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Autore: 1rebeccam    03/03/2014    16 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 22
 
 
 
Rick era sparito da quasi un’ora.
Dopo che si era chiuso la porta alle spalle sbattendola violentemente, tanto da far tremare le veneziane che nascondevano la sala riunioni dal resto del distretto, Kate aveva provato a contattarlo una decina di volte, ma le chiamate venivano rifiutate o addirittura ignorate.
Era uscito di corsa senza guardare in faccia nessuno, non avrebbe sopportato ancora gli sguardi e le espressioni dei suoi amici.
Nonostante fosse preoccupata, non lo aveva fermato subito di proposito, perché sapeva che aveva bisogno di starsene da solo; il terremoto lo aveva colpito e adesso si scrollava di dosso le macerie poco alla volta, restando ferito nel corpo e soprattutto nell’anima.
Da quando era iniziato questo incubo aveva cercato di mostrarsi forte, di farsi coraggio come meglio poteva facendo lavorare il cervello, tenendosi occupato con le indagini, ma era solo un modo di non pensare che quello che stava accadendo fosse reale. Restare al distretto con lei e i colleghi era come lavorare ad un caso qualunque, senza focalizzare che la vittima, in realtà era proprio lui. Ma dopo tante ore passate rinchiuso lì dentro a pensare, spulciare e cercare, si era fermato un attimo guardandosi intorno, vedendo il via vai frenetico di tutte le squadre al completo del dodicesimo lavorare ininterrottamente per lui, il capitano Gates impartire ordini a destra e a manca senza sosta e la discussione con Kate era stata la stoccata finale, perché l’insieme rendeva tutto reale… una realtà che lo avrebbe ucciso da lì a poche ore, se non fossero riusciti a vincere la sfida contro Dunn.
Era uscito senza voltarsi, senza pensare alle parole dette con rabbia e cattiveria. Voleva essere cattivo in quel momento, voleva prendersela con qualcuno e a rimetterci era stata lei, che era rimasta dentro la sala riunioni, sola, con la voglia di corrergli dietro, stringerlo tra le braccia o schiaffeggiarlo, se solo fosse servito a farlo ragionare, senza però muoversi di un solo passo. Sapeva che doveva stare da solo. Era giusto che riordinasse le idee e facesse i conti con la paura che aveva mascherato fino a quel momento. Solo con se stesso.
Esposito, come tutto il dodicesimo, aveva assistito alla lite tra i due, aveva sentito le voci alzarsi all’improvviso, senza riuscire a capire cosa fosse successo realmente, ed era rimasto sorpreso di vedere che Beckett non lo aveva fermato.
Ryan guardava fisso la porta da un paio di minuti, quando l’amico gli diede un colpetto sulla spalla e gli fece segno di provare a parlarle.
Bussò alla porta e contemporaneamente la aprì. Lei era di spalle, le braccia conserte e la schiena rigida. Guardava fuori dalla finestra e sembrava non li avesse sentiti entrare.
-Beckett…-
Ryan si fece coraggio, avvicinandosi di un altro paio di passi.
-Notizie dal capitano?-
Chiese lei facendolo fermare sul posto.
-Non ancora.-
-Possiamo aiutarti in qualche altro modo? Magari possiamo cercare di rintracciarlo con il GPS.-
Chiese Esposito guardando l’amico, visto che lei non accennava a voltarsi. Si erano accorti delle chiamate a cui non aveva ricevuto risposta e questo li aveva messi ancora più in allarme.
Appoggiò le mani sul vetro della finestra, scrutando la strada parecchi metri più giù.
Sei lì che te la godi Scott?
Scosse la testa
-No, ho una mezza idea su dove può essere andato…-
Si voltò stringendo le labbra, la rabbia che aveva dentro contro Scott Dunn e la sua follia, era visibile in ogni movimento del volto.
