più strette di Francoforte e mamma è sempre via per le prove al teatro. Io e Charlotte ce la caviamo, comunque”.
“Mi fa piacere. Tesoro, che cos’è quel rumore che sento in sottofondo?”.
“È Charlotte che studia. Tiene sempre lo stereo acceso. Non so come faccia a concentrarsi con tutto quel casino”.
“Questione di gusti”.
“Sarà, ma io proprio non sopporto quell’omicidio musicale”.
“Cosa dovrei dire io, che ti ho scarrozzato a certi concerti?”.
“Non mi starai dicendo che ti lamenti dei Metallica, per caso! Quella era roba seria!”.
“No, certo che no! Scuola come va?”.
“Non male. Faccio un po’ di fatica col francese, ma me la cavo. Mi sono fatta anche dei nuovi amici. Ah, e ho ripreso la scherma”.
“Davvero? Brava, piccola!”.
“Si, mi trovo davvero bene nella nuova palestra, anche se non sarà mai come a Francoforte”.
Rosalie avvertì un moto di vertigine, ma resistette.
Non voleva cedere di fronte a suo padre.
“Cosa c’è?”, chiese lui d’istinto.
Rosalie sorrise tra sé e sé.
Non sfuggiva proprio nulla, al suo vecchio.
“Niente papà”, rispose sorridendo. “Mi manchi”.
 
***
 
Maria Antonietta non riceveva notizie da sua sorella Maria Carolina da mesi. Erano molto legate, le due principesse. Erano nate a poco tempo di distanza l’una dall’altra e avevano condiviso insieme un’infanzia meravigliosa. Si somigliavano come due gocce d’acqua, tant’è che persino la servitù faceva fatica a distinguerle l’una dall’altra.
    Quanto avrebbe voluto parlarle solo per un attimo, per chiederle consigli su come sopravvivere in quel nido di serpi. Ma in quel momento, Maria Carolina non era lì al suo fianco. Si era sposata quasi in parallelo con lei, lasciando Vienna per la calda e mediterranea Napoli. In una terra così lontana, che sentore poteva avere di ciò che stava accadendo a Versailles? Magari, in quel preciso istante, Maria Carolina si stava immaginando l’adorata sorella come la più felice delle donne, destinata a salire sul trono più ambito d’Europa.
    −Madame, non mi state prestando attenzione – disse in quel momento l’ambasciatore Mercy, facendola precipitare dal suo filo di pensieri, rimasto a Napoli.
    −Mi pare che abbiate già detto questa frase – si schermì Maria Antonietta infastidita.
    Possibile che in quel dannato castello fosse fuori luogo persino pensare?
    −Per la terza volta, Madame – proseguì il conte risoluto. – Possibile che non vi rendete conto dell’importanza della situazione?
    −È solo un ballo! – si lamentò l’arciduchessa.
    −Non è un semplice ballo. In base al vostro comportamento questa sera, si deciderà la vostra sorte qui a Versailles. Dovrete comportarvi rettamente con Madame Du Barry.
    −E come?
    −Provate a parlarle, anche solo a essere gentile con lei.
    Maria Antonietta represse a fatica una smorfia. Da quando i reali dovevano mostrare rispetto per una sgualdrina del genere? Era più di quanto una donna del suo rango potesse sopportare.
    −C’è dell’altro? – domandò in tono annoiato.
    −Sì, cercate di stare con vostro marito.
    −Lui non vuole stare con me.
    −Allora trovate il modo di invogliarlo a stare con voi.
    −Per riuscirci, dovrei proporgli come minimo una battuta di caccia notturna, ma temo che questo sia vietato, nevvero?
    −Tassativamente vietato.
    −Lo immaginavo.
    Maria Antonietta tornò a guardare fuori dalla finestra. Era una limpida giornata d’inverno, incredibilmente soleggiata. Un vento gelido carezzava le basse siepi del parco e i vialetti ghiaiosi. Quanto avrebbe preferito poter correre fuori, piuttosto che restare chiusa lì dentro a sorbirsi la ramanzina quotidiana!
    −Forse è stato un errore nascere femmina – pensò ad alta voce.
    −Prego? – esclamò Mercy scandalizzato.
    −Niente, era solo una mia fantasticheria. Dicevamo?
    −Il ballo di questa sera.
    −Giusto, il ballo di questa sera. Avete qualche idea su come avvicinare Luigi?
    −Cercate di trovare qualche argomento di conversazione.
    −Mmm, vediamo: caccia? Chiavi?
    −Chiavi?
    −Sono la sua passione. Ne fabbrica in gran quantità.
    L’ambasciatore Mercy si faceva sempre più sconvolto di minuto in minuto.
    −Tutto ciò è inammissibile! – esclamò. – Non si è mai visto un erede al trono che passa il suo tempo a fabbricare chiavi come un volgare fabbro.
    −A quanto pare, le cose stanno proprio così – rispose Maria Antonietta esasperata.
    −Dovete trovare il modo di dissuaderlo a qualsiasi costo!
    −Così non farei altro che allontanarlo ancora di più. Mi dispiace, ma, almeno per il momento, non posso.
    Mercy sprofondo ancora di più nella sua poltrona, massaggiandosi le tempie.
    −Devo proprio confessarvelo, Madame – disse in tono esasperato. – Avete sposato un vero imbecille.
    −Lo so – rispose Maria Antonietta, cercando di soffocare i suoi pensieri.
    Il suo destino era ormai segnato. Era ormai incatenata a quell’uomo insignificante, che un giorno sarebbe diventato re. L’arciduchessa tremava al solo pensiero di vedere Luigi con una simile responsabilità tra le mani. Sarebbe stata una catastrofe, ne era certa. E lei sarebbe rimasta prigioniera per tutta la vita.
    Fino alla fine.
 
