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Autore: gattapelosa    02/03/2014    4 recensioni
Stop! Non andate oltre, questo Regno non è Regno per voi. È terra di follie: vi vive Biancaneve nella comicità della sua vita futura, Ariel e i suoi incontri piccanti, il Genio nella lampada, Cenerentola coinvolta nel mistero del padre deceduto, Alice nella magica terra di "MaChiCazzoHaInventatoStaRoba"...
Io vi ho avvisati, non entrate. Non siete abbastanza forti.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Il coccodrillo che vendeva sogni 




Il Paese delle Meraviglie fa luce pure di notte, ma non ci sono stelle, né luna. Il Paese delle Meraviglie ha tanti cartelli e nessuna indicazione, tante persone e nessuno con cui parlare, tante cose spaventose, e niente che faccia veramente paura.

Il Paese delle Meraviglie è una vera meraviglia, sul serio, ma andarsene… andarsene è troppo difficile. E me ne rendo CONTO dopo ore di tormentato viavai, quando anche la fatica smette di farsi sentire - gira e rigira, torno sempre dove ho cominciato.
— Oh, ma è impossibile!— sbotto, lasciandomi scivolare su di un masso. — Non tornerò mai a casa.
Allora aspetto, perché se nel Paese delle Meraviglie dici qualcosa come “non tornerò mai a casa” e poi aspetti, qualcosa succede davvero. Passano cinque minuti e ci siamo ancora solo io, l’albero e il masso. Ne passano altri cinque e compare un uccello, che poi vola via. Ancora tre e mi rompo le scatole.
— Ma stiamo scherzando?— chiedo. — Mi avete fatto cantare con le margherite, nuotare in una bottiglia, bere con un leprotto il giorno del suo non-compleanno, e quando sono io che chiedo qualche stranezza, questa non arriva?
Risponde il vento, e sembra quasi che rida. Allora finalmente mi convinco che rimanere buona qui ad aspettare non porterà a niente; mi alzo e faccio un paio di passi verso il buio più buio del bosco. Poi sento un campanello. Dal buio più buio – che comunque è pieno di luce, perché siamo nel Paese delle Meraviglie – vedo barcollare un carrettino basso, legnoso e pieno di cose rotonde. Meno strano di tutto il resto, a trainare il carrettino c’è un coccodrillo.
Mi si avvicina pigramente, scampanellando, ma tanto i coccodrilli sono pigri di natura e non me ne stupisco affatto.
— Mi scusi!— grido, avvicinandomi. — Mi scusi, si fermi!
Il coccodrillo esce giusto un po’ dal buio più buio, ma pieno di luce, da cui viene. Ora noto che indossa un mantello color kaki e due bizzarre pantofole a forma di rana.
— Che strano. — sussurro.
— Che cosa è strano?
— Perché lei porta delle pantofole a forma di rana?— chiedo, indicando le ciabatte.
— Dicono porti fortuna. 
Annuisco, c’è da dire però che le rane non mi sono mai piaciute, e nemmeno i coccodrilli, tra l’altro. Comunque questa sembra una persona affidabile, meno bizzarra dello Stregatto.
— Senta, io vorrei chiederle un’indicazione.— dico allora —  Mi piacerebbe tanto poter TORNARE a casa, che strada devo prendere?
Il coccodrillo sembra sinceramente imbarazzato nell’abbassare il capo e grattarsi il dorso.
— Mi spiace, bambina, non ne ho idea. Non sono che un umile VENDITORE di sogni.
Per la prima volta presto caso alle bizzarre cose rotonde che porta sul carrettino basso e legnoso. Hanno tanti colori diversi, alcune sono più luminose di altre, o più grandi, o più tonde, e sembrano stanche di starsene ferme lì a far nulla.
— Questi sono sogni?— domando, prendendone uno tra le mani.
— Oh, sì! Sono i sogni più belli che ho, vuoi comprarli? 
— Mi farebbe molto piacere. — rispondo, dispiaciuta. — Ma non ho soldi.
Il coccodrillo se la ride di gusto, piegato in due. Non ho mai sentito ridere un coccodrillo, sembra un vecchio motore arrugginito, e non so se offendermi o ridere con lui.  
— Bambina mia, ma tu sei piena di soldi!— dice, asciugandosi una lacrima, perché i coccodrilli, quando ridono, piangono tanto.
— No, si sbaglia. — rispondo.
— Ma sì, ti vedo! Tu sei piena di soldi. Guarda, ce li hai pure sulla testa. — mi illude, quando sulla mia testa non c'è proprio nulla.
— Ho solo capelli.
— Appunto! Per una ciocca di capelli, posso regalarti il sogno di una tavola imbandita, con tacchino, aragosta, frutta, verdura, dolci e tanto miele.
Ma io non ho fame e rispondo di no, anche perché ci tengo ai miei capelli. Il coccodrillo però non si lascia abbattere.
— Ma allora prendili dalla bocca, i soldi.
— Ho solo i denti.
— Appunto!— grida ancora. — Due denti e ti REGALO il sogno di un fiore così profumato, ma così profumato che desidererai non sentire più altro odore.