-Vado da lui… se avete notizie dal capitano chiamatemi immediatamente, voglio andare dentro quella prigione prima di sera.-
Salì in macchina e si lasciò andare di peso al poggiatesta.
Era pomeriggio inoltrato, tra poco sarebbe diventato buio e lui aveva il primo appuntamento con il dottor Travis. Doveva trovarlo assolutamente, anche perché avrebbe potuto sentirsi male ed avere bisogno di aiuto.
Era sicura che non fosse andato al loft, tanto meno a casa sua.
Mise in moto e risoluta, prese quella che pensava, o forse sperava, fosse la direzione giusta… l’unico posto dove poteva trovare risposte.
Parcheggiò ad un’entrata secondaria di Central Park. Mancavano pochi minuti alle quattro e la vita nel parco scorreva tranquilla come sempre. La neve ricopriva tutto e in lontananza poteva vedere un gruppo di bambini che si rincorrevano, qualche coppietta che passeggiava abbracciata e studenti avvolti nei caldi piumini, seduti su una panchina a leggere grossi tomi di chissà quale materia.
Intorno a lei invece non c’era nessuno.
Quella zona del parco era vietata e i cartelli arancioni con la scritta pericolo erano incastrati nella neve alta, candida e pulita,  visto che le transenne evitavano il passaggio a chiunque… o quasi.
Si diresse verso il muro di cinta, ricoperto completamente dalle fronde degli alberi e a pochi metri da lei vide le impronte sulla neve. Seguì i passi, scostò le sterpaglie con forza ed entrò nel passaggio segreto al di là del muro, un passaggio nascosto al resto del mondo intorno a lei, per ritrovarsi sulla macchina del tempo su cui era stata anni prima insieme a lui, mano nella mano.
S’incamminò nel sentiero che portava in un mondo incantato, lasciando dietro di sé la luce sfocata di un sole pomeridiano in pieno inverno, per addentrarsi nel buio delle sterpaglie e delle fronde degli alberi che nascondevano il cielo completamente.
La prima volta che aveva percorso quella strada il suo cuore era nero come quel posto e adesso, se possibile, era ancora più scuro. Continuò a salire tra le sterpaglie, così fitte da non consentire nemmeno ai fiocchi di neve di passare, perciò sotto i piedi  sentiva solo terriccio, foglie secche e bacche che cadevano dai rami e, in tutto quel groviglio, non riusciva ad intravedere più le orme… ma era sicura di trovarlo lì.
Arrivò alla fine della boscaglia. Un muro di sterpaglie come quello che nascondeva l’entrata, si stagliava davanti a lei, lo spostò con difficoltà e si ritrovò nel segreto incantato.
La prima volta che era arrivata lì, si era sentita come catapultata improvvisamente in un altro mondo. Lui l’aveva portata in quel posto, definito magico, per fare entrare uno spiraglio di luce dentro la sua anima nera come pece. Le aveva detto che quello era uno di quei posti unici, che una volta scoperto rimane nel cuore come un segreto da proteggere e dove portare solo le persone importanti della propria vita.
Persone che ami e per cui daresti la tua vita…
Un posto in cui poteva fare parlare i suoi silenzi, quei silenzi che la stavano distruggendo e che non le permettevano  di onorare un anniversario importante, ma doloroso: la morte di sua madre.
L’aveva portata dentro la magia una mattina di gennaio, in un giorno in cui la neve aveva deciso di fare vacanza ed il sole era alto nel cielo. Quando aveva alzato le sterpaglie per consentirle di entrare, quella palla infuocata l’aveva accecata, lasciandola senza respiro, quando alla fine era riuscita ad aprire gli occhi, abituandoli alla luce e alla bellezza sconfinata davanti a lei.
L’aveva portata in quel posto, nel suo posto segreto, per alleggerire il peso che si portava dentro, per lenire la colpa che sentiva per non avere ancora trovato l’assassino di Johanna.