***
 
“Charlotte, abbassa il volume!”, strillò Rosalie dal soggiorno.
In tutta risposta, la musica house proveniente dalla cameretta non accennò a diminuire.
I bassi rimbombavano sordi da dietro la porta chiusa.
“Dannazione”, ringhiò la ragazza alzandosi in piedi e dirigendosi a passo di marcia verso la camera della sorella.
“Per l’ultima volta, vuoi abbassare il volume di questo coso? Domani ho una verifica di matematica e non riesco a concentrarmi con tutto questo casino”, disse aprendo la porta di scatto.
Charlotte finse di non sentirla, continuando a disegnare.
Esasperata, Rosalie decise di passare alle maniere forti: afferrò il telecomando incustodito e spense lo stereo con un solo gesto fulmineo.
Non l’avesse mai fatto.
Non appena la musica si spense, Charlotte iniziò a strillare peggio di una sirena dell’ambulanza.
Vani furono i tentativi di Rosalie di placarla; un attimo dopo, sua madre era già piombata in camera loro, con il volto imbiancato da un generoso strato di crema.
“Si può sapere che cosa avete da urlare tanto?”, chiese in tono severo.
“Rosalie non mi fa ascoltare la musica”, frignò Charlotte.
“Non riesco a studiare con tutto questo rumore”, si difese l’altra.
“Possibile che devi sempre rendere la vita un inferno a tua sorella?”, le disse Yolande con un sospiro.
“Io?!”, esclamò Rosalie inferocita. “Certo, poi guai a me se prendo un brutto voto a matematica, vero?”.
“Pure io rischio di prendere un brutto voto ad arte!”, strillò Charlotte. “La professoressa ha detto che dovevamo fare un disegno ispirato alla nostra canzone preferita! Ora come faccio, se non posso sentire la musica? Non ho la giusta ispirazione!”.
“Quanto sei egoista, Rosalie”, disse sua madre con un sospiro, esaminando l’acquerello che stava dipingendo la figlia minore. “Sei solo invidiosa di una sorella certamente più dotata di te. Se solo avessi avuto la sua sensibilità artistica, di certo ora non staresti a farti problemi per un po’ di musica”.
“Certo, e magari sarei diventata come te!”, sputò fuori Rosalie con rabbia.
Non stette nemmeno ad aspettare la risposta densa di ripicche di Yolande: afferrò libri e cartella e uscì di casa sbattendo la porta.
Egoista io!, continuava a pensare mentre si dirigeva a passo spedito verso la prima buca della metropolitana. Da quale pulpito mi giungono queste perle di saggezza!
Saltò sul primo treno che le capitò a tiro e prese a contare le fermate che la separavano dalla biblioteca più vicina.
Aveva già perso un’ora preziosa, senza contare l’allenamento si scherma di quel pomeriggio, per di più con una gara imminente, la prima sotto il tricolore francese.
Maledicendo madre e sorella a elevazione di potenza, Rosalie saltò sulla banchina e tornò alla luce del sole, che giocava a nascondino dietro una coltre incandescente di nuvole grigie.
Era una giornata allo stesso tempo calda e coperta.
