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Autore: PeaceS    03/03/2014    8 recensioni
Da un Malfoy ci si deve aspettare tutto, anche che ti renda la vita un inferno per noia. Specie per noia. I Malfoy annoiati, di solito, erano più pericolosi di un Potter arrabbiato. Ma Lily avrebbe dovuto saperlo… le migliori storie iniziano alle tre di notte e in quel momento, la lancetta più piccola, si posò proprio sul tre.
[ ... ]
Perché, se Scorpius Malfoy decide di renderti la vita un inferno e tu te ne innamori perdutamente, mentre la tua migliore amica è nelle mani di un certo Zabini - famoso per essere un porco - e cerca di conquistare un Nott di tua conoscenza anche se - alla fin fine - quel certo Zabini non è molto felice, non puoi fare altro che chiederti perché la vita ha deciso di renderti le cose così difficili.
Insomma, tutto quello, però, avrebbe dovuto aspettarselo: era o non era una Potter?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo ventitreesimo –
Opaco




Aveva le gambe nude e bianche che ciondolavano oltre il bancone ed Harry notò – non senza sorridere – un mucchio di efelidi partire dall'interno coscia e finire, in una treccia tribale, sulle ginocchia; i piedi erano nudi, come quando la portava al mare e lei correva per la spiaggia come se non avesse mai provato una sensazione del genere – quando magari ci erano andati nemmeno due giorni prima e aveva fatto la stessa identica cosa.
Il vestito nero che indossava sembrava impalpabile su di lei ed era largo sul seno – ora quasi inesistente – e sui fianchi: era dimagrita così tanto che Harry riusciva a contarle le costole e le ossa dello sterno, ora immobile. Ora avvolto da una staticità quasi dolorosa.
Lily lo guardava ed Harry riusciva a vedere la sua bambina anche attraverso quelle iridi nere come l'inferno. Harry Potter riusciva a vedere la sua anima pura anche se sopraffatta dal marcio – dallo sporco.
“Non lascerò che lui ritorni, papà” sussurrò con tono lieve, flebile, stanco.
Harry la fissò sorpreso e lei accennò ad un sorriso – di quelli rari, che oramai non vedeva da quando si era trasformata completamente.
“Guardami” sussurrò il bambino sopravvissuto, afferrandole il mento con due dita e costringendola a ricambiare il suo sguardo.
Una ciocca dei suoi capelli rossi gli sfiorò la mano e lui poté sentire la morbidezza contro la pelle: continuava a ricordare quando lei era solo una bambina e lui adorava spazzolarle quella meravigliosa chioma rossastra; Lily non lasciava che sua madre la pettinasse – a differenza delle altre bambine – ma aspettava la fine del suo turno per fare in modo che lo facesse lui.
Harry amava farlo. Quei capelli gli ricordavano sua madre e l'odore di miele e gigli gli era così familiare che non riusciva nemmeno ad andare a dormire se prima non ne sentiva il profumo: per quel motivo Harry, anche quando lei era partita per Hogwarts – prima di spegnere le luci, entrava nella sua stanza e stropicciava le lenzuola del suo letto.
“Non ho mai voluto che tu entrassi in questa storia. Mai” bisbigliò, sentendo le viscere attorcigliarsi.
Lui non voleva nemmeno che quella storia si ripetesse. Aveva sperato... aveva pregato perché tutto quello non riaccadesse, ma tutto ciò che aveva sempre temuto era accaduto e forse anche in una forma peggiore di come lui s'immaginava; dopo anni passati a combattere Lord Voldemort e poi tutto crollava. E poi tutto andava in frantumi.
“Io non voglio essere protetto, Lily. Non ho bisogno che tu mi protegga, ma ho bisogno che tu viva.
Ho bisogno che tu viva, perché non m'importa niente di sopravvivere senza di te. Non m'importa niente del resto se non ci sei tu, Lils” soffiò distrutto, affondando le dita con forza nella pelle morbida del mento.
“Papà, ho un piano” disse la ragazza, piano – mentre le vene bluastre sul suo volto quasi si muovevano in sincrono, creando uno spettacolo unico e... incredibile.
“Se serve un cuore oscuro per far rivivere Lord Voldemort, io posso usare lo stesso incantesimo... ma volgerlo a mio favore.
Sangue del nemico – e sarà quello di Diamond, prelevato con la forza. Affinché il resuscitato possa continuare a combattere.
Carne del servo – e sarà la tua, papà, sacrificata con consenso. Perché con il tuo amore ti sei piegato letteralmente a lui. E perché il suo cuore possa ritornare a battere.
