Illustrazione di presa da Google.
Grafica dell'immagine a cura di Honey Essentials.
24.
Fantasmi argentei
La guardavo dalla finestra. I capelli corvini e la pelle bianca come le statue del giardino si riflettevano nel laghetto che sembrava essersi immerso nei suoi occhi, o forse era il contrario. Forse erano i suoi occhi ad aver preso il colore dell'acqua su cui galleggiavano gigli e ninfee. La vidi specchiarsi, sorridere a se stessa, infilarsi una margherita fra i capelli. Agnes. Aveva solo undici anni. Agnes.
Iniziava così, l'amore?La vidi tornare indietro, prendere il sentiero di sinistra che conduceva alla porta sul retro. Sentii la porta che sbatteva. Il rumore di un campanello mi destò dai miei pensieri.
«Joe... va' ad aprire, per favore,» mi disse il signor Silvers, il vecchio, mio padre. L'uomo che mi aveva adottato.
Uscii dalla stanza e percorsi a memoria il labirinto che era quella villa, casa mia, così immensa. Raggiunsi la porta, guardai nell'occhiolino e sussultai, ricordandomi tutto. Con addosso un cappotto nero, l'uomo che se ne stava dall'altra parte della porta era lo stesso che aveva picchiato Marlene, l'amica di Agnes, alcune settimane prima.
E tante notti prima, l'avevo visto uccidere un uomo con la pietra nera.
«Apri, Silvers. So che sei stato tu a buttarci fuori dal circolo, e l'hai fatto quando ne avevamo bisogno di più.» Bussò di nuovo. «Chi ti dice che non saremmo stati abbastanza nobili? I Jenkins ne fanno parte da generazioni. Così come i Powell e gli Hurman e i Tyger... pensi che l'essere vecchio ti permetta di decidere? Basta nasconderti. Dammi le tue pietre e non ti accadrà niente.» Deglutii, sentii lo stomaco sciogliersi una poltiglia che adorava di paura, e parlai.
«Non sono il signor Silvers. Sono Joshua, suo figlio, e ora non è in casa.»
«Non pensare di prendermi in giro, ragazzino,» sibilò. E gli occhi erano neri, di un nero che in natura non esiste, che viene dal male.
«Joe.» Sentii una mano sulla spalla. Mio padre, anziano e fiero, con i capelli bianchi che gli scendevano lisci sulla fronte aggrottata che sembrava la corteccia di un albero millenario e un sorriso pacifico sul volto, se ne stava in piedi dietro di me con il bastone nell'altra mano. «Penso che dovresti uscire un po'. Nel boschetto ci sono delle margherite meravigliose, raccoglile e portale ad Aggie. La guardi sempre da lontano, salutandola appena... mi piacerebbe che diventaste amici.»
Sbattei le palpebre; non potevo credere che il pensiero di Agnes avrebbe potuto permettermi di dimenticare perché avessi avuto paura fino a un momento prima. Misi la mano sulla maniglia per aprire la porta, quando mio padre mi sussurrò: «Non dimenticare niente di quello che ti ho detto, Joshua».
Annuii, ma la mia testa e il mio cuore erano già lontani, nel bosco, a cercare i fiori preferiti di Agnes.
Non dimenticare, Joshua.
Non dimenticare.
Hans
Il signor Scott è irrintracciabile e,
da quando siamo andati alla polizia per denunciare la scomparsa di Martin e
di Sarah, non c’è stata nessuna novità. Il
poliziotto ci ha guardato e ci ha mandati via con
qualcosa come “faremo il possibile”. Le foto di Sarah e
Martin sono ovunque, ne hanno parlato anche ai telegiornali. Cameron
sta impazzendo,
Julia con lui. Io penso a Sarah con Martin e...
Lui non mi è mai piaciuto; ha sempre avuto quell'alone di insoddisfazione che ti fa pensare che sia
un cazzone figlio di papà. E lo è… lo so che lo è, anche se accanto a Cameron
sembra sicuro di qualunque cosa. Anche se il sorriso di Sarah lo rende innocuo,
lì impalato a guardare, improvvisamente cosciente di se stesso ma non del mondo.