Rosalie si infilò oltre il cancello di ferro battuto di un giardino pubblico e prese a camminare sul vialetto ghiaioso, quando a un certo punto intravide una figura familiare venirle incontro dalla direzione opposta.
Era Oscar, con i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle e una cartella di pelle che le ballonzolava dalla spalla.
Impossibile evitarla.
“Fortuna che oggi avevi da studiare”, osservò Oscar indovinando i suoi pensieri.
“Ѐ quello che dovrei fare”, rispose Rosalie furibonda. “A casa mia è impossibile aprire libro. Vorrei tanto andare a vivere da sola!”.
“Come ti capisco”, la consolò Oscar. “Anch’io me ne sono dovuta andare di casa”.
“Davvero?”.
“Sì. Avevo appena finito le superiori. Mio padre voleva che mi iscrivessi all’accademia militare per diventare un ufficiale dell’esercito come lui, ma io volevo iscrivermi all’università. Così sono dovuta andare via di casa, lasciando una scia di rimorsi dietro di me. Mi pago gli studi con le lezioni in palestra, visto che mi hanno tagliato i fondi. Giusto mia madre mi manda qualcosa, di tanto in tanto. Mio padre, invece, cerca sempre di trovare l’occasione per piombare a casa mia e farmi sentire in colpa, ma io non demordo”.
“Oh, mi dispiace!”, disse Rosalie, ammirata dal suo coraggio.
“Non importa. Sono scelte che ho fatto spontaneamente e di certo non mi arrenderò per un stupido senso di colpa. Sono una donna forte, io!”, rispose lei con una scrollata di spalle.
“Come ti ammiro! Vorrei poter essere tosta come te, Oscar!”.
“Lo sei, Rosalie, lo sei”, la ragazza le fece l’occhiolino. “Piuttosto, Etienne ti ha dato l’invito per la festa di venerdì prossimo?”.
“No, non credo”.
“Ogni hanno facciamo una festa in occasione dell’apertura del nuovo anno agonistico. Non puoi mancare!”.
“Se trovo un passaggio, vengo volentieri”, rispose Rosalie, felice di poter scappare di casa almeno per una sera.
“Prova a chiedere a Lucile. Lei viene di sicuro. Ah, e la festa è mascherata”.
“Ah”, Rosalie cercò di non sembrare troppo schifata alla sola idea.
Odiava i travestimenti più di qualunque altra cosa.
“Sì, ogni hanno c’è un tema diverso”, proseguì Oscar. “Questa volta, però, direi che Etienne ha esagerato. Temo che si sia fatto influenzare negativamente da Axel”.
“Cosa si sono messi in testa?”.
“Dobbiamo vestirci da personaggi della Rivoluzione francese”.
“Ah”.
Di male in molto peggio.
Dove cavolo lo trovava lei un vestito da Maria Antonietta?
“Per te dovrebbe essere facile rimediare un costume, no? Sbaglio o tua madre è un’attrice?”, le venne incontro Oscar.
“Guarda, preferisco non chiedere alcun favore a mia madre. Magari si mette in testa un’altra volta di iscrivermi a un corso di recitazione a tradimento”, tagliò corto Rosalie.
“Perché, non ti piace il teatro? Io invece lo adoro! Sono in una compagnia insieme ad André…Ehi, che idea! Per il costume, potresti rivolgerti a sua nonna: è un’ottima sarta! Anch’io l’ho ordinato da lei”.
Sentendosi con le spalle al muro, Rosalie non poté fare a meno di chiedere:
“Dove posso trovarla?”.
 
