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Autore: Jooles    28/02/2014    8 recensioni
Non raccogliere i pezzi, lasciali pure indietro.
Tanto l'amore è tutto ciò che ti serve.
[SasukeNaruto]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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La storia ha partecipato al "OneShot contest: Angst Vs Fluff" indetto da Jo_gio17 sul forum di EFP

Ecco la seconda storia scritta per il contest, quella angst (l'altra era molto fluffosa invece, e ha vinto nella sua categoria. Sono ancora emozionata *-*). Nel contest non c'era una vera e propria classifica, per ogni categoria vinceva una sola storia.
Il contesto è sempre un ipotetico futuro dopo la guerra.
Vi auguro buona lettura.












 
 
 
Il nulla per lui ha un colore.
È pesante, opprimente, Sasuke riesce a vederlo. Non è niente di paragonabile al buio, quello sarebbe già un qualcosa. Cammina a tentoni, un piccolo passo dopo l’altro. Tasta le pareti perché ancora non si è ambientato, non ha ben memorizzato la conformazione della casa. Ogni tanto passa la mano sui muri alla ricerca di un interruttore della luce, ma finora non l’ha trovato. Quando i polpastrelli percepiscono una crepa più profonda e frastagliata del normale, vi spinge dentro le dita, le sfrega contro il cemento duro e ruvido e non si ferma finché queste non iniziano a sanguinare. Così, dato che non riesce a vedere il colore delle pareti, può immaginare quelle chiazze rosse. Sono l’unica cosa sicura.
Ancora non si è abituato all’asse di legno rialzata appena fuori della stanza dove dorme e ci inciampa ogni volta. D’altronde, occupa quella casa da appena tre giorni.
Sembra quasi che sia la dimora ad essersi adattata alla sua presenza. I muri emettono una sorta di pesante silenzio quando lui li sfiora, come a dire “Siamo qui, non sbatterci contro.”
L’unica certezza sono i rumori. Il più fastidioso è il suo respiro e cosa ancora più frustrante è che non può semplicemente ignorarlo, poiché per la maggior parte del tempo è la sola cosa che sente. Ma è anche l’unica cosa che gli da dimostrazione del fatto che lui, al contrario di quel luogo, è ancora vivo.
Lui esiste, mentre in quella casa c’è il nulla. Fuori c’è il nulla, nel cielo c’è il nulla, anche dentro di lui ormai vi è rimasto poco e niente, poiché non ha più niente per cui valga la pena vivere e presto diventerà solamente un involucro vuoto.
Un nulla.





 