Chiudo il libro di statistica, non riuscirò mai a concentrarmi; non so come posso starmene qui con le mani in mano. Con Yvonne che non mi parla da quando è tornata all'istituto. Credo che sia stata la prima persona a sorridermi in tutta la mia vita, la prima ad incoraggiarmi quando ho deciso di suonare la chitarra e studiare. La prima ad ascoltare sempre la stessa canzone ripetuta all'infinito fino a quando non ho imparato. Lei è stata la prima a sentirmi cantare, la prima con cui mi sono addormentato e risvegliato. La ragazza che sognava le stelle e aveva la speranza sulla punta delle dita; c'era speranza in ogni gesto che faceva, nel suo piroettare con i capelli lunghissimi, nel suo sognare di ballare in un teatro lontano e nel suo passare i pomeriggi sui libri di storia e d'avventura. Non era sola, perché c'ero io. Anche se sua madre era malata e l'ha lasciata quando Yvonne aveva sette anni. Aveva sette anni, quando Yvonne è venuta a stare qui; sua madre era appena morta per un tumore al cervello e Yvonne aveva, nel tremore delle mani che non potevano più abbracciare sua madre, nelle mani che si aggrappavano a qualunque cosa incontrasse e negli occhi nocciola brillanti come se piangesse in eterno, la speranza.
Ora è
qui, a qualche tavolo di distanza nella sala studio, e mi
guarda senza un minimo di pudore. Sono io a vergognarmi, come se avessi
fatto
qualcosa per cui sarebbe legittimo farlo. Come se andando alla polizia
le
avessi fatto il più grande dei torti… quando gliel’hai detto ha tremato.
Cammino verso di lei.
Yvonne, Yvonne ora bionda, ora più magra.
Yvonne non fissava me; semplicemente il
vuoto. Sussulta, al suono della mia voce, e la prima cosa su cui si posano i
suoi occhi è il libro che tengo in mano.
Un silenzio infinito.
Occhi grandi, occhiaie in cui potrebbero
cadere e restare; ho la gola e le labbra secche.
«Non mi hai chiesto niente,» sussurra.
«In che senso?»
«Sei scappato con quel tuo amico e sei andato alla polizia senza dirmi niente e poi sei solo venuto a raccontarmelo... Oh mio Dio, tutto questo per quella Sarah...» Si morde le labbra, scuote la testa. «Quella Sarah che non è altro che...»
«Un’amica! Un’amica, e ora potrebbe essere in pericolo.» Sembra che anche gli occhi le
tremino, quasi la terra vibrasse e lei vibrasse e tutto quanto non potesse mai
restare fermo. Ha gli occhi dello stesso colore della terra arida, e piangono
lacrime che non posso vedere. Come posso sentirle?
Yvonne.
Ti conosco da quando tu eri più alta di me
e pensavi che così sarebbe stato per sempre, poi ti ho superato e la cosa più
coraggiosa che potessi farmi era un darmi un pugno sul braccio.
«Io so dove potrebbe essere,» sussurra.
«Cosa?»
Si alza.
«Io credo di saperlo.»
«E lo dici ora?»
Scuote la testa, sospira, Yvonne… Yvonne, torna qui. «Non puoi capire.»
Prendo il telefono per
chiamare Cameron e poi sento qualcosa premere sulla mia spalla, è la sua mano.
«Per favore… niente polizia.»
Sbuffo. «Che problemi hai?»
Si morde le labbra e china il capo. «Ne ho davvero tanti, ormai. Ma
ora andiamo.»
Sarah.
Questa stanza è vuota; si sente l’eco di
tutti i nostri cuori. Agnes, la mamma, Nathan, papà… Doreen, la madre di Martin.
Joe cammina per la stanza a passo lento, un sorriso tirato in volto, le mani
dietro la schiena come un nobile di secoli fa.
Martin sta tremando.
«Non volevo uccidere tua madre.» La sua
voce si fa più bassa, come se stesse sussurrando il più grande dei segreti.
«Non volevo ucciderla, la volevo per me. Ma naturalmente Joseph li aveva
avvisati e loro stavano lasciando la città insieme a te…» Resta in piedi, non
cadere.
Resto in piedi, non cado.
Guardo negli occhi l’assassino dei miei
genitori.
«Li
ho raggiunti, e con tuo padre c’era
una pattuglia. Ho usato la pietra nera e poi li ho sparati tutti. E tua
madre si è messa
in mezzo, è stata lei, capisci? Si è messa davanti a lui,
con gli occhi azzurri
uguali ai tuoi. Tuo padre l'aveva convinta a scappare e lei si è voltata… per
abbracciarlo. Lui aveva già immerso le mani fra i suoi capelli… ma io
avevo già premuto il grilletto.» Joe fa un sorriso storto, ride, l’unica
lacrima che gli cade dagli occhi sembra un’anonima goccia di collirio, grigia,
fredda, senza vita. «L’ho presa sul cuore. E poi ho ucciso lui… potevo
lasciarlo in vita a distruggersi nel dolore, ma mi avrebbe dato fastidio, lo
sapevo.»
«Agnes e Nathan avrebbero lasciato la città comunque. Sei nata con
un soffio al cuore, Sarah, e dovevi essere operata d'urgenza.»
