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Autore: Ainely    02/03/2014    1 recensioni
2022. Il punto di non ritorno è stato superato e la Terra è sull'orlo di un imminente collasso e c'è solo una possibilità per l'umanità: riuscire ad essere selezionati per il progetto "La Culla", un'isola artificiale nel mezzo del Pacifico dove una cerchia ristretta di scienziati dà la possibilità di creare un secondo Eden per non far estinguere l'uomo. Tuttavia strani segreti si celano dietro a questo progetto tanto ambizioso ed altruista che vedrà coinvolte tre persone trecento anni dopo per smascherare i reali intenti del Concilio dei Sette a sua volta in lotta con un "esperimento" sfuggito al loro controllo assetato di vendetta.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 2

Fedeltà e sangue











 

Arthur non fiatò e non ebbe nemmeno il coraggio di sollevare il viso dai suoi piedi ma lentamente lo studiò nei minimi particolari. Quell’uomo indossava delle strane scarpe, nere e sudice, con delle borchie cromate che adornavano i lati di quegli stivali e poi, risalendo lentamente con lo sguardo, vide che indossava dei calzoni completamente diversi da quelli che aveva sempre visto, molto attillati e di un materiale che non aveva mai provato a toccare, sembrava stranamente morbito ma senza fibre intrecciate, come se fosse costituito da un unico pezzo piuttosto lucido e comunque resistente, ed infine, una volta giunto al petto, vide che aveva una casacca chiusa con dei grandi bottoni ed un colletto alto alla coreana, ma ciò che più lo colpì fu l’espressione del suo viso ed i suoi capelli lunghi, arruffati ma comunque selvaggi.

Senz’alcun dubbio quell’uomo non faceva parte del posto in cui lui viveva. Si portò una mano alla bocca come per strozzare un gemito e continuò a studiarlo con un misto tra terrore e curiosità.

Le leggende narrate sul mondo esterno dicevano che nessun uomo era sopravvissuto a causa del suo stesso male che aveva reso ogni angolo della terra un posto inospitale e malsano e che gli unici ad essere sopravvissuti erano loro, i discendenti dei primi sfuggiti alla fine del mondo. Non s’era fatto altro che parlare del modo in cui gli esseri umani che abitavano ancora i continenti si fossero trasfromati in orribili bestie mutate a causa della radioattività degli ordigni che erano stati fatti esplodere in seguito a sanguinose e sciocche guerre. Il mondo esterno era diventato una sorta di terra aliena in cui la vita era solamente una barbare lotta tra bestie sanguinose e malattie mortali, freddo artico ed oscurità, ragion per cui come poteva anche solo credere a qualcosa del genere, come poteva davvero convincersi che quel tipo provenisse dall’esterno e che volesse proprio tornarci? Certo, le sue vesti e il suo orribile modo di parlare non apparteneva agli usi della Culla tuttavia poteva anche essere un folle sfuggito alle guardie per tornare alla Riformazione.

Talvolta succedeva che gli elementi troppo esuberanti o di indole troppo aggressiva venissero accompagnati in una struttura all’interno del palazzo della Madre per essere riformati ad abbracciare la luce dell’isola e a comprendere la sua armonia negando la violenza e la rivolta al volere della grande Madre.

Aveva sempre trovato giusto quell’intervento e aveva già visto i risultati nelle persone che venivano abbracciati dai sacerdoti all’interno del palazzo, da rabbiosi e furenti diventavano persone riflessive ed accondiscendenti anche se forse un po’ troppo silenziose.

Tuttavia quell’uomo doveva essere davvero completamente folle, i suoi occhi non facevano altro che esprimere “pericolo”, “urgenza” e “rabbia”, erano tutti sentimenti che Arthur non conosceva ma che riusciva comunque a percepire con ogni singola cellula del suo corpo.

“Co-come prego? Io non ti ho mai toccato, sei tu che mi ha aggredito e per di più in casa mia! E comunque è impensabile lasciare la Culla”, Arthur allargò le braccia con un gesto di ovvietà ma lo sguardo dell’inaspettato ospite gliele fece riabbassare facendolo sentire stranamente a disagio. “Che cosa vuoi da me?”, fu l’unica domanda sensata che gli uscì di bocca qualche istante più tardi.

L’uomo roteò gli occhi e sbuffò con aria decisamente scocciata, quel tipo non era poi così sveglio si disse e, con voce canzonatoria replicò, “Un caffè e uova strapazzate con della pancetta.”

Arthur lo fissò con aria sconcertata e confusa “Cos’è una pancetta?”, chiese sgranando gli occhi ed inarcando un sopracciglio e come risposta ci fu solamente una sorta di grugnito.