Ma io non voglio sentire alcun profumo, e poi farei fatica a parlare, quindi rifiuto ancora l’affare. Il coccodrillo non si arrende: prende tra le mani un sogno giallo e luminoso, soffiandoci via la polvere. 
— Questo è il sogno di un uccello che vola. Te lo vendo per un paio di dita.
Ancora mi scuso e rifiuto l’offerta, perché vorrei tanto volare, ma ci tengo alle mie dita. Il coccodrillo ora esita un po’.
— E che ne dici del sogno di un bacio? Il bacio più bello e dolce di tutti? Te lo vendo per tre o quattro ciglia.
Ringrazio di cuore, ma ancora niente: a casa c’è chi mi riempie di baci senza che io debba loro nulla in cambio. Il coccodrillo ora è dispiaciuto e siede per terra, frugando tra le ceste del carretto, e quasi vorrei comprare da lui un sogno solo per farlo felice.
— Ho anche altri sogni. — dice a un certo punto. — Ma forse è meglio che mi dica tu cosa vorresti.
— Vorrei TORNARE a casa. — rispondo allora, in tutta onestà, ma il coccodrillo sospira.
— Io vendo sogni, non realtà. La realtà è molto lontana e molto crudele, i sogni sono vicini e piacciono a tutti, e se non piacciono possono sempre cambiare. Se mi mettessi a vendere realtà, nessuno comprerebbe mai niente.
— Io comprerei una strada per casa. — dico allora, incrociando le braccia.
— E con cosa me la compreresti, questa strada? Non bastano mica una ciocca di capelli, un paio di denti, qualche dito e tre o quattro ciglia. Guarda che la realtà costa caro.
— Non lo so, la comprerei con il mio cuore, penso.
Il coccodrillo allora annuisce, rimettendosi in piedi. Si spolvera un po’ il mantello color kaki, che ora è tutto sporco di terra e sogni. Quasi penso che finalmente sia disposto a vendermi la strada, che mette ancora mano alla cesta del carretto.
— Non voglio sogni, Signor Coccodrillo. — ribadisco.
— Lo so, bambina, ma io non vendo altro che sogni, se vuoi tornare a casa devi chiedere alla regina.
— La regina?— il coccodrillo scrolla le spalle, indifferente.
— Non ho mai visto la regina — dice poi. — Ma si vocifera sia una donna molto potente. Devi chiedere a lei.
— E dove la trovo?
— Chiedi allo Stregatto, lui sa sempre tutto. — io e lo Stregatto ci siamo già incontrati, a onor del vero, ma non mi è stato affatto utile: non sa come aiutarmi, né gliene importa. Però magari conosce la strada per il palazzo reale. 
— Grazie, Signor Coccodrillo, allora vado a cercare lo Stregatto. È stato un piacere incontrarla. — faccio un inchino e gli do le spalle, pronta a partire.
— No, aspetta!— mi richiama. — Non lo vuoi proprio comprare un sogno?
Vorrei dire che al mio corpo ci tengo e che non lo baratterò per un paio di sogni, ma ribattere è dura: il coccodrillo mi guarda implorante, quasi piangendo. Allora torno un po’ INDIETRO e chiedo, con voce educata:
— Qual è il sogno più economico che ha?
Il coccodrillo ora riflette, camminando su e giù. Poi s’illumina.
— Lo so!— grida, affondando il muso nella cesta. Ne tira fuori un sogno tanto piccolo da stare bene sulla punta di un dito. È tondo, fucsia e spento, come una biglia.
— Questo sogno — dice poi. — è il sogno di una lacrima. Cala sulla guancia di un bimbo, poi scompare. Nessuno ne sentirà mai la mancanza.
— Che sogno triste…
— Non è triste! La lacrima è stata contenta di esistere, anche solo per poco tempo. La lacrima è una lacrima felice. 
Lo prendo tra le mani, decisa a comprarlo; a contatto con la pelle si fa straordinariamente caldo.  
— Quanto costa il sogno di una lacrima?— chiedo.
— Solo un sorriso, bella bambina.
Annuisco, perché un sorriso credo di avercelo davvero. Frugando un po’ tra le tasche ne pesco uno, forse un po’ spiegazzato, ma sempre bellissimo.
— Questo va bene?
— È perfetto!— dice lui. — È il sorriso più carino che io abbia mai visto, grazie. La prossima volta che ci incontriamo ti porterò una strada, sarà una strada bellissima, con tante luci e tanti colori.
Forse non ci saremmo mai più visti, io e il coccodrillo, ma mi guardo bene dal dirlo. Ringrazio ancora una volta, faccio un piccolo inchino e mi allontano per il sentiero che porta all’albero dello Stregatto. Intanto, quasi distrattamente, stringo tra le mani il sogno della lacrima, chiedendomi cosa voglia dire davvero essere felici di esistere.







Bacheca dell'autrice

Prima avevo scritto questa favoletta in terza persona, ma era venuto fuori un lavoro troppo distaccato, quindi ho dovuto cambiare. Se ci sono tratti un po' bizzarri, probabilmente il motivo è questo.
In realtà la lingua italiana non mi entusiasma, ma l'idea che ho avuto l'adoro. *autocompiacimento: made on*
Speriamo bene! 
  
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