Fanfic su attori > Tom Hiddleston
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Autore: Madama Rosmenta    03/03/2014    1 recensioni
Dal primo capitolo:
«Pronto?»
«Signorina Borghese?»
«Si, chi la cerca?»
«E’ stata scelta per un lavoro prestigioso, si prepari a partire entro tre giorni, riceverà un’altra telefonata dove le indicheremo l’ aereoporto e l’orario» disse la donna come se fosse un messaggio registrato.
«Bene, posso sapere per ci lavorerò?»
« Thomas William Hiddleston» Fu la risposta secca della donna, *mai sentito, sarà uno di quegli industriali di mezza età* pensa tra me.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“I’ll been figthind the same old war…” la mia suoneria mi fece svegliare di soprassalto. *Non succede mai nulla e puntualmente, proprio quanto mi addormento, tutto il mondo si ricorda della mia esistenza*. Mi schiarii  la voce, guardai il display: numero sconosciuto.
«Pronto?»
«Signorina Borghese?»
«Si, chi la cerca?»
«E’ stata scelta per un lavoro prestigioso, si prepari a partire entro tre giorni, riceverà un’altra telefonata dove le indicheremo l’ aereoporto e l’orario» disse la donna come se fosse un messaggio registrato. Era la stessa voce strascicata della segretaria che qualche settimana prima aveva registrato i miei dati, dopo il “colloquio”.
«Bene, posso sapere per ci lavorerò?»
« Thomas William Hiddleston» Fu la risposta secca della donna, *mai sentito, sarà uno di quegli industriali di mezza età* pensa tra me.
«E dove si trova il lavoro?»
«In America, ma solo temporaneamente»
*America! Ma che cavolo gli salta in mente? Mandare una alle prime armi in America per un lavoro “prestigioso”, probabilmente sarà uno svitato che non vuole nessuno*
«America?»
«Esatto, precisamente nel New Nexico, e per un periodo in California» fece la donna con voce annoiata «rimanga reperibile, arrivederci»
Tu-tu-tu
 Ricaddi sul divano dove fino a poco prima dormivo tranquillamente, in America? Non ero mai andata così lontano in vita mia, e nemmeno credevo mi sarebbe mai capitata l’occasione. Passarono svariati minuti prima che riuscii ad alzarmi dalla morsa tentatrice del divano. La donna dell’agenzia mi aveva detto che avrei avuto suo notizie al massimo tra tre giorni, quindi andai meccanicamente in camera e presi la valigia grande e cominciai a mettere dentro abiti, scarpe, accessori e quant’altro.
Il giorno seguente lo passai a casa dei miei, dopo aver saputo la notizia avevano insistito a farmi restare una giornata con loro per “goderci nostra figlia prima che parta”. Proprio quella sera ricevetti un’altra telefonata dall’agenzia che mi diceva di farmi trovare all’aeroeoporto di Fiumicino alle sette di Venerdì mattina. Mi rimanevano altri due giorni, che spesi per metà dai miei e per metà nel raccogliere tutto quello che mi sarebbe servito per partire.
 
L’aereoporto, nonostante fossero appena le sei e quaranta del mattino, era già gremito di viaggiatori ed inservienti, come a qualsiasi ora del giorno e della notte, dopotutto.
Il volo fu lungo ed estenuante, con due scali a Francoforte e a Los Angeles, arrivammo che il sole era calato da un pezzo, sincronizzai l’orologio alle otto e trenta di sera e dopo aver ripreso la mia valigia mi diressi verso l’uscita, dove avrebbe dovuto aspettarmi un collega. Ero quasi all’uscita quando notai un ragazzo con in mano un cartello con su scritto il mio nome che si guardava in giro, evidentemente mi stava cercando. Mi avvicinai a lui, era un mio coetaneo, sui vent’anni, con la pelle chiara, i capelli biondi rasati da un lato che ricadevano sull’altra estremità del viso,gli occhi marroni ed la barba accuratamente rasata. Era vestito con una camicia bianca, un gilet grigio ed un paio di jeans scuri, al collo aveva una sciarpa stravagante sui toni del nero e sul braccio teneva un elegante trench marrone. Non sapendo se parlasse italiano mi avvicinai e gli porsi la mano dicendo il mio nome, lui la strinse con vigore e mi salutò in italiano.
«Piacere di conoscerti io mi chiamo Calogero, ma ti prego di chiamarmi Al» disse sorridendo
«sei italiano?»
«Si, di Caserta»
«Cavolo che fortuna! Pensavo che non avrei più potuto parlare italiano per un bel po’» dissi entusiasta. Lui rise, una risata contagiosa, quasi gorgogliante.
Salimmo su un’utilitaria scura con dentro un signore con i capelli bianchi che accompagnò me ed Al sotto un grattacielo, che da quel momento in poi sarebbe stata la mia casa.
I corridoi erano eleganti ma semplici, i pavimenti erano stato evidentemente lucidati. Appesi ai muri c’erano dei quadri di nature morte o delle opere contemporanee molto suggestive.
Salutai il ragazzo quando arrivò al suo piano e continuai fino ad arrivare al mio, il corridoio che portava al mio appartamento era deserto. Infilai la chiave nella toppa e, dopo svariate mandate, la porta si aprii rivelò un grazioso appartamento, piccolo, ma arredato con gusto e con una splendida vista sulla città, ora illuminata dalle miriadi di luci che emanavano i grattacieli. Era un appartamento modesto: i mobili avevano una linea essenziale ed erano sui toni del bianco. Su un lato del salotto c’era un bancone di granito e dietro di esso una cucina dai colori chiari a formare un grazioso open space. La camera da letto era piccola, ma al centro troneggiava un letto matrimoniale ricolmo di cuscini colorati, sui toni del viola. Sul comodino al fianco del letto c’era il telefono di servizio, che usai per chiamare in portineria, la signora che mi rispose mi lasciò il numero di una tavola calda che faceva anche consegne.
Maledissi la mia malsana idea di ordinare la pasta ad asporto in America. Quella roba era gommosa ed insipida, ma orami l’avevo pagata ed avevo piuttosto fame, quindi mi sforzai di finirla e filai subito a letto.
Ero esausta.





Spero che questo primo capitolo sia di vostro gradimento e soddisfi le vostre aspettative, almeno un pò >.<
Felice Giorno!
  
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