“Il più cretino dovevo andarmi a scegliere, eh? Non facciamo gli idioti, amico, e ora dimmi come accidenti devo fare per andarmene via.”

Come morso da una vipera Arthur trasalì indispettendosi, gli aveva dato dell’idiota in quel modo? Ma che razza di modi aveva quel tipo assurdo e per di più talmente improbabile?! Scattò in avanti puntandogli contro l’indice della mano destra ma quest’ultimo prontamente gli puntò contro la lama che continuava ad impugnare avvicinandosi a sua volta come in una tacita minaccia. No, forse non era una buona idea ricordargli che non era assolutamente il caso di offendere le persone che per giunta non conosceva, ma la sua preoccupazione ebbe un picco che lo fece tremare da capo a piedi quando quell’uomo gli si avvicinò ulteriormente per poi oltrepassarlo per potersi accucciare accanto alla finestra spiando l’esterno. Diversi uomini vestiti di nero continuavano a passare a passo tranquillo sebbene stessero cercando qualcosa o qualcuno. O ancora meglio: lui.

“Dannazione. Sono ancora qui fuori…”

Gli occhi azzurri di Arthur parvero diventare vitrei mentre gli sentiva pronunciare quelle poche parole, le guardie del palazzo stavano davvero cercando qualcuno e quel qualcuno era in casa sua. Lo avrebbero coinvolto anche loro credendolo suo complice? Si trovò a sudare freddo mentre cercava di calmarsi e di non lasciarsi prendere dall’eccessiva apprensione, non avrebbero mai potuto accusarlo di qualsiasi reato nei confronti della Madre e della Culla perchè lui amava con tutto se stesso la sua vita e la sua terra. Non si accorse nemmeno che il suo sequestratore s’era spostato e stava ancora una volta trafficando nei suoi cassetti alla ricerca di qualcosa e quando se lo trovò accanto non riuscì a trattenere un urlo per lo spavento che venne immediatamente soffocato da una mano sottile.

“Non vorrai mica farmi perdere la pazienza?” gli sibilò l’altro mentre continuava a premergli la mano sulle labbra, “Hai qualcosa qui dentro di utile o vivi solamente con libri e vestiti? Non so, un lasergun? Un pugnale da mischia?”. Arthur scosse il capo essendo ancora impossibilitato a parlare e non capì nemmeno quel che gli aveva chiesto, parlava di armi? Ma nella Culla non c’erano armi di alcun genere, abbassò lo sguardo e sentì sulle ciglia il tiepido respiro dell’assalitore, erano veramente vicini, forse anche troppo. Stranamente si sentì non solo in pericolo ma anche in imbarazzo, s’era creato un rapporto fin troppo intimo tra loro per permettergli di restare così vicino e anche di toccarlo senza alcuna delicatezza o rispetto ma non sembrava essere un concetto condiviso.

“Non posso nemmeno uscire vestito così.” disse l’uomo dai capelli lunghi, “Finirei per essere segnalato in meno di mezzo minuto e quasi certamente tu…” proseguì lasciandolo andare, “Correresti a chiamare quei tipi in nero, dico bene? Cazzo… Dee, non potevi farti gli affari tuoi?!”

Il giovane dai capelli lunghi si passò una mano sul viso con aria stanca ed esasperata mentre Arthur si muoveva lentamente per poter controllare meglio la situazione, in fondo era vero quel che aveva detto, sarebbe andato subito a chiamare le guardie ma ancora non era il momento e sperava che non accadesse nulla di tragico.

“Ti chiami Dee? E’ un nome molto… breve.” Cominciò con molta calma, come se avesse a che fare con un bambino piuttosto piccolo, ma non ricevette risposta. “E sembri essere un tipo anche… intraprendente. Ma parlami piuttosto di… di te. Da dove vieni, perchè sei qui se affermi di provenire dall’esterno?”

Dee si raddrizzò con la schiena e guardò Arthur con aria interrogativa, come mai era diventato all’improvviso così logorroico? La cosa lo lasciava piuttosto sospettoso e controllò che non nascondesse nulla tra le mani.