Bastarsi
 

La forza dei raggi del sole di mezzogiorno taglia le finestre e illumina ogni angolo polveroso e decadente della casa. Naruto non crede che sia molto sicuro come nascondiglio, dato che si trova a pochi passi dai confini del Paese del Fuoco, e non appena sono giunti lì aveva pensato che sarebbe potuto bastare per una notte, quel tanto per far riprendere Sasuke.
Ma quello è già il terzo giorno.
Il neo nukenin della Foglia, quello che è diventato proprio da tre giorni, alza di peso la porta completamente scardinata e una volta entrato nella dimora l’appoggia di nuovo alla cornice. Alla faccia della sicurezza. Percorre il lungo corridoio al centro della costruzione. Il muro alla sua destra è macchiato da piccole scie cremisi, intuisce che lui dunque si è spinto fino a lì. Ma le macchie, piccole pennellate, si fermano molto prima della metà del corridoio, perciò a quel punto deve essere tornato nella sua stanza. Un notevole progresso dato che per due giorni di fila non si era alzato dal letto.
Naruto inizia a camminare veloce, quasi si mette a correre. Sa che è ancora lì –dove potrebbe andare?-, ma quando entra nella stanza si sorprende, quasi, nel vederlo ancora sdraiato sul letto.
«Ei, teme, sei ancora a letto? Alzati che ho portato il pranzo!». Naruto urla, lui è fatto così. Si avvicina dove Sasuke è rimasto immobile. Non si è mosso di un millimetro quando il biondo è entrato nella stanza, nonostante l’avesse sentito arrivare già dal bosco.
Naruto lo guarda. È sporco, logoro, una benda bianca a coprirgli gli occhi morti. Sembra quasi mascherato, Sasuke, poiché sullo straccio che gli avvolge il cranio ci sono due macchie cremisi nel punto in cui dovrebbero esserci due neri e profondi bulbi oculari. Fa male, molto più del male fisico che prova Sasuke. Vorrebbe essere lui a non avere più gli occhi, solo per non guardarlo ridotto in quello stato.
“Dallo a me, dammi tutto il tuo male, stupido teme! Perché vuoi tenerlo solo per te?”
Si avvicina alla finestra e cerca di aprirla senza far crollare la persiana tarlata.
«Se continui a stare al buio diventerai un vampiro.» Scherza, ma non sorride nemmeno più, Naruto, tanto sa che non può essere visto. Sasuke sobbalza perché il tonfo che fa la persiana quando viene aperta gli sembra amplificato, come tutti gli altri sensi del resto da quando ha perso quello principale, quello così caro al suo clan. Non è più degno ora di portare il nome degli Uchiha, non ne è nemmeno più il fantasma. Lui è solo un nulla.
«Non ci crederai mai, ho trovato dei pomodori», sente scuotere una busta di plastica, dentro devono esserci gli ortaggi che tanto gli piacciono, secondo Naruto almeno. Lui non ne ricorda nemmeno il sapore.
«Vado a cucinare qualcosa, tu cerca di venire di là», alza una mano col pollice teso, cerca di dirgli che va bene, che ce la può fare a raggiungerlo nell’altra stanza e si illude che lui lo possa vedere.
Quando esce dalla camera, scaglia un cazzotto sul muro.
 
*
 
Sasuke è grato per il rumore di Naruto. Scaccia via il nulla e gli ricorda che non è l’unico essere sopravvissuto al mondo. Quando c’è lui si sente ancora parte di qualcosa, anche se non ha idea di che cosa. Naruto è fastidioso, invasivo, fa cadere le cose, ed è così rassicurante.
Si avvicina alla soglia di quella che una volta, in quella casa distrutta e abbandonata, doveva essere una cucina. Rimane lì, cerca di  non farsi scoprire. Riesce a percepire dei colpetti secchi, come piccoli martelletti su un piano legnoso.
Naruto taglia alla bell’e meglio i pomodori che è riuscito a rubare a una casa di contadini non poco più lontano da lì. Il Naruto di una volta non l’avrebbe mai fatto, ma adesso è solamente lo spettro di ciò che era una volta. Sasuke lo aveva reso così. Era stato per Sasuke che aveva tradito il suo villaggio, per Sasuke era diventato un nukenin. Lo aveva rapito, portato via da coloro che volevano condannarlo a morte per i suoi crimini. Sasuke, Sasuke, Sasuke. Era lui ormai il centro di tutto, per lui si sarebbe ridotto ad essere un mero scheletro di buone intenzioni che poi però si scheggiava, rivelando crepe sempre più profonde.
“Questi pomodori piaceranno a Sasuke.” Ecco la buona intenzione.
“Alla fine, che importa se li rubo? Quei contadini ne hanno a montagne, sono sommersi dai pomodori, loro.”
È per Sasuke. Doveva continuare a ripeterselo, altrimenti sarebbe caduto nel baratro sul quale già era affacciato.
 