Sospira. «Me
ne sono accorto quando ti ho visitata. Ed era tutto
perfetto... ho tagliato lo smeraldo nero... l'ho immerso nel poco di
argento di luna rimasto che non lascia passare il potere della pietra
nera. Per questo le sbarre che sono fatte dello stesso materiale ti
fanno male. Te l’ho messa nel cuore. Sì… proprio qui.» Si tocca il petto. « Nella tua anima innocente
di bambina appena nata, perché un'anima innocente può usare la Vexania
per sempre. Per questo mi servi e farai tutto quello che ti dico. E poi l'ho collegata al congegno che mi permette di
attivarla e disattivarla… anche quando non sei tu a controllarla. Sei sempre
stata un po’ simile a tua madre. Così buona, così bella… un piccolo angelo.» Si
allontana dalla cella. «Ma con la giusta provocazione e l’attivazione… ha
funzionato. Tu sei la mia arma. Userai quello che sai fare per me,
ed io li
ucciderò tutti, ucciderò tutti quelli che hanno dato
fuoco alla casa del mio unico padre.»
«Sei un folle,» gli sputa contro Doreen.
«Non so che cosa sono… ma continuerò ad
esserlo. Dopo aver preso Sarah e
averla caricata in macchina, ho indossato un giubbotto antiproiettile
ed ho seguito Martin, che è andato all'ufficio di Joseph per
affrontarlo, credendo che lui fosse al'artefice di tutto quello che,
invece, ho fatto io. Mentre Martin era voltato e Joseph scendeva dalle
scale, l'ho sparato. Hacreduto fino all'ultimo che a spararlo fosse
stato Joseph, perché proprio Joseph aveva una pistola in mano, ma la
stava puntando contro di me. Mi ha sparato, ma con il giubbotto
antiproiettile non mi ha ferito di striscio, e allora io ho colpito
Martin ed ho colpito lui»
No, no, no. Non posso lasciare che
succeda. L’immagine di me stessa con quest’uomo che mi tiene stretto il viso da
dietro, che mi sussurra all’orecchio di rendere debole quella o quell’altra
persona è un abominio.
Posso usarlo contro di lui. Quello che
posso fare… contro di lui e salverò tutti.
Mi guarda, sbatte le palpebre, tremo. E
poi scoppia in una risata che potrebbe rompere tutte le cose belle che esistono
al mondo, una risata secca, ghiaccio che mi sommerge. Rabbrividisco.
Prende il congegno dalla tasca e me lo mostra. «Tu dai la
possibilità di tornare indietro o non
tornare indietro. Di redimere o non redimere i peccati. Di
svegliarti,
riparare ai tuoi errori e vivere. O puoi
morire, perché non guardi più te stesso come te stesso, ma come giudice. E se
non meriti di vivere, per te non c’è altra possibilità.» Fa un altro passo
nella stanza. «Accade tutto nel tuo inconscio. Perché è l’inconscio degli
uomini ad essere il posto più pericoloso… me lo diceva sempre, mio padre.»
Ride. «Ma ora basta parlare.»
«Joe! »
Si volta.
Guardo la persona a cui appartiene questa
voce. Non mi sono nemmeno accorta che la porta veniva aperta, non ho sentito il
cigolio, ero qui intrappolata in una bolla di dolore.
«Yvonne.» La voce di Joe è glaciale.
«Credevo che non volessi vedermi più.»
Yvonne, di una bellezza che brucia il
bianco intorno, fa un passo avanti, quasi zoppicante. Qualcuno la
segue, è Hans. E poi Cameron e Julia.
No.
«Andatevene!» grido. Il panico mi
attorciglia le viscere. Perché sono qui? Come hanno fatto a scoprirlo? Non
potranno mai aiutarci.
«Oh…
adesso il lavoro è molto più facile.» Joe preme un
altro tasto del telecomando e una grata metallica si abbassa a
coprire la porta con il rumore di una serranda che cala. «Tu sei… Hans, vero? Ti sei fatto bello,
in questi anni. Mi
somigli molto.» Prende dalla sua tasca una pistola. Ho il cuore
in gola che
vuole squartarmi la pelle, uscire, farmi morire dissanguata.
«Se mi somiglia veramente adesso libera
Sarah, Martin e questa donna.»
«Mi
somigli perché anche tu, come me, sei
rimasto stregato da lei.» Joe mi indica con un liscio movimento
del braccio,
come se stesse facendo la presentazione di uno spettacolo. «Ma
l’incantesimo
per te è finito presto… era solo il sogno di qualcosa che
sarebbe successo, ma
quando vi siete incontrati di nuovo era troppo tardi per far sì che accadesse. Mi è successa
la stessa cosa, sai?»