L’aveva portata in quel posto incantato aprendole il cuore, parlandole del dolore del piccolo Richard e di come quella meraviglia lo avesse coccolato e cullato, riportando il sorriso sul suo viso e lo stupore nei suoi occhi.
Le aveva detto di guardare verso l’orizzonte e lì, cercando bene e aprendo l’anima, aveva visto la punta più alta della montagna curvare verso il cielo a dare forma ad un cuore magico appeso tra le nuvole, che si nascondeva alla vista di tutti e si mostrava solo a chi aveva la pazienza di trovarlo.
Adesso il sole irradiava gli ultimi raggi della giornata e formava strane ombre intorno a lei.
La neve ricopriva tutto e il fiume giocava con le ultime luci del cielo, dando vita ad un dipinto completamente diverso dal primo che aveva ammirato quel giorno.
Sapeva che lo avrebbe trovato lì, intento a fare urlare i suoi silenzi verso un cielo che avrebbe potuto toccare con la mano, soltanto alzando il braccio di poco. Avrebbe potuto urlare il dolore e la paura contro quel cuore che la montagna dipingeva sospeso nel cielo e che solo un animo di bambino poteva vedere.
Era seduto proprio lì, sul segno che quel bambino di otto anni con il cuore a pezzi aveva scolpito su un grande masso tanti anni prima,  per non dimenticare il punto preciso in cui avrebbe potuto rivedere la magia.
 
Si avvicina in silenzio, si toglie la sciarpa e gliel’appoggia sul collo. Lui si gira sussultando e lei gli sistema la sciarpa per bene, coprendolo al meglio.
Rick riporta lo sguardo sull’immensità davanti a sé e solleva le spalle.
-Hai paura che possa morire congelato?-
Esclama con rabbia, ma si morde subito le labbra, senza riuscire a guardarla, consapevole di avere detto un’altra cattiveria.
Kate non risponde, si siede accanto a lui sul masso, guarda lontano la linea dell’orizzonte in cui il cielo bacia il fiume e poi solleva lo sguardo a cercare le nuvole. Chiude gli occhi e assapora la brezza fredda che le accarezza il viso, immaginando fosse la mano invisibile di chi ascolta i loro silenzi.
-Come hai fatto a capire che ero qui?-
Chiede Rick sospirando e lei, sempre ad occhi chiusi storce le labbra.
-Perché questo è un posto magico Castle, qui puoi alzare la mano e toccare le nuvole, qui puoi fare parlare i tuoi silenzi e le tue paure… puoi fare le domande che ti tormentano, sicuro che arriveranno prima alle orecchie di chi laggiù, forse non riesce a sentirti!-
Rick abbassa lo sguardo sulle sue mani intrecciate a penzoloni sulle ginocchia e scuote la testa.
-Stavolta nemmeno qui mi sono arrivate risposte…-
Kate si stringe nel cappotto, sollevando il colletto per proteggersi dal freddo, che aumenta man mano che i raggi del sole si affievoliscono di minuto in minuto.
-Sai benissimo che le risposte sono già dentro di te… e che solo il silenzio e la solitudine ti avrebbero permesso di sentirle. Per questo sei venuto qui.-
Lui sorride mesto e annuisce.
-Ci sei più venuta dopo quel giorno?-
Kate scuote la testa continuando a guardare il mutare del colore del cielo.
-Non avevo nessuno di speciale da portarci… e poi, dopo quel giorno, ho cominciato a vedere le cose sotto un’altra prospettiva.-
Si ferma un attimo chiudendo di nuovo gli occhi e respirando a pieni polmoni, sentendo l’aria gelida entrarle fino al cervello.
-Quel giorno ho trovato le risposte dentro di me, ho avuto la certezza assoluta che ogni volta che mi sarei ritrovata ancora nel buio, non avrei dovuto fare tutta questa strada… mi sarebbe bastato guardare alle mie spalle, per rendermi conto che il cielo era a due passi da me…-
Lascia la frase a metà e si gira a guardarlo, contemporaneamente a lui che incatena gli occhi ai suoi, aprendo di poco la bocca per lo stupore.