«Ce l’hai fatta!», sorride, sorride veramente questa volta e accorre verso di lui per guidarlo a sedersi al tavolo.
«È quasi pronto, eh!», gli dice. Sasuke mugugna qualcosa che dovrebbe essere un assenso.
Naruto torna al loro pranzo, si arrangia con quello che c’è. Un po’ di erbette aromatiche che ha raccolto nei dintorni, pomodori, qualche foglia di lattuga sgraffignata prima di essere visto. In più, c’è della fresca acqua di ruscello. Mette tutto su un tagliere di legno che trova per terra vicino al frigo e lo porta a tavola.
«Spero che ti piaccia, e se non ti piace, be’, puoi scegliere tra una sostanziosa zuppa di miso, una ciotola extra-large di ramen o, ancora, degli spaghetti di soia con carne e porri tritati.» Naruto si gratta la nuca e sorride. Cercare di scherzare, vedendo Sasuke in quello stato, gli porta via più energie del previsto e lo consuma dentro. È come se qualcuno gli scavasse con una vanga nelle interiora, riesce persino a sentire un vuoto in certi punti.
Sasuke allunga la mano verso il piatto e tasta quello che vi è dentro. Afferra un pezzetto di pomodoro con le dita e se lo porta alla bocca. Le sue labbra sono così screpolate che solo provare a schiuderle un pochino gli procura dei piccoli taglietti e iniziano a sanguinare. Mangia, comunque, mangia perché sa che Naruto lo osserva.
«Buono, eh?» gli chiede il biondo.
«…chifo.»
Ha sentito qualcosa, ma non ne è sicuro. È passato così tanto da che Sasuke ha aperto bocca che quasi non la riconosce, la sua voce. È roca, un timido sospiro. Quel tentativo di conversazione gli provoca un ascesso di tosse, quasi si strozza con il cibo che sta masticando.
«Hai detto qualcosa, Sas’ke?», Naruto lo guarda con apprensione, temendo di esserselo solamente sognato. Gli si avvicina e gli batte una mano dietro la schiena, delicatamente, perché gli sembra così fragile che ha paura di poterlo rompere anche solo guardandolo, figurarsi toccarlo.
Sasuke gli allontana la mano, a modo suo gli fa capire che sta bene.
«Fa schifo», ripete. Questa volta Naruto lo sente.
Guarda lui, poi guarda il piatto e la poltiglia che prima ha chiamato “pranzo”, un eufemismo fin troppo tale. E improvvisamente, ride. Non è la risatina nervosa che usa per compiacere, è una risata profonda, sincera. Gli bruciano gli addominali per quanto ride forte, gli pulsano le tempie perché la sua risata è davvero alta di volume. Passano i minuti e pian piano si rilassa, si lascia andare sulla sedia e si asciuga le lacrime.
«Che cazzo ti ridi?». Sembra che Sasuke abbia ripreso il dono della parola e Naruto è così contento di constatare che è sempre il solito stronzo. Allora allunga una mano e cerca quella dell’altro, stringendola. Sasuke all’inizio cerca di sfuggire, ma Naruto salda la presa e allora capisce che non gli permetterà di scappare così facilmente. Rilassa i muscoli e lo lascia fare.
«Hai ragione, fa davvero schifo.»
 