Joe ride. Ride, ride, ed io voglio morire. Hans lo guarda, teso, il
viso serio.
La sua mano cerca quella di Yvonne.«Avrei voluto morire. Ma per suicidarsi ci vuole una forza
che non avevo.» Sbuffa. Fa un passo indietro. «Ma ti posso
aiutare io.»
«Joe.» La voce di Yvonne è stridula. «Non
so cosa hai in mente… non lo so ma per favore…»
«Non puoi saperlo, Yvonne.»
«Per favore…» Yvonne lascia la mano di
Hans e fa un passo verso Joe. Debole, traballante, esausta, come se non
mangiasse da giorni, come se non riuscisse più a dormire. Come se l’uomo che le
sta davanti fosse il miracolo che potrà salvarla.
«No, no, Yvonne.»
«Non resterai solo, Joe. Non resterai
solo, posso tornare da te.»
«Io non ti voglio!»
«Joe…»
«Sei una piccola puttanella, come tua
madre. Proprio come lei…»
«No…»
«Mi hai stancato, Yvonne. Mi hai stancato.
E ora spostati.»
Joe solleva la pistola, guardo il terrore
sul viso di Yvonne, la bocca distorta dai suoi per favore, le palpebre
appesantite ad ogni insulto, il volto scavato dal rifiuto. Un fiore secco che il vento sta cercando di stradicare via.
Il rumore dello sparo assomiglia a quello
di un aereo che vola. Non ci avrei creduto, se non l’avessi visto.
Ed Hans si accascia a terra con le
mani sullo stomaco, mani bianche bianchissime, grandi ma troppo piccole per
fermare il sangue che le bagna.
Urlo.
Hans.
Lo so che non sei cattiva. Hans… il mio amico, il mio sogno spezzato, Hans che ciondolava nei corridoi della scuola, Hans con gli occhi grigi, luce scura, polvere che si solleva nell’aria e brilla con i raggi del sole che filtrano attraverso la finestra. Hans che non ho avuto il tempo di amare. Hans che si fa volere bene solo perché c’è.
Hans…
Attivalo.
Julia urla, Cameron la attira a sé. Hans ha la stessa tetra espressione di Yvonne che si china su di lui, veloce come se avesse imparato a soccorrerlo da tutta la vita; gli sposta i capelli, gli tocca le mani, si sporcano di sangue. È frenetica, respira affannosa come se lei stesse sanguinando al posto suo.
Joe guarda Yvonne.
Sarah, attivalo.
Ci sto disperatamente provando.
Joe solleva la pistola. Yvonne guarda la sua morte ed io sento le lacrime che scendono sul mio viso perché voglio salvarli.
Poi Joe cade in ginocchio, la pistola gli cade di mano, il suo urlo squarcia l'aria, i timpani, i ricordi, mentre un rantolo viene fuori dalla sua gola.
«Gli spilli... gli spilli nella testa...»
Lo vedo stringere le palpebre, ansimare, sbattere gli occhi, fermarsi. Quando apre gli occhi, sono dello stesso colore azzurrino del ghiaccio che riflette il colore del cielo. Quando parla di nuovo, la sua voce sembra provenire da un luogo lontanissimo, il profondo di una grotta buia dove il sole non picchia più, dove è notte per sempre.
«Salvati, Yvonne.» Il ghiaccio è scomparso, c'è solo dolore crudo, dolore accartocciato su se stesso. Quello che sto guardando sembra un sogno, l'uomo qui davanti a me non è lo stesso che ha minacciato di ucciderci tutti. «Scappa, non so per quanto tempo riuscirò a trattenerlo... tornerà...» Le sue mani cercano di nuovo la pistola, a tentoni, come se fosse cieco. «Tornerà...»
NO!
«No! NO, NO, NO! TI PREGO! Farò tutto quello
che vuoi, farò tutto quello che vuoi…»
«Tutto quanto?» mi chiede.
«Qualunque cosa.»
Martin
ha gli occhi verdi dalle striature
grige, gli occhi che amo, occhi che all’improvviso si accendono.
Prendono vita,
come se prima si fosse trovato in uno stato di incoscienza. Joe ride
per tutto il tempo, apre la mia cella con una chiave. Faccio qualche
passo verso di lui, il tempo di guardarlo ancora per un secondo e
capire che Martin mi
sta urlando con tutto… sguardo, silenzio, fermezza di non farlo.
Non farlo, Sarah, non farlo.
Perché lui non ha capito.
Ascoltami, Sarah, non farlo.
Ancora un altro passo.
Joe sorride, fa per avvicinarsi, mi guarda
negli occhi.