***
 
Madame Du Barry avrebbe festeggiato il proprio compleanno presso il Trianon, un edificio piccolo ma lussuoso costruito nel cuore dei giardini di Versailles.
    Maria Antonietta aveva trascorso tutto il pomeriggio a origliare frammenti di discorsi delle varie dame, cercando di captare il maggior numero di informazioni su ciò che l’attendeva. Non tutti a palazzo erano stati invitati. La festa era destinata a pochi eletti e tra questi c’era proprio la giovane arciduchessa. Sicuramente, quest’ultima era stata l’ennesima trovata del re e di Mercy per costringere le due donne a scambiarsi almeno una parola. A quel pensiero, Maria Antonietta fremeva di rabbia.
    D’altra parte, sempre a detta di alcuni pettegoli, quella sera ci sarebbe stata gente estranea al castello, che proveniva da Parigi. Su di loro giravano le peggiori fantasie. I più malevoli dicevano che si trattasse di amicizie di basso bordo della Du Barry, ma i più ipotizzavano la presenza di acrobati e militari.
    L’unica certezza che si aveva a riguardo, era che la festa sarebbe stata in maschera. Il che significava che più l’abito era sfarzoso e stravagante, più possibilità c’erano di entrare nella ristretta cerchia di favoriti. Considerando il pessimo gusto della Du Barry, Maria Antonietta sapeva che quella sera sarebbe stato difficile entrare nelle sue grazie. Anche volendo, non avrebbe mai abbandonato il gusto dei suoi vestiti dai colori pastello per l’esagerata quantità di piume e merletti rosso acceso che la sua nemica amava. Non si sarebbe trasformata in un pappagallo solo per farla contenta, insomma!
    Tuttavia, fu proprio quello lo stile dell’abito che trovò in bella mostra non appena rientrò nei suoi appartamenti, sorvegliato a vista dall’ambasciatore Mercy.
    –E questo cos’è? – chiese Maria Antonietta furibonda non appena rimase sola con lui.
    –L’abito per stasera, Madame. L’ho fatto confezionare di persona in base ai gusti della Du Barry – rispose lui come se fosse la cosa più normale di questo mondo.
    –Non penserete che indossi questo obbrobrio, vero? Così assomiglierò a una donna di strada!
    –Sono spiacente, ma non avete altra scelta.
    –Sono proprio curiosa di sapere cosa avrà da dire in proposito l’Imperatrice d’Austria, non appena verrà a sapere come si veste sua figlia! – sbottò Maria Antonietta, avvertendo le lacrime che iniziavano a bruciarle agli angoli degli occhi.
    Prima ancora che l’ambasciatore avesse avuto il tempo di ribattere, l’arciduchessa era già schizzata fuori dalla stanza, scoppiando a piangere non appena fu al sicuro nel corridoio. Con suo sommo disappunto, in quel momento le comparve davanti l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento: suo marito.
    –Madame, state bene? – domandò Luigi, sinceramente preoccupato.
    Senza trattenersi oltre, Maria Antonietta gli lanciò le braccia al collo, prendendo a singhiozzare sulla sua spalla.
    –Perché Sua Maestà permette a una donna tanto orribile di dare degli ordini a noi? – chiese disperata.
    –Di chi state parlando?
    –Della Du Barry!
    Luigi le accarezzò la schiena con fare impacciato ma sincero. Maria Antonietta rimase sorpresa da quell’insperato atto di dolcezza.
    –Non possiamo fare nulla contro il volere di Sua Maestà – disse lui tristemente. – Anch’io non sopporto quella donna – si lasciò sfuggire subito dopo.
    –Davvero? – chiese Maria Antonietta incredula, levando il capo verso di lui.
    –Sì, ma che rimanga tra me e voi – si affrettò ad aggiungere Luigi, non riuscendo a sostenere il suo sguardo di ghiaccio.
    –Le vostre parole mi confortano, Monsieur – sussurrò l’arciduchessa con un moto di sollievo.
    –Mi dispiace che anche voi soffriate a causa sua – continuò il consorte. – Vorrei potervi aiutare.
    –Non lasciatemi sola, almeno per stanotte. Non davanti a tutti – implorò l’altra.
    –Non accadrà, Madame. Non posso permettere che vi facciano questo. Potete fidarvi – la rincuorò Luigi prendendo la sua piccola mano tra le sue.
    Maria Antonietta gli sorrise sollevata, mentre il volto le veniva inondato da nuove lacrime. In tutta risposta, lui la strinse in un nuovo silenzioso abbraccio, lasciando che i gesti parlassero al posto delle parole che non riusciva a liberare.
 