-Sei sempre stato il mio cielo Castle, ci ho messo troppo tempo ad allungare la mano per toccarti, ma alla fine una forza invisibile mi ha costretta a farlo e mi ha portata a te.-
Rick la guarda con gli occhi lucidi, l’emozione l’ha sopraffatto e deglutisce distogliendo lo sguardo. Resta in silenzio qualche secondo, assaporando quelle parole dette con sicurezza e tranquillità.
Sospira guardando l’orizzonte.
-Ho paura Kate! Una dannata paura…-
Lei gli mette la mano sulla sua.
-Non c’è niente di sbagliato in questo. Ho una dannata paura anch’io.-
-Ma io non ho paura di morire!-
Solleva le spalle guardandola.
-Cioè… ho paura anche… di morire, però quello che mi spaventa di più non è il dolore fisico o il pensiero della morte, ma quello che mi sta intorno adesso.-
Dice tutto d’un fiato abbassando ancora lo sguardo, mentre lei corruccia la fronte.
-E’ bastata una richiesta del capitano perché tutti gli agenti rientrassero a lavoro. Per me. Ryan ed Esposito non fanno battute e quasi non incrociano lo sguardo con il mio perché sono addolorati. In ospedale Lanie non ha detto una sola parola, come se parlare la facesse soffrire… perfino la Gates mi tratta bene e questo mi… mi fa paura!-
-Ti vogliono bene Castle, sono tuoi amici, sei uno di noi, sei parte del dodicesimo… anche il capitano Gates, per quanto mostri di non sopportarti, ti rispetta. E’ normale che siano preoccupati per te e disposti a tutto per salvarti la vita.-
Risponde stringendogli la mano e lo guarda aspettando che anche lui si decida a sollevare gli occhi. Lo fa poco dopo incatenando lo sguardo lucido al suo.
-Ho paura di te… di guardarti, come adesso. Ti guardo e vedo solo dolore per me e rabbia, ma non verso Dunn, sei arrabbiata con te stessa e questo non lo sopporto.-
Lei apre la bocca per rispondere, ma lui la ferma con un cenno della mano.
-Non ci riesco Kate… non posso andare a casa e parlare con Alexis e mia madre, non riuscirei a sopportare il dolore e la disperazione nel loro sguardo.-
China la testa per nasconderle le lacrime che stenta a fermare.
-Non posso, non ce la faccio…-
Lei gli mette la mano sul viso e lo costringe a guardarla.
-Hai ragione tu, io non ho nessun diritto di decidere quello che è meglio per Alexis.-
La interrompe stringendole la mano.
-Non volevo dire questo… cioè… non con quelle parole cariche di rabbia. Volevo sfogare la mia paura e l’ho fatto con te e… mi dispiace. Scusami!-
Lei scuote la testa.
-No, hai ragione, tu sei suo padre e tu hai il diritto di decidere cosa è bene e cosa no per lei.-
Lo guarda fisso per un paio di secondi e poi riporta lo sguardo verso l’orizzonte, cosa che fa anche lui.
-Non sono nemmeno un genitore, perciò posso solo immaginare che cosa stai provando. Però sono una figlia…-
Lui si gira a guardarla e lei stringe le labbra increspando la fronte.
-…ed è questo che vorrei da te, che mi ascoltassi un paio di minuti come ascolteresti tua figlia, poi potrai decidere per te e lei come credi.-
La rabbia provata nella sala riunioni è svanita, lasciando il posto ad una strana oppressione sul petto.
Lei gli prende entrambe le mani e si gira verso di lui, mettendosi quasi di fronte e incatena gli occhi ai suoi.