E lui capisce.
Ma è troppo tardi.
L'attivazione è in corso, e lo è perché l'ho voluta con tutto il dolore del mio mondo.
Perché chiamo l’onda, la chiamo tutta la mia
forza. Non c’è nessun congegno a controllarla, ci sono solo io. C’è il battito
del mio cuore, la consapevolezza di poter sentire me stessa e di poter sentire
anche lui.
Sono io a guardare l’onda anomala che si
erge dalle acque della mia mente. Sono io a dirle di schiantare contro di lui,
colpirlo, dare fine alla sua pace.
Joe si accascia a terra.
Ed io lo seguo nel buio.
***
Joshua Silvers
i nervi stan composti, come tombe.
Il Cuore irrigidito chiede se proprio lui
soffrì tanto? Fu ieri o qualche secolo fa?
I piedi vanno attorno come automi
per un'arida via
di terra o d'aria o di qualsiasi cosa,
indifferenti ormai;
una pace di quarzo come un sasso.
Questa è l'ora di piombo, e chi le sopravvive
la ricorda come gli assiderati rammentano la neve;
prima il freddo, poi lo stupore, infine
l'inerzia.
Mi
sento i muscoli intorpiditi, le ossa scricchiolano ad ogni passo, respiro come
se fosse la cosa più difficile del mondo. Mi sono appena svegliato dopo diciassette
anni e la mia mente è vuota. La mia mente segue il buio. La mia mente incontra
pareti nere, una stanza scusa, quadrata, non c’è nessuno.
Ma c’è una voce.
Sei
il giudice della tua vita.
La mia voce.
Guarda
che cosa hai fatto.
Guardo.
Ricorda
che cosa hai fatto.
Ricordo.
Joshua Silvers ha quattordici anni quando
l’uomo in divisa davanti a lui gli dice che non firmerà nessun documento. È
dispiaciuto, l’uomo. Ma quando gli occhi azzurro chiaro di Joshua Silvers diventano
lucidi, quello non riesce a trattenere un sorriso che si schianta sul dolore
atroce del ragazzo come lo scherno peggiore che possa esistere.
«È Silvers, il mio cognome.»
«Non può più esserlo.»
«Mi ha adottato, sono suo figlio! »
«Non sei suo figlio, ragazzo. Eri solo in affidamento... sarebbe dovuto passare un altro mese.»
Il ragazzo è magro, ma molto alto; è nella
fase in cui il corpo dice fammi crescere, fammi diventare uomo. Io sarò un
uomo. «È la mia famiglia.»
Era.
L’uomo in divisa posa la penna sul tavolo e si alza dalla poltrona. Si passa una mano fra i capelli brizzolati, ha un fisico imponente, la pancia larga per l’effetto che fa la birra quando la si beve ogni sera a cena. Il ragazzo si aspetta qualcosa, una salvezza, la giustizia. La giustizia è la cosa in cui crede di più al mondo. La sua famiglia – perché il signor Silvers sarà sempre la sua famiglia – ci ha sempre creduto, è custode di un segreto così oscuro che è rimasto tale per generazioni, fino a quando qualcuno del circolo non ha dimostrato di non essere abbastanza nobile da custodire il segreto, usando la Vexania che le loro famiglie conservavano da secoli per vendetta. La vendetta. Il pericolo più grande, perché la Vexania, con il rimorso, la rende pazzia.
Il signor Jenkins ha ucciso il suo datore di lavoro per il licenziamento.
E poi ha ucciso il vecchio per avere
ancora quella maledizione.
«Torna di là, ragazzo. Riposati. Domani
sarà una lunga giornata.»
«Andate a prendere il colpevole? »
L’uomo fa il giro del tavolo. «L’incendio
è stato doloso.»
«Non è stato doloso! » Joshua scoppia. Non
può credere che gli adulti possano davvero pensare che si sia trattato di una
cosa del genere. Non era semplicemente possibile perché non era solo la casa a
bruciare ma anche il giardino, la terra, anche i muri e il cancello sembravano
incandescenti. Non è stata la fiamma a crescere in quella casa, è stata la
crudeltà di qualcuno che non aveva più coscienza di se stesso. «Non è stato
doloso! So chi è stato! So chi è stato, so…»
«Non fare accuse infondate, ragazzo!»
«So chi è stato!» Joshua respira, respira forte. Deve parlare, per lui. Deve parlare, per lei. Per Agnes. «Il signor Jenkins.»
Per Agnes, che era troppo buona per
capire di aver avvicinato la
morte.
«Il signor Jenkins è la persona più innocua della terra…»
«No!