*
 
«Sono diventata lo zimbello del villaggio», Tsunade si morde nervosamente le unghie, gli occhi che schizzano da una parte all’altra della stanza in cerca di una soluzione che spunti all’improvviso da dietro la sedia, da sotto il tavolo, o che faccia capolino dai bordi di una cornice.
Non ce la fa a guardare le persone che ha davanti, potrebbe prenderle a pugni una ad una per la rabbia.
«Quindi ora non abbiamo solo un nukenin in circolazione, ce ne sono ben due!», sbatte il palmo della mano sulla scrivania, alcuni fogli volano per terra e Shizune è pronta a raccoglierli.
Sakura trema e sussulta alla parola “nukenin” riferita ai sue due compagni, come se qualcuno le avesse senza preavviso staccato una ciocca di capelli.
L’Hokage si passa il volto tra le mani e cerca di regolare il respiro affannato dall’ira. Doveva dichiarare lo stato di emergenza, era previsto dalla legge, e questo la feriva più di ogni altra cosa.
Sakura sa bene il motivo di tanta agitazione. Se Sasuke fosse rimasto dove si trovava, in carcere, solo per altri pochi giorni, molto probabilmente sarebbero riusciti a trovare una soluzione. Avrebbero potuto convincere gli altri, il consiglio degli anziani in primis, poi l’intero villaggio, che in fondo non era così pericoloso. Tsunade-sama ci credeva, speranza rinvigorita anche dal fatto che fosse riuscita ad evitare la pena di morte.
«Non possono essere lontani», propone Shizune. Tsunade invece ne è sicura, Sasuke è conciato troppo male per essersi spinto troppo oltre, anche se ad aiutarlo c’è Naruto.
Naruto. Anche solo pensare a quel nome si sente un blocco sullo stomaco che non riesce a vomitare. Ripensa a Kakashi, che è distrutto, che si chiede ancora dove ha sbagliato con i suoi allievi.
«Magari si rifugiano non lontani da qui. Forse aspettano che Sasuke si senta meglio prima di scappare», e a Sakura le vengono in mente le immagini di qualche giorno prima, quando era andata a trovare il suo vecchio compagno di team in cella.
Sasuke era accucciato in un angolo della gabbia quadrata, la testa poggiata contro il muro.
«Sasuke», era entrata, anche se non sapeva se avvicinarsi più di tanto. Ad ogni suo passo Sasuke si spiattellava sempre più contro il muro.
«Nh.» Era tutto quello che era riuscito a dirle. Sakura allora si era fermata al centro della stanza e il buio dei seminterrati copriva il volto del compagno di squadra. Sì, perché Sakura ancora ci credeva che fossero una squadra.
Poi Sasuke si era mosso. Aveva allungato una gamba e Sakura aveva potuto constatare che quella formava un angolo innaturale a partire dal ginocchio. Molto probabilmente era rotta. Con una spinta e un lamento strozzato, Sasuke si era alzato. Adesso era lui a venirle incontro e la flebile luce che proveniva dal corridoio rivelava ad ogni passo verso questa una parte del suo corpo. Sakura era rimasta inorridita quando era riuscita finalmente a vederlo in volto. Non gli avevano nemmeno concesso la dignità di coprirgli le orbite vuote. Sakura non poteva ricordare ora, a giorni di distanza, se avesse prima pianto o vomitato. Forse tutte e due le cose insieme. Poi era corsa dall’Hokage, riversando tutto il suo sdegno per le condizioni in cui era stato abbandonato il nukenin da quando l’avevano salvato dagli interrogatori della polizia segreta di Konoha, di cui non erano stati minimamente a conoscenza, e che l’avevano ridotto in quello stato pietoso.
 
«Ho radunato delle squadre di ANBU per la ricerca e ho restituito a Kakashi la sua carica di comandante. Tu sarai nella squadra sotto il suo comando, Sakura.» Tsunade è risoluta mentre lo dice, mentre impartisce ordini a destra e a manca. Non vuole dichiarare lo stato di emergenza, non le serve che gli altri paesi istituiscano taglie sulle teste di due cittadini del suo villaggio, del posto che lei protegge.
Eppure sente di aver fallito, Tsunade. Perché non può più proteggere un intero villaggio se non è stata nemmeno in grado di salvare due persone dal precipizio.
 
*
 
Il quinto giorno Sasuke è arrivato fino alla soglia della porta d’ingresso. Naruto lo ha fermato in tempo, prima che uscisse, ma è contento di vedere che almeno ci sono dei progressi e che c’è voglia di fare da parte sua.
«Devi stare attento, se qualcuno ti vede siamo fottuti», gli aveva detto.
 