-Fai partire Alexis, la allontani da te, troviamo Dunn e tutto finisce bene senza che nessuno soffra. Ma… supponiamo che le cose non vadano così. Ipotizziamo che non riusciamo a trovare Dunn e l’antidoto in tempo e che succeda…-
Si ferma, deglutisce e chiude gli occhi, mentre lui resta immobile ad aspettare che li riapra.
-…pensi davvero che una telefonata improvvisa, magari in piena notte a mille miglia di distanza da qui, la farebbe soffrire di meno? Pensi davvero che farle prendere il primo aereo disponibile che la riporti a casa, passando otto… nove ore in volo a chiedersi cos’è successo e perché, sola con il suo dolore, la farebbe soffrire di meno?-
Gli occhi di Rick si riempiono ancora di lacrime e china la testa.
-Si chiederà perché le hai impedito di starti vicino, di aiutarti, di sorreggerti… è tua figlia Castle, ed è questo che deve fare una figlia. Si chiederà perché non l’hai fatta entrare nella tua vita e al dolore si unirà la rabbia per quello che è successo e per quello che tu stesso le hai tolto, la possibilità di essere accanto a te.-
Gli prende il viso tra le mani e gli asciuga le lacrime.
-Sarà già arrabbiata con me per quello che ti succede, non farle provare rabbia anche verso di te, perchè se io fossi tua figlia e tu mi allontanassi in un momento del genere, non te lo perdonerei mai… e non te lo perdonerebbe nemmeno Alexis…-
Rick scuote la testa tra le sue mani, bagnandole di quelle lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento.
-Mi hai chiesto di essere lucida anche per te, ed è quello che sto facendo, so che non ti piace, ma è giusto così. Lo sai che ho ragione… la risposta è già dentro al tuo cuore e sai che è una sola: devi dirlo a tua figlia e a tua madre. Devi permettere loro di soffrire per te affrontando il dolore, non di essere piene di rabbia e di rancore verso di te…-
Rick si scosta da lei, il calore delle sue mani viene sostituito dal freddo reso ancora più pungente dalla scia umida lasciata dalle lacrime. Davanti a lui, il cielo si è dipinto di un tenue colore violaceo. Una massa di nuvole sta circondando gli ultimi raggi del sole, quasi completamente.
Kate gira lo sguardo verso la punta più alta dell’isola e sorride.
-Si vede ancora il cuore sospeso nel cielo?-
Chiede in un sussurro. Rick si sposta più indietro sul masso e le fa segno con la mano perché si sieda davanti a lui. Kate si posiziona tra le sue gambe e come la prima volta, il suo fiato s’infrange su di lei, lasciandola senza respiro.
-Riesci a vederlo?-
Le chiede alitandole sul collo e lei scuote la testa.
-Spostati di poco, verso destra… oltre quella nuvola.-
Lei obbedisce e subito dopo mostra un meraviglioso sorriso.
-Non è cambiato per niente, è sempre lì, sospeso tra cielo e terra ad aspettare che un bambino lo trovi. Questa è magia Castle, la magia della speranza… e mi hai insegnato tu a crederci.-
Appoggia la testa sulla sua spalla e lui si stringe a lei accostando il mento al suo viso.
-Quel giorno, quando mi hai mostrato il tuo cuore, io sapevo già che eri il mio cielo, ma non ero pronta…-
Scuote la testa e sospira.
-…ho perso tanto tempo Castle… abbiamo perso tanto tempo per colpa mia…-
-No, non è vero. Non ero pronto nemmeno io, sennò avrei trovato il modo di farti capitolare.-
Lei sorride.
-Ma davvero?!-
Lui annuisce sicuro.
-Davvero. Ci saremmo bruciati subito Kate e adesso forse non saremmo qui insieme…-
-…e tu non staresti rischiando la vita! Forse sarebbe stato meglio.-
-Non pensarlo neanche… non cambierei niente di noi due!-
Restano in silenzio ad ammirare quel miraggio che cambia colore con le sfumature di un tramonto che preannuncia pioggia, poi Kate si volta verso di lui, che la stringe tra le braccia.