E il cuore di qualcuno che il suo stesso sangue nelle vene – qualcuno che ha combattuto per il male, ma ha uno sprazzo di luce che si insidia in sé. Cattivo sangue non mente mai e nemmeno il suo, papà” disse frenetica, delineando quella follia che da tempo si affollava nella sua mente.
Tutto, tutto era perfetto e niente sarebbe stato lasciato al caso.
“Di chi... d-di chi stai parlando?” balbettò Harry, ansimando ripetutamente per l'ansia che gli avevano messo quelle parole.
Lily sogghignò e mai, mai Harry aveva visto qualcosa di così cattivo. Nemmeno ai tempi di Lord Voldemort.
“Sai chi erano i genitori di Diamond, papà?” ridacchiò Lily, rovesciando il capo verso l'alto e fissando il soffitto – tornato nuovo dall'ultima volta che l'aveva distrutto.
Draco Malfoy si bloccò sull'uscio della porta e lei sembrò sentirne l'odore, perché lo fissò con la bella bocca di more tesa in un sorriso subdolo.
“Avete tutti quanti lo stesso odore, voi Malfoy.
Qualcosa che assomiglia alla terra e alle rose nere che crescono nello Yorkshire – dove la leggenda dice che il corpo straziato di duecento bambini ha fatto da concime per la loro crescita.
E io l'ho sentito su di lui, dentro di lui. È come un edera velenosa – una nube tossica che lo avvolge e lo rende riconoscibile ai miei occhi.
Diamond ha lo stesso odore di Scorpius quando è arrabbiato o infelice e questo significa solo una cosa...” sussurrò Lily con voce roca, usando un timbro ammaliante, quasi incantatore.
Sembrava un serpente. E stava per colpire.
“Per caso mamma e papà ti hanno nascosto un fratellino, amore?”
Draco indietreggiò per la portata di quelle parole che – volente o nolente – lo colpirono dritto al petto: lei aveva ragione, solo i Malfoy di sanguepuro avevano quell'odore così strano, certe volte così nauseabondo...e in qualche modo – in qualche strana stronzata del destino – quel Diamond ce l'aveva.
“No” disse Draco, duro, indurendo la mascella.
Lily sospirò e scivolò dalla tavolata di cedro scuro su cui era stata seduta fino a quel momento: lo raggiunse leggiadra, con un movimento leggero dei fianchi. Ed era tanto bella quanto terrificante.
“Dammi la mano” mormorò a pochi centimetri da lui – mentre Harry continuava a rimanere immobile, come pietrificato, seduto accanto al tavolo.
La sala meeting del Ministero non era mai stata così tanto silenziosa e Draco cominciò a temere che il suo cuore potesse sentirsi tra tutto quel silenzio: faceva tanto – troppo rumore.
“Non farmi essere ripetitiva” bisbigliò Lily, ignorando la venuta di Hermione.
Era ancora vestito di nero e la Potter sorrise, afferrando di per sé il braccio del padre di Scorpius: quasi gli strappò le maniche della camicia per fissare le vene spiccare a contrasto con la carne pallida.
Questo ti farà un po male” e non finì nemmeno di pronunciare la frase che le sue unghia divennero lunghe più di venti centimetri e si conficcarono proprio nella piega del polso: Draco gemette ed Hermione sobbalzò, affiancandolo in men che non si dica.
“Che diavolo stai facendo?” sibilò con voce acre, fissandola a mo' di sfida.
Lily non batté ciglio né di fronte alla sua rabbia né al sangue che, oramai, le colava lungo le dita.
“Quando ho attaccato Diamond, credo di essere stata imbrattata con il suo sangue... e ne ricordo l'odore, la consistenza. Ricordo quasi ogni molecola, il colore, la provenienza” spiegò Lily con voce stucchevole – facendo rivoltare le viscere ai presenti.
Draco rovesciò gli occhi grigi verso quelli bruni di Hermione, che ricambiarono pienamente. La fissarono feriti, oltraggiati.
Il suo principe di ghiaccio ancora veniva ferito dagli eventi – da quel passato che continuava a tormentarlo.
“Ha il tuo stesso odore, lo stesso colore che quasi confina con il nero.
Mi sembra di essere sommersa dallo stesso sangue” mormorò la rossa ed Hermione sapeva che non stava mentendo.
Quella magia che le pompava dentro riuscivano a rendere quel nasino quasi oro colato. Ma stavano ferendo Draco.
“No...” bisbigliò Malfoy, scuotendo il capo e fissandola supplicante.
Sembrava pregarla di dire qualcosa, di dissentire quello che stava dicendo quella ragazza che aveva ancora il suo sangue sulle mani; Lily continuava ad infangare la memoria di quelle due persone che avevano ucciso il Draco adolescente, ma che l'avevano amato.
Oh, se lo avevano amato.