Naruto sa che prima o poi dovranno lasciare quel luogo. Conosce troppo bene nonna Tsunade, Sakura, Kakashi, e sa che saranno già sulle loro tracce. Naruto non può spiegargli che è meglio per Sasuke se loro se ne vanno perché sa anche fin troppo bene quanto egoista sia quella scelta. Le Cinque Terre si rivolteranno non appena verrà fuori la notizia della fuga del traditore della Foglia, rapito dal salvatore, colui che aveva messo fine alla guerra. Ironico.
Si avvicina alla camera da letto dove Sasuke, molto probabilmente, sta già dormendo. Sa che ad ogni passo verso la stanza si avvicina anche il momento che più teme. Deve dirglielo, deve fargli sapere che non è sicuro quel posto e sa già che si odierà perché Sasuke non lo contraddirà, nonostante non si regga in piedi, nonostante ogni inalata d’aria per lui è una stigma che gli si conficca nei polmoni.
Aveva ragione, Sasuke è di nuovo crollato dalla fatica di rimanere sveglio. Non sferra l’ennesimo pugno al muro solamente perché lo sveglierebbe. Si avvicina al letto e vi si sdraia lentamente, cercando di non far sobbalzare troppo il materasso. Rimane lì a guardarlo respirare. Ogni tanto il corpo fragile di Sasuke è colpito da un tremito, forse gli incubi sembrano ancora troppo reali, e Naruto si chiede quante volte può morire un uomo prima di morire davvero. Sasuke inizia ad agitarsi e Naruto prende a carezzargli il volto, sussurrando qualche «Shhh» di tanto in tanto e sembra che il ragazzo lo ascolti. Inizia a calmarsi ma l’altro non smette di coccolarlo, le sue mani che si muovono a ritmo del respiro di Sasuke.
«Nh.» Accidenti, l’ha svegliato.
«Na…ru…to.»
«Sono qui», lo rassicura. Sasuke sembra capire e distende i muscoli.
«Senti, teme, devo dirti una cosa.» Non serve a niente prendere tempo anzi, è addirittura tardi e se vuole salvarlo, se vuole salvare se stesso facendo qualcosa per Sasuke, Naruto sa che deve dirglielo e poi mettere immediatamente in atto un piano.
«Dobbiamo andarcene da qui, sono passati troppi giorni e qualcuno potrebbe essere sulle nostre tracce.» Forse lo ha detto in maniera troppo drammatica.
«Ci sono un sacco di rifugi lì fuori e poi basta superare i confini del paese e saremo più tranquilli!» Sasuke lo sente sorridere e ne è grato, anche se quel sorriso è falso quanto le bugie.
«Domattina lasciamo questa casa.» Sasuke annuisce, gli fa intendere che ha ricevuto il messaggio. È troppo stanco e di parlare non se ne parla proprio.
Naruto lo osserva mentre l’altro ricade lentamente nel sonno. Solleva un dito e lo passa lungo tutto il profilo del suo volto. La fronte bianca, il naso freddo, le labbra screpolate; è lì che si sofferma, le carezza. Sospira un “Notte, teme” e lo bacia. Le loro labbra rimangono unite per un po’ e Naruto capisce che ha un bisogno disperato di quel contatto, come se fosse acqua e lui avesse sete da anni. Sasuke all’inizio fa uno scatto, come quando si viene risvegliati da un forte rumore improvviso, ma poi capisce che si tratta solo di Naruto, solamente di quel dobe. Non ha la forza per cacciarlo, per spingerlo via e sputargli addosso qualche parolaccia solo per difendere il suo orgoglio, così sporge leggermente, quasi impercettibilmente, le sue labbra verso le altre. Naruto ha agognato quel contatto da sempre ed è con una foga quasi morbosa che lo tira verso di sé, tenendolo stretto - per quanto i grugniti di dolore di Sasuke lo permettano - come per paura che scappi di nuovo, che lo abbandoni come aveva fatto anni prima. Gli preme una mano dietro la nuca per avvicinarlo ancora, come se già non lo fosse abbastanza. C’è un qualcosa di dolce e al tempo stesso disperato nel modo in cui intreccia le gambe con quelle del moro, struscia i piedi contro le sue caviglie ossute, come a volerlo incatenare a lui. Gli passa una mano dietro la schiena, ne vuole sentire tutto il calore per quel poco che ne è rimasto, si sofferma su ogni singola vertebra che sbuca prepotente dalla pelle sottile quanto un velo d’aria. Lo bacia, la sua lingua che cerca disperatamente l’altra e sussulta nel sentire quel contatto caldo, l’unico di Sasuke in contrasto con il suo corpo freddo e immobile.
Una volta Sasuke Uchiha era bello. Era una di quelle persone che avrebbero conservato la loro bellezza in qualunque situazione. Non poteva non ricordare le occhiatine svenevoli di Sakura nei suoi confronti e non poteva nemmeno dimenticare la sua gelosia.
Ma ora c’è lui lì con Sasuke, lui soltanto può passare le sue mani sul corpo e non c’è niente di malizioso o di volgare nel modo in cui esplora anche le parti più intime: è come se volesse fargli capire che lui lo trova ancora bello, nonostante la sua condizione, e che quel sentimento non sarebbe mai cambiato.
Si addormentano così, stretti l’uno all’altro, consapevoli che l’indomani sarebbe stata un’altra battaglia.
 