L'ho visto io... è arrivato a casa ed io sono uscito e quando mi
sono voltato dalla collina ho visto l'incendio...»
«Non ascolterò altre sciocchezze!»
«No! … Agenti, agenti! » Joshua spinge la
porta ed esce nel corridoio; è vuoto, è notte, la gente dorme ma lui vede
ancora le fiamme, non smetterà mai di vederle, anche se la speranza sembra che
le abbia spente. Trova altri uomini in una sala con un tavolo rotondo e ripete:
«Io so chi è stato ad appiccare l’incendio! Il signor Jenkins! Il signor Jenkins e
tutti quelli che…»
Una risata copre la sua voce. È quella di
un vecchio sdraiato su un divano con una birra in mano. Una risata che si
espande, si fa più forte insieme a tante altre risate.
«È stato lui!» Il ragazzino ha una voce
ancora da bambino. Una voce che dice voglio crescere, fammi diventare uomo. Ma
non è ancora il momento. «Perché non mi credete? Voglio giustizia… siete voi i
portatori della giustizia! »
Ma gli uomini continuano a ridere.
Parlano, quando lo fanno, con la stesa voce atona e fredda con cui hanno detto
è tutto bruciato. È rimasta solo cenere.
Il signor Silvers, cenere.
Agnes, cenere.
E le fiamme che danzano nei suoi occhi.
Le fiamme che lo rendono implacabile, a
poco a poco. Giustizia… dov’è la giustizia? Joshua ha perso tutto. Joshua ha
perso l’unica famiglia che pensava di avere. L’unico amore che pensava di
provare. Joshua sospira. Pagherà, quell’uomo
pagherà, al costo di morire. Pagherà ed io prenderò quelle pietre. Scoprirò dove
sono. Non ce l’ha fatta a raccontarmelo ma io lo scoprirò, le prenderò.
E lo renderò orgoglioso di me.
Joshua ha venticinque anni. È stato un adolescente
solitario, chiuso, ostile con il mondo. È diventato un uomo alto, ancora magro,
ma la giacca del cappotto aderisce bene sulle spalle, sul fisico slanciato. È
diventato bello, Joshua Silvers. Bello, intelligente, sveglio, ma sempre
solitario, ostile, il mistero della famiglia addottiva che gli ha
dato amore e cognome. Stewart.
Joshua è grato che sia una S, come Silvers.
Così non l’hai dimenticato. È troppo testardo per farlo, lo è sempre stato.
E ora è cambiato tutto.
Ha trovato la pietra nera, anche se il signor Jenkins era già morto in un incidente d'auto; ha ricordato
gli indizi, e adesso che ha il potere nelle sue mani farà pagare alla sua famiglia. A sua figlia. A suo nipote.
Non voglio, non voglio questo.
C’è qualcosa che ha dimenticato,
qualcosa a cui non ha pensato. La testa gli fa male come se stesse affogando in
un lago gelido, l’acqua ghiacciata gli entra nelle narici e lui si sente
riempire di freddo, freddo, freddo…
«Joe.» Si volta. La ragazza che gli viene
incontro indossa un cappotto pesante troppo corto per coprire il grembiule rosa
da cameriera, ma lei è sempre lei. I capelli castani con i riflessi mogano, il
viso allungato ma delicato, i grandi occhi color nocciola. Sofferenti.
Perché
soffri? «Joe,» Sospira ancora.
Perché?
Joshua la spinge via. Non voglio farlo, non voglio farlo, ma c’è una forza troppo grande che lo costringe, che lo
fa diventare sempre più piccolo. Perché quello che appare Joshua sembra calmo,
a suo agio, con un sorriso che non si vede mai, sugli esseri umani. È quel
genere di sorriso con cui si guarderebbe una casa bruciare.
È crudele e senza vita.
Che
cosa succede? Perché? Basta, perché? Cassie… Cassie…
«Che cosa ti è successo? » chiede lei,
stringendosi nel cappotto. Fa troppo freddo, per vivere.
Il corpo di Joshua – mentre lui urla nella
sua mente con perché e Cassie – si muove lento, con un’eleganza che non si è
mai vista prima. «Noti qualcosa di diverso? »
«Non sembri tu. »
Aiutami, Cassie. Scappa. Non avrei dovuto prendere la Vexania, non avrei dovuto prenderla con me...
«Sono io nella mia versione migliore. »
«Non hai mai parlato così prima. »
«Perché sei qui a rompere il cazzo, eh?
Perché? » La voce di Joshua si alza. È sua, quella voce, ma qualcuno la usa al
suo posto, una forza estranea. Il
male che ha distrutto l'equilibrio con il bene che sostava nella pietra
nera. Male e bene, insieme. E senza lo scrigno e la vendetta nel
sangue, hanno dato questo.