“E’ un nome che non ho scelto io, genio. Mia madre non ha molta fantasia coi nomi.” Si guardò attorno e raccolse da terra una casacca color smeraldo e la posò sul proprio petto per vedere se poteva essere della sua taglia, “Che vuoi che ti dica, ho il brutto vizio di cacciarmi nei guai e dopo aver scoperto l’esistenza di alcuni dossier risalenti ad un po’ di tempo fa alcuni uomini hanno ben pensato di prendermi e di portarmi qui. Accidenti, ma quanti anni hai?! Quindici?! Questa roba mi entrerebbe solo in una gamba!” esclamò lanciandogli quasi contro gli indumenti che aveva raccolto con aria molto stupita oltre che sconcertata mentre sembrava che il problema principale non fosse tanto la sua presenza sull’isola bensì la taglia degli indumenti di quel povero disgraziato, Arthur parve confuso e prese al volo i suoi vestiti e gli rispose a tono:

“Ho ventinove anni! E non è colpa mia se non sono alto due metri e se non peso un centinaio di chili! Tu piuttosto, come sei vestito?! Che cos’è la roba che…”

La sua voce finì col morirgli in gola non appena si accorse che Dee si stava spogliando di quegli abiti logori e sporchi lasciandoli cadere senza troppa attenzione a terra -in mezzo alla propria roba-, “Che stai facendo?” domandò sebbene la situazione fosse ovvia.

“Non posso di certo uscire con questo addosso e alcune cose forse dovrebbero starmi in modo decente.” tagliò corto Dee mentre si toglieva con un colpo secco i pantaloni di pelle nera restando fermo davanti ad Arthur per qualche secondo.

“Oh… ma tu sei arrossito! Dimmi un po’, non sarai mica in imbarazzo?” ridacchiò con aria gongolante mentre guardava da capo a piedi Arthur che effettivamente era arrossito nel guardare il suo “gradito ospite” e gli si avvicinò lentamente restando praticamente svestito ottenendo la reazione desiderata: il ragazzo dagli occhi celesti arretrò di un passo mentre cercava con tutto se stesso di replicare qualcosa di sensato.

“Io?! No, ecco, insomma… sei tu che…” Arthur lo indicò con la mano leggermente malferma nel tentativo di ammonirlo a non avvicinarsi oltre ma Dee pareva essere un’animale selvatico davanti alla propria preda.

Non riusciva a capire che cosa volesse da lui, vestiti? Li aveva trovati. Cibo? Sicuramente poteva averne. Armi? Gli aveva detto che non esistevano. Ma doveva proprio avvicinarsi con quelle intenzioni? Si sentì mancare un battito non appena furono nuovamente vicini da sentire il proprio calore reciproco ed Arthur si ritrovò a sollevare entrambe le mani come se avesse paura di posargliele sulle spalle.

“Sono io che?”, lo incalzò Dee con un sorrisetto malizioso ed estremamente ambiguo, “Perchè non provi a dirmelo più tardi?”



 

“Altro vino.” disse una voce bassa e androgina sebbene con un ché di stizza ed autorità oltre a pigrizia ed un servitore prontamente si avvicinò alla coppa dorata che era stata agitata con poca grazia per poi riempirla con un vino color rubino e dal profumo intenso e aromatico.

“Queste cerimonie sono davvero qualcosa di assolutamente inutile. Ah, razza di inutili esseri… e tu, si può sapere che stai facendo? E’ forse questo il modo di limare delle unghie?!” il tono di voce divenne sprezzante e quasi collerico mentre la Madre premeva crudelmente il piede sul petto del secondo servo inginocchiato al suo triclinium dorato.

Il giovane continuò a tenere il capo chino e si lasciò umiliare senza osare dire o fare altro mentre la donna avvicinava lentamente il calice alle labbra tinte di un color prugna intenso e bevve un generoso sorso prima di riprendere a parlare con uno dei suoi grandi sacerdoti.

“Avete trovato quel fuggitivo? Non sono incline a perdonare altri fallimenti.” le sue parole fecero quasi impallidire l’uomo che cercò di mantenere il proprio sangue freddo al cospetto della divinità mentre cercava le parole adatte per non scatenarne l’ira.

“Mia signora, le guardie lo stanno ancora cercando, non è stato semplice poter concludere la ricerca con la Cerimonia del Giuramento in atto, la folla era tanta e sicuramente è stato abbastanza scaltro da nascondersi in essa per poi…”

“Sciocchezze!”, esclamò ancora una volta la Madre prima di lanciare il vino restante in faccia all’uomo, “Ignobili scuse! E’ per colpa della vostra inettitudine se quel selvaggio è scappato dalla vostra sorveglianza. Come può essere un solo uomo tanto abile da sfuggire alle mie guardie?” si disse mentre continuava ad osservare lo schiavo che si occupava di detergere i suoi piedi in latte di asina, ma il sacerdote pareva ancora essere sotto giudizio nonostante quel silenzio.

“Madre, lui è un Esterno… sappiamo tutti che sono bestie e che vivino nella più totale anarchia, ma non accadrà più un errore simile, tutti noi confidiamo che il lavoro dei nostri uomini giunga a buon fine”, si inchinò con fare riverenziale mentre attendeva di essere congedato ma la Madre ancora non sapeva se quel colloquio potesse o meno concludersi in quel momento.