“Mi dispiace” disse Lily, sciogliendo la presa su di lui e allontanandosi di un passo.
Draco affannò con il petto e si guardò la ferita con un angoscia che nemmeno durante la seconda guerra magica l'aveva arpionato. Perché?
Perché non sapeva l'esistenza di quel fratello? Perché i suoi genitori l'avevano abbandonato? Cosa si celava dietro tutto ciò?
Hermione gli appoggiò una mano sulla spalla, scuotendolo e affondando le dita nel maglione, poi nella camicia e infine nella carne; erano così vicini che lui poteva sentire il suo calore, il suo profumo e il pompare spasmodico di quel sangue che li aveva sempre divisi. Che continuava a dividerli.
“Draco...” lo chiamò Hermione, quasi imperiosa nei suoi modi di fare da leonessa.
Draco. Non l'aveva mai chiamato così, mai, ma il suo nome tra le sue labbra aveva un sapore diverso. Un suono così stonato – ma giusto, da fargli tremare le ossa.
“Tu non hai nessuna colpa.
Non potevi saperlo”
Oh, Hermione conosceva bene i suoi punti deboli, nonostante non le avesse mai dato modo di conoscerli. E sapeva quali tasti toccare – quali evitare e la adorava per quello; la fissò, questa volta coscienzioso, e lei sorrise tremula.
“Una volta li ho sentiti litigare. Li ho sentiti parlare di questa cosa che dovevano nascondere... ma non gli ho dato peso.
Non gli ho dato peso e guarda cosa ne è venuto fuori” gemette, scuotendo il capo e lasciando che alcune ciocche gli ricadessero dinnanzi agli occhi.
Hermione continuò a sorridere e gli riportò la frangia dietro l'orecchio – sospirando.
“Tu non hai nessuna colpa di quello che fanno i tuoi genitori, smettila di darti la colpa per loro.
Tu non sei né Lucius né Narcissa. Tu sei Draco Malfoy e come tuo figlio, non hai nessuna colpa” continuò con la sua nenia, causandogli un brivido. Causandogli il solito acceleramento del cuore.
Hermione Granger continuava a farlo sentire un eterno adolescente insicuro, era quella la realtà scomoda; con Hermione Granger si sentiva un ragazzino impacciato – un ragazzino che non era mai stato con nessuno – ed era una sensazione meravigliosa.
“Le mie parole non erano vuote, piccioncini.
Quando ho parlato della formula – su ciò che useranno loro volto a nostro favore – parlavo della morte di Diamond e... la vita di Sirius Black” sussurrò Lily, facendo scendere il silenzio sulla sala.
Nessuno fiatò e molteplici occhi si posarono su di lei: oh, era furba la piccola Lily, tanto furba da aver elaborato un piano di quell'elevata follia da sola; sapeva com'era morto Sirius Black e sapeva che l'unico arco rimasto risiedeva proprio lì, al ministero.
Bastava solo farsi trovare al momento giusto e sapere il momento dell'attacco decisivo... e Lily li avrebbe trascinati dritti lì – dove un corpo sarebbe ritornato alla vita. Dove un anima sarebbe ritornata indietro, con la forza.
Ora rimanevano solo pochi punti interrogativi: perché Narcissa e Lucius Malfoy non avevano voluto quel figlio e perché proprio lui era andato alla ricerca dei servi di Lord Voldemort, per fare in modo che lui rinascesse?
E lei, così piccola e fragile, sarebbe riuscita a portare a termine un incantesimo di quella portata?
Quell'ultimo quesito, Scorpius – che era appena comparso alle spalle del padre – proprio non riusciva a risolverlo; gli premeva dentro, lo uccideva, ma non aveva risposta... come non l'aveva avuta durante la sua trasformazione o durante tutta la loro relazione.
Perché diavolo si era innamorato di una Potter?
“Davvero, credo che le cose peggio di così non possano andare” sospirò Scorpius, socchiudendo gli occhi grigi pesantemente.
Lily gli rivolse un sorriso così angelico che – per un attimo – ne ebbe paura.
“Apparte Diamond che in realtà è tuo zio? No, non credo che possano andare peggio di così” cinguettò melensa, facendolo sbiancare pericolosamente.
“Quel...quel basta...mio cosa?” balbettò, fissando suo padre sconvolto e furente: Draco alzò le mani in segno di difesa – quasi sconfitto – e gli fece un sorriso che sapeva di scuse. Che sapeva della richiesta di un perdono.
“La tua ragazza dice che puzziamo” si giustificò, facendogli strabuzzare gli occhi.
“Eh?” sbottò Scorpius, senza capirci più niente.
Lily diceva in giro che puzzavano? La fissò stranito e lei alzò gli occhi completamente neri al cielo, scuotendo il capo per l'esasperazione che le portavano quelle persone.