Cassie sussulta, mentre il vero Joshua
vuole solo abbracciarla perché non le avrebbe mai detto quelle cose. Joshua
vuole solo darle un bacio sulle labbra e imparare a dimostrarle quell’amore che
si è sempre tenuto dentro nella sua solitudine, mentre lei lo prendeva per mano
e lo faceva entrare nel suo mondo.
Cassie è splendida, Joe lo sa. Joe l’ha
visto ogni giorno alla caffetteria mentre gli versava il caffè. Joe l’ha visto
la prima volta in cui lei gli ha chiesto che cosa studiasse, che cosa volesse
fare da grande. Joe l’ha visto quando canticchiava una canzone del juke box
facendo ondeggiare i capelli lisci. Joe l’ha visto quando gli ha lasciato il
numero di telefono nel menu. L’ha visto in ogni sorriso e ballo senza musica,
ogni pianto per un vecchio film, ogni risata mentre lei si rigirava nuda nel
suo letto e adesso.
Adesso, che sta piangendo.
«Sono incinta.»
Adesso che sta piangendo, Joshua riesce a
vedere quanto è splendida la ragazza di cui si è innamorato e vorrebbe solo
prenderle la mano e stringerla fra le sue braccia, e darle tanti baci – fronte,
guancia, collo, bocca – e sentirla ridere. Se mai avessi una figlia voglio
chiamarla Yvonne, gli ha detto un giorno. Le persone assomigliano agli alberi e
Yvonne vuol dire pianta, vita.
«Mi dispiace, angioletto.» Ricordo di
tanti anni fa. «Ma non ne voglio sapere.»
«Joe…»
«Non voglio il figlio di una puttana. Non
sarà nemmeno mio, avrai…»
«Che
cosa ti prende? Che cosa dici?» La voce di Cassie si spezza.
«È te che amo. Sei l’unico. E non so che
cosa ti sta succedendo, non lo so… »
«Non serve saperlo…»
«Nostro figlio….»
«Tuo.»
«Joe.»
«Vattene, non voglio vederti mai più.»
È l’ultima volta che Joe può vedere i suoi
occhi.
È l’ultima volta che può sognarli.
È l’ultima volta che se stesso può avere
la forza di urlare, perché quella forza lo opprime.
E lo spegne.
C’è
solo il corpo ormai. Joshua Silvers,
Joshua Stewart… non importa, non importa più. Era la
giustizia, quello che l’ha
fatto andare avanti: cercare le pietre che il vecchio, dopo aver capito
di essere in pericolo, aveva seppellito lontano. Poi la vendetta: usare
quelle pietre. Adesso l’ombra di un ricordo,
un’intenzione che la forza esterna ha amplificato, distruggendo,
squarciando
tutto…
La ragazza dai capelli biondi e corti e gli occhi azzurri. La figlia del signor Jenkins.
Boom! Boom, boom, boom.
Cade a terra.
C’è solo follia. La
follia è la forza, la forza è il male, il male è l'ordine che guida il corpo di Joshua,
guida la sua mano ad alzare di nuovo la pistola verso un altro uomo. Potrebbe
essere il fratello della ragazza che ha appena ucciso, ma questo ha gli occhi
verdi. Parla con sicurezza, con coraggio, non ha paura di morire. Boom, boom,
boom, ancora una volta.
E Joe guarda Joseph disperarsi, prendere
Marlene fra le braccia, non può più parlare, non può più vivere; è con gli
occhi che lo odia, è con gli occhi che lo implora di farlo andare via con lei. Ma
lui non lo fa, perché i proiettili sono finiti.
In tasca ne ha ancora altri.
Ma è crudele abbastanza da lasciarlo in vita.
Perché
la vendetta si è prosciugata nel male senza equilibrio ed ha preso il suo posto con l’oscurità.
Hai
ucciso una donna che credevi tua e non ti è mai appartenuta.
Hai
ucciso l’uomo che amava.
Hai
spento la vita di sua figlia quando aveva cinque anni, quattro mesi e sette
giorni.
Hai
preso tua figlia e l’hai umiliata, picchiata, abbandonata, dimenticata, mai
riconosciuta.
Le
somigliava troppo.
Nel male l’hai sempre saputo.
Nel male Joshua cercava sempre di emergere, anche se inutilmente.
Le
somigliava troppo.
E
allora truccati Yvonne, ai ragazzi piace. Lo devi fare per me. Tingiti i
capelli, quel colore è una merda, niente più castano dai riflessi mogano,
ragazzina quattordicenne che ti ha amato dal primo istante in cui ti ha
guardato.
E
l’hai distrutta.