Gli occhi viola si mossero lentamente fino a studiare un punto non ben definito davanti a sé e, come se fosse in una sorta di trance, chiese “Che cosa dice il Concilio di questo nostro ospite?”, l’uomo trasalì non aspettandosi un tale quesito, non capitava mai che la Madre parlasse del Concilio, difatto segreto anche a lei, e cercò di tergiversare.

“Il Concilio esegue ciò che è più giusto per la protezione della Culla, mia Dea. Non dovete preoccuparvi, sicuramente qualche d’uno lo avvisterà e verremo immediatamente avvisati della presenza di quell’uomo. Non è poi così semplice per un Esterno trovare un rifugio sicuro nelle case di un Cradleniano”.

La Madre annuì lentamente mentre si portava una mano al viso scostandosi una ciocca di capelli corvini che le erano sfuggiti dalla capigliatura dandole un aspetto più terreno di quel che in realtà avrebbe dovuto essere. Il fatto che il gran sacerdote avesse sviato il discorso del Concilio stava a significare che anche a loro la presenza di quel cane in giro per l’isola fosse un pericolo, una preoccupazione. Avrebbe potuto anche lasciar correre gli eventi e restare ad osservare fino a quando non fosse arrivato il momento propizio per poter muovere le proprie pedine senza esercitare alcuno sforzo e forse era quella la tattica migliore, tuttavia se fosse rimasta troppo quieta i membri dei Sette si sarebbero insospettiti ed era una delle ultime cose avrebbe desiderato affrontare.

Sempre col piede premuto sulla spalla del suo servo non fece altro che impiegare un po’ di forza per scostarlo malamente da sé facendolo cadere a terra dopodiché si mise a sedere compostamente accavallando le gambe elegantemente lasciando che la delicata stoffa della sua veste le scoprisse una coscia e l’uomo non parve resistere e le lanciò un’occhiata fuggevole prima di inchinarsi alla sua divinità.

“Lasciamo che il Concilio faccia quel che più desidera, il compito della Madre è quello di vigilare e giudicare… Ad ogni modo sento odore di cambiamenti, Jamir, sento odore di sangue.”, sorrise e da quelle labbra color prugna spuntò un sinistro sorriso che si trasformò in una smorfia ambigua, “La Culla sta per vedere una nuova epoca dell’oro. E sarò io a guidarla.”

L’uomo parve confuso ma si avvicinò comunque senza però superare un certo limite, dentro di sè continuava a temere quella figura tanto bella quanto pericolosa e proprio in quel momento la donna agitò una seconda volta la coppa dorata e subito venne riempita da mani svelte.

“Bevi”, ordinò porgendola all’uomo, “Bevi in mio onore, bevi per me.”

Jamir prese con mani tremanti la coppa delle stesse mani della Madre e guardò prima l’una e poi l’altra con la fronte imperlata di sudore, mille pensieri attraversarono la sua mente e non potè che tergiversare. “Avanti… non penserai che è avvelenata?” lo turlupinò ridacchiando mentre si accomodava con le spalle allo schienale del triclinium, il gran sacerdote sembrava essersi calmato ma non del tutto e dunque avvicinò lentamente il calice alle labbra e provò a bere un sorso di vino.

Attese. Si guardarono a lungo negli occhi ma non accadde nulla, Jamir poté tirare un sospiro di sollievo e, con un ampio sorriso, sollevò il calice per brindare ancora in nome della sua Dea riprendendo a bere avidamente quel nettare dal gusto avvolgente ma pochi istanti più tardi la coppa gli scivolò dalle mani cadendo a terra e versando il vino ai suoi piedi.

L’uomo sgranò gli occhi mentre altre gocce rosso scuro caddero accanto alla coppa e senza scomporsi minimamente la Madre sorrise fissando la lunga lama decorata che trapassava il petto dell’uomo all’altezza del cuore.

“Bellezza e prosperità…” disse lei mentre l’uomo cadeva esanime ai suoi piedi rivelando alle sue spalle la presenza di un giovane vestito con abiti neri che subito dopo pulì la propria arma sulla manica scampanata della sua veste per poi scostare con un movimento del capo la propria capigliatura fulva. “Fedeltà e sangue” rispose il giovane mentre porgeva un ossequioso inchino alla sua padrona.

“Un ottimo lavoro, Aalim. Pensa tu al resto… io credo che mi dedicherò a qualcosa di più… ludico. Sai cosa fare.”

Il rosso annuì piegando le labbra in un sorriso altrettanto crudele mentre i propri occhi ambrati si posarono sul volto della Madre che, nel frattempo, s’era alzata scavalcando il cadavere.





Continua


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Un po' di schizzi dei personaggi!
In questo capitolo lo schizzo dello studio di Dee
Art by Zilypon

Dee
   
 
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