-Rick, io…-
Lui scuote la testa d’improvviso sussurrando sulle sue labbra.
-No Kate… non dirlo! Qualunque cosa tu voglia dire, non farlo… non adesso…-
China lo sguardo mentre lei lo fissa con le labbra socchiuse.
-…non farlo solo perché credi di non avere modo di dirlo ancora. So per esperienza personale che non è poi una buona idea!-
Esclama alla fine facendola sorridere.
Gli mette la mano sul viso e poggia le labbra sulle sue. Le socchiude e costringe anche lui a farlo, si pizzicano le labbra a vicenda e alla fine lui le bacia la fronte.
-Tu vieni con me!?-
Le chiede poggiando il viso al suo e lei corruccia la fronte.
-A casa… devi starmi vicino ed aiutarmi a fare la cosa giusta.-
Kate annuisce e lo bacia sulla guancia.
-Certo che verrò con te, se è questo quello che vuoi e sarò irremovibile!-
Si baciano di nuovo a fior di labbra e lei si fa seria.
-Mi dai la tua lista delle cose da fare prima di morire?-
Lui corruccia la fronte e lei lo incita con gli occhi, prendendogli la penna che tiene nel taschino interno della giacca. Lui le dà il foglietto e Kate va dritta al numero quindici.
-Guidare la macchina di Beckett… depennato!-
Esclama dopo aver cancellato la scritta e Rick si mostra ancora più confuso.
-Perché fai quella faccia? Potevi depennarlo anni fa questo punto. Ti sei dimenticato che per portarmi qui, mi hai rubato le chiavi della macchina e hai guidato tu?-
-Ma questo non c’entra… tu non eri consapevole di quello che avrei fatto, ti ho presa alla sprovvista e…-
E’ costretto a fermarsi perché lei lo bacia di nuovo e lui sorride sospirando, proprio nell’istante in cui squilla il cellulare di Kate.
-E’ un messaggio del dottor Travis: non cominciamo bene… siete già in ritardo!
Legge le testuali parole e Rick sorride.
-Allora non facciamolo aspettare oltre.-
Si alza tendendole la mano, che lei afferra e stringe prontamente.
S’incamminano mano nella mano nel viaggio di ritorno della macchina del tempo, in silenzio.
Anni prima, mentre tornava indietro, dopo essere riuscita a liberare la sua anima, sentiva il cuore leggero, adesso, per quella stessa strada, sente soltanto il peso delle ore che corrono troppo in fretta.
Sente le lacrime salirle agli occhi, vorrebbe piangere e disperarsi, ma lui ha bisogno di lei e della sua forza, quella forza che ha sempre ostentato davanti a tutti, ma che all’interno del muro che circondava il suo cuore, era flebile come un alito di vento e che adesso è completamente senza nessuna corazza intorno.


Angolo di Rebecca:

Ebbene si, ho mandato Rick nell'unico posto a lui caro dove sentirsi al sicuro... il suo posto magico.
Spero di avere reso bene il luogo anche per chi non lo conosceva già, ma sono sicura che molte di voi lo avranno riconosciuto quasi subito :3
Se avete fatto caso, questo è il primo capitolo senza i pensieri finali e contorti di Scott Dunn, volevo fosse un momento solo dei nostri Caskett.
Questo capitolo è dedicato alle mie editor Vale ed Annalisa, che amano quel posto più di Castle stesso *-* (vai a capire perchè... Annalisa ha scelto il titolo come regalo per il suo compleanno :p) e poi è dedicato alla mia piccola Katia, che mi ha fatto un grande regalo: ha preparato la locandina della mia storia, se abitassi a Messina potrei dire: "cosi cu micciu" Katiuccia grazie *-* mommy è tanto contenta <3
e grazie a tutti per il vostro costante affetto :D

 
Non è fighissima?


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