Sono
entrambe sole, Sarah si è rialzata.
Yvonne
è in ginocchio ad aspettare te, te che arrivi, la schiaffeggi.
Buio. Ancora buio. Sono io, di nuovo. Sono
Joshua Silvers, e non merito nemmeno uno stralcio di luce. Perché non sono
stato io, ma la colpa è solo mia.
E
allora eccoti.
Sono qui.
Giudice
della tua vita.
Meriti
di vivere? Meriti di vivere dopo aver ucciso Marlene Jenkins,
innocente, Louis Scott, innocente, un'intera pattuglia, innocente,
un’infermiera, innocente. Meriti di vivere dopo aver rovinato la vita a tua
figlia? Meriti di vivere dopo aver abbandonato sua madre?
Meriti
di vivere?
La
stanza ha le pareti nere. Chissà per
quale miracolo, riesco a vederle. La porta si apre, e davanti a me
c’è un corridoio. Joshua Silvers, quello vero, è
innocente.
Ma io merito la morte.
Cammino. Il buio non è più nero ma è
bianco. Non c’è più oscurità. Ma sono cieco. Non merito di vedere.
E so che non posso chiedere perdono. Non
posso chiederlo ad Agnes e a suo marito. Non posso chiederlo a sua figlia. Non
posso chiederlo a Louis Scott e a Martin, a Doreen.
Non posso.
Percorro il corridoio, l’ultimo della mia
vita, e raggiungo un’arcata. È di un bianco accecante, perché non merito più di
vedere. Più di vivere.
«Joshua… Joe.»
Sussulto.
Mi chiedo come posso sentire così tanto il
mio corpo, se sto morendo.
Mi chiedo come posso sentire la sua voce.
«Cassidy…»
Lei è qui, ed è come l’ho vista per
l’ultima volta. La volta in cui le ho detto di andarsene e non venirmi a cercare
più. La notte in cui l’ho abbandonata, la notte in cui avrei solo voluto
amarla. «Cassie…» È colpa mia, è tutta colpa mia.
«Lo so, Joe. Hai sbagliato tutto.» dice come se avesse sentito i miei pensieri, come se li avesse sentiti davvero. «Il signor Silvers ti ha adottato, ti ha scelto perché aveva avuto solo figlie femmine, non voleva dare loro la responsabilità diquel segreto e stava invecchiando. Aveva bisogno di un ragazzo coraggioso. Aveva bisogno di te. Ma quando hai trovato le pietre la vendetta era ancora un barlume, era ancora rabbia... ma non ti sei protetto. Dovevi metterle in quello scrigno, Joe, solo così il male sarebbe rimasto equilibrato insieme al bene.»
«Perdonami.»
«Non è il mio perdono, quello di cui hai bisogno.»
«Non tornerò indietro.»
Cassie allunga la mani, mi tocca ma poi…
non la sento. Non riesco a sentirla. «Sono io che non posso tornare, ma tu
devi farlo.»
«Cassie.»
«Per Yvonne.»
Sospiro. Lascio che continui a lasciarmi
carezze sul dorso della mano, anche se non posso sentirla, anche se un bianco
bagliore separa la mia pelle dalla sua.
«Ma Cassidy...» La mia voce si spezza.
«Lei non ha mai abbandonato la speranza. E non so come ha fatto... non so come ha potuto aggrapparsi alla speranza quando dentro di te c'era quel mostro che ti impediva di essere te stesso, che le faceva del male... ma l'ultima cosa che le ho detto prima di morire è stata questa, di non perderla mai. Lei è una ragazza fragile, ma tutto quello che prova è forte. Non esiste l'indifferenza, la calma, la serenità... è tutto oltre i limiti, lo è il dolore, la felicità, l'amore. Yvonne ama come una tempesta. Il male ha preso tutto quello che poteva prendere, ma Sarah è riuscita a fermarlo quando ancora poteva salvarsi, quando ancora poteva salvarli. Devi tornare per lei. Devi tornare per me.»
A tutti è dovuto il mattino, ad alcuni la notte.
A solo pochi eletti la luce dell'aurora.
Emily Dickinson
*
*
*
Ciao a tutti, miei lettori meravigliosi :3 Sono tornata dalla gita ed eccomi qui ad aggiornare, spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero che tutti i dubbi siano stati chiariti. Spero che abbiate capito bene la natura del potere di Sarah e che cosa è successo a Joshua Silvers. La storia si avvia alla conclusione ed io ringrazio voi, tutti coloro che mi hanno accomoagnato e mi stanno accompagnando in questo stupendo viaggio.
Se mi fate sapere che cosa ne pensate mi fate un piacere enorme *^*
Un bacione
Ania :)