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Autore: Lily1013    24/06/2008    0 recensioni
Perchè ci sono cose che devono essere sconfitte, ed altre che invece sarebbe meglio lasciar crescere...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Proviamo ed andiamo avanti, giorno e notte

Proviamo ed andiamo avanti, giorno e notte

E proviamo, proviamo a prendere le decisioni giuste

Lo facciamo

E proviamo, proviamo a trovare la strada giusta

Per me e te

(Frameless – I try)

- Auguste, tu devi fare qualcosa!

Ma Auguste non sa cosa fare.

- Non sta bene, Auguste. Non sta affatto bene. Questo matrimonio è stata la peggior sciocchezza che tu le abbia lasciato fare.

- Ah, questo no! – Auguste sbotta, puntandole un dito contro. – Io ho sbagliato, è vero, ma proprio di questo non puoi accusarmi. Io non volevo, e tu lo sai!

- Avevi un’opportunità, e non l’hai colta… - mormora. Non voleva dirlo. Non era il momento tirare fuori storie vecchie di mesi, non in questo momento. – Comunque, dobbiamo fare qualcosa.

- È grande, e quello resta suo marito. Deve venirne fuori da sola, è questo che le ho cercato di insegnare per trent’anni.

- E glielo hai insegnato, Auguste. L’hai resa libera, capace di prendere le sue scelte, ma non l’hai lasciata vivere. Non ha preso una sola decisione che non fosse guidata indirettamente da te. Non sa, non conosce, lei non… - non sapeva più cosa dire. Stava per piangere. Perché sembrava non capire?

– Sola, Auguste. È completamente sola, che vive una vita che non le appartiene, un marito che non la ama e che… - si ferma. Non può dirglielo. Se lo conosce bene, sa che non può dirlo.

- Cosa, Marie? Cosa? – lui è l’unico a chiamarla Marie. Stavolta c’è apprensione nella sua voce, e, quando si volta, finalmente, a guardarla, panico.

- Lui l’ha picchiata, Auguste. Lei ha la tisi e lui l’ha picchiata perché ha paura di essere contagiato, e di aver contagiato la regina.

Lo dice tutto d’un fiato. Guarda le sue espressioni oscillare tra la collera e la paura. L’uomo è spaventato dalla malattia, così come è spaventato dalla quantità di dolore che una donna può sopportare durante il parto. L’uomo sa che una donna è superiore proprio per questo, ma non lo ammetterebbe mai.

- Ascoltami, Auguste, e guardami – Marie gli prende un braccio, Auguste ha le labbra serrate. – Non importa a quale costo, con quale scusa o quanto Marguerite urlerà, ma tu, noi, dobbiamo tirarla fuori da questo inferno.

- Come un maschio, Marie, l’ho cresciuta come un maschio perché non subisse quello che le altre sono state costrette a subire. L’erede, il figlio maschio, certo, ma anche la sicurezza che, quando non ci sarei più stato, sarebbe stata in grado di cavarsela da sola. – Si accascia in poltrona, chiude gli occhi. – Non mi è mai piaciuto. Perché ha dovuto sposarlo?

A questo, Marie non risponde. Entrambi conoscono la risposta, e anche quelle segrete che non possono essere rivelate ad alta voce. Marie gli accarezza una spalla: nessuno, tranne lei, sa quanto quest’uomo ami sua figlia.

- La tisi… - bisbiglia lui. Marie ha già versato le sue lacrime, ma adesso tocca ad Auguste affondare il viso nelle pieghe del suo vestito e piangere.

- Buongiorno, Oscar.

Una volta, si sarebbe data la pena di alzarsi, fare un mezzo inchino e guardarla. Adesso, continua a starsene seduta alla finestra, a fissare il triste vuoto della sua esistenza.

- Buongiorno, madre.

Marguerite non capisce. Sa, sa tutto, pensa di sapere tutto, ma non capisce.

- Hai visto? Sono tre giorni che piove. Tutta questa pioggia mette di cattivo umore la Regina, sai… .

Oscar mostra un sorriso affranto ai vetri bagnati. Sospira, poggiando la testa sulla spalla.

- Sono stanca, madre. Se c’è qualcosa che dovete dirmi fatelo in fretta, vorrei riposare.

Marguerite sbuffa, contrita. Finalmente si avvicina a quella figlia che è peggio di un’estranea e le si para davanti.

- Tuo padre – le allunga un biglietto. – Dice che ha saputo che non stai bene. Ti vuole a casa.

Oscar prende il biglietto del padre. Nota la scrittura tremante, e lo vede, dopo cena, scrivere quel pezzo di carta con la supervisione della nonna dietro le spalle, come faceva con lei e con Andrè, quando dovevano finire i loro compiti di grammatica prima di andare fuori a giocare.

Pensa che un pezzo di carta non l’ha fatta sentire più allegra negli ultimi tempi.

- Cos’è questa storia che non stai bene?

Grazie, madre, per preoccuparti per me, sei davvero, davvero, gentile.

La guarda, e pensa che sia impossibile che una madre non si accorga di determinate cose. Ha perso sette chili in quattro mesi, è pallida come la morte, non ricorda com’è fatto il sole.