***
 
La sartoria di Nanny Grandier si trovava a pochi passi dal Palazzo di Giustizia ed era popolare in tutti i teatri della zona per gli squisiti costumi che ogni giorno uscivano dalla sua macchina da cucire.
Nessuno avrebbe sospettato che dietro quel miracolo di artigianato si nascondeva una signora piccola e mingherlina di quasi ottant’anni, con un carattere guerriero come quello di una tigre.
Faceva quel mestiere da quando aveva dodici anni e da allora non aveva mai smesso.
Rosalie entrò timidamente nel suo laboratorio alle cinque del giorno dopo, ancora spossata dopo la verifica di matematica.
Con sua somma sorpresa, trovò Louis in piedi dietro al bancone.
“Che ci fai qui?”, esclamò sorpresa.
“Nanny è mia nonna”, rispose lui con un sorriso da orecchio a orecchio.
“Sei imparentato con André?”, domandò lei.
“Certo, siamo cugini”, disse Louis. “Immagino che ti serva il costume per la festa…”.
“Festa? Ancora quella festa?”, squittì una voce decisa dal retrobottega.
Un attimo dopo, una vecchietta dal volto paffuto e rugoso fece ingresso nel negozio con le braccia cariche di vestiti.
“Spero che tu non sia venuta a chiedermi un abito da Maria Antonietta o qualche altra aristocratica, eh!”, la squadrò a mo’ di benvenuto.
“Che cosa c’è che non va?”, domandò Rosalie a disagio.
“Nonna, lei è Rosalie Lamorlière, la mia amica di Francoforte”, la presentò Louis.
“Tu, prendi questa roba”, rispose Nanny mettendogli tra le braccia il carico di vestiti che aveva portato dal retrobottega. “Francoforte, eh?”, proseguì rivolta verso Rosalie.
“Germania, non Austria”, si schermì lei. “E comunque a me Maria Antonietta non sta tanto simpatica”.
“Hai ragione, figliola. Gran cosa hanno fatto i rivoluzionari. Senza di loro, a quest’ora saremmo ancora alla servitù della gleba. Niente diritti o uguaglianza. Prima se nascevi aristocratico bene, altrimenti finivi all’aratro per il resto dei tuoi giorni per riempire le loro pance. E invece con Robespierre…zac! Via la testa al re e alla regina”, Nanny sottolineò il concetto colpendosi il palmo della mano a mo’ di ghigliottina.
Rosalie non poté fare a meno di deglutire.
“Ehm, certo signora…”.
“Dunque, hai bisogno di un vestito per la festa, è così?”, chiese la donna.
“Sì, ma non so da cosa”.
“Vado a vedere che cos’ho di pronto. Per fortuna, mi tengo sempre una scorta di costumi di carnevale nel retrobottega, non si sa mai….Torno subito, cari!”.
“Mia nonna è una fan esaltata della Rivoluzione”, scherzò Louis non appena la donna scomparve. “Quando nel 1989 fecero uno sceneggiato per commemorarla, lei fu tra le sarte che realizzarono i costumi. I frac che indossa Robespierre sono tutti suoi”.
“Oh, wow! Ci deve credere proprio sul serio!”.
“Non lo immagini neanche. È di sinistra convinta”.
“Non si direbbe che è tua nonna”, osservò Rosalie pensando ai gusti da nerd di Louis.
“Diciamo che si lamenta spesso con me…”, rispose Louis imbarazzato.
“Ecco qua”, disse Nanny, rientrando in quel momento con le braccia cariche di abiti. “Prova un po’ questi”.
Rosalie prese i costumi senza trovare il coraggio di ribattere e si rifugiò in un camerino.
Aveva l’imbarazzo della scelta tra una divisa da guardia svizzera, un abito lungo da nobile e un semplice vestito color rosa pastello.
Alla fine, scelse quello rosa, più semplice e delicato.
Nanny la costrinse a provare anche gli altri, ma alla fine il parere di Rosalie ebbe la meglio.
“Si intona con i tuoi capelli”, cercò di venirle in aiuto Louis.
“Mmm, e va bene”, si arrese Nanny. “Per questo facciamo cinquanta euro. Quarantacinque, va’, che sei amica di Louis”.
Rosalie pagò il tutto, poi si fece accompagnare da Louis fin fuori dalla porta.
“Avrà pure un pessimo carattere, ma in fondo tua nonna è simpatica”, disse non appena furono entrambi all’esterno.
“Ma sì, è una forza!”, scherzò lui ridendo.
“Quindi verrai anche tu alla festa?”.
“Ovvio! Mi vesto da Robespierre”.
“Con questi occhiali?”.
“Perché? Non posso fare la Rivoluzione dei nerd?”.
Rosalie scoppiò a ridere scuotendo il capo.
“Hai bisogno di un passaggio?”, chiese lui, indovinando i suoi pensieri.
“Magari, grazie! Solo se non è un disturbo”.
“Ma che disturbo, anzi! Sono contento che vieni, così non sto da solo! Da quanto Lucile si è fidanzata, mi ha un po’ abbandonato…”.
“Tranquillo, ci sono io a farti compagnia”, lo consolò Rosalie prendendolo sottobraccio.
Lui le sorrise d’istinto.
“Ci porta mia sorella”, disse dopo un po’. “Ti passo a prendere alle sette e mezzo sotto casa tua, okay?”.
“D’accordo”.
Louis le mise un braccio attorno alle spalle con fare solidale.
Finalmente, la vita a Parigi iniziava ad avere un senso.