“Ma sì, la tua ragazza dice che noi abbiamo una puzza speciale... e che Diamond ha la nostra stessa puzza” spiegò meglio Draco, in realtà senza spiegare un emerito cazzo.
Santo Merlino, ma che voleva dire con quella cosa della puzza?
“Illuminante, Malfoy... non avrei saputo spiegarlo meglio” sbuffò Harry, guardando il nemico di sempre come se fosse impazzito.
Ma era scemo o cosa, per caso?
“Ogni essere umano ha un odore specifico, Scorpius. È come quando entri in una casa e vieni avvolto da un profumo nuovo – ma nello stesso istante conosciuto: ecco, quell'odore appartiene alle persone che vi abitano e vale lo stesso per la loro pelle.
Noi mortali siamo troppo sensibili per poterlo percepire, ma riusciamo lo stesso a distinguere un profumo da un altro – mentre vampiri, licantropi, demoni... beh, per loro è quasi naturale. L'odore della pelle delle persone, per loro, è come se fosse composta da una boccetta di profumo intera e in questo modo la distinguono perfettamente dall'altra.
Ora che il naso di Lily è più sensibile riesce a visualizzare e percepire il profumo della pelle di una persona – del suo sangue. E voi e Diamond sembrate fatti della stessa passa” disse Hermione – pragmatica e perfetta come sempre.
Gli occhi grigi di Scorpius si ancorarono in quelli della Potter e questa ricambiò senza mai distogliere lo sguardo: lui ci sarebbe stato ore a guardarla – a godere di quegli occhi senza senso, senza fondo; anche se erano cupi.
Anche se faceva male solo a guardarli, Scorpius ci sarebbe stato giorni, mesi, anni in quel modo. Solo a fissarla. Solo a godere del mondo che promettevano senza nemmeno muoversi – senza nemmeno sbattere le palpebre.
“Ho trovato un modo per mettere fine a questa storia” bisbigliò Lily.
Oh, Scorpius aveva notato quel cambiamento in lei: ora sembrava meno cattiva, più accorta ai suoi cambiamenti d'umore – al fatto che la volesse sana e salva e più lontana possibile da quel psicopatico di Diamond.
“Ti metterà in pericolo di morte?” mormorò Scorpius a bassa voce, lasciando che lei lo prendesse per mano con una delicatezza che non le apparteneva.
Lily appoggiò il mento sulla sua spalla e sentì il suo corpicino collidere con il proprio – con una perfezione quasi maniacale. Ogni suo osso sembrava coincidere con il proprio e ogni sua membra si adattava con una precisione morbosa. E lui amava quell'ossessione che li rendeva praticamente completi – ideali.
“No” rispose Lily – spostandogli una ciocca scomposta di capelli dagli occhi con un soffio.
“Mi sei mancata” bisbigliò Scorpius, poggiando la guancia sulla sua testa e godendosi la sensazione di calore che emanava.
La sentì sospirare.
“Non è cambiato niente” mormorò Hermione, passandogli a fianco e gelandolo sul posto, superandolo e uscendo dalla sala senza più parlare.
Non era cambiato niente, nemmeno lei.
In special modo lei. E questo continuava a ferirlo. E tutto ciò continuava ad ucciderlo. Rivoleva la sua Lily.
“Dov'eravate voi due?” Harry Potter affilò lo sguardo e pure la lingua, fissando suo figlio e sua nipote che erano appena entrati nella sala meeting nel più totale silenzio.
Ma James aveva sfiorato il gomito di Dom – apparentemente indifferente – e l'aveva superata di poco, con un sorriso sereno sulle labbra e gli occhi di chi, in quel momento, sapeva cosa voleva e ce l'aveva esattamente tra le mani.
“Abbiamo bevuto un caffè” sospirò la bionda, sorridendo agli Auror che avevano appena varcato la soglia – pronti per la prossima riunione.
Alcuni sospirarono, altri ricambiarono con troppa eccitazione – beccandosi un occhiataccia da parte di James – e Draco scosse il capo: Potter doveva essere davvero cieco per non accorgersi di niente. Per non notare quello sguardo.
James andava pazzo per la Weasley e l'avevano notato persino alcuni Auror che frequentavano spesso il quartier generale. Una cugina non si guardava in quel modo – non si toccava così intimamente, come se la conoscesse a fondo. Come se fosse naturale affondare le dita con maggiore forza nella sua pelle – e lasciarne un segno – invece di un tocco casuale.
“Sì e io sono vergine” sibilò Draco, fissando il primogenito di Potter con un sogghigno sulla bocca sottile.
“Mi sembrava strano: Malfoy junior non ti assomiglia per niente” soffiò James, mandandolo in bestia.
