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Autore: _joy    05/03/2014    4 recensioni
Contesto: tra "Morsi di ghiaccio" e "Il bacio dell'ombra":
Rose non ha ancora visto il fantasma di Mason, non sono ancora iniziati i problemi legati allo Spirito. Lei e Lissa sono tornate all'Accademia e hanno ripreso le loro vite. Finché Lissa non le chiede di tornare a NYC e riprendere le loro vecchie identità in nome di un amore passato.
ATTENZIONE: questa storia è sempre un crossover con Gossip Girl ma non c'entra niente con "Escape": non sono legate, è diverso il contesto e Lissa e Rose sono scambiate rispetto a quella storia: Rose è Serena Van der Woodsen e Lissa è Blair Waldorf (capelli a parte!)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dimitri Belikov, Lissa Dragomir, Rose Hathaway
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"You can't force love, I realized.
It's there or it isn't.
If it's not there, you've got to be able to admit it.
If it is there, you've got to do whatever it takes to protect the ones you love."
Rose - Frostbite



Dimitri scese dalla macchina con me.
 
Non avevo bisogno di girarmi a controllare per sapere che era lui.
Lo sentivo.
Sentivo la sua presenza forte e rassicurante, sapevo che c’era.
Che ci sarebbe stato sempre, per me.
Chissà se saremmo tornate a NY dopo il diploma alla St. Vladimir, pensai di sfuggita.
In quel caso, avrei fatto di tutto per fargli amare questa città.
 
Mi diressi verso la reception e chiesi di Chuck Bass.
L’impiegato mi riconobbe e mi salutò con cortesia, quindi chiamò la suite di Chuck.
Aspettammo a lungo e, quando le porte dell’ascensore finalmente si aprirono, non mi trovai davanti una scena piacevole.
Chuck era chiaramente sbronzo: mosse due passi e cadde in avanti.
Chi si precipitò a rialzarlo era il suo migliore amico: Nathaniel Archibald.
Mi affrettai ad aiutare Nate e ottenni in premio un’occhiata attonita.
«Serena?» chiese lui, con scarsa originalità.
Mi limitai a stringermi nelle spalle.
«Sorpresa! Serve una mano?»
 
Per trascinare Chuck all’auto, alla fine, ci volle Dimitri: lo sollevò quasi di peso, come se non gli costasse sforzo.
La nostra entrata in auto non fu delle più gloriose: Chuck finì dentro lungo disteso, ai piedi di Lissa.
Lei si precipitò ad aiutarlo ma da sola non poteva farcela.
Alla fine, tra tutti, riuscimmo ad issarlo sul sedile.
Lui rivolse a tutti uno sguardo ebbro.
«Blair?» biascicò poi.
Sentivo la puzza di whisky da dove ero seduta.
Lissa sorrise, amorevole; il Legame fu pervaso di emozione.
Mi trattenni dal vomitare.
«Sono qui, Chuck» si limitò a dire, stringendogli la mano.
 
Per un paio di minuti, ebbi l’illusione che le cose sarebbero state facili.
Ma furono solo un paio di minuti.
Poi Chuck iniziò ad agitarsi, berciò contro l’autista, contro Nate, contro Lissa…
I Guardiani sembravano non sapere come gestire la cosa (erano esperti di lotta, non di adolescenti umani in crisi esistenziale), per cui intervenni io, con il mio solito garbo.
Afferrai Chuck per la cravatta e lo strattonai: lui annaspò miseramente.
«Smettila di agitarti, Bass, e mostra un po’ di riconoscenza!» sbottai «Non siamo venute qui per sentire le tue volgarità!»
Lissa mi lanciò un commento attraverso il Legame:
Cosa fai? Ricordati che non sei Rose, sei Serena!!
Battei le palpebre e guardai Nate, che mi fissava a bocca aperta.
Oh. Giusto.
Mollai il cravattino di Chuck e mi risistemai con grande dignità sul sedile, fingendo che non fosse accaduto nulla.
Quello sputacchiò, si chinò in avanti e mormorò un’oscenità.
Lo sguardo di Dimitri si fece d’acciaio: prima che potesse polverizzarlo, io mi limitai a un consiglio pragmatico:
«Vomita sulle mie scarpe, Bass, e vedrai quello che ti succede!»
Fu Lissa a spezzare la tensione.
«Basta così!» disse, quindi chiese all’autista di fermarsi e aprì la portiera.
Scattammo tutti, tranne Nate.
«Che fai?» chiesi.
«Non può presentarsi al funerale di suo padre in queste condizioni» rispose lei «Gli serve aria!»
Così, tra tutti, estraemmo Chuck dalla macchina e cercammo di farlo camminare.
Lissa gli teneva il braccio e gli parlava in modo rassicurante, a me era venuta la nausea.
Nate sembrava senza parole.
Celeste ed Alto si aprirono a ventaglio per controllare la zona, ma Dimitri mi rimase accanto.
Nate lo occhieggiò sorpreso, ma non fece domande.
«Parenti di Blair» mormorai io, a mo’ di spiegazione.
Lui annuì, decisamente perplesso.
 