*
 
«Abbiamo rilevato movimenti all’interno durante la giornata, ma non sappiamo chi possa esserci», un ANBU fa rapporto al suo caposquadra. Kakashi fa cenno agli altri ninja di tenersi nascosti dietro i cespugli. Di fronte a loro c’è un piccolo spiazzo, si vede che gli alberi tutt’attorno sono stati abbattuti prepotentemente per poter costruire quella piccola casetta lì, nel bel mezzo del nulla della foresta. È una costruzione in malora, che ha insospettito la squadra di ricerca. Poteva benissimo diventare il rifugio ideale per dei fuggitivi.
Proprio come quelli che cercavano loro.
«Sakura», bisbiglia, richiamando all’attenzione l’ex allieva. Sakura striscia sull’erba, avvicinandosi all’uomo con i capelli argentati. Non riesce a vedere il suo volto, sia a causa della maschera sia perché le fronde degli alberi sono talmente fitte che nemmeno il più flebile raggio di luna può illuminarlo. Nonostante ciò riesce comunque a percepire le labbra tese dall’ansia del suo sensei, gli occhi concentrati e lo sharingan pronto a scattare per qualsiasi evenienza.
«Segui Genma e Raido di lato, c’è una finestra. Riferisci al gruppo 3 di circondare l’edificio, mentre ne voglio due appostati sul tetto, nel caso ci sfugga qualcosa.» Sakura annuisce e inizia a trascinarsi sui gomiti per riferire immediatamente gli ordini, ma si blocca subito, sente la mano del maestro afferrarle l’avambraccio. Si gira e questa volta a guardarla c’è l’occhio, quello senza la cicatrice, quello che non le fa salire le lacrime ogni volta perché le ricorda Sasuke.
Kakashi fa scivolare la mano lungo il suo braccio, fino ad accarezzarle le dita sottili; le stringe tra le sue e annuisce. In un qualsiasi altro momento Sakura avrebbe ricambiato con un sorriso, anche solo per ringraziare il suo maestro per non averla lasciata andare da sola. In quel momento invece qualsiasi cosa volesse fare le si bloccava nella gabbia che si era costruita dentro. Riusciva a sentire i sentimenti spingere, cercare di passare attraverso lo spazio sottile tra le sbarre, ma non c’era niente da fare. Fin quando non avesse portato Naruto e Sasuke a casa, da lei, l’essenza di Sakura le sarebbe rimasta dentro a marcire e a putrefarsi.
Riesce a intravedere due jounin dietro gli alberi, con la testa gli fa cenno di avanzare. Aspetta che si muovano, poi li segue. Non è difficile arrivare sotto la finestra, l’unica, della costruzione; da quel lato vi sono infatti degli scheletrici alberelli che coprono perfettamente le loro figure.
Tutti e tre si appoggiano al muro. Attendono il segnale.
 