“Mio figlio mi assomiglia... specie quando si fa tua sorella” sbraitò Draco, facendosi spuntare coda e corna.
Harry girò il capo a centosessanta gradi e se Scorpius arrossì come un bambino, James non trattenne il traverso di bile che gli salì in gola.
“Se è come lei stiamo apposto: Lily lo lascerà proprio come ha fatto sua moglie” cinguettò velenoso, mandandogli quella stoccata che andò a segno.
Harry diede il cinque a suo figlio.
Uno a zero per me, furetto! Pensò tutto orgoglioso, godendosi la scena senza esserne protagonista.
Com'era bello guardare Malfoy litigare senza doversi fare salire il sangue al cervello... ed era ancora più bello vedere che veniva zittito da suo figlio!
“Almeno io non mi scopo mia cugina” sussurrò Draco a bassa voce, facendolo sbiancare.
Blaise, che stava passando da lì proprio in quel momento, si bloccò di scatto.
“A quest'età ti scopi ancora tua cugina? Draco, queste sono cose che si fanno da adolescenti, ora è da pervertiti... da te non me lo sarei mai aspettato!” disse sinceramente oltraggiato.
Draco prima gli menò un calcio negli stinchi e poi lo mandò a fare in culo, giusto perché stava sempre in mezzo ai coglioni.
“Tu non schiatti mai, vero?”
“Ma schiatta tu!
Non lo so, guarda questo” rispose Blaise indignato, incrociando le braccia al petto e facendogli la linguaccia.
Asia, che era alle spalle del marito, fissò gli occhi in quelli di Lily e quest'ultima – nonostante la mancanza di parole – capì.
“Non posso, signora, non sono onnipotente.
L'incantesimo verrà interrotto nell'esatto momento in cui colui che l'ha lanciato muore. E Diamond mi serve vivo” mormorò la rossa, ricambiando il suo sguardo senza particolare inflessione.
Asia si strinse in un abbraccio e sospirò pesantemente, mordendosi la bocca carnosa: voleva suo figlio indietro. Voleva suo figlio vivo e le faceva male tutto quello.
“Cerchi di essere più presente quando Dalton aprirà gli occhi. Venire ignorato da quando è nato non lo ha aiutato molto ed è vero che per quelli come noi non c'è via d'uscita... ma c'è sempre la salvezza” disse Scorpius, senza mai guardarla in faccia.
Asia fece una smorfia – senza saper rispondere; era vero, non era mai stata una madre perfetta: era stata così assente... ma aveva creduto che a Dalton sarebbe bastato essere libero e avere il mondo in mano per essere felice.
Eppure ancora una volta si era sbagliata. Dalton non era lei, che aveva sempre voluto avere la libertà di poter respirare e magari correre e sporcarsi come chiunque bambino, adolescente e adulto.
Non aveva voluto privarlo di essere se stesso, ma in quel modo era solamente riuscita a farsi odiare.
“Ha la mano stretta a quella ragazzina” rispose Asia, che nel suo pantalone bianco e la maglia di seta rossa era ugualmente meravigliosa.
Blaise rovesciò il capo verso di lei e storse la bocca in un sorrisetto soddisfatto: era stata bella da ragazza – con quegli occhi azzurri e i capelli lunghi e bruni – ed era bella ora.
La sua eterna bambina.
“Quante volte devo ripetertelo? Joe è la sua ragazza” sbuffò Scorpius e Asia storse il nasino alla francese.
La sua bellissima ed eterna bambina, ecco cos'era sua moglie.
“Ha le tette che avevi tu prima che nascesse Dalton” cinguettò Blaise, facendosi guardare male.
Draco quasi si strozzò con la propria saliva e Scorpius arrossì all'immagine che gli era saltata alla mente.
“Va all'inferno” sbraitò Asia, perdendo la sua solita compostezza – come sempre in presenza di suo marito.
“Tesoro, dimentichi sempre che l'inferno è dentro me e io sono il diavo...” iniziò Blaise, venendo bloccato da una risata acida da parte di Asia.
“Sei ridicolo. Hai quarant'anni, fattene una ragione”
E batosta più grande non ci fu per Zabini, perché a quelle parole si zittì irrimediabilmente – con la bocca tremolante.
Bambina e pure stronza, quello non doveva dimenticarlo.
In fondo... era stato quello a farlo innamorare di sua moglie, no?

***


“La passi?”
Roxanne alzò gli occhi sulla persona che era appena entrata nei dormitori femminili di Grifondoro come niente fosse, varcando la porta della sua stanza con una flemma davvero invidiabile.