Un po’ camminammo e un po’ incespicammo verso il cimitero, ma Chuck non si reggeva proprio in piedi.
Alla fine, Lissa lo spinse contro un albero e gli disse:
«Ok. Mi spiace ma… Devi vomitare»
Non feci in tempo a fermarla che gli aveva già infilato due dita in gola.
Io saltai all’indietro e persino la calma di Dimitri sembrò risentire di quel gesto.
Paradossalmente, Nate era il più tranquillo: era a conoscenza degli alti e bassi di Blair e Chuck e probabilmente questa non era la cosa più strana che era capitata loro.
Io, invece, stentavo a riprendermi dallo shock.
«Ma sei impazzita?» strillai.
Ma Lissa era intenta a consolare Chuck, in preda ai conati.
Scambiai un’occhiata impotente con Dimitri e, per l’ennesima volta, ebbi la tentazione di mandare tutto all’aria e tornarmene in Montana.
Dannazione.
 
Dopo quell’episodio (a dir poco agghiacciante), comunque, Chuck stava meglio.
Se non altro arrivò in chiesa sulle sue gambe ed entrò con furia, seguito da Lissa.
Per quanto riguarda me, c’era una sorpresa ad attendermi.
Li vidi vicini, fuori dalla porta della chiesa.
Oh, no!
 
Quando ce ne andammo da Manhattan in fretta e furia, Lissa si era lasciata con Chuck, mentre io avevo interrotto la mia relazione platonica con Dan Humphrey e avevo iniziato a uscire con Aaron Rose, un tizio che faceva l’artista bohémien.
E questo è il chiaro segno del fatto che, prima di incontrare Dimitri, facevo solo cazzate.
Da quando era entrato nella mia vita mi aveva dato tanto: amore. Istruzione. Conforto.
Quella che ero prima… bè, non ne andavo fiera.
Certo, ero giovane e volevo divertirmi… ma dopo Dimitri, il divertimento come lo intendevo prima non aveva più senso.
Io volevo lui. Non volevo più giocare.
 
Così, quello che provai alla vista dei sorrisi speranzosi di Dan e Aaron fu soltanto fastidio.
Fastidio per le loro arie da cagnolini scodinzolanti, fastidio al pensiero che mi avrebbero cercata per avere spiegazioni e avrebbero insistito con me… per cosa?
Cosa ne sapevano di me?
Mi veniva quasi da ridere.
Passai loro davanti senza degnarli di uno sguardo e loro fecero per avvicinarsi, ma qualcuno si interpose facendomi da scudo.
Nate.
Gli rivolsi un’occhiata di gratitudine ed entrai in chiesa.
Lissa e Chuck erano seduti al primo banco, quindi li raggiunsi.
Nate arrivò dietro di me.
Con la coda dell’occhio, vidi Dimitri in piedi nella navata alla mia sinistra.
Scivolai sulla panca e mi guardai attorno: visi che conoscevo, persone con cui avevo mangiato, bevuto, mi ero divertita.
Sembrava un’altra vita.
Era così lontana da quella che ero diventata, dalla consapevolezza che avevo raggiunto.
Mi mancava?
A volte sì.
Le volte in cui era tutto difficile, in salita.
Le volte in cui temevo di non farcela. Le volte in cui ero preoccupata per l’equilibrio mentale di Lissa. O quelle in cui avrei voluto essere una ragazza normale, con una relazione sentimentale normale.
In quelle volte, essere Serena mi sembrava un sogno: senza problemi, senza vincoli.
Ma la maggior parte del tempo sapevo che non esistevano scorciatoie e che quello che ero chiamata a fare superava per importanza qualunque incertezza o sogno adolescenziale.
 
Quelle riflessioni si mescolavano ai sentimenti che sentivo provenire da Lissa.
Era come se io fossi andata avanti, mi fossi staccata da quel sogno dorato che era NY e lei ci fosse invece invischiata in pieno.
Mi chiedevo com’era possibile: era da tanto che aveva chiuso con Chuck.
Aveva Christian.
Eppure… guardai Dimitri con la coda dell’occhio.
Forse certe emozioni, semplicemente, non passano mai.
 