Spalanca gli occhi all’improvviso, quell’azzurro che buca la tenebre. Trattiene il respiro, che è talmente forte in tutto quel silenzio che potrebbe coprire qualsiasi altro rumore. Ha sentito qualcosa, un movimento, c’è qualcosa di vivo in quella casa così morta. Aguzza l’udito, ma sente solo aria entrargli nelle orecchie. Sta per affondare di nuovo la testa nel cuscino, quando ecco che lo sente ancora. È lieve, appena accennato, quasi come una foglia che si poggia sull’erba, eppure lo percepisce. Forse perché l’unico rumore che ha sentito negli ultimi sette giorni è il silenzio, perciò qualsiasi altro gli sembra rimbombare come un carro armato nelle tempie. Qualcosa si muove, ed è sopra di loro.
Naruto spalanca le palpebre fino a sentirsele tirare, ciò che aveva temuto ora sta bussando alla loro porta. Smuove delicatamente Sasuke per un braccio, l’Uchiha annuisce. Ha già capito tutto.
«Ci hanno trovato.»
 
È il segnale che aspettavano. Sakura si infila per prima attraverso la persiane della finestra, Genma e Raido la seguono. Atterrano silenziosi in quella che sembra una camera da letto. C’è un materasso senza coperte e dei cuscini sgualciti. Genma si avvicina al guanciale e vi posa una mano sopra. Dal calore deve aver capito che qualcuno vi dormiva sopra solo qualche minuto prima. Sakura fa cenno di proseguire nel resto della casa, lei si sofferma lì ancora un po’. C’era qualcuno fino a poco fa. Sakura sa che si tratta di loro, ne sente l’essenza in quella casa. È triste, proprio come gli occhi di Sasuke.
Quelli che ora non ha più.
Si avvicina al letto, si siede per un attimo e abbraccia un cuscino. Lo riconosce, è il calore di Naruto, quel calore così travolgente che aveva sentito solo addosso a lui.
Devono essere ancora lì, non possono essere scappati, la casa è circondata ad ogni angolo.
Sakura poggia il cuscino dove lo ha trovato, si alza in piedi e raggiunge il centro della stanza. Si guarda intorno. Sa che sono in quella casa, che sono vicini a lei, eppure non li ha mai sentiti così lontani.
Esplora ogni centimetro della stanza, perfino nei posti dove sa di non trovarli, sotto il letto, nel bagno. C’è un mobile vicino alla porta, apre tutti gli sportelli, ma dentro trova solamente strati di polvere grossi quanto la sua angoscia.
Le manca da guardare dentro all’armadio, quello vicino alla finestra con un’anta scardinata. Un piede dopo l’altro si avvicina, mentre ascolta i passi dei ninja nelle altre stanze che cercano freneticamente un indizio che possa dargli la certezza che li ci sia davvero stato qualcuno, che non se lo sono solo immaginato.
Allunga una mano e tira verso di sé la maniglia.
È un attimo, il pavimento sotto i suoi piedi diventa di gelatina e lei inizia a sprofondare lentamente, con la consapevolezza che morirà annegata nel suo stesso dolore, anche se non sa quanto ci vorrà.
Sono rannicchiati in un angolo, schiacciati più che possono verso il fondo dell’armadio. Naruto è seduto con le gambe incrociate, Sasuke sopra di lui. Con quella benda sugli occhi sembra che stia dormendo. Il jinchuuriki se lo tiene stretto addosso, come se Sakura potesse strapparglielo via da un momento all’altro; gli carezza meccanicamente i capelli corvini e suoi occhi dilatati dicono “È mio, non puoi portarmelo via.”
Sakura prova ad alzare lentamente una mano ma Naruto si ritira ancora di più verso il fondo dell’armadio, spaventato, mantenendo una stretta ancora più salda attorno all’esile corpo di Sasuke.
Si guardano e basta, verde contro azzurro, ma poi è Sakura la prima a cedere. I suoi occhi si posano sulla mano di Naruto stretta attorno al fianco di Sasuke e capisce che non c’è spazio per lei in quell’armadio, non c’è mai stato. Gli occhi di Naruto la supplicano di non dare l’allarme, di mentire dicendo di non averli trovati. Sakura non può stringersi tra loro in quell’armadio, in tre non entrerebbero.
È uno spazio fatto solo per Naruto e per Sasuke.
Ci prova a non piangere, Sakura, perché ha paura che il peso delle lacrime, intrise di una malata disperazione, alzi schegge di legno toccando il pavimento e si farebbe solo più male di quanto già non ne provi.
Naruto schiude le labbra, non ne esce alcun suono ma Sakura riesce a leggerle. “Ti prego”, la supplicano. La implorano di stare zitta, di mettersi da parte.
Sente dei passi rimbombare nel corridoio, una voce si affaccia nella stanza e Sakura chiude di scatto l’anta. Lo sguardo angosciato di Naruto è la cosa che vede per ultimo.
«Trovato niente?», è la voce di Kakashi.
Sente i due ragazzi dentro l’armadio trattenere il respiro, percepisce tutta la loro disperazione dagli sportelli chiusi, e anche se loro non la perdoneranno mai sa qual è la cosa giusta da fare.
«Niente.»
Eppure non la fa. Perché nonostante non ci sia spazio per lei tra Naruto e Sasuke, loro due sono l’unica cosa che occupano il suo, di spazio.
È per questo che Sakura Haruno muore quella sera mentre, andando via, lascia se stessa in quella casa.
 