Lorcan inclinò il capo e le sorrise, riavviandosi con un gesto i capelli biondi e sedendosi con un sospiro sul divanetto al suo fianco. La sua stanza era piena di divanetti – a stento ci entrava il suo letto lì dentro – come se ci passassero più tempo estranei che lei stessa.
“Non sei Caposcuola, Weasley... perché hai una stanza tutta per te?” soffiò Lorcan, afferrando la canna che lui le stava passando con la sua solita aria perversa.
“I fascicoli” spiegò in due parole Roxanne, fissando il soffitto – cosa che faceva oramai da due ore buone.
Frank le aveva mandato il cervello in pappa con il suo comportamento e lo stava evitando da due giorni buoni – chiudendosi buona buona nella sua stanza solitaria.
“Hanno paura che tu ti metta a scavare nei loro bauli, Roxie?” bisbigliò Lorcan al suo orecchio, facendole venire la pelle d'oca per quel contatto ravvicinato.
Era vicino. Troppo vicino.
“Tu non hai paura, Scamandro?” sussurrò Roxanne, sporgendosi verso di lui e sorridendo.
Lorcan spense la canna nel posacenere di cristallo posto sulla moquette rossa – proprio vicino alla poltrona – e si avvicinò ancora di più alla sua bocca. Il suo respiro odorava di menta ed erba e i suoi occhi erano così luminosi che per un solo attimo, Lorcan, si chiese perché diavolo fossero ancora legali.
“In questo momento l'unica che deve aver paura sei proprio tu, fiorellino” soffiò il ragazzo e, sorridendo in un modo che non prometteva nulla di buono, le afferrò una ciocca di capelli con violenza e l'attirò a sé – baciandola.
Roxanne affannò nella sua bocca e gli incavò le guance con i pollici per poter permettere alla sua lingua di accarezzarlo meglio; Lorcan le chiuse i polsi tra le mani, affondando le dita nella pelle sensibile del polso e trascinandola sul pavimento – dove Rox sentì la moquette affondare nella sua schiena, morbida come una carezza.
Ora era su di lei e poteva sentire il suo bacino a contatto con il proprio – e le sue gambe intrecciarsi alla sua vita con un'agilità che non lo sorprese; Lorcan aveva sentito parlare di lei e del modo in cui faceva l'amore.
Gli avevano detto che era delicata – e questo glielo dimostrò il modo in cui gli stringeva il viso tra le mani, sommergendo le dita nei capelli biondi e baciandolo con una passione tale che lo infiammò dall'interno.
Gli avevano detto che era violenta – e questo glielo dimostrò quando invertì le loro posizioni, salendogli a cavalcioni e graffiandogli il collo con le unghia poco curate.
Lorcan affannò e lei sorrise, staccandosi dalla sua bocca solo per togliersi il maglione e la camicia della divisa: osservò la linea morbida dei fianchi e la curva piena del seno, il collo arcuato e la pancia completamente piatta; lentamente – quasi senza nessuna fretta – lei lasciò scivolare via la zip della gonna e, appoggiandosi con il petto al suo, si denudò.
Un respiro e Roxanne sorrise, quasi strappandogli la camicia per poter passare i polpastrelli lungo la linea dello stomaco e poi della pancia.
Due respiri e i pantaloni e i boxer fecero la stessa fine del resto dei loro vestiti – che avevano raggiunto il letto dall'altra parte della stanza.
Il caminetto era a pochi metri da loro e le fiamme quasi s'alzarono al cielo quando Roxanne scivolò su di lui. Ora era dentro di lei in un modo che lo sconvolse – mandandolo in tilt.
Era calda e lo avvolgeva interamente, trasmettendogli mille scosse lungo la spina dorsale.
“Non sono d'accordo, tesoro.
Di solito sono gli uomini che hanno paura di me” soffiò lei al suo orecchio, graffiandogli i bicipiti con un sorriso sulla bocca carnosa.
Ora i suoi capelli erano illuminati dal fuoco del camino e le dita di Lorcan si chiusero a coppa sul suo seno sinistro – dove sentiva il cuore galoppare; in quel momento adorò il suo modo di essere umana.
Il modo in cui le sue guance mulatte si tinsero di rosso e i suoi occhi bruni si appannarono dal piacere – scurendosi fino a confinare con un nero terribilmente spaventoso ed eccitante. Le sue gambe lo stringevano fino a fargli mancare il fiato e Lorcan poteva ancora sentire il cuore di lei battere all'unisono con il suo, stravolto dal piacere.
Adorò il modo in cui si muoveva su di lui, dondolando prima dolcemente – come a voler prolungare quell'attimo all'infinito – e poi accelerando, portandolo alla pazzia interiore. Portandolo quasi al limite dell'umana concezione.
Con le dita percorse le anche, stringendole senza delicatezza prima di risalire verso il petto – che affannava.