                                                                                                                                                         
Note dell'Autrice

 
  • Nel 1989 fu veramente realizzato un film sulla Rivoluzione francese con una dettagliatissima fedeltà storica, a cui prese parte un cast stellare. Potete vederlo in versione integrale seguendo questo link: http://www.youtube.com/watch?v=WsO_yS_-egA
  • Il personaggio di Nanny è in realtà ispirato a una vecchietta fortissima che ho avuto l'occasione di incontrare durante il mio primo viaggio in Francia. Vi posso assicurare che il monologo rivoluzionario, seguito dal micidiale zac! non è frutto della mia immaginazione!

Buonasera a tutti! Come state? Siete anche voi di feste di Carnevale?
Visto che questa è un po' l'atmosfera che si respira da me (è una settimana che sto realizzando Cosplay settecenteschi e ho detto tutto) ho voluto regalare anche a voi un po' di aria festaiola, che preannuncia il prossimo capitolo: lì sì che ne vedrete delle belle!
Colgo l'occasione per salutare la mia sorellona direttamente dall'Austria! Vive la reine!

Grazie ancora a tutti voi che leggete con grandissimo entusiasmo! Spero che i miei personaggi riescano a regalarvi come sempre mille emozioni!
Un bacio e al prossimo giovedì, per fare tutti insieme il grande salto nel tempo!

F.
 
   
 
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