Naruto libera un profondo sospiro. Poggia la sua fronte contro quella di Sasuke, le lacrime che cadono sul volto dell’Uchiha. Sasuke le sente e con una mano tremolante le asciuga.
Se ne sono andati.
Il ragazzo biondo inizia a ridere e mentre strizza gli occhi le lacrime scivolano più in fretta. Il petto è scosso dagli spasmi e cerca di calmarsi quando Sasuke protesta perché se si muove troppo gli fa male.
«Sono… andati?», chiede il moro a fatica.
Gli occhi di Naruto rivedono Sakura, l’espressione angosciata mentre capiva che l’avevano messa da parte.
Sakura-chan, ci hai salvati per l’ultima volta.
«Sì. Siamo soli», lo rassicura.
Sasuke rilassa i muscoli e Naruto accoglie con piacere tutto il peso del suo corpo sopra di sé.
Lo stringe, e rimangono ancora per un po’ dentro l’armadio.
 
Alla fine non importa quel che faranno da quel momento in poi; non gli interessa ricordare la sensazione del vento fresco della mattina sulla pelle, o i capelli appiccicati sulla fronte per la pioggia. Non gli interessa riprovare la sensazione di camminare o correre all’aperto, spiati solamente dalle stelle sopra le loro teste. Non gli interessa percepire il sapore della libertà sulla pelle, mentre camminano a testa alta per strada. Sanno entrambi che quelle sono cose che non gli mancheranno. C’è Naruto, c’è Sasuke, e va bene così.
Sono insieme, e si bastano.
 
 
 
 
 
 
 





n/a
Ci sarebbero da dire un sacco di cose su questa storia. La prima è che non sono per niente soddisfatta di come è venuta fuori. Avevo un'idea bellissima in testa, che però sono riuscita a rovinare. Di sicuro avrei voluto che diventasse una mini-long, almeno due o tre capitoli per evidenziare di più i sentimenti, ma poiché per le regole del contest non poteva sforare le 5000 parole mi sono ritrovata a buttare giù un'accozzaglia bruttissima di parole che non mi piace per niente. Per-nien-te.
Avrei potuto ordinare meglio le idee, ma ormai quel che è fatto è fatto. 
Spero che mi direte cosa ne pensate con una piccola recensione, anche solo per farmi sapere che fa schifo, tanto già lo so, tranquilli. :)
Alla prossima, con qualcosa di più decente e meno da tagliarsi le vene, giuro!
<3

 
  
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