Roxanne gemette e Lorcan si alzò a sedere, facendola trasalire; ora erano così vicini che quasi potevano confondersi: Rox non sapeva dove iniziava lui e finiva lei e viceversa, in un modo quasi perverso d'amare.
La cosa stava degenerando e non le piaceva; erano così fusi insieme, così perfettamente incastrati da farla tremare.
Quello non era sesso e non le piaceva.
“Oh”
Quella terza voce la fece sobbalzare e Roxanne si scostò di scatto, sgranando gli occhi quando vide Frank fermo e pallido sull'uscio della porta.
Cazzo, pensò Roxie, sgranando gli occhi.
“Scusate, non volevo...non...” annaspò Frank, indietreggiando e finendo a toccare lo stipite con la schiena.
“Frank” lo chiamò Roxanne, calma, alzandosi e strafregandosene di essere nuda davanti a lui.
Non voleva... davvero non voleva che lui la trovasse in quella specifica situazione; non le piaceva il modo in cui aveva abbassato gli occhi – quasi ferito – e lo sguardo che le aveva lanciato, colpevole.
“Volevo solo dirti che ti cercava Alice” disse Paciock, uscendo di corsa dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Roxanne bestemmiò, afferrando di volata l'intimo e la divisa che aveva lanciato dall'altra parte della stanza.
No, no, no, pensò frenetica, vestendosi di fretta e furia e ignorando lo sguardo allucinato di Lorcan.
“Mi dici dove vai?” disse Scamandro, alzandosi dal pavimento con la bocca schiusa per lo stupore.
Roxanne a malapena lo degnò di un occhiata e si legò i capelli crespi in una crocchia veloce – lasciando la cravatta molle e i primi bottoni della camicia sbottonati.
“Ci vediamo dopo” borbottò, affrettandosi verso l'uscita di quella stanza che, oramai, era diventata troppo stretta.
Le stava mancando l'aria.
Cazzo, cazzo, cazzo, continuò mentalmente – prendendo lunghi respiri per cercare di calmarsi.
Frank aveva una tempestività del cazzo. Cazzo.
“Dove vai?” urlò Lorcan, afferrandola per un polso e bloccandola prima che fuggisse letteralmente via.
Roxanne rimase di spalle, immobile e marmorea.
“Lasciami” mormorò a bassa voce, mentre Lorcan – quasi come se si fosse scottato – faceva un balzo all'indietro.
“Non metterti allo stesso livello, non farlo... perderesti comunque” mormorò Roxanne, facendogli sgranare gli occhi.
Lorcan scosse il capo e sogghignò, quasi in pena per lei.
“Allora faresti bene a smetterla di scoparti altre persone sotto i suoi occhi. Non credo che a Paciock piacciano le troie” soffiò alle sue spalle, gelandola sul posto.
Oh, ma lei lo faceva apposta, forse Lorcan non lo sapeva. Lei voleva che Frank pensasse che lei fosse una stronza e le stesse alla larga in quel senso.
Non voleva ferirlo. Roxanne non era in grado d'amare e lo sapeva – l'aveva sempre saputo.
“Non credo che lo farò. Sai, a me piace cambiare” rispose, strappandogli una smorfia.
Con questo uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle: alzò il mento e ricacciò indietro le lacrime – forte come sempre.
In un certo senso lei si sentiva davvero George e non Roxanne. Le ragazze, di solito, piangevano quando qualcuno con cui avevano appena condiviso qualcosa di più delle parole le insultava; le ragazze, di solito, cercavano una storia seria e non una notte e via.
E lei non si sentiva così. A lei non piaceva piangere e né le piaceva l'idea che qualcuno potesse vederla in quelle condizioni: solo Frank aveva avuto l'onore – e la disgrazia – di consolarla... e quello era rimasto un segreto tra loro due.
E quello aveva avuto il potere di avvicinarla a quell'idiota di Paciock.
“Tutto bene, sorellina?”
Rox rovesciò il capo alla sua sinistra, dove Fred stava per intraprendere le scale per il dormitorio maschile.
“Hai visto Frank?” domandò Rox, cercando di non guardarlo negli occhi.
Suo fratello aveva la straordinaria capacità di leggerle dentro, di capire quando qualcosa non andava e l'ultima cosa che voleva era una lite tra lui e l'idiota di Scamandro.
Lei sapeva perfettamente difendersi da sola e se Lorcan meritava un cazzotto, non ci avrebbe pensato due volte a darglielo lei di persona.
Solo che il suo Freddie – nonostante lei non fosse una santa – era così geloso... e non meritava affatto le chiacchiere che gli arrivavano all'orecchio, l'immagine di quella sorella così sbandata.