La funzione non durò molto a lungo.
Lissa tenne la mano di Chuck per tutto il tempo, ma al momento di uscire per accompagnare la bara lui scattò in piedi e non attese il feretro, ma si diresse fuori.
Lissa gli fu subito dietro.
Immaginavo i guardiani che si attivavano subito, cercando di non dare nell’occhio.
Sospirai, ancora seduta.
Nate mi strinse con il braccio destro e sorrise, comprensivo.
«Non vuoi vederli insieme, eh?»
«No, io…» ci pensai su «Voglio che Blair sia felice e non credo che lui possa farla felice. Loro… si fanno del male a vicenda, si distruggono. Non va bene. Sapere che voleva tornare per lui….bè, è stato un colpo»
Nate annuì, però disse:
«Lei gli è mancata. Non l’ho mai visto così»
Chuck era il suo migliore amico, era ovvio che gli stesse al cuore.
Cercai di non pensare alle implicazioni di Lissa e Chuck che si rimettevano insieme.
«Nate, il loro momento è passato. Noi ormai… noi studiamo in un’altra città e francamente…»
«Ah, giusto, il trasferimento» mi interruppe lui «Dov’è che siete andate? Era Montreal? E perché?»
Fortuna che mentivo con grande facilità.
«Ho una zia lì, è una bella città» dissi, sbrigativa, e mi alzai «Ormai New York è il passato per me e Blair»
 
Uscii dietro il feretro, in una processione lenta.
Buffo.
Non volevo venire e ora ero l’unica di noi che sembrava preoccuparsi del funerale.
Il cimitero era subito fuori dalla chiesa e tutto era già predisposto.
Abbracciai amici e conoscenti e poi andai in cerca di Lissa.
Non era lontana: era accovacciata vicino a Chuck, che aveva nascosto il viso tra le mani.
Celeste e Alto la scrutavano non lontani.
Cercai Dimitri con gli occhi e lo vidi fissarmi: gli sorrisi discretamente.
Quindi mi avvicinai a Lissa, più per abitudine che per bisogno reale: non volevo interrompere quella scena, era un momento chiaramente privato.
Non sapevo come consolare Chuck.
Mi dispiaceva per quel dolore che stava vivendo, ma mi sentivo lontana da lui e dai nostri vecchi amici.
Avevamo mentito a tutti loro.
Ci eravamo inserite in un mondo che non era il nostro, sapendo già che avremmo dovuto lasciarlo.
Non era giusto illudere le persone.
Non saremmo dovute essere lì: Chuck meritava qualcuno di stabile nella sua vita.
Aveva appena perso il padre.
Avrebbe perso Lissa, di nuovo.
E, anche se sentivo il desiderio di lei per lui, sapevo che era sbagliato.
L’ultima dei Dragomir e un umano?
Mai.
Impossibile.
Non che Christian Ozera fosse la persona migliore che conoscevo, ma… le voleva bene, davvero.
Ed era un Moroi, sebbene di dubbia reputazione a causa di vicende familiari oscure.
Ed era…giusto.
Lissa con lui aveva ritrovato l’equilibrio, un equilibrio che con lei era difficile e sfuggente.
Come avrebbe fatto a stare con un umano?
Lasciando la scuola? Mentendo a tutti, Chuck per primo?
Era chiaro che era impossibile.
Ma, più io ne ero certa, più sentivo che, al contrario, lei si intestardiva.
Voleva tornare.
Voleva essere Blair.
Senza il peso di una casata in disfacimento sulle spalle, senza la solitudine derivante dal fatto di essere l’ultima Dragomir.
Lissa voleva scappare, voleva evadere, voleva una vita diversa.
La capivo, per carità.
Ma non era quella la soluzione.
 
La guardai, preoccupata.
Come potevo farglielo capire?
Osservai il suo viso felice, mentre stava vicina a Chuck, e rabbrividii.
Sentii un peso sulle mie spalle e mi voltai: Nate mi aveva dato il suo soprabito.
Sorrisi, riconoscente, mormorando un grazie.
Lui mi rimase vicino.
Alzai la testa dopo poco e vidi Dimitri con gli occhi fissi sul braccio di Nate, ancora sulle mie spalle.
Aveva un’espressione dura e io mi affrettai a divincolarmi con tatto.
Fu Nate a rompere il silenzio:
«Chuck» mormorò «La veglia…»
Bass si alzò, senza una parola, e marciò verso la macchina.
 