- Non sto troppo bene – risponde laconica. Cosa dire, altrimenti?

Allora si preoccupa di cosa sappia suo padre. Non è da lui, d’altronde, tirarla fuori dai guai, lui si aspetta da lei la completa padronanza della situazione in ogni circostanza. Spera che non sappia della sua malattia, ed ancora meno spera che la nonna non le abbia detto della discussione che ha avuto con Hans.

- Non stare via molto, se decidi di andare – conclude per lei la madre. – E ricorda – abbassa la voce, come se qualcuno le stesse spiando – devi dare un erede al conte di Fersen il più presto possibile. A Corte si mormora.

Volta lo sguardo dall’altro lato. Vorrebbe piangere, ed urlare, ma non ricorda più cosa vuol dire.

- Andrè!

Lo chiama mentre sta ancora girando la chiave nella toppa. È una sua abitudine, come si assicurasse che stia ancora lì.

- Se continui così, la gente comincerà a parlare, Alain. Ne va della tua reputazione.

È la cosa più vicina ad una battuta che gli ha sentito fare negli ultimi mesi. È una di quelle giornate positive, e vorrebbe pensare che sta iniziando a stare meglio, ma sa che non è così.

- Ti piacerebbe, eh? – cerca di scherzare. Lui prova a fare un sorriso, ma la smorfia che ne viene fuori non assomiglia ad un ghigno neanche con l’immaginazione.

Prende posto accanto a lui, sul divano, come tutte le sere. Si versa del vino: Andrè vive con una bottiglia di vino attaccata al fianco, dove una volta aveva la spada.

Non gli pesa avere Andrè in casa, specialmente da quando anche sua madre è morta. È meno triste per entrambi, ma per motivi diversi.

O forse è lo stesso, ma Andrè non lo saprà mai.

Andrè non sa quanto era bella quando si è sposata.

Andrè non sa che Alain è entrato in chiesa nel momento in cui il prete recitava la formula “… parli ora, o taccia per sempre”. Gli invitati si erano voltati a guardarlo, lui aveva riso ed aveva detto: “Se non lo sa lei perché non dovrebbe sposarlo, non sarà certo un suo subordinato a dirglielo”. Lei allora aveva abbassato la testa, e Fersen aveva detto al prete che si poteva continuare.

Alain sapeva che se al suo posto fosse entrato Andrè, chissà, forse non sarebbe lì in quel momento.

Ma Andrè non avrebbe potuto sopportare oltre.

Andrè aveva urlato, strappato tende, rotto vasi, bicchieri, calciato muri.

Alain era solo andato nel suo studio, e l’aveva chiamata puttana.

Oscar aveva risposto: “Se devi dirmi solo questo, puoi anche togliere il disturbo”.

Andrè aveva lasciato palazzo Jarjayes e la Guardia Metropolitana.

Alain l’aveva accolto in casa.

Oscar aveva sposato il conte di Fersen, si era trasferita a Versailles ed aveva abbandonato il Comando.

Andrè aveva detto tutto ad Alain, in uno dei suoi deliri da ubriaco: di Fersen, delle rose, dei lillà, delle assurde richieste di Maria Antonietta e della totale devozione di Oscar verso la sua Regina. “È una richiesta che viene da Sua Altezza la Regina di Francia, Andrè: mi ha salvato la vita, ricordi? Le devo qualcosa”.

Ma qualcosa non significa mettersi nelle mani di Fersen per coprire la relazione illecita che c’è tra lo svedese e l’austriaca.

In giornate positive, Alain aveva proposto ad Andrè di diventare l’amante ufficiale di Oscar, così come Fersen lo era della Regina.

Andrè lo aveva schiaffeggiato. La questione era finita lì.

“Almeno Girodelle l’avrebbe resa felice” lo trovava a dire ogni tanto.

Andrè non avrebbe sofferto tanto se il marito l’avesse resa felice, ed Alain non avrebbe sofferto tanto se fosse stato Andrè a renderla felice.

Eccolo, l’ennesimo sospiro.

Alain pensa che è molto più facile sparare a qualcuno, che dire quello che deve dire ad Andrè.

Immaginò che solo una persona come la vecchia signora Grandier l’avrebbe potuto convincere a fare una cosa del genere.

- Andrè, ho visto tua nonna. – Vai, dritto al punto.

- Alain… - si lamenta Andrè.

- Mi ha chiesto di te, se stavi bene. Le ho risposto di sì, così non stava in pensiero – Come premio per la sua bugia, riceve un assenso del capo. – Mi ha detto di chiederti se puoi tornare a casa.

Andrè sospira ancora. Scuote la testa.

- Puoi dirle, se dovessi rivederla, che può venire qui quando vuole. Io non ho intenzione di andare da nessuna parte.

Fosse così facile… .

- Io penso che tu dovresti andare. – Andrè lo guarda, con quello sguardo vuoto e triste che ha su da mesi. Il suo occhio vacilla da un po’, ma resiste. Quando beve molto, lo sente urlare: “Perché Dio mi hai lasciato quest’occhio, cosa mi è rimasto da vedere?”. – Penso che dovresti andare appena puoi.

Andrè corruga la fronte.

- Oscar è tornata a casa.

  
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