“Stavo proprio per raggiungerlo... l'ho visto di andare di corsa in camera” disse Fred, guardandola con quegli occhi azzurri che non conoscevano menzogna.
Gli occhi splendidi di suo padre.
“Ci penso io, tesoro” rispose Roxanne, passandogli di fianco e accarezzandogli di sfuggita una spalla.
“L'hai trattato di nuovo male?” sbuffò Fred, oramai abituato alle crisi isteriche di Frank quando Rox lo trattava più male del solito.
“No, ma sai che è fragile” sussurrò la Weasley, sorridendo triste.
Sì, Frank era terribilmente fragile e soffriva di attacchi d'ansia e panico – di veri e propri crolli nervosi – e di solito ci volevano ore per calmarlo. E lei e sua sorella erano le uniche che ci riuscivano.
Le due persone che lo trattavano più male erano le uniche che riuscivano a farlo stare bene. Che strana che era la vita.
Che gran bastarda sfruttatrice.
“Ripetitelo più spesso” le disse Fred, prima di baciarle il capo e indietreggiare, facendo retromarcia verso il ritratto della loro Sala Comune.
Già, era lei che doveva ripetersi che Frank era fragile. E doveva smetterla di fargli del male.
Erano vuoti i corridoi per le camerate – e quella volta non beccò nessuno in mutande. Rox superò le prime stanze, fino alla ventesima porta a destra – che non avrebbe dimenticato nemmeno con un oblivius.
Quante volte era andata lì? Quante volte aveva dormito con Frank perché la sua stanza era troppo buia, troppo solitaria? Quante volte aveva cacciato dei ragazzi dal suo letto... mentre lui era sempre rimasto?
Roxanne aprì la porta e raggiunse il primo letto a baldacchino, aprendo le tende con un gesto secco che fece sobbalzare il ragazzo rannicchiato contro la testata di legno.
“Frank” lo chiamò, sedendosi sulla sponda e allungando il braccio verso di lui.
Voleva toccarlo... voleva sentirlo, ma Paciock – per la prima volta da quando lo conosceva – si scostò.
“Sto bene” disse con voce dura, senza però guardarla.
Ma lei vedeva bene le guance umide e le mani tremare. Ma lei vedeva bene il petto alzarsi e abbassarsi con una velocità disumana.
“Non essere arrabbiato con me, Frank” mormorò Rox, guardandolo da sotto le lunga ciglia e causandogli il solito batticuore.
“Non lo sono. Ora puoi uscire?” domandò il ragazzo, infilandosi una mano tra i capelli e mordendosi la bocca per non urlare. Per non singhiozzare.
“Hai una crisi” constatò lei, con più dolcezza del normale, accarezzandogli un ginocchio.
Frank la guardò con odio.
“Smettila di trattarmi come un bambino. Ho detto che sto bene, non ho bisogno della tua pietà” sibilò furioso, stringendo i denti fino a sentirli scricchiolare.
Rox lo guardò sorpresa e... ferita. Lei non stava facendo nulla per pietà, a lei nemmeno piaceva provare pietà per la gente. Ma che diavolo gli saltava in mente?
“Non ti tratto né come un bambino e né provo pietà per te, idiota!” sbottò, infervorandosi e alzandosi di scatto dal letto.
Ora lo sovrastava e con gli occhi che mandavano lampi di rabbia, sembrava un amazzone pronta a combattere. Pronta ad uccidere.
Era vero, alcune cose non sarebbero mai cambiate... come il modo in cui Frank amava vedersi sotterrare da quelle mani. Come il modo in cui Frank amava quella combattente nata.
“Va via”
“Frank...”
“No. Va via e basta” mormorò il ragazzo, ignorando il tremolio delle mani di Roxanne.
Ignorando il modo in cui lo fissava ferita.
Lui era l'unico che l'aveva vista ridere veramente, piangere e arrabbiarsi; lui era l'unico che era rimasto con lei quando voleva distruggere il mondo – se stessa – e non era mai andato via.
Lui era l'unico che la conosceva in ogni sua sfaccettatura... e ora la stava mandando via.
“Avevi detto che mi avresti stretto ugualmente, nonostante il mio lato oscuro” sussurrò la Weasley, quasi delusa.
Quelle parole gliele aveva dette una notte come tante – quando lei si sentiva così sola da intrufolarsi nel suo letto come non aveva fatto nemmeno con suo fratello. E lei ci aveva creduto.
E lei gli aveva creduto.
“E continuerò a farlo, Rox.
Non smetterò mai di amarti nemmeno se diventeresti la serial killer più cattiva del mondo magico e tu lo sai bene” soffiò Frank, quasi spento.
E continuava a credergli. Irrimediabilmente.
   
 
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