 
Iniziavo ad essere stufa di questo stato di cose.
Chuck andava, Lissa gli correva dietro, noi correvamo dietro a lei.
Nate seguiva passivo.
In auto, mi sedetti deliberatamente accanto a Dimitri.
Lui rimase impassibile, mentre le nostre braccia e le nostre gambe si sfioravano.
Nessuno batté ciglio: dopotutto, era il mio istruttore.
Non parlammo.
I Guardiani avevano la tipica aria da controllo-tutto-ma-non-vedo-né-mi-interessa-nulla, Lissa era sempre addosso a Chuck.
Repressi un sospiro.
 
 
La veglia somigliava a un party esclusivo, come sempre in quella città.
Gente elegantissima, cocktail sfiziosi.
Alto guardava tutto con aria disgustata.
Chuck era ombroso, evitò sgarbatamente chiunque gli rivolgeva la parola.
Lissa continuava a seguirlo come un’ombra.
Sospirai e mormorai a Dimitri:
«Mi serve un drink»
L’occhiata che ricevetti in risposta era tutta un programma.
«Sei in servizio» bisbigliò di rimando «Non voglio sentir parlare di drink!»
Lo guardai, supplichevole.
«Mezzo bicchiere?»
L’occhiataccia che ricevetti era eloquente.
«Ok» mi arresi.
Chiesi un succo di frutta, sentendomi una martire.
«Comunque qui non ci sono Strigoi» bisbigliai, sedendomi su un divano da cui potevo tenere d’occhio Lissa.
«Non puoi mai sapere cosa succederà» disse lui, serio.
«Ma questa è Manhattan! Loft con vetrate ovunque! Sole accecante che ridurrebbe in polvere qualsiasi Strigoi!»
Lui scosso il capo.
«Sai cosa voglio dire: non importa quanto sia improbabile un attacco. Devi sempre essere pronta. Se non lo fossi e accadesse qualcosa a Lissa, allora sì che sarebbe tardi per rimpiangerlo!»
La sua logica mi zittì.
Aveva ragione, lo sapevo.
Non mi aspettavo nulla di diverso, da lui.
«E come faccio per proteggerla da questo?» feci un cenno discreto «Dal farsi spezzare il cuore?»
Dimitri scosse il capo.
«Non puoi. Non puoi fare tu tutto per lei. Lo so che vorresti proteggerla e non solo in senso fisico… Ma lei è una persona. Fa le sue scelte. I suoi errori. È giusto così: non puoi decidere tu, per lei, sulla base di quello che ritieni giusto»
«Ok, ma stavolta quello che io ritengo giusto è giusto e basta e…»
A lui scappò un sorriso.
«Lo è secondo te, ma secondo lei no. Ed è giusto che lei possa scegliere»
«Si farà del male, Dimitri!»
«Forse sì, ma imparerà dal suo errore. Guarirà. Capirà…»
Facile a dirlo, ma per me vederla soffrire era un tormento.
Sbuffai e lui sorrise.
«Se lei impedisse a te di fare qualcosa che vuoi davvero, tu come reagiresti?»
Stavo ancora guardando Lissa e rimuginando sui suoi sentimenti, per cui risposi sovrappensiero:
«Ma lei lo fa già. Non volendo… ma lo fa»
 
Fu come aver scagliato una bomba.
Dimitri si irrigidì e anche io, appena mi resi conto di quello che avevo detto.
Da dove mi era uscito?
Non volevo incolpare Lissa della mia disastrosa situazione amorosa.
Cioè… tecnicamente era in parte per causa sua se io e Dimitri non stavamo insieme, ma io capivo.
Lo accettavo.
Lei veniva prima.
Annaspai e Dimitri disse, sorpreso:
«Rose, io…Io… Mi dispiace, non devi accusare Lissa se…»
Feci un gesto per interromperlo.
«Ho detto una sciocchezza, scusa» dissi, brusca.
Ero arrabbiata con me stessa per essermi fatta sfuggire quello stupido commento.
«Comunque, dovresti chiamarmi Serena»
Dimitri colse la mia volontà di cambiare discorso, come coglieva tutto di me.
Sospirò ed accettò il brusco cambio di discorso.
Tanto, cosa potevamo dire della nostra situazione?
«Non riesco» rispose «Non hai l’aria di una Serena»
«Ah no? Sicuro non ho l’aria di Rose, ora!»
Indicai il mio abito elegante, i capelli curati.
All’Accademia ero sempre in palestra, a combattere, per cui legavo i capelli o, se li lasciavo sciolti, non avevo comunque tempo per trucco e vestiti.
Ma lui scosse il capo.
«Ma certo che hai l’aria di Rose»
«Figuriamoci» lo liquidai, divertita «Ascolta, so che voi uomini non badate a certi dettagli, ma oggettivamente questo è troppo. Sembro un’altra. Cioè…sembro la me di prima. Molti fronzoli e poco cervello»
La buttai sullo scherzo, ma lui rimase serio.
«Tu non sei affatto così»
«Ma come? Questo è un ottimo momento per un predicozzo su come la vanità sia inutile nella vita di un guardiano!» scherzai.
Mi aspettavo almeno un sorriso, ma lui, serissimo, rispose:
«Non ti serve un vestito per essere bella. Sarai un grande guardiano… Ma questo non fa di te una brutta donna»
 
Trattenni il fiato, mentre i suoi occhi scuri si fissavano nei miei.
Un milione di cose non dette passò tra noi in quell’attimo.
Dio mio, che voglia di abbracciarlo.
Mi trattenni e mormorai, senza fiato:
«E se divento come Celeste? Se non sarò più capace di infilarmi una gonna?»
Stavolta sorrise e i suoi occhi scuri accarezzarono il mio corpo.
«Sarebbe un peccato…» mormorò, pianissimo.
Avevo i brividi.
Mi avvicinai a lui, senza rendermene conto.
Entrambi avevamo il respiro pesante.
Lo vidi fissarmi le labbra.
Oddio.
Oddio, cosa stava per…
 
E poi, sentimmo un ruggito furioso e schizzammo entrambi ai nostri posti, allontanandoci.
Ci misi un attimo a capire cosa stava succedendo: ero ancora sulla luna.
Poi vidi Chuck marciare verso la porta e Lissa inseguirlo.
Le corsi dietro.
Vicino all’ascensore si misero a discutere ad alta voce, con lei che lo supplicava di non andarsene e lui che strillava insulti.
Lo presi per un braccio e lo strattonai.
«Ehi!» esclamai, furiosa «Vedi di essere educato: siamo alla veglia per tuo padre, dannazione!»
Nate era arrivato e trattenne Lissa.
«Ehi, amico, Serena ha ragione» mi supportò «Non è il momento per certe scene…»
«Ma che cazzo volete tutti, eh?» ruggì invece Bass «Chi vi ha chiesto di venire e di starmi addosso, eh?»
Poi puntò il dito contro Lissa.
«E tu, Blair, che prima sparisci e poi vieni a dirmi quanto è bella la vita e quanto è importante viverla… Vai all’inferno!»
Detto questo, entrò nell’ascensore e premette rabbiosamente il pulsante che fece chiudere le porte.
 
Noi restammo in silenzio.
Guardai Lissa e vidi i suoi occhi pieni di lacrime.
Nate tossicchiò, imbarazzato, e mormorò qualcosa sul correre dietro a Chuck.
Io abbracciai Lissa.
Dimitri fece qualche passo indietro, ma rimase vicino.
Lei era inerte tra le mie braccia.
Le accarezzai la schiena.
«Ehi. Va tutto bene» dissi, in automatico.
Scosse il capo.
Io scambiai un’occhiata con Dimitri, poi chiusi gli occhi.
Perché, perché lui mi conosceva meglio di quanto io conoscessi me stessa?
«Ok, ascoltami. Se è quello che vuoi, allora devi corrergli dietro»
Lissa alzò il capo, guardandomi scioccata.
«Ma se continui a ripetermi…»
La interruppi:
«Lo so. Lo so. Ma io… non posso decidere per te. Non è giusto. E, anche se vorrei proteggerti da tutto, ci sono cose che è giusto che tu viva. Devi fare quello che per te è giusto, Liss. Io ci sono comunque, per te»
Lei rimase senza parole, poi mi abbracciò.
Ricambiai l’abbraccio e la sentii mormorare:
«Non so cosa fare. Aiutami!»
«Tu cosa vuoi?» chiesi, anche se lo sapevo già.
Il Legame mi diceva già quanto intenso fosse il suo coinvolgimento.
«Vorrei… vorrei poter parlare con lui come facevamo prima»
Annuii.
«Devi dirglielo, allora»
«Ma lui…»
«Oh, senti, Liss» sospirai «Ci hai trascinati qui dal Montana per vederlo, gli hai ficcato due dita in gola per farlo vomitare… e siete ancora al “tre parole, sette lettere”? Ma scherzi?»
Lei fece una smorfia buffa.
«Va bene, ho capito. Vado»
Le strinsi una mano, affettuosamente.
«Sono fiera di te»
Lei mi sorrise e chiamò l’ascensore.
 
Guardai Dimitri: mi sorrise anche lui e fece un cenno con il capo.
«Brava, Roza» mormorò.
   
 
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